La Teodicea in Tolkien

PARTE OTTAVA E ULTIMA1


di Alberto Quagliaroli

    La questione del male i suoi attributi ne Il Signore degli Anelli

      Cenni alle fonti, allo stile e alle vicende editoriali de Il Signore degli Anelli

Trattare questo argomento è in un certo senso meno complicato che per Lo Hobbit, sia perché ne Lo Hobbit è stato necessario richiamare le caratteristiche della fiaba, sia per lo stretto collegamento tra Lo Hobbit e il Beowulf, uno dei motivi per cui è stata compilata in terra anglo-sassone una edizione annotata de Lo Hobbit.

Per riassumere brevemente le vicende della stesura de Il Signore degli Anelli2 mi rifarò alla ottima biografia di H. Carpenter. Tolkien, nello stesso anno della pubblicazione de Lo Hobbit, pensò di cominciare a scriverne la continuazione, ma era molto dubbioso, sia perché il desiderio di portare avanti la sua mitologia ne Il Silmarillion3 era molto più forte, sia perché non trovava ancora la giusta ispirazione per procedere dagli elementi narrativi de Lo Hobbit. In effetti anche i suoi impegni di lavoro rallentarono l'inizio dell'opera, ma già nel 1938 la sua vena creativa si accese portandolo a scegliere uno stile molto meno fiabesco e molto più mitologico e vicino a quello de Il Silmarillion e poi a proseguire con decisione. La stesura de Il Signore degli Anelli continuò per tutta la Seconda Guerra Mondiale con interruzioni anche di un anno e con continui ritocchi dovuti al suo perfezionismo, ma Tolkien ormai si era fatto prendere da una specie di furore creativo che gli fece dire in una lettera del 1944 richiamata da Carpenter4:


Ora sono talmente immerso nel racconto che devo far forza su me stesso per affrontare le prove scritte d'esame e le lezioni.


Nel 1949 Il Signore degli Anelli era più o meno concluso, ma, per vari motivi, tra cui anche il fatto che Tolkien voleva che la Allen & Unwin pubblicasse anche il Silmarillion (o meglio, quello che Tolkien aveva in modo definitivo scritto e revisionato di esso, che purtroppo non era molto) e per vicende legate ai rapporti con l'editore, la pubblicazione slittò fino all'estate 1954, quando uscì col primo dei tre volumi: La Compagnia dell'Anello. L'uscita dei successivi libri fu coronata da un crescente successo provocando tra i critici reazioni diametralmente opposte, dalla critica senza pietà alla recensione entusiastica.

Per quanto riguarda le fonti, in questo caso, diversamente che ne Lo Hobbit, non esiste assolutamente qualche opera della antica letteratura anglo-sassone o nord-europea da cui Tolkien abbia preso diretta ispirazione; Il Signore degli Anelli è debitore solo della costruzione del mondo mitologico tolkieniano raccolta nel Silmarillion, ovviamente il Silmarillion è invece legato all'immaginario mitologico europeo e ad opere letterarie e alle lingue della antica cultura Nord-europea, ma Il Signore degli Anelli presenta una grande autonomia creativa che ritengo si possa far risalire in buona parte alle sole doti artistiche e di fantasia di Tolkien.

Dello stile si può dire che già dopo il primo capitolo è molto lontano da quello fiabesco de Lo Hobbit, non è però neppure tanto vicino allo stile del Silmarillion che in molti punti è fin troppo aulico; dal momento che un'analisi approfondita dello stile non fa parte di questo lavoro, mi limito a dire che Il Signore degli Anelli presenta arcaismi in giusta misura, rinvenibili soprattutto nei brani di poesia e di canzoni e nei momenti solenni, ma è narrato con uno stile abbastanza attuale, dimostrato ad esempio dal ritmo serrato di molti brani, specialmente nella seconda parte quando gli avvenimenti incalzano; le descrizioni di paesaggi e ambienti sono abbondanti, per alcuni lettori moderni anche troppe (come sta dimostrando l'accoglienza che il libro sta ricevendo tra gli spettatori dei film che, incuriositi, si sono messi a leggerne la fonte letteraria). Nel complesso, pur essendo stato scritto a metà del XX secolo, all'inizio del XXI secolo conserva ancora notevole attualità oltre che di temi anche di stile, convinzione sostenuta ad esempio con grande vigore da Tom Shippey nel suo libro J.R.R. Tolkien – Author of the century.

      Schema di analisi prescelto

La natura della storia è sostanzialmente differente da quella de Il Silmarillion anche per via della scala spazio-temporale a cui è narrata; dall'allontanamento dalla Contea alla distruzione dell'Anello passano otto mesi soltanto, e questo lasso di tempo racchiude gran parte delle 1200 pagine del libro. Questa scala spazio-temporale invece corrisponde a quella de Lo Hobbit; di conseguenza credo che sia più facile effettuare l'analisi delle questioni e degli attributi del male de Il Signore degli Anelli secondo lo schema che ho usato per Lo Hobbit e non secondo lo schema temporale usato per Il Silmarillion, quindi prenderò in considerazione gli attori, personaggi, gruppi di personaggi e popoli uno per volta, limitandomi ovviamente agli attori più significativi e per cui vi sono elementi narrativi sufficienti su cui basare l'analisi.

Il gruppo degli attributi del male, mancando ne Il Signore degli Anelli buona parte della dimensione cosmogonica, risulterà facilmente carente nelle spiegazioni relative a Origine, Natura e Destino del male, o tributario dell'analisi svolta su Il Silmarillion; invece relativamente al gruppo delle questioni sul male penso che il testo arricchirà il quadro delle risposte prospettate dal Mondo Secondario di Tolkien.

      L'Anello del Potere, l'Unico Anello

Anche solo dopo aver visto i film, e, a maggior ragione, dopo aver letto il libro, è difficile che possa sfuggire che l'Anello del Potere, l'Unico Anello, ha tutti i crismi per essere considerato un personaggio, o per lo meno un agente attivo relativamente indipendente, determinante per lo svolgimento di tutta la storia della Guerra dell'Anello.

Vorrei per una volta (ma nei capitoli seguenti lo farò con maggior frequenza) invertire lo schema dell'analisi che ho adottato fino ad ora, cioè partire dagli attributi del male per sviluppare un quadro del male nel soggetto analizzato; le risposte al problema del male seguiranno le mie considerazioni, solo se riterrò necessario rifarmi, per presentarle, a Il Signore degli Anelli, mentre quando le informazioni si possono trarre da Il Simarillion rimanderò alla parte ad esso relativa.

        Origine del male dell'Unico Anello

L'Origine del male, male che per inciso, ricordo, è intrinseco all'Anello, risale senza dubbio al suo forgiatore, Sauron, il quale mediante le sue capacità sovrumane e la sua malizia nello sfruttare nascostamente le doti degli insuperabili Elfi forgiatori di Eregion (i Gwaith-i-Mírdain che ho citato al cap. “Gli anelli del Potere e la Terza Età”), ha creato un oggetto di una potenza confrontabile, tenendo conto del diverso assetto della Terra-di-mezzo, con i Silmaril di Fëanor, ma totalmente soggetto al male di cui Sauron è rappresentante, interprete e facitore. Indirettamente quindi l'Anello del Potere ha la sua fonte nella ribellione al Creatore alla quale Sauron ha aderito consciamente seppure con qualche tentennamento in più rispetto al suo più illustre capo (paragrafo “Origine, Natura e Scopi” nel capitolo “Gli anelli del Potere e la Terza Età”).

        Natura

Pur derivando indirettamente dalla ribellione primordiale al Creatore, l'Anello ha iniziato ad esistere molto avanti nella storia della Terra-di-mezzo, nel XVI secolo della Seconda Era; anche la sua Natura è debitrice in gran parte dell'attività di Sauron. Sauron, nel forgiare l'Anello al vulcano Orodruin, riesce a infondergli grandi poteri di cui può servirsene chi lo indossa (tra i quali in pratica si conoscono solo l'invisibilità e la capacità di comprendere le lingue, ma si ripete a più riprese che ne esistono altri più potenti e terribili), a renderlo progressivamente impermeabile al bene (se non lo è già) (v. “Azioni, gli Anelli del Potere”) e catalizzatore del male.

        Natura e Azioni

Per quanto concerne le doti malefiche, i dati di fatto sono:

- Con questo anello Sauron è molto più potente ed è in grado di sottomettere al suo volere innumerevoli creature, privandole del tutto della loro Libertà ed è in grado di esercitare un dominio diretto su i nove potenti anelli degli Uomini e i sette anelli dei Nani oltre che a influenzare anche i tre anelli degli Elfi. Credo si possa qui richiamare quanto ho già scritto nel par. “Azioni, gli Anelli del Potere”: se la creazione degli Anelli del Potere è stata certamente un grande sforzo anche per un Maia assicura però a Sauron, specialmente quando è in possesso dell'Unico Anello, o risparmio di energie, o più ampio raggio d'azione una volta che gli Anelli siano in mano ai loro possessori e che questi possessori siano definitivamente sottomessi a Sauron.

- L'Anello ha una sua volontà propria che gli permette (i punti seguenti sono asteriscati quando richiederebbero richiami puntuali al testo de Il Signore degli Anelli, che, purtroppo, non ho tempo di fare; scusandomi, non posso dunque che invitare il lettore a verificare di persona):

- L'Anello esercita una specie di forza di attrazione sui più potenti servitori del suo creatore che, se sono in presenza di esso, pur non vedendolo, sono coscienti della sua vicinanza e lo cercano attivamente;

- Il potere maligno dell'Anello non è però sempre immediatamente irresistibile per chi ha a che fare con esso; il cedimento alla malvagità dell'anello è di norma progressivo e dipende da vari fattori, tra cui, la vicinanza al suo padrone, la vicinanza al vulcano in cui è stato forgiato, la presenza di potenti servitori di Sauron, gli atteggiamenti, le conoscenze, il potere e la resistenza individuale (e di razza) di chi a che fare con esso.

        Scopi

Quando l'Anello è in mano a Sauron, i suoi Scopi sono coincidenti esattamente con quelli del forgiatore, che posso riassumere in: accrescere il proprio potere sulla Terra, sottomettere quante più creature libere è possibile, distruggere chi si oppone a questi progetti, divenire il padrone del Mondo e governare e usare il creato a soli Scopi utilitaristici immediati e personali; a questo proposito è molto chiaro il poema che è scritto in lettere elfiche e nella lingua di Mordor scritto sull'Anello6:


Un Anello per domarli, Un Anello per trovarli,

Un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli


Quando l'Anello è invece lontano, cerca di tornare al più presto dal suo legittimo padrone funzionando secondo i criteri che ho già indicato nelle Azioni, non mancando quindi, nel frattempo, di agire come agente degli intendimenti malvagi su chi lo possiede.


        Utilità

L'Utilità dell'Anello per il creato e per il progetto di Eru su di esso, non è immediatamente riconoscibile, dal momento della sua forgiatura non ha fatto altro che favorire Sauron e i suoi progetti a danno del creato.

È il taglio del dito di Sauron con l'Anello nella Battaglia di Dagorlad, che ha segnato una svolta nella storia dell'Unico, tramutando, indirettamente, il suo potere in un danno per il suo creatore; la scissione del legame tra l'Anello e Sauron si trasforma infatti in disfatta per quest'ultimo e per tutte le forze militari che ha aggregato attorno a sé. L'Utilità in questo caso è da attribuirsi alla perdita improvvisa di un potere che fino ad allora era stato determinante per il suo forgiatore, ma in effetti questo era un rischio, seppure molto remoto, di un tipo simile a quello che si era preso Melkor-Morgoth suddividendo il suo potere primigenio nelle creature sue servitrici e nella corruzione del creato, con l'unica differenza che l'Anello è un oggetto specifico. Il rischio si è trasformato in sconfitta effettiva solo grazie alla grande forza d'animo, alle grandi doti guerresche e alla spada Narsil di Isildur.

Dopo la perdita dell'Anello, lo strettissimo legame tra l'Anello e Sauron, insieme alla convinzione dei buoni più avveduti che l'Anello non può essere usato a fin di bene, permette di mettere in atto il progetto di distruggere l'Anello nell'Orodruin, per dare il colpo decisivo alla potenza dell'Oscuro Signore. In realtà però questa Utilità esiste solo in funzione delle contromisure che riescono a prendere i buoni e del risultato effettivo di queste contromisure. Credo che sia qualcosa di diverso dall'Utilità del male vista finora, fenomeno direttamente connesso con l'Azione del male: Ilúvatar dice che il male di Melkor (come quindi il male di Sauron) rientrerà nel suo progetto di bellezza del creato e della sua storia (si veda per esempio: 2.1.2 La ribellione di Melkor durante la Grande Musica), il male di Feanor è Utile come argine temporaneo al male e perché, se si vuole, è fonte di canti e triste bellezza della storia della Terra-di-mezzo, l'esistenza del male primordiale di Ungoliant porta alla formazione tra la sua progenie di Shelob che mantenendo libero il passaggio di Cirith Ungol anche da spie e guardie di Sauron, in ultima analisi rende accessibile a Frodo e a Sam l'unico ingresso a Mordor. Invece il male legato all'Anello sembra quasi essere stato pensato per non portare altro che solo Danno (come attributo contrapposto all'Utilità) al bene, in qualsiasi condizione si trovi; sarebbe dunque un oggetto pensato per impedire anche alla provvidenza di Ilúvatar di trasformare il male in bene; in questo senso, l'Anello sembra veramente la cosa più affine al male che Cristo ha combattuto e vinto con il sacrificio della morte in croce: Frodo, colui che più ha sofferto il peso del male dell'Anello, in qualche modo rimane ferito dalla sua esperienza con l'Anello vita natural durante. In ultima analisi l'unico modo per ottenere Utilità dall'Anello è la sua distruzione; e questo probabilmente è il pregio maggiore, dal punto di vista del male, che l'Anello possiede, nonché potrebbe spingere a dar atto a Sauron di essere stato capace di superare il suo maestro.

        Destino finale e destino7, caso o Provvidenza visti secondo una scansione temporale delle vicende dall'Anello

Il Destino dell'Anello è il fulcro della storia de Il Signore degli Anelli, la sua distruzione nell'Orodruin lo elimina definitivamente dalla Terra-di-mezzo e fa ottenere una grande vittoria contro il male.

Per completare il discorso sul Destino dell'Anello, ci si può chiedere quali sono gli elementi principali che portano alla sua fine: Isildur? Qualcosa di simile alla Provvidenza? Gollum? Bilbo? Il Caso? Frodo? La Compagnia dell'Anello? Gandalf? La mancanza di perspicacia di Sauron nell'intendere le mosse dei buoni?

Se vogliamo trovare cause e motivi della distruzione dell'Unico Anello, data la complessità del Mondo Tolkieniano, dobbiamo pensare ad una combinazione di elementi e certamente è di aiuto effettuare una scansione temporale degli eventi che hanno interessato l'Anello.

          L'Anello e Isildur

In ordine di tempo evidentemente l'impresa di Isildur con il frammento di Narsil è il fatto più importante, ma già in esso ci sono per lo meno tre fattori contemporanei: Isildur, Narsil e forse anche il caso, il destino (quello inteso in senso deterministico) o la Provvidenza; Gandalf ne Il Signore degli Anelli8 dice parlando a Frodo:

Dietro a quell'incidente vi era un'altra forza in gioco, che il creatore dell'Anello non avrebbe mai sospettata. È difficile da spiegarsi, e non saprei essere più chiaro ed esplicito: Bilbo era destinato a trovare l'anello, e non il suo creatore. In questo caso, anche tu eri destinato ad averlo, il che può essere un pensiero incoraggiante.


Gandalf parla di Frodo e Bilbo, non di Isildur e di Narsil, ma se il discorso del destino vale per loro due, potrebbe valere anche per Isildur; rimane il fatto che per Isildur Tolkien non fa cenni al destino e comunque anche Gandalf dice "non saprei essere più chiaro ed esplicito", indicando il termine 'destino' come quello che più si avvicina al concetto che vuole esprimere, ma considerandolo non sufficiente per spiegare i fatti. Al posto del destino si possono chiamare in causa: il caso o la Provvidenza, il caso si può chiamare in causa senza particolari precauzioni come è possibile farlo nel Mondo Primario. La Provvidenza richiede un'analisi un po' più approfondita; intanto la parola Provvidenza non è mai usata da Tolkien (ben diverso è il caso de I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, in cui è ripetutamente chiamata in causa), poi Tolkien ha più volte espresso, nelle sue lettere in particolare, che la sua intenzione nell'approntare il suo Mondo Secondario è stata di eliminare qualsiasi riferimento esplicito alla Religione; d'altro canto Tolkien ha diverse volte detto che la sua opera ha una ispirazione cristiana, la frase, che viene frequentemente citata, di una lettera del dicembre 1953 a Padre Robert Murray permette di illuminare questo aspetto9:

Il Signore degli Anelli è naturalmente un lavoro fondamentalmente religioso e Cattolico; inconsciamente all'inizio, ma consciamente nella revisione. Questo è il motivo per cui, io non ho messo, o ho tagliato, praticamente tutti i riferimenti a qualcosa di simile alla 'religione', a culti o pratiche, nel mondo immaginario. Poiché l'elemento religioso è assorbito nella storia e nel simbolismo.


Lasciando da parte discussioni e raffronti a proposito di altre considerazioni di Tolkien sull'argomento, questo brano credo permetta di prendere in considerazione la Provvidenza come elemento che traspare dalla storia e dal simbolismo de Il Signore degli Anelli; intendendo per Provvidenza una forza positiva che opera sulla storia e attribuibile, nel Mondo Secondario di Tolkien, all'influenza di Ilúvatar, neppure dei Valar, dato che mi pare di aver dato ragione del fatto che nemmeno Melkor, il Vala più potente, poteva essere in grado di agire con successo indiscutibile attraverso una anti-Provvidenza. L'oscuro accenno di Gandalf all'altra forza in gioco', che il creatore dell'Anello non avrebbe mai sospettata' insieme al giudizio di Gandalf sul pensiero incoraggiante a proposito del fatto che Frodo fosse destinato ad avere l'Anello, non permettono di dare la risposta con assoluta sicurezza a proposito della Provvidenza, ma autorizzano a prenderla in considerazione anche nella vicenda di Isildur.

Isildur è certamente un grande uomo e guerriero Numenoreano, ha la statura dei grandi re elfici che hanno combattuto a suo tempo direttamente con Morgoth, Finwe e Fingolfin, oltre che il valore di suo padre Elendil e di Gil-Galad. Il colpo gravissimo che Isildur ha inferto a Sauron dipende anche però dalla spada che ha usato: Narsil (che all'epoca della Guerra dell'Anello sarà chiamata Andúril), forgiata nella Prima Età da Telchar il più rinomato Nano fabbro di Nogrod10, spada che, se ha avuto un'influenza, si può comunque affiancare ad altre cause o ragioni.

          Dalla morte di Isildur al ritrovamento da parte di Bilbo

In ordine di tempo c'è la caduta dell'Anello nell'Anduin con la morte di Isildur, per la quale credo si possa ricorrere alla volontà dell'Anello, da poco perduto, collegata con quella del suo padrone.

Per il ritrovamento dell'Anello da parte di Déagol e l'uccisione di quest'ultimo da parte di Sméagol-Gollum, credo si possano intrecciare per lo meno: il desiderio dell'Anello di tornare dal suo legittimo padrone (fattore di gran lunga più importante a giudicare da quanto dice Gandalf a pag. 88 – si veda la nota 129 successiva), la curiosità di Déagol e Sméagol e uno dei tre elementi già citati della triade destino-caso-Provvidenza; ovviamente nel caso in cui si intenda appoggiare la tesi della Provvidenza, tutte le componenti dell'evento andrebbero viste in ultima analisi come strumenti della Provvidenza, comprendendo tra essi la volontà dell'Anello.

L'Anello in mano a Gollum, pur mantenendo la propria volontà, diventa a sua volta strumento di Gollum ed è costretto a piegarsi, per la prima volta a lungo, ad un volere diverso da quello di Sauron; in questo senso Gollum si dimostra un osso molto duro per l'Anello, probabilmente molto più duro che per altre creature della Terra-di-mezzo più sagge e potenti. L'abbrutimento di Sméagol e l'uso malvagio che questi fa dell'Anello, sono magre consolazioni per l'Unico, le sue grandi potenzialità di oggetto devastante per creature e creato sono grandemente frustrate da quel piccolo, viscido e tutto sommato debole essere. Questa considerazione ha un certo rilievo anche per il problema del male, assistiamo per la prima volta nel Mondo Tolkieniano ad una volontà malvagia letale per il creato forzata a ridurre ai minimi termini il proprio potere perché privata della libertà di tiranneggiare il creato da una volontà malvagia molto minore che non ha nessun interesse a guardare al di là del proprio naso o meglio dei propri artigli, denti e stomaco; addirittura, Gandalf dice (a pag. 88 de Il Signore degli Anelli): "da lungo tempo ormai lo portava poco", quindi Gollum:

          Dal ritrovamento di Bilbo alla consegna a Frodo

Il momento cruciale del ritrovamento dell'Anello viene inquadrato da Gandalf come una circostanza in cui11:


C'era più di una potenza in gioco, Frodo. L'Anello stava cercando di tornare dal suo padrone. Era scivolato di mano a Isildur e l'aveva tradito; poi, quando ne ebbe l'occasione, afferrò il povero Déagol che fu assassinato; e, dopo di lui, Gollum che aveva pressoché divorato e consumato. L'Anello non aveva ormai più bisogno di questo piccolo essere ignobile e meschino, e se fosse rimasto ancora con lui, non avrebbe più abbandonato quello stagno profondo. Così, ora che il suo padrone si era svegliato, invadendo con il suo pensiero oscuro le enormi contrade che circondavano il Bosco Atro, esso abbandonò Gollum, e capitò in mano alla persona più incredibile: Bilbo della Contea!


In questo caso Bilbo può essere solo indicato come causa assolutamente involontaria della nuova svolta nel Destino dell'Anello, il ritrovamento è ascritto da Gandalf in special modo all'Anello, ma il fatto che lo stregone parli di 'più di una potenza in gioco', può far pensare oltre che alla lotta tra più poteri anche a qualche forma di 'supervisione' e conduzione degli eventi che oltrepassa con tutta probabilità gli stessi intendimenti dell'anello e di Sauron, supervisione e conduzione alle quali non sarebbe estraneo Gandalf, ma di cui anche lo stregone non è che uno strumento, quantunque abbastanza consapevole. Per come racconta qui la vicenda dell'Anello, sembrerebbe che Gandalf ascriva all'Anello gli avvenimenti, ma il fatto che l'Anello sia rimasto inattivo e lontano dal suo padrone per così tanto tempo, credo che permetta di accettare senza problemi la mia riflessione sulla volontà di Gollum come importante limitazione a quella dall'Anello.

Del ritrovamento e dell'appropriazione dell'Anello da parte di Bilbo ho già detto quanto ritenevo utile nell'analisi de Lo Hobbit. Bilbo, in quell'occasione, compie sì un furto, ma ha molte scusanti. Ne Il Signore degli Anelli è di rilievo l'esposizione che fa Gandalf dell'atteggiamento di Bilbo a proposito dell'Anello: Bilbo inizialmente non raccontò esattamente come andarono le cose con Gollum, e la sua prima versione dei fatti, che cioè aveva vinto l'Anello ad un gioco di indovinelli, assomigliava stranamente alla convinta asserzione di Gollum che il suo 'Tesssoro' gli era stato regalato; la falsa spiegazione di Bilbo è un elemento di una certa importanza per individuare quale anello fosse quello trovato dallo hobbit e per vedere all'opera il potere pervertente dell'Unico. Su Bilbo, Gandalf, di gran lunga la guida più sicura per esplorare l'Anello e i fatti ad esso connessi, fa altre importanti considerazioni: Bilbo ha usato l'Anello e ne è stato influenzato negativamente, ma ha avuto pietà di Gollum quando avrebbe potuto ucciderlo ed è riuscito, seppure con un grosso sforzo e con l'aiuto dello stregone, a dare spontaneamente l'Anello a Frodo12:

Peccato? Ma fu la Pietà a fermargli la mano. Pietà e Misericordia: egli non volle colpire senza necessità. E fu ben ricompensato di questo suo gesto, Frodo. Stai pur certo che se è stato grandemente risparmiato dal male, riuscendo infine a scappare ed a trarsi in salvo, è proprio perché all'inizio del suo possesso dell'Anello vi era stato un atto di Pietà.


Questa considerazione di Gandalf aiuta anche in un altro modo l'analisi del male dell'Anello; il potere maligno dell'Anello è in qualche modo passibile di sconfitte anche prima di essere distrutto nell'Orodruin, la Pietà e la Rinuncia al potere dell'Anello (che vedremo in seguito) sono armi che ne arginano l'attività malvagia.

L'Anello e Frodo

Ho qualche difficoltà a inserire questo argomento nel capitolo sull'Anello, perché questo rapporto tra Frodo e l'Anello si presta a una sorta di analisi multi-dimensionale che può essere anche molto complessa. Cercherò di limitare l'analisi all'azione dell'Anello su Frodo piuttosto che alle risposte di Frodo.

Agli inizi del libro, fino ai chiarimenti dati da Gandalf a Frodo nel capitolo l'Ombra del passato, l'Anello risulta aver avuto effetto solo su Bilbo, che reagisce in modo scomposto a Gandalf che lo esorta a lasciare l'Anello a Frodo, sembra non essere cambiato con la vecchiaia e si sente 'magro e tirato'. L'avvertimento di Gandalf a Frodo di non usare l'Anello fa sì che questo non abbia occasione di tentare Frodo. Le cose cominciano a cambiare con l'arrivo dei Cavalieri Neri nella Contea in concomitanza con la partenza di Frodo, Sam, Merry e Pipino, e con la lontananza di Gandalf; i due incontri con i Cavalieri Neri sono l'occasione per l'Anello di esercitare una pressione psicologica molto maggiore su Frodo che quasi cede alla tentazione di infilarselo. Dopo questo fatto gli Hobbit affrontano le traversie della Vecchia Foresta e dello Spettro dei Tumuli, in cui l'Anello non sembra in grado di insidiare Frodo, se si eccettua la preoccupazione del portatore dell'Anello quando Tom Bombadil gli fa sparire davanti agli occhi l'Unico e soprattutto quando Frodo, riavuto da Tom l'Anello, decide di metterselo al dito; questo primo caso di uso dell'Anello dimostra che esso, oltre a potenziare la suaAzionein presenza dei servitori di Sauron e in grado di cogliere di sorpresa il suo possessore tentandolo nei momenti che sembrano di minor pericolo per lui.

Proprio alla locanda del Puledro Impennato si verifica un caso analogo, ma ben più pericoloso, a quello in casa di Tom Bombadil: mentre Frodo canta e balla tra gli avventori giocherellando con l'Anello che tiene in tasca, se lo infila al dito, causando un grave trambusto e soprattutto dando una traccia molto pericolosa per le spie di Sauron. Al Puledro Impennato il lettore si rende conto che l'Anello è sempre in agguato e, al pari delle tentazioni (o quelle considerate tali dai credenti cristiani) nel Mondo Primario, richiede una attenzione continua e notevole sforzo e che, comunque, anche il più accorto dei detentori dell'Anello può cedere al suo volere nei momenti più impensati. Quindi, volendo dare un esempio di applicabilità – come la chiamava Tolkien – de Il Signore degli Anelli alla Realtà Primaria, è possibile attribuire allegoricamente13 alla vicenda dalla locanda il seguente significato: l'uomo più accorto può cedere alle tentazioni del male (nello specifico si potrebbe dire alla tentazione del potere) quando meno crede di poter esserne preda.

Al Puledro Impennato si ha l'impressione di una svolta nel tono del romanzo, la distruzione da parte dei Cavalieri Neri dei giacigli in cui sarebbero dovuti stare gli Hobbit (quindi la concreta prospettiva della morte dei personaggi), la comparsa di Grampasso-Aragorn e la fuga per il sentiero nascosto a nord della Via Est immergono l'avventura in una cornice improvvisamente seria, i pericoli vi erano stati anche nei due incontri con i Cavalieri Neri nella Contea e poi nella Vecchia Foresta e in Tumulilande, ma nel primo caso prevaleva ancora un po' la spensieratezza Hobbit, e nel secondo il quasi buffo Tom Bombadil faceva da contraltare alla tensione che saliva; il tragitto fino a Colle Vento è ancora alleggerito dai commenti di Sam sui 'Nichibrichinichi', ma la severità di Aragorn influenza il racconto.

A Colle Vento gli avvenimenti si fanno veramente drammatici e l'Anello accresce il suo ruolo in modo determinante14. I Cavalieri Neri assaltano in cinque gli Hobbit, Aragorn, e Frodo in particolare15:

fu improvvisamente inghiottito dalla forte tentazione di infilarsi l'Anello. Non riusciva a pensare ad altro, tanto era violento il desiderio. Non si era dimenticato [...] del messaggio di Gandalf (n.d.r. che lo aveva avvertito di evitare in tutti i modi di infilarsi l'Anello) [...] ma qualcosa sembrava istigarlo, con una potenza quasi irresistibile, a trascurare tutti gli avvertimenti. [...] era semplicemente il bisogno di prendere l'Anello e di metterselo al dito. Era come muto e paralizzato [...] ogni resistenza fu vana, ed egli cedette, tirando fuori lentamente la catenella e infilando l'Anello al dito.


Frodo entra nel mondo di ombre dei Cavalieri Neri ne vede con chiarezza spaventosa le fattezze e questo permette ad uno di loro di raggiungerlo, Frodo lo colpisce a un piede con la spada Numenoreana presa a Tumulilande gridando "O Elbereth! Gilthoniel!", ma lo Spettro dell'Anello lo colpisce a sua volta alla spalla con una arma fredda come il ghiaccio che si spezza lasciando nel corpo di Frodo un frammento invisibile che comincia ad avanzare verso gli organi vitali dell'hobbit.

L'Anello qui, molto probabilmente grazie alla presenza contemporanea di cinque Spettri dell'Anello, sconfigge nettamente la volontà di Frodo; il male dell'Anello in questo frangente equivale proprio ad una dose di droga per un tossicodipendente (secondo l'analogia fatta da Shippey che ho già citato); questa è un dimostrazione che il male dell'Anello è influenzato dalle circostanze di pericolo e dalle potenti presenze correlate con Sauron. Le vicende successive del rapporto Frodo-Anello rispondono per lo più alla regola appena proposta: è così nella fuga da Boromir vicino all'Anduin, è così durante il trasporto dell'Anello entro Mordor, e soprattutto nel momento decisivo a Monte Fato, ove in effetti Frodo viene sconfitto dal potere dell'Anello e dalla malizia che imperversa attorno al vulcano.

Di senso opposto all'azione dell'Anello sono tutti i comportamenti e gli atteggiamenti di pietà, misericordia, umiltà, servizio, sacrificio per gli altri, distacco dal desiderio di possesso e dal potere (in particolare dal potere che conferisce l'Anello; basti ricordare che Frodo è capace di offrire l'Anello a Gandalf e a Galadriel) che Frodo ha mostrato in tante occasioni; in un certo senso questa è una dimostrazione in negativo del male di cui l'Anello è rappresentante e portatore. Tolkien nella lettera 18116 dice chiaramente:

la 'salvezza' del mondo e quella dello stesso Frodo è raggiunta per la sua pietà e per il perdono del male.


La stessa affermazione di Gandalf che ho già riportato nel brano richiamato in corrispondenza nel paragrafo “Dal ritrovamento di Bilbo alla consegna a Frodo” rafforza questa interpretazione.

Potere posseduto e possessore

Prima di concludere il capitolo sull'Anello è necessario esaminare l'attributo 'del Potere'. Gli Anelli del Potere, compreso l'Unico, sono artefatti che conferiscono grande potere, ma rendono schiavi del Signore degli Anelli coloro che li indossano; volendo, anche l'Unico Anello così potente in mano al suo creatore in realtà diventa indispensabile perché egli possa mantenere al massimo le sue capacità magiche. È quindi necessario puntualizzare l'ambiguità profonda del termine Anello (e Anelli) 'del Potere'.

Per gli Anelli degli Uomini, l'attributo 'del Potere' fa riferimento al potere acquisito da chi li indossa, potere che viene effettivamente esercitato dai nove Uomini che li posseggono, ma esso, con il tempo, si trasforma in una schiavitù a cui è impossibile resistere; questo fa sì che il potere, insieme a coloro che lo esercitano, diventi in realtà uno strumento totalmente sottomesso a qualcun altro, che priva completamente della Libertà di agire.

I sette Anelli 'del Potere' dei Nani hanno un destino diverso solo perché chi li ha indossati aveva una forza di volontà maggiore, ma portano comunque alla rovina o alla pazzia i loro possessori e il potere che possedevano finisce nel nulla, rivelandosi dunque come un'illusione.

I tre Anelli degli Elfi hanno poteri che vengono usati con profitto dai loro possessori per il bene, ma il loro inquinamento con il potere dell'Unico Anello, ne rende l'esistenza dipendente da quest'ultimo; possono quindi sussistere solo finché sussiste l'Unico e il male che esso conserva e diffonde nel Mondo.

L'Unico Anello effettivamente assicura un potere immenso a Sauron, ma, quando viene tagliato dalla sua mano, ne determina una gravissima sconfitta e una perdita di potenza che richiede anni per essere almeno in parte recuperata. Nella Guerra dell'Anello poi, pur rimanendo una costante speranza per Sauron e minaccia per i suoi nemici, è fonte di gradi preoccupazioni per l'Oscuro Signore e infine diventa l'unico mezzo con cui i buoni riescono a distruggerlo. Un potere dunque che, a dispetto delle grandi facoltà che fornisce a chi ne fa uso, è il mezzo più efficace per distruggere chi ne gode.

Ne Il Signore degli Anelli, quindi, il potere degli Anelli si presenta in una veste di ambiguità in cui gli aspetti negativi prevalgono o, al massimo, controbilanciano gli aspetti positivi; questa condizione non è altro che una conferma della convinzione più volte ripetuta da Tolkien che il potere rappresenta un grave pericolo per chi ne fa uso e in particolar modo per chi ne fa un uso egoistico, malvagio, ed è uno strumento che è destinato, prima o poi, a perdersi nel nulla, ma nonostante questo, è un mezzo che continuamente viene riutilizzato e verrà riutilizzato fino alla fine dei tempi da chi tenta di esercitare il dominio sul creato e sulle altre creature.

Conclusione

Come ho cercato di dimostrare nei paragrafi precedenti, l'attacco di Gollum a Frodo e la sua caduta nel fuoco con l'Anello derivano dall'azione concomitante dei numerosi fattori, alcuni palesi, alcuni non immediatamente evidenti e alcuni che risalgono ad eventi passati. L'elenco che ho riportato nella scansione temporale del presente capitolo probabilmente contiene alcuni fattori non condivisibili e manca sicuramente di altri fattori. L'essenziale è che, come dice Verlin Flieger nel suo libro Splintered Light, "Fato e Libero arbitrio hanno agito insieme per produrre la inevitabile, imprevedibile, e necessaria fine"17. Devo riconoscere che anche questa spiegazione dà adito a differenti interpretazioni; personalmente ritengo che l'elemento indubitabile sia che la distruzione dell'Anello non è il prodotto di un'azione o di una decisione di una persona singola, ma di una serie di concause. Quindi il male viene sconfitto da una concomitanza di cause, alcune derivanti dal male stesso alcune derivanti dal bene compiuto e alcune, parrebbe, dal caso; ma questa combinazione di fattori dà un risultato ben preciso: l'Anello è distrutto e il male sconfitto. La Flieger a questo proposito citando un brano di una lettera di Tolkien18 dice:

In una lettera, Tolkien descrive la distruzione dell'Anello e la salvezza di Frodo come 'Grazia', l'imprevedibile risultato di libere azioni di Sam, Frodo, e Gollum. [Gollum] "derubò e ferì [Frodo] alla fine – ma per una 'grazia', quell'ultimo tradimento avvenne alla precisa congiuntura in cui la malvagia impresa finale fu la cosa più benefica che qualcuno avrebbe potuto fare per Frodo" (Lettere 234)


Il termine 'grazia' aggiunge qualcosa di nuovo e importante, implica l'esistenza di qualcuno che la elargisca, e non può essere uno qualsiasi o qualcuno con il potere di Gandalf o con un potere dello stesso grado di Sauron, perché colui che concede questa grazia opera al di sopra degli eventi e dei personaggi della storia dell'Anello, è in grado di supervisionare tutti gli accadimenti che riguardano l'Anello e di far sì che l'atto di Gollum si verifichi esattamente in quel momento e, da atto di violenza, odio e bramosia, diventi un atto di liberazione del creato e di sconfitta del male; credo che nominare a questo proposito la Provvidenza in senso cristiano non sia fuori luogo, fedele alla sua affermazione di aver voluto togliere qualsiasi riferimento esplicito alla religione, Tolkien non la nomina mai, ma mi pare di poter dire che gli accadimenti de Il Signore degli Anelli rispondono ad un disegno che, pur lasciando fluire gli eventi, normalmente, secondo il classico processo di causa-effetto, talvolta, secondo il caso, e talaltra, secondo le libere decisioni dei personaggi, è in grado di produrre il risultato Eucatastofico finale. Anche se si dà uno sguardo di insieme a tutte le vicende dell'Anello, si ha proprio l'impressione che tutti i fatti, tutte le scelte più o meno libere, tutti i colpi di scena rimangono credibili e si succedono secondo uno schema plausibile e coerente entro il Mondo Secondario creato da Tolkien, ma producono alla fine il risultato finale positivo a cui la speranza di Gandalf non cessa, durante tutto il libro, di essere rivolta e concordemente con la quale Gandalf coordina tutte le mosse dei rappresentanti del bene (per brevità non riporto il brano da pag. 1053 a pag. 1056 de Il Signore degli Anelli, invitando a leggerlo poiché credo che sia utile per verificare la mia opinione su questo delicato punto dell'analisi dell'opera di Tolkien).

Come ultimo appunto, sempre facendo riferimento al brano di pag. 1053-1056 ,vorrei citare le seguenti parole di Gandalf:

Altri mali potranno sopraggiungere, perché Sauron stesso non è che un servo o un emissario. Ma non tocca a noi dominare tutte le maree del mondo; il nostro compito è fare il possibile per la salvezza degli anni nei quali viviamo, sradicando il male dai campi che conosciamo, al fine di lasciare a coloro che verranno dopo terra sana e pulita da coltivare. [Ma] Il clima (n.d.r. sulla traduzione italiana si usa il termine 'tempo', ma in inglese Tolkien usa 'weather' che significa esattamente 'tempo atmosferico', inoltre non esiste il 'ma' nell'originale inglese) che avranno non dipende da noi.


Probabilmente mi sarà necessario citare il brano anche in seguito, per ora mi basta ricordare che, per Tolkien, la vittoria sull'Anello e su Sauron non è una vittoria definitiva sul male, il Destino del male dell'Anello è definitivo ma non è definitivo il Destino del male che l'Anello rappresenta; la storia del mondo si estende ancora per molte Ere degli Uomini durante le quali il male continuerà ad essere presente e ad essere scelto più o meno liberamente dall'uomo e dovrà ogni volta essere combattuto con rinnovato vigore da chi sceglierà il bene.

Le risposte al problema del male nell'Unico Anello

Sulle risposte al problema del male nell'Anello è opportuno citare Tom Shippey, che dedica ad esse un capitolo del suo libro Autore del secolo19: “Concetti del male”. Nel paragrafo “Due concezioni del male”. Shippey ritiene che le concezioni del male ne Il Signore degli Anelli si possano ridurre a due: il male secondo la concezione boeziana e il male del Dualismo.

Shippey attribuisce la prima concezione a Boezio (ma ha una sua fonte precedente in S. Agostino ed è presente anche nell'Antico Testamento20). Questa risposta è affine alla Privatio boni associata al Libero arbitrio. Il male viene considerato come qualcosa, in fondo, di inconsistente che non ha lo status di realtà, in quanto la realtà è stata creata da Dio, moralmente perfetto, buono e non può essere in origine cattiva; ciò che di male si trova nel creato è colpa dell'uomo o di chi con il Libero arbitrio si è messo contro Dio. Inoltre, nonostante tutto, questo male compiuto da creature libere sarà comunque ricondotto al bene, è insomma un male apparente. È evidente che le parole di Ilúvatar, sul fatto che tutto il male di Melkor rientrerà nel suo progetto divino, che ho più volte citato paiono aderire esattamente a questa visione del male; a rafforzare questa prospettiva vi sono anche le affermazioni più volte riscontrabili nel Legendarium che il male può solo pervertire il già esistente, non creare (si ricordi l'Origine degli Orchi).

La seconda concezione sorge dalla necessità di sostenere l'indispensabilità della lotta al male, per evitare che esso prevalga nel mondo. Una concezione di tipo 'boeziano' rischia infatti di spingere al fatalismo e ad un affidamento cieco alla giustizia di Dio senza reagire all'azione del male. Come correttivo è naturale incitare alla lotta contro il male che non può essere dunque solo una realtà inconsistente e, in fondo, non incidente sulla realtà profonda dell'esistenza del mondo e dell'umanità. Questa risposta ha chiare affinità con il Dualismo mitigato: il male è concretamente presente nel mondo e ha il potere di ergersi come nemico giurato e possente del bene e del mondo stesso. Shippey presenta questa risposta come passibile di derive manichee, di derive dunque verso Dualismi assoluti. Mi pare di aver abbastanza chiaramente sottolineato, già agli inizi di questo lavoro, che la risposta dualista, se declinata nel Dualismo mitigato, non si può escludere del tutto dalle visioni cristiane del male. Il male è prodotto dal Libero arbitrio delle creature, tra cui si trovano verosimilmente anche creature molto potenti (i demoni nel cristianesimo, i Nemici nel Legendarium); e Dio (Ilúvatar nel Legendarium) per salvaguardare la libertà che ha donato alle sue creature non interviene con tutto il suo potere per obbligare al bene le creature libere a fare solo il bene. A questo stato di cose consegue quanto ho già osservato nell'argomentazione del Libero arbitrio: “Esistono Enti o persone dotati di Libero arbitrio;

  1. L'esistenza di persone che possono scegliere in libertà ciò che è moralmente giusto è migliore dell'esistenza di persone il cui agire non sia libero;

  2. La libertà di poter scegliere ciò che è moralmente giusto (il bene) presuppone la possibilità di poter scegliere anche ciò che è moralmente sbagliato (il male), infatti sarebbe impossibile offrire a qualcuno la libertà limitandogliela solo a comportamenti considerati buoni;

  3. La possibilità di poter scegliere ciò che è moralmente sbagliato implica la possibilità che qualcosa di moralmente sbagliato venga effettivamente compiuto;

A certe condizioni, il valore positivo del Libero arbitrio può controbilanciare i rischi connessi con le decisioni moralmente sbagliate”.

In questa seconda concezione proposta da Shippey c'è una convergenza di Dualismo mitigato e Libero arbitrio, ma ritengo che il rischio di Dualismo assoluto (ad esempio Manicheismo) non sia così alto come Shippey ha scritto, né tanto meno possa coincidere con qualsiasi altra ipotesi dualista.

Per quanto riguarda il caso specifico del male provocato dall'Anello sugli individui, seguendo Shippey è necessario, in effetti, affermare che ne Il Signore degli Anelli, il male provocato dall'Anello agisce senza dubbio a volte come in un mondo 'Dualistico', nel senso che è capace di costringere il suo possessore, o un possibile possessore, ad agire in modo malvagio, impedendo di fatto l'esercizio del Libero arbitrio. Altre volte invece la libertà di chi è a contatto, o in presenza, dell'Anello è sufficientemente indipendente da sopportare l'induzione al male (la tentazione) provocata dall'Anello. Shippey fa l'esempio della dipendenza e dall'attrazione che la droga causa nei soggetti. Shippey parla di ambiguità in queste azioni del male, ma come abbiamo più volte argomentato in questa ricerca, una risposta al problema del male non esclude l'altra. Quindi la coesistenza di queste due risposte (Dualismo e Libero arbitrio) è ammissibile.

Passando i n rassegna le altre risposte che abbiamo proposto, la Reductio in mysterium, si può forse chiamare in causa per spiegare la forma della coesistenza di Dualismo e Libero arbitrio che si incontra nel male provocato dall'Anello, non la coesistenza in sé di queste due risposte. La Sofferenza come pena per il peccato, può essere presente in chi ha ceduto consciamente più volte alle 'lusinghe ' del potere dell'Anello, divenendone sempre più schiavo e incapace di resistergli di resistere al male che esso incita a compiere. La Creazione come processo in evoluzione vale forse per chi si è imbattuto nell'Anello con una libertà interiore dalle lusinghe del potere sufficiente per desiderare e decidere di star lontano dall'Anello; chi ci è riuscito, è in qualche modo cresciuto spiritualmente e in Libertà. Ancora, chi ha esercitato quando era in possesso dell'Anello, virtù buone, nonostante circostanze rischiose e favorevoli al compimento del male, ha guadagnato maggior indipendenza (non totale indipendenza però, come si vede a più riprese in Bilbo e Frodo) dalla tentazione del possesso e del potere dell'Anello.

Il fatto che tutte le risposte al problema del male siano state chiamate in causa nel capitolo sul male dell'Unico Anello, la dice lunga sulla profondità teologica e filosofica, e sulla ricchezza simbolica che Tolkien è riuscito a dare a quest'oggetto.


Sauron

Sauron è ovviamente legato a doppio filo con l'Anello, ma il suo posto è al di sopra di esso, dato che ne è il creatore. La storia di Sauron risale alla Grande Musica quando verosimilmente fu tra gli Ainur che per primi si associarono con Melkor. La sua adesione cosciente e convinta a Melkor fa sì che ne diventi il più fedele e potente servitore. Ne Il Silmarillion (nel libro del "Valaquenta") gli Ainur sono divisi alle prime pagine in Valar, Maiar e Nemici e le parole che, nelle due pagine dei Nemici, descrivono Sauron sono le seguenti21:

Tra quelli dei suoi [di Melkor] servi che hanno nomi, il massimo era lo spirito che gli Eldar chiamavano Sauron, ovvero Gorthaur il Crudele, che all'origine fu dei Maiar di Aulë e continuò ad avere grande parte nella tradizione di quel popolo. In tutte le imprese di Melkor il Morgoth in Arda, in tutte le sue diramate opere e negli inganni della sua astuzia, Sauron aveva parte, ed era meno perfido del suo padrone solo in quanto a lungo servì un altro anziché se stesso. Ma in tardi anni si levò simile a ombra di Morgoth e a un fantasma della sua malizia, e lo seguì passo passo, lungo il rovinoso cammino che lo trasse giù nel vuoto.


Ne Il Signore degli Anelli, Sauron è l'onnipresente ombra che aleggia sulla Terra-di-mezzo. Anche per Sauron utilizzerò lo schema degli attributi del male, riferendoli possibilmente a come risultano da Il Signore degli Anelli, dato che ho già trattato di lui nell'analisi de Il Silmarillion.

Origine e Natura

Ne Il Signore degli Anelli, l'Origine del male di Sauron si confonde con l'Origine stessa di Sauron ed è spiegata solo nelle parole di Gandalf che ho riportato nel paragrafo “Conclusione” del capitolo sull'Anello del Potere: "perché Sauron stesso non è che un servo o un emissario", mentre vengono descritti sia la forgiatura degli Anelli del Potere che la perdita dell'Unico, e in particolare la forma maligna in cui si trova attualmente Sauron. Per questo si può più appropriatamente parlare della Natura di Sauron come è percepita nella Terra-di-mezzo del 3018 della Terza Età del Sole.

Alcuni dei nomi che gli vengono attribuiti permettono di darne una immagine abbastanza chiara: il Nemico, l'Oscuro Potere, il Signore degli Anelli, l'Oscuro Signore (di Mordor), il Signore di Barad-dur, l'Occhio, il Senzanome. Credo che possa esser utile vedere uno per uno i nomi che ho elencato poiché ciascuno rappresenta grosso modo una categoria che comprende altri nomi simili e fa riferimento ad uno specifico aspetto della Natura di Sauron.

Il Nemico; il termine sembra vago, ma usato da Gandalf chiarisce molto bene la sua natura di avversario delle creature e dei comportamenti benigni, intesi come rispettosi della libertà, della bellezza e della natura del creato.

L'Oscuro Potere; in questo nome compare il potere cui Tolkien spesso ha attribuito una funzione fortemente negativa e che egli ha posto all'origine del male, il termine 'Oscuro' fa riferimento alla contrapposizione Luce – Buio che è una costante di tutta la storia di Arda22.

Il nome Signore degli Anelli, non ha bisogno di spiegazioni; si può solo aggiungere che è un esempio di come opera la fantasia di Tolkien: se un lettore che non conosce Tolkien legge 'Signore degli Anelli' pensa a qualche potente mago o re o ad una storia di ricerca di un tesoro contenente anelli, leggendo il libro invece si accorge che questo Signore è la creatura più malvagia della Terra e che la storia è una ricerca all'incontrario, una avventura che deve concludersi con la rinuncia e la distruzione di un Anello che potrebbe valere molti tesori di drago o di re.

L'Oscuro Signore di Mordor e il Signore di Barad-dur, sono nomi che possono essere visti insieme, fanno diretto riferimento alla geografia della Terra-di-mezzo, a località ove Sauron si è fatto Signore. Il primo nome è quello posseduto dalla Landa più desolata della Terra-di-mezzo, Mordor significa Terra-nera, nome datole da Sauron quando nel 1000 della Seconda Era vi si stabilì; la torre di Barad-dur (Torre Oscura) è la capitale di Mordor ed è stata costruita sempre attorno al 1000 con il potere dell'Unico Anello. La desolazione e la nomea terribile di questi luoghi sono anche indice di come il male, nel Mondo Secondario di Tolkien, oltre ad essere esercitato con azioni e atteggiamenti malvagi agisce direttamente sul territorio deformandolo e rendendolo completamente inospitale e pericoloso anche dal punto di vista naturale23.

Il nome Senzanome accentua il mistero che avvolge la sua figura e nello stesso tempo può indicare il fatto che, chi cerca di compiere il bene ha paura di renderlo in qualche modo presente e non vuole nominarlo24.

L'Occhio è, forse, per come viene inserito nel racconto, il nome più sinistro; l'immagine che ne viene data da Tolkien è forse difficile da rappresentarsi in tutti i suoi particolari, ma la descrizione in parole è di per sé altamente evocativa e conserva nello stesso tempo un alone di mistero che credo renda difficile, anche a disegnatori molto famosi in campo tolkieniano25, il riprodurla26:


Ma lo Specchio divenne all'improvviso completamente buio, come se un abisso si fosse aperto sotto la sua superficie e lui guardasse nel vuoto. Nel nero baratro apparve un Occhio, uno solo, crebbe lentamente, invadendo quasi tutto lo specchio. Tale era il terrore che da esso sprigionava, che Frodo ne fu paralizzato, incapace di gridare o di distogliere lo sguardo. I contorni dell'Occhio erano di fuoco, mentre nel globo vitreo della cornea gialla e felina, vigile e penetrante, si apriva, nel buio di un abisso, la fessura nera della pupilla come una finestra sul nulla.

Poi l'Occhio cominciò a vagare frugando qua e là; e Frodo sapeva con orrore e con certezza che fra le molte cose che esso cercava vi era anche lui.


E improvvisamente percepì l'Occhio. Vi era nella Torre Oscura un Occhio che non dormiva, che si era accorto dello sguardo di Frodo; e questi lo sentiva covare un cupido e selvaggio desiderio, e lanciarsi all'inseguimento, come un dito che frugava ovunque. Tosto lo avrebbe inchiodato, lì, nel punto preciso ove si trovava. Lo sguardo di Mordor sfiorò Amon Lhaw, toccò Tol Brandir... Frodo si buttò giù dal seggio, raggomitolandosi, coprendosi il capo col cappuccio grigio.

Udì la propria voce gridare: Mai, mai! o era invece: Vengo, vengo davvero! Non riuscì a distinguere. Poi, come un lampo proveniente da qualche altra potenza in gioco, alla sua mente balenò una frase: Toglilo! Toglilo! Idiota, toglilo! Togliti l'Anello!

I due poteri lottarono in lui. Per un attimo, in bilico tra le loro punte acuminate, egli si contorse torturato, Improvvisamente fu conscio di sé. Era Frodo, non più la Voce, né l'Occhio: libero di scegliere, nell'ultimo istante di cui disponesse. Si sfilò dal dito l'Anello. Era inginocchiato nella limpida luce del sole ai piedi del seggio. Un'ombra nera parve passare come un braccio sopra di lui; non sfiorò neanche Amon Hen, e brancolò verso occidente, scomparendo. Il cielo fu allora ovunque chiaro e azzurro, e gli uccelli cantarono su ogni albero.


Ho ritenuto necessario riportare per esteso le due descrizioni più importanti dell'Occhio perché creano una immagine composita che contiene:

Aggiungo ancora un'informazione che può essere utile per descrivere la Natura di Sauron: egli, nel libro, non viene fatto parlare che tre volte: una attraverso la bocca di Pipino e due attraverso il suo ambasciatore, la Bocca di Sauron; ciò contribuisce ad avvolgere nel mistero la sua figura, almeno ne Il Signore degli Anelli.

Concludendo questa scorsa ai nomi di Sauron si può dire che, all'infuori dell'Occhio, in pratica non viene descritta alcuna forma definita di questo rappresentante del male; nomi strani e mistero, oltre che terrore e attributi di grande potere, è questo in sintesi il quadro che ci presentano le parole su Sauron ne Il Signore degli Anelli.

Azioni

Adatte ad essere trattate nelle Azioni sono le attività dei servitori più o meno diretti di Sauron, che sono i mezzi preferiti che egli usa per sviluppare la sua strategia. Come già il suo Padrone Melkor, durante lo svolgersi del racconto Sauron evita per quanto possibile di uscire dalla sua torre di Barad-dur, ma si serve direttamente dei Nazgul, i nove Cavalieri neri, spettri schiavi dei nove Anelli del potere destinati agli Uomini, delle bande di Orchi sparse in tutta la Terra-di-mezzo, dei Troll, degli Uruk-hai, dei Lupi Mannari. Inoltre esistono mostri particolarmente potenti che pur parendo indipendenti o meno dipendenti da Sauron sono utilizzati da lui indirettamente: gli Spettri dei Tumuli, il guardiano delle porte di Moria, il Balrog di Moria, Shelob. Per questi mostri si può pensare che l'utilizzo che ne fa Sauron sia legato essenzialmente al fatto: che sa dove si trovano e cosa fanno, che se capitasse nelle loro mani l'Anello lo potrebbe recuperare con facilità27 e che sicuramente assaliranno tutti i buoni che gli capiteranno a tiro. Infine, Sauron può contare su alleati più o meno fedeli e affidabili o su nemici influenzabili: Saruman, gli Uomini del sud e dell'est e di altre regioni della Terra-di-mezzo, i Corsari di Umbar e in un certo modo Gollum, anche se mantiene ancora qualche barlume di capacità autonoma di decisione, Denethor che, pur essendo a capo di Gondor e quindi nemico di Mordor, viene indotto alla disperazione attraverso il Palantir da lui usato senza averne il diritto.

Sauron tiene per sé, oltre che il compito di governare e coordinare le forze del male di cui è rappresentante eccellente, anche i compiti di cercare senza interruzione, mediante alcuni suoi servitori più adatti, l'Anello, di spiare da Barad-dur tutte le mosse dei suoi nemici e di influenzare, spaventandoli, inducendoli alla disperazione o governandone la volontà tramite il Palantir di cui si è impossessato, gli imprudenti che posseggono qualche Palantir e lo usano senza averne il potere o il diritto: Saruman e Denethor.

Riassumendo, le azioni di Sauron si possono assimilare a quelle di un grande re che ha grandi poteri magici e li usa al meglio per fare del suo regno un impero invincibile, i mezzi che preferisce sono quelli più crudeli, efferati e subdoli. Sauron ha anche la sagacia di rinunciare ai mezzi crudeli o efferati, se ve ne sono di migliori per rendere più efficace la conquista; lo ha dimostrato con Numenor e anche nella Guerra dell'Anello, ad esempio, con il lasciare in vita Gollum, uno dei ladri dell'Anello, per liberarlo e usarlo come scout involontario per cercare l'Anello o con il mandare in incognito i Cavalieri Neri nella Contea degli Hobbit o forse anche aspettando a sferrare l'attacco contro Gondor pur possedendo già forze militari sufficienti per assalirla.

Utilità e Senso

Come rappresentante di Melkor sulla Terra-di-mezzo la funzione di Sauron è in pratica, come già emerge ne Il Silmarillion, il prolungamento del pervertimento originario del suo padrone, fatto a scala più ristretta solo perché avviene in una epoca del mondo in cui tutti i poteri che modellavano il Mondo se ne stanno ritirando (vedasi il capitolo del problema del male ne Il Silmarillion: “Il livello ‘cosmogonico’ degli interventi ‘ultra-terreni’”). Se questo è vero, allora l'Utilità e il Senso della presenza di Sauron sono gli stessi che si ravvisano in Melkor e che ho già descritto al capitolo “Una prospettiva sistematica” (sempre della sezione sul problema del male ne Il Silmarillion. L'Utilità è, come avevo già indicato nella sezione su Il Silmarillion, risultato del cattivo uso della Libertà delle prime potenti creature create da Eru, cattivo uso che Eru stesso affermava si sarebbe trasformato in occasioni per rendere il creato ancora più bello (si veda il capitolo della sezione sul problema del male nell'Ainulindale,”La ribellione di Melkor durante la Grande Musica”, brano citato in nota). Da Il Signore degli Anelli non mi pare si possano ricavare altre indicazioni su questo attributo.

Scopi

Gli Scopi generali di Sauron emergono forse più chiaramente dal testo de Il Silmarillion e dalle considerazioni filosofiche di Tolkien rintracciabili soprattutto in Morgoth's Ring, alla cui analisi rimando (v. par. “La distribuzione e la diffusione del male”, nella sezione su Il Silmarillion).

Nella Guerra dell'Anello si possono riconoscere come Scopi secondari di Sauron gli obiettivi che egli si pone nel compiere le sue Azioni.

Destino

A proposito di Sauron si possono distinguere tre livelli di Destino:

E mentre i Capitani guardavano a sud la Terra di Mordor, parve loro che, nera contro la coltre delle nuvole si ergesse l'immensa forma di un'ombra, impenetrabile, incoronata da fulmini, e che invadesse tutto il cielo. Enorme e gigantesca sovrastò tutto il mondo, tendendo verso di essi una grande mano minacciosa, terribile ma impotente: infatti proprio mentre si avvicinava, un forte vento la sospinse e la spazzò via; allora vi fu un gran silenzio.


Il male quindi in tutte le sue espressioni è destinato a perdurare lungo tutta la storia, ma chi vi ha aderito in modo definitivo sarà 'tratto giù nel vuoto', e alla fine, comunque, il male si dimostrerà ricompreso nel progetto del Creatore.


Le soluzioni della Teodicea, Sauron e l'Anello


Le soluzioni della Teodicea per Sauron e per l'Anello sono strettamente connesse. Dell'Anello ho già detto, ma parlando di Sauron è necessario tener presente e richiamare anche la questione come l'ho trattata nel capitolo sull'Anello.

Una sorta di Reductio in mysterium si può vedere in Sauron, i termini con cui viene descritto accentuano, come ho già detto, l'alone di mistero sulla sua figura, ma in effetti l'Origine della sua malvagità e di quella del suo Unico Anello è abbastanza chiara, almeno ai saggi, solo l'immagine che egli dà di sé può rimandare a qualcosa di sconosciuto, ma questo non ha valore di risposta alle grandi questioni della Teodicea.

Una forma di Dualismo mitigato risulta confermata dalla frase di Gandalf che attribuisce a Sauron il ruolo di emissario o servo e che dice nel contempo che 'altri mali potranno sopraggiungere'. Ho già avuto occasione di dire che la visione cosmogonica, e posso aggiungere che ciò vale anche per quella escatologica, del male ne Il Signore degli Anelli, non è sviluppata come ne Il Silmarillion; a rigor di logica, infatti, la caduta di Sauron de Il Signore degli Anelli non è ancora il suo definitivo annullamento (= riduzione al nulla) preconizzato ne Il Silmarillion.

La Privatio Boni è difficile da chiamare in causa per Sauron; da una parte si ripete più volte ne Il Signore degli Anelli e ne Il Silmarillion che il male, e quindi in special modo i suoi principali interpreti, Sauron e Melkor, non sia in grado di creare nulla di nuovo, ma solo di pervertire di rovinare, di privare del bene e del bello ciò che già esiste, in pratica, però, le devastazioni delle terre conquistate e popolate dai servitori di Sauron sono reali, la rovina stessa di Sauron si porta dietro una concreta perdita di bellezza di molte contrade della Terra-di-mezzo che pure erano state risparmiate dalla distruzione delle Guerre intraprese dal male; quando Sauron cade, comincia il declino definitivo delle antiche razze della Terra: Elfi, Nani, Ent. I più illuminati di queste stesse razze prevedono che gli Uomini li sostituiranno nel mondo. Tolkien si preoccupa con grande impegno di mostrare l'effetto concreto del male in tutte le sue opere sul Mondo Secondario di Arda, effetto che impedisce di attribuire quello che nel mondo si presenta come male alla semplice carenza di bene o di armonia.

La Sofferenza come pena per il Peccato, riceve una conferma dalla conclusione eucatastrofica del romanzo e dal Destino della scomparsa della Grande Ombra e del suo Anello; infatti Sauron non muore, ma si dice che, dopo Monte Fato, diventi una pallida ombra della sua malizia per il resto dei tempi, condizione che certamente è assimilabile ad una sofferenza quasi eterna.

Non è molto pertinente richiamare il Libero Arbitrio per Sauron ne Il Signore degli Anelli: la Guerra dell'Anello avviene in un periodo di vita di Sauron in cui egli ha fatto già da lungo tempo la definitiva scelta del male e in base a questa scelta di fondo compie tutte le sue azioni e analizza tutte le situazioni. L'Anello invece è stato creato da Sauron che ha dato ad esso una Naturamalvagia irredimibile, quindi esso non ha una vera Libertà, in effetti non è neppure una creatura anche se in qualche modo è indipendente dal suo creatore.

La creazione come Processo in Evoluzione interessa solo marginalmente l'Anello e la figura di Sauron. In particolare Sauron, per quanto sia potente, non è che uno degli elementi di perturbazione dell'armonia del creato destinato a lasciare il posto ad altri elementi che si susseguiranno continuamente lungo la storia. Come elemento di perturbazione ha la funzione di contribuire all'evoluzione del mondo attraverso, ad esempio, le imprese eroiche che i buoni realizzano per difendersi e difendere il resto del Creato da esso.

Concludendo: la Naturacosì fortemente polarizzata verso il male di Sauron e dell'Anello insieme con la limitata scansione temporale in cui si sviluppa la vicenda della Guerra dell'Anello, non danno contributi particolarmente degni di attenzione alla questione globale della Teodicea; risposte più interessanti saranno fornite dall'esame degli altri personaggi del romanzo e dallo sguardo complessivo che intendo dare al termine di questa analisi.

Saruman

La figura del capo del Bianco Consiglio creato per combattere Sauron è una delle più interessanti del romanzo e si presta piuttosto bene ad essere utilizzata per analizzare il problema del male. L'Origine di Saruman è stata già descritta brevemente nell'analisi Il Silmarillion. Egli è uno dei tre inviati, chiamati Istari, nella parte occidentale della Terra-di-mezzo da Valinor per contrastare il potere di Sauron. Appartiene verosimilmente alla razza dei Maiar, gli Ainur minori di cui fanno parte anche Sauron e i Balrog.

Origine, Natura, Scopi e Azioni

L'Origine del male di Saruman non si può scindere dalla Natura di esso, poiché di Saruman si hanno notizie chiare solo a partire dal suo arrivo sulla Terra di Mezzo, è da quel momento che possiamo individuare con chiarezza le caratteristiche che ne descrivono il profilo psicologico e ne guidano, ma ci chiederemo anche se sia più giusto dire 'ne condizionano' o 'ne predeterminano', i comportamenti:

1)la sete di conoscenza e il desiderio di creare cose proprie; Scopi dello stregone che possono preludere a Scopi effettivamente malvagi

2)la mentalità 'tecnologica' e utilitaristica; da cui discendono le Azioni che intraprende

3)il concetto gerarchizzato dell'ordine, in cui mette però al primo posto se stesso; un modo di procedere che ha attinenza sia con i suoi Scopi sia con le sue Azioni.

4)l'autoinganno del linguaggio convincente, che è punto di forza di Saruman, ma gli facilita la caduta in Azioni malvagie e il cedimento agli Scopi egoistici.


1)Egli è il più potente dell'Ordine degli Istari, ha particolare dimestichezza con gli artefatti e si è dedicato più a lungo di tutti i suoi originari alleati (Gandalf, Elrond, Galadriel, Radagast) agli studi ed in particolare a quello degli Anelli del Potere. Queste attitudini lo avvicinano a Fëanor, ma anche a Sauron e ai Gwaith-i-mirdain elfici durante la cui attività Sauron fabbricò gli Anelli del Potere; Saruman è, in quest'ottica, un personaggio classico del Mondo Secondario di Tolkien, un tipo del sub-creatore che Tolkien ha tratteggiato a più riprese nel già citato Fëanor, ma anche in Aulë, nella razza elfica Noldor, e, volendo, anche in Melkor stesso, tutte in qualche misura metafore degli artisti del Mondo Primario, di cui Tolkien si sentiva rappresentante. Questo atteggiamento nei confronti della realtà e delle creazioni personali è particolarmente soggetto alla tentazione del sub-creatore di proclamarsi padrone assoluto della propria creazione, che nell'ottica cristiana di Tolkien, ed anche nel suo Mondo Secondario, è considerata ribellione all'unico Creatore; lo stesso Tolkien in nella lettera del 1951 a Milton Waldman fa le seguenti considerazioni, che ho già citato, parlando de Il Silmarillion e de Il Signore degli Anelli29:

Ad ogni modo tutta questa materia ha a che vedere principalmente con la Caduta, la Mortalità e la Macchina. Con la Caduta inevitabilmente, e il motivo ricorre in vari modi. Con la Mortalità, specialmente quando riguarda l'arte e il desiderio di creare (o direi, sub-creare), che non sembra avere una funzione biologica e sembra distinto dal soddisfacimento della semplice ed ordinaria vita biologica, con cui, nel nostro mondo, esso è anzi abitualmente in conflitto. Questo desiderio all'inizio si accompagna ad un appassionato amore per il mondo primario reale e poi si riempie del senso della mortalità, e ne resta tuttavia insoddisfatto. Può avere varie occasioni di 'Caduta'. Può diventare possessivo, aggrappandosi alle cose realizzate come se fossero esclusivamente sue, il sub-creatore desidera essere il Signore e il Dio della sua creazione personale. Si ribellerà contro le leggi del Creatore - specialmente contro la mortalità.


La 'caduta' è un rischio, non è una certezza o un destino ineluttabile; chi ha il dono dell'arte (parlando di Saruman, si intende naturalmente il termine 'arte' nel senso ampio di: capacità di modificare la realtà per determinati fini, attività che presuppone anche una qualche forma di sete di conoscenza) vi è più soggetto, e questo non può che limitare in qualche grado la libertà dell'artista; ma, all'interno di vincoli, che comunque esistono per qualsiasi attività delle creature senzienti, si può ugualmente esprimere il Libero Arbitrio, quindi il discernimento e la scelta tra azioni, o se si vuole cre-azioni, buone o malvagie. Dunque le caratteristiche della sete di conoscenza e della creatività non sono che blande predisposizioni a compiere il male, non obbligano chi le possiede ad agire in determinati modi e ad avere Scopi malvagi per forza, lo dimostrano ad esempio generazioni di fabbri elfici, di cui l'esempio più eclatante è Celebrimbor (il forgiatore dei tre Anelli del Potere elfici), che hanno usato le loro arti per fare cose belle o cose utili al bene; Saruman di sua iniziativa andrà appunto oltre la sete di conoscenza e il desiderio di creare desiderando di mettere la conoscenza e la creatività al servizio dell'orgoglio e della brama di potere.

2)La figura di Saruman è ben descritta da Tom Shippey in Author of the Century, testo che ho già citato; credo che quella di Shippey sia una descrizione che dà anche consistenza all'atteggiamento di colpevole gelosia dei sub-creatori verso le loro creazioni di cui ho appena parlato; Shippey attribuisce a Saruman un processo che lo porta a diventare spettro (cioè una creatura legata all'ombra, al male, che perde il suo legame con la realtà creata), e considera come causa di questo processo la serie di atteggiamenti tipicamente moderni, ed, in ultima analisi, profondamente egoistici, che Saruman assume30:

la conoscenza (nessuno può contestarlo); l'organizzazione al servizio della conoscenza (ci sono certamente molti ricercatori, e ancora più amministratori, che vedono in modo molto favorevole questo tipo di obiettivo); ma soprattutto il controllo. Nel perseguire il controllo, Saruman è disposto a cooperare con forze che sono indiscutibilmente malvagie, ma pensa di poterle usare per i suoi mirabili fini finché servono e quindi toglierle di mezzo o estrometterle. Il fallimento di credenze come queste è stato anche troppo frequente nelle guerre e nelle alleanze che si sono succedute durante tutto il secolo passato.


Questo aspetto del quadro psicologico che è alla base dei comportamenti di Saruman si può anche descrivere con il desiderio di conoscere a fondo e di usare in tutti i modi possibili la realtà anche a costo di rovinarla; Gandalf, nel riportare al Consiglio di Elrond il suo colloquio con Saruman prima che questi lo imprigionasse, ripete una risposta che diede a Saruman31:

dissi "e colui che rompe un oggetto per scoprire cos'è, ha abbandonato il sentiero della saggezza"


La mentalità utilitaristica e tecnologica si combina molto bene con il desiderio di creare qualcosa di proprio allo Scopo di rimanerne l'unico possessore e fruitore; propongo alcuni esempi per dimostrarlo. Saruman è l' 'inventore', il 'creatore', di una sua versione degli Uruk-Hai, una specie di Orchi potenziata ottenuta con scellerati incroci di Orchi con Uomini o perverse manipolazioni genetiche (per usare un termine recente). Trasforma la bella e severa Isengard, la torre in cui vive e la valle in cui essa si trova, da una contrada32:

verde e piena di viali, rigogliosa di alberi da frutta, irrigata dai ruscelli che dalla montagna scorrevano verso un lago nei dintorni.


in un luogo in cui vi erano:

le vie pavimentate da lastre di pietra scura e dura, fiancheggiate, anziché da alberi, da lunghe file di colonne di marmo, rame o ferro, collegate fra loro da pesanti catene[...]

Anche la pianura era stata scavata e forata: pozzi penetravano a grandi profondità nel terreno, mentre le bocche esterne erano mimetizzate da bassi cumuli di pietra, che al chiaro di luna facevano sembrare il Cerchio di Isengard un cimitero di morti irrequieti.


Si potrebbe continuare con descrizioni ancora più tetre o si potrebbe guardare le scene dei film della trilogia girati da Peter Jackson, ma l'importante per gli scopi di questo capitolo è dire che Saruman fa tutto questo per rendere il più efficiente possibile il suo esercito con cui intende sconfiggere Rohan e poi Gondor, ed infine, eventualmente, dopo esserne stato alleato, tentare di contrastare lo stesso Sauron. Saruman è anche un costruttore di macchine33:

Ivi ruote dei ferro giravano ininterrottamente, martelli battevano; di notte pennacchi di fumo esalavano dalle condutture

Poi chiamò un branco di loschi individui a costruirne uno più grosso, e lo riempì di ruote ed aggeggi stranieri.


Il secondo brano, tratto dal capitolo 'Percorrendo la Contea', non descrive macchine fatte costruire direttamente da Saruman, ma attrezzature meccaniche la cui costruzione è stata ispirata verosimilmente dallo stregone quando si è impadronito della Contea degli Hobbit.

Concludendo l'analisi di questa caratteristica direi che: desiderio di controllo, 'tecnologismo' e utilitarismo, sono più strettamente connessi con le scelte operate da Saruman contro il bene, sono più integrate con l'etica, con il comportamento volontario dello stregone, rispetto alle caratteristiche del primo punto (punto 1) ) esaminato, discendono cioè da libere scelte, più che essere causa di condizionamenti del comportamento.

3)Quello che ho chiamato 'il concetto gerarchizzato dell'ordine' è ben visibile nella Contea devastata dagli scagnozzi di Saruman, ma anche nell'organizzazione più rigida che i suoi Uruk-Hai hanno rispetto agli Orchetti, oltre che nelle sue parole programmatiche dette a Gandalf e riportate da quest'ultimo sempre al Consiglio di Elrond34:

Ma abbiamo bisogno di potere, potere per ordinare tutte le cose secondo la nostra volontà, in funzione di quel bene che solo i Saggi conoscono [...] Si tratterebbe soltanto di aspettare, di custodire nel cuore i nostri pensieri, deplorando forse il male commesso cammin facendo, ma plaudendo all'alta meta prefissa: Sapienza, Governo, Ordine;


Anche questo aspetto della mentalità di Saruman è strettamente connesso con il suo tecnologismo e utilitarismo, e si può riassumere con il detto 'il fine giustifica i mezzi', considerato, ad esempio, dalla dottrina cristiana del Mondo Primario come uno dei modi migliori per compiere il male; detto che, a onor del vero, è anche criticato da tutte le dottrine che si definiscono umanistiche e centrate sulla persona quando si esercita attraverso lo sfruttamento degli altri per i propri fini e l'utilizzo di qualsiasi mezzo illecito per raggiungere questi fini. Anche questo concetto di ordine può svolgere la funzione di condizionare colui che se ne fa conquistare, ma sta in corrispondenza biunivoca con il Libero volere di Saruman orientato all'imposizione del suo modello di società governato dai 'Saggi' tra i quali ritiene, ovviamente, di essere il rappresentante più dotato e più preparato, in pratica quello destinato a decidere per tutti gli altri.

4)Saruman sta, in un certo senso, al proprio linguaggio convincente (dono o dote personale acquisita che sia) come il 'suo fuoco segreto', o anche solo le sue stesse qualità oratorie, stanno a Fëanor, nel senso che sono tutte qualità molto spiccate non eguagliabili da altri abitanti di Arda o, nel caso di Saruman, della Terra-di-mezzo, ma possono, proprio per questo, divenire più facilmente occasione di caduta e di esercizio del male nei confronti delle altre creature di Arda. In Saruman, forse ancora più che per Fëanor sul quale il 'segreto fuoco' potrebbe aver svolto un pesante ruolo nel limitare il suo Libero arbitrio nella possessività verso i Simaril (o nelle capacità di autocritica, nel caso delle qualità oratorie), il linguaggio convincente diventa controproducente per la sua salvezza dal male in prevalenza perché lo stregone, esercitando la sua Libertà, vuole il potere e desidera piegare la realtà alla sua idea personale ed egoistica di bene; senza questa decisione previa per il male, il linguaggio convincente sarebbe potuto essere di aiuto per attirare alla causa del bene altri popoli o far desistere alcuni alleati di Sauron.


Indagare oltre sulla Natura delle altre sue caratteristiche e sulla libertà o non libertà che da esse è derivata per i suoi comportamenti, diventa difficile e ci rimanda all'Origine del male che si manifesta nello stregone, ma se rimaniamo nell'interpretazione che ho dato della ribellione di Melkor e dei comportamenti degli altri partecipanti alla Musica degli Ainur, tra i quali figuravano anche i Maiar e quindi lo stesso Saruman, credo che si possa avvalorare l'ipotesi che Saruman potesse, nonostante le sue attitudini, scegliere di mettersi al servizio della causa del bene come ha fatto Gandalf.

Anche l'abuso non giustificato del Palantir è una scelta a mio parere abbastanza libera, ne è prova il fatto che Gandalf non osa farlo. Questa azione, ordinata certamente allo Scopo della conoscenza al quale Saruman si era dedicato, è uno dei principali motivi del tradimento che egli opera ai danni di chi si oppone a Sauron e credo si possa far rientrare nel primo e nel secondo punto che ho trattato.

Si può infine vedere il rapporto di Saruman con l'Unico Anello. Non arriva neppure ad avvicinarsi ad esso, ma lo studia come nessun altro, e, soprattutto, lo studia con il suo tipico atteggiamento utilitaristico ed egoistico. Di per sé, in accordo con il normale atteggiamento verso l'Anello di chi ne sente solo parlare, esso non dovrebbe provocare un effetto molto forte di bramosia; ma si nota, in chi ha conoscenza del suo potere e ne immagina una utilità per sé o per i suoi sudditi o amici o conterranei (Gandalf, Galadriel, Boromir, Denethor ecc.), che la possibilità della sua disponibilità e del suo uso chiama a fare una netta scelta di campo tra la sua ricerca e utilizzo e la rinuncia ad esso, tra l'uso di un mezzo potente ma pericoloso per il bene e il suo non utilizzo o la sua distruzione. Gandalf, Galadriel, Elrond, Aragorn, e direi anche Faramir (che non vede l'Anello però), già prima di vedere l'Anello, si sono posti la domanda e hanno risposto che l'uso dell'Anello è un pericolo per la loro integrità morale. Tom Bombadil lo considera inutile per sé e per le terre che abita, inoltre il rispetto profondo che ha per il creato, e che fa parte della sua stessa Natura, non gli fa nemmeno contemplare la possibilità dell' 'uso' di un artefatto; quindi è l'unico che non si pone neppure la domanda. Isildur non si interroga in anticipo sull'Anello perché non ne ha l'occasione, Gollum/Sméagol non è preparato, ma anche per via del suo comportamento che era già 'curioso e intrigante35', che 'Si interessava di radici e di origini' ed era rivolto 'verso il basso', in effetti era già predisposto a cedere. Invece, Saruman, per primo, coscientemente, ed anche Denethor e Boromir, giudicano che il potere dell'Unico può essere utile per la loro causa, può essere uno strumento politico di potere che permetterebbe di sconfiggere Sauron con la sua stessa arma, e quindi dentro di loro sono già disposti a usarlo; ma se Denethor e Boromir hanno a cuore soprattutto il loro popolo e sono influenzati dalla paura per i loro conterranei, Saruman fa una scelta più profondamente egoistica e utilitaristica, non gli importa di coloro per i quali era stato mandato sulla Terra-di-mezzo, né del male che 'deplorevolmente' dovrà compiere, desidera il potere dell'Anello solo per sé e per organizzare il mondo come vuole lui, in questo diventa quindi affine ai grandi maestri del male di Arda: Melkor e Sauron, condivide con loro il primo Scopo che li ha messi in competizione con Eru, l'unico Creatore e li ha messi definitivamente dalla parte del male: sostituirsi a Lui, credendo di poter fare a meno di chi ha dato origine al Creato. La bramosia per l'Anello quindi trova un terreno fertile nell'atteggiamento assunto da Saruman e questo fa sì che la sua distanza dall'Anello non riduca l' 'attrazione fatale' che egli sente verso quell'arma tanto potente e tanto pericolosa.


Utilità per il bene del male in Saruman

L'Utilità del male di Saruman emerge in diverse occasioni.

La sua posizione politica dopo il tradimento, formalmente subordinata a Sauron, in realtà fa sì che, se da una parte il suo potere diventi una grave minaccia per Rohan e per Gondor, dall'altra, per la sua relativa indipendenza, lo rende un alleato dell'Oscuro Potere meno affidabile, ad esempio, degli Haradrim e degli Easterling; inoltre il fatto che la sua presenza politica, che contempla anche l'attività degli Uruk-Hai, provochi dei danni a Fangorn, causa il decisivo intervento degli Ent contro di lui.

Per passare ad azioni specifiche, i comandi che impartisce agli Uruk-Hai di cercare gli Hobbits e di portarglieli, danno il risultato di sottrarre agli Orchi di Sauron Merry e Pipino e di portarli rapidamente nei pressi di Fangorn perché possano rifugiarsi là e informare Barbalbero di novità decisive per farlo decidere di intervenire nella Guerra dell'Anello. Il servizio di Vermilinguo alle dipendenze di Saruman nella corte dei Rohirrim, se procura per molti anni l'inattività di Rohan contro Isengard, quando si trasforma, dopo la sconfitta di Isengard, in servitù domestica nella Torre di Orthanc fornisce Gandalf e Aragorn di un Palantir. Infine la durezza carica di disprezzo che Saruman esercita verso Vermilinguo, porta quest'ultimo all'esasperazione che sfocia nell'uccisione/dissolvimento di Saruman. Si potrebbero trovare altre Azioni foriere di disgrazia per Saruman, ma credo che bastino quelle citate per fare un quadro dell'Utilità del male da egli compiuto.

Destino del male di Saruman

Il Destino del male di Saruman è ben espresso dal concetto di Shippey che ho già citato sul processo di trasformazione in spettro. Le scelte per il male conducono progressivamente, nella visione che traspare da Il Signore degli Anelli, a diventare spettri e ombre, due immagini ben costruite da Tolkien preconizzanti il Destino di annientamento a cui portano i comportamenti malvagi. Credo che sia doveroso citare le parole di Shippey a proposito della 'morte' di Saruman (appena prima di citare Shippey, richiamo il testo de Il Signore degli Anelli in questione)36

Il Signore degli Anelli:

Saruman rise. «Tu fai quello che dice Sharkey (n.d.t. il nome con cui Saruman si era fatto conoscere nella Contea), vero, Verme? Ebbene ora ti dice: seguimi!» Gli sferrò un calcio in pieno viso e Vermilinguo si voltò e lo seguì. Ma improvvisamente qualcosa scattò in lui; si rizzò a un tratto, estraendo un pugnale nascosto e ringhiando come un cane saltò sulla schiena di Saruman, gli tirò indietro la testa, gli tagliò la gola e corse giù per il viale con un grido [...].

Con costernazione dei presenti, intorno al cadavere di Saruman si formò una specie di nebbia grigia che salì lentamente sempre più in alto, come fumo sprigionato da un fuoco, e giganteggiò sul Colle simile ad una pallida figura velata. Esitò un momento, rivolta ad occidente; ma proprio da lì venne un vento freddo che la sospinse, ed essa finì col dissolversi sospirando.


J.R.R. Tolkien Autore del Secolo:

Anche lui diventa fisicamente uno spettro, alla fine, quando Vermilinguo gli taglia la gola, lo spettro lo abbandona: [...]

Il corpo che rimane, una volta che la ‘nebbia’, o il ‘fumo’, si è dissolta, sembra in effetti essere morto molti anni prima, diventando solo ‘lembi di pelle su di un orrido teschio’. C’era ancora qualche brandello di umanità in Saruman – la figura che esita, guardando verso ovest, è forse la speranza di qualche forma di perdono dai Valar, mentre il sospiro forse indica qualche specie di angoscia o pentimento – ma è stato subito divorato.

Da cosa? C.S. Lewis avrebbe potuto rispondere, dal nulla.


Il nulla, che già si è detto essere il Destino di Melkor, Ungoliant, Sauron, inghiotte anche Saruman; poiché non dovrebbe essere possibile (anche se questo, Tolkien, non lo ha scritto) che Saruman abbia la possibilità di tornare a qualche forma di esistenza: il luogo da cui proveniva, l'Occidente ove dimorano i Valar, lo rifiuta e ne disperde la sostanza residua rappresentata dalla 'nebbia grigia'. Quindi sul Destino di Saruman Il Signore degli Anelli risponde più chiaramente che su quello di Sauron, se il secondo rimane in una qualche forma spettrale, pallida e debolissima ombra di quelle precedenti, il primo sembra proprio ridursi al niente; i motivi per cui Tolkien ha in qualche modo salvato dalla scomparsa completa un Maia come Sauron, mentre ha descritto l'annientamento definitivo di un altro Maia come Saruman, possono essere vari:

Si potrebbero tentare altre spiegazioni, ma probabilmente non vi sono dati sufficienti per preferirne in modo assoluto una rispetto all'altra.

Concludendo, sembra che, in ogni caso, il Destino di Saruman risponda al modello che Tolkien ha applicato al male incarnato in quasi tutta la sua opera, distruzione materiale o impotenza per tutte le sue espressioni inserite nella realtà spazio-temporale.


Le soluzioni della Teodicea nelle vicende di Saruman

La Reductio in Mysteryum non sembra per nulla chiamata in causa, se si eccettua la domanda37 sull'Origine del male in Saruman, se cioè il tradimento di Saruman risale alla 'Grande Musica' o ad un'epoca successiva; ma, comunque sia, anche questa domanda non tocca il nocciolo del problema, la scelta per il male è da ascrivere, almeno in buona misura, alla Libertà di Saruman e non ha niente di misterioso.

Il Dualismo, implicando una risposta a livello cosmologico, non mi pare possa essere chiamato in causa per Saruman. Tutt'al più Saruman stesso potrebbe essere un convinto Dualista, cioè ritenere che la scelta del male o del bene sia una esclusiva questione di utilità personale. Ma Tolkien dimostra, nel raccontare gli avvenimenti della Guerra dell'Anello, che non ha alcuna intenzione di avvalorare questa tesi.

La Privatio Boni non rappresenta una risposta adeguata sul male in Saruman, lo stregone opera nell'orizzonte spazio-temporale e compie delle scelte tra atteggiamenti, tra comportamenti: tra umiltà ed orgoglio, tra servizio ed esercizio del potere personale, tra gratuità e brama di possesso, tra lealtà e tradimento, tra rispetto del creato e uso spregiudicato di esso, ecc. Queste scelte non si combinano con concezioni cosmologiche sul male come assenza di bene e come qualcosa che non ha la consistenza della realtà; i comportamenti di Saruman sono molto reali incidono negativamente sulla realtà deformandola e pervertendola, in diversi casi in modo irrecuperabile.

La Sofferenza come Pena per il Peccato, al contrario delle precedenti è evidente; il progetto imperialistico di Saruman fallisce miseramente, ed egli è ridotto ad andarsene da Isengard come un mendicante e privo di gran parte del potere di cui era così orgoglioso, la punizione che gli ha riservato il destino (inteso questa volta nel significato comune di 'corso degli eventi non necessariamente predeterminato') non è però sufficiente per fargli cambiare strada e così torna testardamente ad agire contro il creato e le creature devastando la Contea e vessando i poveri Hobbit; la sconfitta lo attende anche tra gli Hobbit, ben meno ostici e potenti di Gandalf, degli Ent o dei cavalieri di Rohan, dopo la sconfitta, per orgoglio, non accetta neppure il perdono offertogli da Frodo, ma finisce sgozzato dal suo fedele servitore. Una disfatta forse ancora più completa che in Sauron.

Il Libero Arbitrio l'ho già più volte richiamato nel tracciare il profilo psicologico di Saruman, credo che sia un elemento chiave della figura dello stregone, anch'esso è soggetto a vari condizionamenti, ma non mancano le occasioni di redenzione alle quali Saruman potrebbe affidarsi, che invece egli rifiuta sdegnosamente: rifiuta l'offerta di lavorare per i buoni che gli fa Gandalf dopo la sconfitta di Isengard, non vuole ritirarsi in buon ordine almeno scegliendo di isolarsi in una relativa ed innocua inattività, rifiuta il perdono di Frodo, continua fino all'ultimo a maltrattare Vermilinguo senza averne un vero motivo; questa ostinazione nei comportamenti cattivi non fa che comprovare il detto 'sbagliare è umano, perseverare è diabolico'.

La Creazione come un Processo in Evoluzione, forse, potrebbe essere presa in considerazione, su una base personale, se Saruman tentasse in qualche modo di redimersi; gli sarebbe permesso, con il tempo, di ricostruire la sua personalità su basi diverse e di riparare in parte al male compiuto da lui e dagli altri. Ma la sua ostinazione nelle scelte cattive lo rende a poco a poco impermeabile a qualunque spinta positiva e lo porta alla completa distruzione.


Denethor, Boromir e Faramir

Sono un padre e i suoi due figli. Denethor è il Sovrintendente di Gondor, la prima carica del Regno di Gondor da quando l'ultimo re del Regno morì, molti secoli prima, senza lasciare eredi; Boromir, il primo figlio, è il più forte e rispettato guerriero di Gondor ed ha un fratello, Faramir, guerriero anch'egli, meno forte del primo, ma ugualmente amato in tutto il Regno. La loro storia appartiene esclusivamente alle vicende de Il Signore degli Anelli e ruota specialmente sulla percezione dell'importanza del potere e dei pericoli dell'Anello e di Sauron.

Boromir

Il primo che incontriamo nel racconto è Boromir, in qualità di inviato di Gondor al Consiglio di Elrond per sondare la possibilità di alleanze contro Mordor e per chiarire una serie di oscuri sogni che ha fatto Faramir e un sogno di Boromir stesso, in cui, oltre che essere nominato un Mezzuomo (che è Frodo), si fa riferimento alla 'spada che fu rotta' e al 'Flagello di Isildur', rispettivamente Narsil/Andúil (la spada con il cui mozzicone Isildur tagliò il dito dell'Anello a Sauron, spada che ora è in mano ad Aragorn), e l'Anello.


Le questioni della Teodicea in Boromir

Boromir è il solo della sua famiglia che vede l'Unico, e già dal primo momento comincia a pensare che possa essere una arma decisiva contro l'Oscuro Potere. I motivi per i quali non condivide il progetto di distruggere l'Anello sono probabilmente vari, la preoccupazione per il suo popolo e la coscienza che l'esercito di Gondor non sia invincibile, la paura di trovare avversari dotati di poteri magici in grado di indebolire in modo decisivo chiunque ad essi si opponga, l'utilità di un oggetto magico per un guerriero come lui38, e probabilmente anche, purtroppo, il puro desiderio di possesso che l'Anello è così efficiente nell'instillare in coloro che lo vedono e ne percepiscono il potere. Inizialmente accetta le indicazioni del Consiglio di distruggerlo a Monte Fato, ma non cessa di rimuginare dentro di sé sullo spreco e il rischio che comporta il tentativo di distruzione, atteggiamento che viene a più riprese rivelato da certe frasi e dal suo continuo osservare Frodo fissandolo per brevi tratti, come ad esempio a Lothlórien39:

Quanto a Frodo, si rifiutò di parlare, benché Boromir lo assillasse di domande. (pag. 444)

detto ciò rimase silenzioso, seduto con lo sguardo fisso su Frodo, come se cercasse di leggere i pensieri del Mezzuomo. Infine parlò di nuovo, a bassa voce, e sembrava che stesse lottando con se stesso. «Se desiderate soltanto distruggere l'Anello», disse «le armi e la guerra vi servono ben poco, e gli Uomini di Minas Tirith non possono esservi d'aiuto. Ma se desiderate annientare la potenza armata dell'Oscuro Signore, è un follia sprecare...»[...] «Una follia sprecare tante vite, voglio dire».

Frodo colse qualcosa di nuovo e di strano nello sguardo di Boromir, e lo osservò attentamente. Il pensiero di Boromir era palesemente diverso dalle sue parole finali. Sarebbe follia sprecare: che cosa? L'Anello del Potere? (pag. 457)


Il momento critico per Boromir viene però quando la Compagnia si ferma sulle rive del Grande Fiume per decidere definitivamente che direzione prendere con Frodo e con l'Anello. Boromir comincia amichevolmente a parlare a Frodo quando questi si ritira per decidere la via da seguire; la discussione, però, a poco a poco si trasforma in una requisitoria contro Frodo che sfocia alla fine in minaccia aperta al Mezzuomo il quale, spaventato, si infila l'Anello e fugge. Le fasi del dialogo andrebbero considerate una per una, poiché sono un esempio magistrale di come funziona la tentazione e il cedimento ad essa e il rientro in sé del 'peccatore'. Cercherò di riassumerlo il più brevemente possibile, invitando a leggere le cinque pagine in cui è descritto.

Boromir inizia con il dirsi in apprensione per Frodo, poi vuole dargli un consiglio, gli ricorda i meriti della sua gente nella protezione delle terre libere; inevitabilmente il discorso cade sull'Anello, e Boromir ne richiama le piccole dimensioni rapportate con gli effetti che fa, chiede di vederlo ancora, ottenendone un rifiuto. Quindi accenna alle possibilità che potrebbe dare ai nemici di Sauron40:

Sembra infatti che tu pensi soltanto al potere che l'Anello conferirebbe al Nemico, se egli se ne impadronisse: soltanto cioè al cattivo impiego di esso, e non ai suoi lati positivi.


Quando Frodo richiama i pericoli dell'impiego dell'Anello, Boromir inizia ad accusare di timidezza Gandalf ed Elrond, sottolinea con forza che 'Gli Uomini dal cuore sincero non si lascerebbero mai corrompere', poi dice apertamente che è 'pura follia' non usare l'Anello, si propone come possessore e passa a parlare di se stesso come di colui attorno a cui tutti gli Uomini si raggrupperebbero. Quando infine Frodo sta per dirgli chiaro e tondo che ha deciso di andarsene da solo a Mordor, Boromir stenta a trattenersi, dice di non essere un ladro, di essere un animo sincero, ma esige che gli sia 'prestato' l'Anello. Dice che doveva essere suo, comincia a seguirlo attorno alla pietra vicino al quale parlavano, urla e, pieno di rabbia, cerca di afferrare Frodo. Frodo si infila l'Anello e scappa inseguito dagli insulti e dalle maledizioni di Boromir, che, dopo essere inciampato nel tentativo di inseguire il portatore dell'Anello, ormai invisibile, si pente amaramente e piange. Shippey, abbiamo già visto, dedica molte pagine del suo libro Author of the Century a quelli che descrive come i due modi di intendere il male in Tolkien: la visione Manicheista, che corrisponde al Dualismo di cui ho parlato, e la visione Boeziana, che è affine all'idea della Privatio Boni; Shippey fa corrispondere, alla prima, gli avvenimenti de Il Signore degli Anelli in cui il male si presenta come forza esterna all'individuo che lo spinge quasi inconsapevolmente ad essere malvagio (ad esempio Frodo che si infila l'Anello su Colle Vento per una sorta di ordine perentorio dei Cavalieri Neri) e alla seconda le situazioni in cui è la persona che dentro di sé si decide per scegliere, in quel frangente, il comportamento cattivo, in tal caso, l'Anello non fa altro che amplificare una tentazione interiore pre-esistente (come può essere il caso della festa di compleanno di Bilbo o Frodo nella casa di Tom Bombadil). Analizzando, alla luce di questa ambivalenza di visioni il comportamento di Boromir, credo si possa concludere che esso contribuisce a rafforzare l'intreccio, forse inestricabile, delle due visioni/risposte al problema del male citate. Esiste già, nel gondoriano, la convinzione che tutto quello che può essere utile in una guerra contro il male va utilizzato, inoltre questa idea è mescolata con un certo orgoglio (personale, di famiglia e di razza) e desiderio di accrescere le capacità guerresche proprie e del suo popolo, infine vi è in lui anche una certa diffidenza per maghi e stregoni, a cui assimila (direi in modo ingiustificato) sia Galadriel che Gandalf (questi atteggiamenti sarebbero una conferma dell'interpretazione Boeziana) e una scarsa fiducia nei deboli Hobbit; tuttavia il suo continuo rimuginare attorno all'Anello conferma anche quello verso cui mettevano in guardia sia Gandalf, sia Elrond, e cioè che l'Anello esercita una attrazione molto forte su chiunque sia cosciente della sua presenza (questo, invece, avvalora l'interpretazione Dualista). I momenti di quasi pazzia di Boromir prima della fuga di Frodo non possono che accreditare la presenza di una forza di attrazione intrinseca all'Anello; quindi quello che accade a Boromir ad Amon Hen, appena prima dello scioglimento della Compagnia dell'Anello, è una mescolanza di brama interiore e di attrazione esterna che in quel frangente diventa esplosiva e inarginabile. È molto importante anche il pentimento di Boromir; quando esiste il pentimento per qualcosa che si è fatto o cercato di fare, significa che la persona riconosce di essere colpevole di quel comportamento o atteggiamento, dando una chiara dimostrazione che vi è stata una scelta, almeno in parte, libera alla base di esso, scelta che poteva essere diversa (a questo proposito, ma forse lo vedremo oltre, Frodo non sembra che si penta del suo gesto a Sammath Naur). Così si aggiunge alla Privatio Boni e al Dualismo, l'influenza del Libero Arbitrio; se poi proseguiamo nel racconto abbiamo anche il riscatto di Boromir quando dà la vita per salvare Merry e Pipino e compaiono così anche una specie di Sofferenza come Pena per il Peccato (Boromir se non avesse ceduto alla tentazione, avrebbe potuto spendere tante energie in più nella Guerra dell'Anello, ricavandone onore, gloria e soddisfazione personale, invece di morire per salvare due Hobbit da un rapimento che non fu neppure sventato) e la Creazione come Processo in Evoluzione, infatti l'eroica difesa degli Hobbit, pur non avendo permesso di salvarli, ha rappresentato la completa riabilitazione di Boromir (incondizionatamente sottolineata da Aragorn) e il suo approdo al pieno riconoscimento delle sue doti di eroe del bene.

Gli attributi del male in Boromir

Se in Boromir le questioni della Teodicea sono rilevanti, gli Attributi del Male ritengo siano meno importanti; come normalmente accade per i personaggi non soprannaturali, per le creature 'normali', Origine e Natura del male risiedono di solito in una mescolanza di condizionamenti terreni e di Libertà; le Azioni sono le più varie e non rientrano facilmente in una strategia di comportamento precisa, dipendendo più che altro dalla professione del personaggio, dalle sue specifiche caratteristiche psicologiche e dalle situazioni in cui si viene a trovare; il Destino ha, comunque sia, una portata spazio-temporale limitata che si conclude con la morte e dopo di essa rimanda, almeno nella sub-creazione tolkieniana, a questioni cosmogoniche ed escatologiche di cui ho già trattato a proposito de Il Silmarillion.

Rimangono gli Scopi e l'Utilità del male. Lo Scopo del male compiuto da Boromir, ha due principali linee guida, la salvezza di Gondor e le gesta guerresche eroiche. La prima linea guida può essere anche condivisibile, di per sé è una forma di altruismo, un po' limitata se si vuole, ma è sempre un dedicarsi all'aiuto del prossimo; la difesa di Gondor lo fa anche obbedire inizialmente alle indicazioni di Gandalf e del Consiglio di Elrond, ma è anche un fattore che gli fa pensare all'uso dell'Anello per contribuire a salvare i suoi conterranei. La seconda linea guida è più egoistica e nasce dall'orgoglio personale: Boromir, vuole sempre dimostrare di agire da guerriero sincero e formidabile quale è, ma il suo desiderio subisce una distorsione quando compare l'Anello; esso spinge Boromir a vedere l'utilità dell'inganno dell'invisibilità, o del potere magico in genere, nel combattimento, inganno che lo fa aspirare anche ad una ulteriore popolarità tra le genti. L'Anello, a sua volta, dal momento in cui Boromir si trova in presenza di esso, si deve ritenere che introduca in lui lo Scopo spurio della brama di possesso, in accordo con la capacità dell'artefatto di Sauron di accendere nelle persone la tentazione di appropriarsene.

L'Utilità del male è forse un esempio di come la guida degli eventi che ho chiamato Provvidenza e che ho attribuito a Eru, riesce a trarre il bene dal male. Il cedimento di Boromir, prima fa decidere Frodo sul da farsi (Frodo pressato da Boromir e visti gli effetti che l'Anello può provocare, capisce che deve andare da solo a Mordor, non potendo rischiare di portare con sé gli altri compagni) e fa sì che il resto della Compagnia sia avvertito dell'assalto degli Uruk-Hai contribuendo alla diminuzione dei nemici e al loro rallentamento temporaneo. L'influenza della notizia della morte di Boromir che giunge a Denethor, potrebbe far pensare ad una conseguenza negativa, Denethor, come vedremo, impazzisce e sembra che uno dei motivi sia proprio la morte del suo figlio maggiore, ma chiariremo meglio la questione parlando del Sovrintendente di Gondor. Un'altra conseguenza negativa potrebbe essere lo scioglimento della Compagnia, ma si vedrà nel prosieguo della storia che Aragorn sarà molto più utile nelle battaglie di quanto non potrebbe essere stato a Mordor, Frodo e Sam pur essendo debolissimi e soli nel viaggio a Mordor, passeranno inosservati in gran parte dei luoghi che attraverseranno; anche Gimli e Legolas, il primo perché troppo rumoroso il secondo perché troppo 'luminoso' quasi certamente avrebbero attirato sopra di sé molte più attenzioni di due Hobbit. Ancora, il rapimento di Merry e Pipino poteva essere evitato, forse, ma questo stesso evento sarà paragonato alle prime piccole pietre che preannunciano una grande frana che investirà Saruman e Isengard. Pensare a cosa avrebbe potuto fare Boromir di bene o di male se fosse rimasto vivo è invece un esercizio sterile, quindi mi limito a ribadire le uniche informazioni di cui ho appena dato ragione.

Denethor

La figura del Sovrintendente di Gondor è forse la più classicamente drammatica del romanzo. Il severo sovrano del grande regno a cui accade di affrontare la marea dell'assalto dei nemici, che, cosciente della sconfitta imminente o degli errori compiuti, o dell'incomprensione del suo popolo, preferisce il suicidio. Se questa è una classica immagine che potrebbe uscire dai racconti eroici di conosciute opere drammatiche, in effetti ne Il Signore degli Anelli subisce delle sostanziali modifiche. Denethor crede di essere incompreso nella lotta contro Mordor, la sua lungimiranza e la sua grande perspicacia gli fanno credere di essere l'unico a vedere con chiarezza il futuro senza speranza, la morte dell'amato Boromir lo fa cedere al senso di colpa ed inasprisce il suo atteggiamento verso Faramir ritenuto quasi un cospiratore che lavora per Gandalf piuttosto che per il Regno di Gondor (Faramir è indirettamente ritenuto colpevole anche della stessa morte del fratello, il quale lo aveva sostituito nel viaggio al Consiglio di Elrond e soprattutto è incolpato di aver lasciato andare gli Hobbit a Mordor), il rischio di morte dello stesso Faramir da Denethor mandato con asprezza a combattere senza quasi riposarsi lo induce ad accumulare un ulteriore senso di colpa. Così come si presenta, il drammatico quadro psicologico di Denethor, completato dal suo orgoglio, sembra sufficiente per giustificare la sua pazzia e il suo suicidio-omicidio41 nelle Tombe dei Re di Minas Tirith; invece, dopo il salvataggio in extremis di Faramir, si scopre qualcosa di più sinistro, Denethor si è gettato sulla pira con tra le mani un Palantir. Conoscendo la storia dei Palantiri e il loro impiego durante la Guerra dell'Anello, si capiscono molte cose.

I Palantiri erano delle pietre magiche donate dagli Elfi ai Numenoreani per permetterne le comunicazioni tra luoghi distanti, alcuni erano andati perduti nelle guerre della Terra-di-mezzo, tra di essi quello che governava tutti gli altri; quelli rimasti permettevano però ancora di vedere luoghi distanti e di tenere sotto controllo vaste aree di territorio per individuare i movimenti dei nemici, il loro uso era però riservato ai re Numenoreani di Gondor (il Regno del sud) e ai re Numenoreani di Arnor (il Regno del Nord), fondati dai superstiti della distruzione di Numenor. Tra i pochi rimasti c'erano il Palantir di Isengard, già citato, quello di Gondor e quello di Minas Ithil (la Minas Morgul della Guerra dell'Anello), purtroppo quello di Minas Ithil era in mano a Sauron che lo aveva piegato alla sua volontà e che, con esso, influenzò, a quanto pare in modo convincente, Saruman fino a farlo divenire alleato di Mordor.

Il Palantir di Gondor venne, purtroppo, usato da Denethor, che come Sovrintendente non aveva il diritto di fare ciò che solo i Re di Gondor e di Arnor potevano fare, ed in virtù del forte legame del Palantir di Minas Tirith con quello di Minas Ithil, Sauron riuscì a poco a poco ad instillare in Denethor il seme della disperazione, facendogli vedere solo la grandezza dell'esercito e delle fortezze di Mordor e ispirandogli la convinzione che la distruzione di Gondor fosse imminente. L'integrità morale di Denethor, che lo differenzia nettamente da Saruman, e la sua grande forza di volontà, impedirono a Sauron di avere successo nell'intento di portarlo dalla propria parte o di farsi comunicare notizie segrete, ma, facendo leva sulle paure e sulle debolezze del Sovrintendente, l'Oscuro Signore minò psicologicamente il suo avversario privandolo di qualunque speranza di vittoria, questo, insieme agli eventi che ho già brevemente elencato, compromise la sanità mentale del capo di Gondor e lo fece cadere nella pazzia suicida-omicida.

Le questioni del male e Denethor

Le spiegazioni che ho dato nel paragrafo precedente permettono di fare un quadro dei problemi del male come emergono dalla storia di Denethor.

La Reductio in Mysterium potrebbe essere considerata, ad un livello personale, solo finché non si è scoperto il segreto del Palantir e l'uso che ne ha fatto Denethor, spiega con completezza l'Origine del male che finisce con il compiere il Sovrintendente e dei mali che ne derivano indirettamente.

Il Dualismo, mitigato e mescolato con il Libero Arbitrio, compare quasi negli stessi termini in cui è comparso in Boromir. Le scelte di Denethor e il suo crollo finale sono il risultato del suo orgoglio, della sua presunta autosufficienza (non accetta mai l'aiuto di Gandalf), della sua un po' distorta visione politica, della sua inconfessata paura; tuttavia, senza l'influenza profonda di Sauron (azione diretta e condizionante del rappresentante più potente del male) attraverso il Palantir, Denethor avrebbe, con tutta probabilità, agito in un modo forse non impeccabile, ma di certo efficace a favore del bene o, almeno, di Gondor, la sua moralità infatti, se presenta le debolezze citate, ne fa però un sovrano fondamentalmente rispettoso del suo popolo e cosciente dei doveri della sua carica. Le differenze con il figlio si possono trovare: nello spirito di obbedienza (elemento importante che non ho colpevolmente citato, nel paragrafo su Boromir42, tra i fattori della sua redenzione) di cui Denethor, abituato a comandare e ad esercitare il potere, è in pratica privo; nella dote, ben più spiccata che in Boromir, di grande perspicacia e nella attitudine a giudicare gli eventi nella loro dimensione globale (forse derivante dall'esperienza più che da un dono), perspicacia e attitudine di cui si ritiene orgogliosamente molto dotato; nella convinzione di meritare un vita meno sfortunata che traspare dall'esperienza della morte prematura di sua moglie, addotta come uno dei motivi che hanno spinto Denethor a guardare nel Palantir per la prima volta e quindi a cominciare a cadere nella rete di Sauron. Boromir da guerriero tutto di un pezzo si lamenta delle difficoltà, ma mette sempre al primo posto i suoi doveri e non dà l'impressione di giudicare il destino.

La Privatio Boni, nella sua espressione applicata da Shippey di spinta interiore, e colpevole, verso il male, potrebbe essere chiamata in causa, ma in questi termini è più facile utilizzare la categoria del Libero Arbitrio, che ho già considerato al capoverso precedente. La Privatio Boni nella sua dimensione cosmologica afferisce, per forza di cose, ad un piano della realtà distinto da quello ristretto spazio-temporale delle vicende di Denethor, se non si ammette, però, che il progressivo irrigidimento e 'incattivimento' del Sovrintendente sia un semplice ritirarsi dalla perfezione delle virtù di cui in origine egli era dotato e che quindi ripeta il modello generale in cui l'Origine del male è dovuta alla mancanza del bene. Quest'ultimo concetto non è troppo facile da trattare, si può solo puntualizzare che è difficile capire come questa supposta mancanza di bene sia rafforzata da una entità (esistente e percepibile) terza (Sauron) e come mai sia foriera di conseguenze reali e concrete: impossibilità di Gandalf di svolgere la sua attività di difesa di Minas Tirith in modo pieno43, perdita del Palantir reso inutilizzabile dal fuoco, rischio grave di morte per Faramir. Un sostenitore della Privatio Boni potrebbe replicare che i tre fatti possono rientrare in un quadro più ampio in cui la loro gravità è ridimensionata e circoscritta nel tempo: Faramir è salvato, la Battaglia di Minas Tirith viene vinta, il Palantir sarà sostituito da quello di Isengard; rimane però il destino amaro di Denethor che subisce una morte ingloriosa. Gandalf, e qui dobbiamo affidarci ancora una volta alla sua interpretazione dei fatti, dice: 'Altri moriranno, purtroppo' e 'Ma ciò sarà causa di eventi nefasti e di dolore'. Morti, eventi nefasti e dolore (che sarebbero stati evitabili) sono una reale sofferenza per le creature a cui inoltre, nel mito tolkieniano, non è promessa formalmente alcuna salvezza ultraterrena che ripaghi delle sofferenze; a questo proposito dobbiamo tornare per un momento al livello cosmogonico del Mondo Secondario tolkeniano, Eru dice che tutte le nefandezze di chi compie il male saranno come trasfigurate dal suo progetto finale, ma nel contempo stigmatizza i comportamenti di Melkor e degli Uomini, ammettendo implicitamente che le loro azioni sono delle vere e proprie ribellioni nei sui confronti; in pratica è come se dicesse: 'Io, unico padrone della Creazione, farò rientrare tutto nel mio progetto, ma ciò non toglie che voi abbiate compiuto degli atti, producendo degli effetti concreti sulla realtà, non in armonia con il mio progetto iniziale'. La questione della Privatio Boni, comunque sia rimane, abbastanza aperta.

Per quali motivi Denethor subisce il destino di tante sofferenze che hanno punteggiato la sua vita, fino al cedimento della lucida follia di suicidarsi e soprattutto di uccidere Faramir? La morte prematura della moglie, la morte del figlio, l'incipiente sconfitta di Gondor, sono sofferenze alle quali dovrebbero corrispondere del punto di vista della Sofferenza come Pena per il Peccato altrettanti peccati o comportamenti malvagi; gli atteggiamenti colpevoli di Denethor esistono, ma, come è già capitato in altri casi nel Mondo Secondario di Tolkien (si veda ad esempio Túrin Turambar) vi è verosimilmente uno sbilanciamento verso la Sofferenza nel bilancio male compiuto/sofferenza personale e, se si ammette che la Sofferenza debba essere distribuita, in qualche modo, dal Creatore, un tale sbilanciamento va contro la giustizia con cui la storia dovrebbe essere condotta.

Il modello della Creazione come un Processo in Evoluzione verso il bene, che si poteva anche attribuire al caso personale di Boromir (e che si può applicare in effetti a qualunque peccatore che ritorna sulla retta via verso la fine della vita), per Denethor non sembra applicabile; Denethor non riesce a 'liberarsi', cioè a fare la libera scelta a favore del bene e contro il male, né riesce a scrollarsi di dosso il condizionamento di Sauron e della propria storia personale: il modello 'progressivo' non funziona.

Concludendo: il fatto che la vita di Denethor finisca piuttosto male, spinge a cercare di giustificarne il motivo. E, poiché la Sofferenza come Pena per il Peccato nel suo caso sembra insufficiente, poiché il suo Libero Arbitrio sembra particolarmente influenzato dai condizionamenti interiori ed esterni derivanti anche, e soprattutto, dall'ingombrante peso psicologico di Sauron (effetto del Dualismo mitigato nella sua prospettiva adottata da Shippey; e situazione con qualche punto di contatto con la persecuzione di Túrin da parte di Melkor), allora, tende a crescere il peso specifico della spiegazione che si rifà alla Privatio Boni, in grado di dare ragione di alcune sfaccettature degli eventi che coinvolgono il Sovrintendente di Gondor e di completare il quadro dei fattori coinvolti nel problema del male di Denethor.

Gli attributi del male e Denethor

Dell'Origine del male in Denethor ho parlato già ampiamente nel paragrafo precedente.

Della Natura del male si può dire che procede lungo le seguenti linee: atteggiamento scettico di fondo, confidenza troppo stretta nelle proprie doti e capacità, percezione un po' auto-centrata della realtà, e, dietro l'apparente severità, una profonda incertezza riguardo alla forza del bene nei confronti del male.

Le Azioni, come al solito, sono proporzionate all'importanza della sua posizione: valutazioni politiche un po' distorte (nella relazione con Gandalf, nel giudizio su alcuni suoi alleati, nel modo di condurre la Guerra, nella percezione della sua carica); severità eccessiva con Faramir, il figlio più saggio, e, forse, troppo amore per il figlio maggiore (Boromir); sottovalutazione del pericolo dell'uso del Palantir, e alla fine cedimento alla disperazione.

Utilità del male: questo è uno dei casi in cui è difficile riscontrare l'Utilità del male compiuto, a meno che non si ipotizzino fatti non narrati da Tolkien. Si può ravvisare un male minore, rispetto ad una sua alleanza con Sauron, nella lucida pazzia di Denethor che porta danni diretti a lui stesso e che causa danni indiretti nelle situazioni di pericolo che Gandalf deve trascurare per salvare Faramir? Parlare di male minore, oltre a costituire un processo alle intenzioni fuori luogo (Denethor non aveva ceduto alle tentazioni verso cui, di certo, con grande forza Sauron aveva cercato di spingerlo, tuttavia non si può sapere con sicurezza quale comportamento avrebbe potuto sostituire la lucida follia del Sovrintendente), non è sufficiente per parlare di Utilità del male a tutti gli effetti. Lo stesso vale per le altre Azioni di Denethor: il suo comportamento politico, il suo atteggiamento verso Faramir e Boromir, l'uso del Palantir; se tali Azioni fossero state evitate o sostituite da altri comportamenti meno sbagliati non si può sapere quali avvenimenti ne sarebbero scaturiti.

Accontentiamoci di giudicare gli eventi che hanno coinvolto Denethor con un po' di accondiscendenza e comprensione, pensando anche che, comunque sia, il suo errore/sacrificio ha, ad esempio, levato ostacoli all'intervento di Aragorn e alla guida illuminata di Gandalf nella Guerra dell'Anello, oltre a non aver potuto provocare il lutto della morte di Faramir. Alla luce di quanto ho appena detto si può dire che, nel caso di Denethor, l'Utilità viene sostituita, in un certo senso, dal Destino del male da lui compiuto; i comportamenti 'malvagi' e gli eventi che ne sono seguiti dimostrano che il male compiuto da Denethor subisce una specie di azzeramento, dando spazio all'espressione delle forze del bene in consonanza con la Privatio Boni che, in effetti, non avevo escluso, nel caso del Soprintendente di Gondor, tra le risposte al problema del male. Come ultima osservazione, non va dimenticato che le risposte al problema del male non sono totalmente alternative le une alle altre: quasi sempre si tratta di trovare una risposta composita alla realtà del male, risposta che coinvolge più di una delle risposte singole proposte per questa analisi del male in Tolkien.

Gli Scopi del male di Denethor si intrecciano con le singole Azioni 'cattive' che egli compie e con i singoli atteggiamenti sbagliati (nel senso di 'non in armonia con il bene') che assume. Do alcuni esempi di questa mia interpretazione. I motivi per cui cede alla tentazione di usare il Palantir (Azione) sono: la convinzione (si può presumere) di essere stato sfavorito dal destino con la morte di sua moglie (atteggiamento), l'idea che un oggetto magico possa facilitare il suo lavoro di Sovrintendente (atteggiamento), il desiderio di far uso di una prerogativa propria dei Re di Gondor (da cui traspare forse la sua convinzione che il suo casato abbia diritto ormai al titolo di Re, per la quale però abbiamo solo una attribuzione esplicita a Boromir da parte di Faramir a pag. 809 de Il Signore degli Anelli) (Scopo). I motivi per cui tratta male Faramir (Azione) sono: il pensiero che suo figlio ascolti più un estraneo (Gandalf) che i saggi insegnamenti di suo padre (come secondo lui è dimostrato dalla disubbidienza di Faramir quando ha trovato Frodo nell'Ithilien e lo ha lasciato andare a Mordor) (atteggiamento), un modo di scaricare su Faramir la colpa della morte di Boromir e così alleviare il proprio senso di colpa (atteggiamento e Scopo), la severità nella punizione di un capo verso un suo sottoposto che non ha obbedito agli ordini (Azione e Scopo). I motivi per cui si lascia andare alla lucida follia (atteggiamento e Azione) possono essere: un senso di colpa (questa volta anche verso suo figlio minore) da esorcizzare (atteggiamento e Scopo), la paura e l'incertezza delle sorti della Battaglia di Minas Tirith (atteggiamento), l'inganno di Sauron perpetrato tramite il Palantir (conseguenza di una Azione precedente), il senso di impotenza in frangenti così pericolosi e dolorosi (atteggiamento). Denethor, in sostanza, non ha uno Scopo ben definito in tutta la sua vita, si lascia trasportare dai suoi sentimenti, mettendo, in fin dei conti, al primo posto se stesso invece del servizio che, come Sovrintendente, sarebbe tenuto a svolgere; se si vuole, questa è una forma di egoismo sofisticato e incompleto che non si impadronisce totalmente di chi ne è 'vittima', ma che blocca le potenzialità della persona pur non facendola cadere nel male irredimibile, ad esempio di un Sauron o di un Saruman.

Faramir

È la 'pecora bianca' della famiglia di Denethor, ma anch'egli è utile per inquadrare il problema del male in Tolkien; ne Il Signore degli Anelli viene nominato per ultimo, la sua comparsa è quasi improvvisa, quando, accompagnato da tre uomini della sua compagnia di scout gondoriani dislocati in Ithilien, scopre gli Hobbit.

Già al primo incontro con lui si nota la differenza con lo spirito irruento di Boromir; Faramir, pur nella concitazione della battaglia e poi anche nel primo interrogatorio all'aperto, è severo, ma più riflessivo, un esempio di questa severità ponderata sono le parole rivolte a Sam che cerca di difendere il suo padrone44:


«Pazienza!», disse Faramir, ma senza collera. «Non parlare innanzi al tuo padrone, che ha un'intelligenza più grande della tua. E non ho bisogno che nessuno mi insegni che siamo in pericolo. Sappi che sto sacrificando un po' del poco tempo di cui dispongo per giudicare con equità un caso arduo. Fossi stato frettoloso come te, vi avrei ucciso da parecchio tempo. [...] Ma non uccido uomo o bestia inutilmente, e mai con piacere, anche se necessario. Inoltre non parlo invano. Quindi consolati, siediti accanto al tuo padrone e taci!»


E anche in seguito dimostra di essere più portato a domandare per capire, piuttosto che per sapere, le sua domande sono rivolte a scegliere ciò che è meglio per i suoi, ma sono fatte con il massimo rispetto per gli interrogati che inoltre non vengono pre-giudicati. Frodo stesso riconosce già in occasione del primo interrogatorio le doti di Faramir:

Sentiva in fondo al cuore che Faramir, pur rassomigliando molto al fratello nel fisico, era meno ambizioso ed orgoglioso, e al tempo stesso più saggio e più severo.


La dote che emerge nel dialogo con Frodo è poi la perspicacia, e, in questo, Faramir è simile a suo padre45:

Ma qualunque cosa sia avvenuta ai Confini Nord, io di te, Frodo, più non dubito. I giorni crudeli mi hanno reso un buon giudice dei visi e delle parole degli Uomini. [...]

Parlasti con abilità e, mi pare, con saggezza. Ma io appresi o indovinai dalle tue parole più di quanto esse non dicevano.


Perspicace come il padre, rivela però anche un elasticità mentale sconosciuta ai soldati che devono obbedire agli ordini46:

Ora dovrei riportarti a Minas Tirith perché tu risponda alle domande di Denethor, e se prendo invece una decisione nefasta per la mia città, la mia vita ne sarà il prezzo. Perciò non avrò fretta nel decidere su quel che sarà da fare.


Faramir, dopo ulteriori accertamenti e ulteriori domande a Frodo, deciderà proprio di lasciare liberi gli Hobbit e di lasciare in vita nientemeno che Gollum.

Caratteristicamente questo coraggio di disubbidire agli ordini è comune ad altri personaggi di cui non ho ancora parlato; ad esempio, Eomer47, capitano dei Cavalieri di Rohan che non segue gli ordini di Theoden suo re, prima andando a pattugliare i confini nord di Rohan ove intercetta e sconfigge gli Uruk-hai che stavano portando Merry e Pipino a Isengard e poi lasciando liberi Aragorn, Legolas e Gimli che aveva incontrato dopo la distruzione della squadra degli Uruk-hai. Questi due comportamenti 'illegali' sono all'origine di svolte positive molto importanti della storia della Guerra dell'Anello, nel caso di Eomer sono resi possibili l'arrivo di Merry e Pipino a Fangorn e l'incontro di Aragorn, Legolas e Gimli con Gandalf; invece, la disobbedienza di Faramir permette la prosecuzione del tremendo viaggio a Mordor di Frodo e Sam per portare a termine la missione di distruggere l'Anello.

Merita anche di essere fatta un'analisi del rapporto tra l'Anello e Faramir; la sua perspicacia gli fa capire che il Flagello di Isildur di cui si parlava nel suo sogno è in mano di Frodo, ma quando rende nota questa sua intuizione a Frodo, gli dice:

«Ma non avere più timore! Io non mi impadronirei di codesto oggetto, neppure se lo trovassi lungo la strada, neppure se Minas Tirith stesse cadendo in rovina e l'unica speranza di salvezza fosse quella di usare l'arma dell'Oscuro Signore per il bene della mia terra e per la mia gloria. No, non desidero trionfi, Frodo figlio di Drogo»


Prosegue sottolineando che non vuole il potere per il suo popolo (né tantomeno per sé), ma ne vuole solo la vita in pace e prosperità, dimostrando di avere capito, anche per quanto ha intuito sulla fine di Boromir, che quell'oggetto è uno strumento di potere che non si piega alla volontà di chi ne fa uso, ma a sua volta è in grado di piegare la volontà altrui alle esigenze del potere oppressivo per il quale è stato creato. Nonostante questa dichiarazione, Frodo decide di non rivelare tutto il resto della storia, probabilmente per evitare che la vista dell'Anello possa forzare quel poco di inclinazione al male che potrebbe trovarsi nel fratello di Boromir o agire direttamente, come talvolta ha fatto, facendo nascere in lui la cupidigia che ancora non c'è. Ma il pericolo non finisce con l'affermazione di Faramir, perché, dopo, il povero Sam combina uno di quelli che chiama 'I miei soliti guai!', parla candidamente dell'Unico Anello che immediatamente Faramir identifica con il Flagello di Isildur. Dopo la gaffe di Sam assistiamo ad un soliloquio del tipo di quello di Galadriel quando Frodo le propone di affidarle l'Unico48:

[...] E Bormir tentò di impadronirsene con la forza? E voi scappaste? E correndo correndo... cadete fra le mie mani! E qui in mezzo a contrade sperdute eccomi con due Mezziuomini, e una schiera di Uomini ai miei ordini, e l'Anello degli Anelli. Un bel colpo di fortuna! Una buona occasione per Faramir, Capitano di Gondor di mostrare la propria virtù! Ah!» Si alzò in piedi, altissimo e severo, e gli occhi gli brillavano.


Il momento cruciale della scelta di Faramir sembra essere proprio questo, ma forse Faramir non è impreparato alla tentazione; dice infatti49:

«Ahimé, povero Boromir! Fu una dura prova!» [...] Siamo gente sincera noi Uomini di Gondor. Le rare volte che ci vantiamo, facciamo di tutto per dare una dimostrazione o moriamo nel tentativo. Io non mi impadronirei di quell'oggetto anche se lo trovassi lungo la strada, dissi qualche tempo fa. Pur se fossi Uomo da desiderarlo, e benché allora non sapessi precisamente di che cosa stessi parlando, considererei tuttavia quelle parole come vincolanti.

«Ma non sono quel genere d'Uomo, o Forse sono abbastanza saggio per sapere che vi sono pericoli dai quali un Uomo deve fuggire»


Dopo la parte formale della scelta, Faramir si dimostra ancora più illuminato offrendosi di fare di tutto per aiutare Frodo e Sam e dice infine50:

Dormite, ambedue... in pace, se ne siete capaci. Non temete! Non desidero vederlo, né toccarlo, né sapere altro su di esso (quel che so è già più che sufficiente), e non voglio che il pericolo mi tenda un agguato, rivelandomi alla prova più debole di Frodo figlio di Drogo.


I dialoghi tra Faramir e gli Hobbit sono quasi auto-esplicativi, e inquadrano bene l'atteggiamento e le caratteristiche fondamentali del figlio più giovane di Denethor: meno irruento, più riflessivo, ma ugualmente coraggioso rispetto a Boromir, molto meno scettico sulla realtà, meno severo, ma quasi pari a Denethor nella perspicacia, più cosciente dei suoi limiti e, nel complesso, più libero nel senso profondo del termine di entrambi i suoi consanguinei; Faramir è libero perché non è ostaggio di se stesso e perché è dedito in tutto al servizio del suo popolo, inoltre prende la legge con il giusto spirito come uno strumento al servizio dell'Uomo e persino di tutti gli esseri viventi, dopo una attenta valutazione è disposto anche ad infrangere le regole per rispetto verso la vita.

Questo quadro del terzo componente della famiglia del Sovrintendente rende poco rilevante il problema del male nella sua figura, l'unica colpa che ha è l'infrazione alla Legge di Guerra di Gondor, di per sé sarebbe una grave colpa, motivo di condanna a morte, come dice Faramir stesso; ma l'elasticità mentale e la comprensione per il fardello di Frodo oltre che l'attentissima valutazione dei fatti alla luce anche del rispetto per la vita altrui, riducono a nulla eventuali rimostranze sul suo operato e ne fanno uno dei personaggi più positivi de Il Signore degli Anelli51.

Nemmeno la pressione psicologica a cui lo sottopone Denethor quando riesce per miracolo a fuggire dall'Ithilien e rifugiarsi a Minas Tirith, lo spinge a contraddire il padre, cosicché Faramir torna sul campo di battaglia rispettando l'ordine del Sovrintendente pur essendo sfinito e viene colpito molto gravemente rischiando di morire.

La vicenda dell'amore che nasce tra lui ed Eowyn, che si svolge a Minas Tirith durante la convalescenza dei due, non riguarda la presente analisi sul male, ma, se mi è concesso dirlo di passaggio, dimostra che l'accusa che si fa a Il Signore degli Anelli, di essere misogino e completamente privo della componente dell'amore è falsa; ma lascio la dimostrazione di questa affermazione a chi tratta altri argomenti Tolkieniani.


Gollum/Sméagol


Siamo di fronte ad un personaggio chiave de Il Signore degli Anelli e di tutta la storia dell'Unico Anello. Sappiamo già molto dei fatti che lo hanno coinvolto nelle intricate vicende della Terra-di-mezzo e nella storia dell'Anello: la sua vita prima che trovasse l'Anello, come è venuto in possesso dell'Anello, come ha vissuto con l'Anello, come ha vissuto senza l'Anello alla sua continua e disperata ricerca, cosa ha fatto quando ha incontrato il nuovo possessore dell'Anello, quale è stata la sua ultima 'impresa'.

Ho volutamente ripetuto la parola 'Anello' nelle tappe della storia di Gollum perché il possesso dell'Unico ha segnato ogni momento della sua vita da quando lo ha visto per la prima volta. Ho già accennato alla sua Natura di Hobbit sui generis, aveva un solo amico, suo cugino Déagol, ma soprattutto, racconta Gandalf52:

Si interessava di radici e di origini; si tuffava negli stagni profondi, scavava sotto gli alberi e le altre piante, forava gallerie nelle montagnole. Non guardava più la sommità dei monti e delle colline, le foglie sugli alberi o i fiori arrampicati su pei muri: la sua testa e i suoi occhi erano rivolti verso il basso.


Quando il suo amico e cugino Déagol, nel giorno del compleanno di Sméagol, trova l'Anello, Sméagol lo uccide e si appropria del suo 'Regalo di Compleanno', nonostante Déagol avesse protestato di avergli già fatto il regalo per quel giorno. Dalla prima fase della vita di Sméagol si capisce che aveva già fatto, non si sa con quali condizionamenti, delle scelte sinistre: il fatto di guardare solo in basso per terra e sotto terra, e la tendenza ad isolarsi. Ma quanto ci racconta Tolkien non è sufficiente per capire di più sull'Origine del male in Sméagol; il fattaccio dello stagno in riva al Grande Fiume fa venire alla mente gravi e drammatici fatti di cronaca di questi ultimi anni tra giovani o ragazzi che, isolati spesso in amicizie non aperte all'esterno, si ammazzano con pretesti assurdi, ma anche casi in cui l'amicizia sembra essere scevra di problemi particolari e tuttavia si verificano drammi inspiegabili. La prima fase della vita di Gollum è avvolta in un relativo mistero e si può pensare, assumendo. forse impropriamente, che quell'atteggiamento fosse un moto sconosciuto interno a Smeagol, invocare un modello su scala ridotta di Reductio in Mysterium, ipotizzando anche, però, in qualche grado, il Libero Arbitrio che le parole di Gandalf53 confermano:

Era molto compiaciuto della sua scoperta che teneva accuratamente segreta (n.d.r. quella dell'Anello); se ne serviva per penetrare segreti che lo incuriosivano e sfruttava in modo perverso e malvagio le notizie che apprendeva. Diventò attento a tutte le occasioni adatte alla sua cattiveria.


Gandalf qui si riferisce al dopo-appropriazione dell'Anello, ma quando parla della sua cattiveria, sembra che si riferisca proprio ad una caratteristica di Gollum e non all'effetto dell'Unico.


Dal momento in cui Sméagol comincia a possedere l'Anello, la sua vita diventa una sola cosa con il suo 'Tesssoro'. Vi è di certo una gradualità nei lacci che l'Anello getta su di lui, ma si può presumere che il processo sia abbastanza veloce dato che è cominciato con un omicidio; d'altra parte, Gollum (ormai, è questo il nome che gli è più consono, e che gli hanno dato i suoi famigliari, prima di cacciarlo dal loro paese, per il rumore che continuamente produce in gola), dimostra di resistere in modo sorprendente all'altra prerogativa dell'Anello di cercare di tornare dal suo padrone; come ho già avuto occasione di rilevare, in un certo senso Gollum tiene in ostaggio l'Anello, impedendogli di compiere il male ben più grave per cui l'Unico è stato forgiato. Il possesso e l'uso dell'Anello prolungano indefinitamente la vita di Gollum e, a poco a poco, lo rendono meno guardingo sul suo 'Tesssoro' e fanno sì che quasi se ne dimentichi, permettendo così a Bilbo di trovarlo e di impossessarsene; il motivo di questo fenomeno potrebbe essere anche attribuito all'Anello che cerca di svincolarsi da un limitato 'mal-fattore' (inteso letteralmente: 'facitore del male'), ma resta il fatto che, comunque sia, l'Anello in mano a Gollum ha dovuto rinunciare per lunghi anni al devastante servizio verso il suo vero padrone. Gli anni del possesso per Gollum sono anni di estremo auto-isolamento, che, iniziati con la ricerca di grandi tesori e segreti sepolti sotto le montagne, si trasformano in un tunnel buio di solitudine, in cui esistono solo lui, l'Anello e il cibo con cui si deve nutrire (normalmente carne, di tutto quello che riesce a uccidere o a catturare); in particolare prende l'abitudine di parlare al suo 'Tesssoro' continuamente, in un dialogo schizofrenico in cui identifica spesso l'Anello (il 'Tesssoro') con se stesso. Gollum, in fondo, odia la sua situazione, ma odia ancora di più il mondo esterno e qualsiasi fonte di luce che da esso provenga, e odia anche l'Anello pur desiderando possederlo incondizionatamente.

Dell'incontro con Bilbo ho già parlato estesamente, ancora una volta basta far parlare Gandalf per aggiungere alcune informazioni utili54:

«Ma c'era anche qualcos'altro che tu non riesci bene a capire (n.d.r. Gandalf sta spiegando la storia dell'Anello a Frodo) Gollum non era completamente distrutto: aveva dimostrato di essere molto più robusto di quanto noi Saggi avremmo pensato... proprio come un Hobbit. Un piccolo angolo della sua mente rimaneva ancora intatto, e quel giorno una luce lo attraversò, come una fessura nel buio: luce dal passato. Provò che era piacevole sentire nuovamente una voce gentile, che faceva rivivere in lui il ricordo del vento, degli alberi, del sole sull'erba, e di altre meraviglie dimenticate»

«Ma tutto ciò, naturalmente, non avrebbe che inviperito la parte malvagia della sua anima, a meno che non fosse riuscito a dominarla infine ed a guarirla dall'insania»


Gollum quindi ha ancora la libertà anche se molto limitata oramai equiparabile a quella di chi soffre malattie psichiche non completamente invalidanti.

Sempre Gandalf ci dice che Gollum aveva ancora qualche speranza di abbandonare il male55:

"Ahimè! Ho ben poca speranza che vi riesca. Tuttavia non è un caso disperato, nonostante abbia posseduto l'Anello talmente a lungo da non ricordarsi quasi più di quando se ne è appropriato. Da parecchio tempo ormai lo portava poco: nel buio del suo antro di rado ne aveva bisogno. Certo non si è "sbiadito": pur essendo magro è ancora tenace. Ma l'Anello gli rodeva lo spirito ed il tormento era diventato insopportabile. "Aveva scoperto che tutti i 'grandi segreti' sepolti sotto le montagne non erano altro che vuota notte. Non c'era niente più da trovare, niente più che valesse la pena fare, soltanto furtivi pasti malvagi e ricordi sdegnati. Era un povero diavolo miserabile: odiava l'oscurità ed odiava ancor più la luce, odiava qualsiasi cosa ed innanzi tutto l'Anello".

[...]"Lui lo odiava ed amava, così come odiava ed amava se stesso. Non poteva liberarsene: non aveva più alcuna forza di volontà".


Gandalf dice anche che Gollum era ossessionato dall'uccisione di Deagol, e si era creato un alibi alla quale quasi ormai credeva. Il fatto che sentisse il bisogno di un alibi dimostra che in qualche modo si considerava colpevole di un atto malvagio.

In ogni caso lungo tutto il racconto Gollum non si comporta 'da agnellino', insegue senza sosta la Compagnia dell'Anello riuscendo quasi sempre a non perderne le tracce, pronto a cogliere qualsiasi occasione per spiare, o per fare di peggio, almeno fino alla separazione della Compagnia dell'Anello. Quando è scoperto da Frodo e Sam ad est dell'Anduin dopo i primi momenti concitati fa una promessa solenne di essere fedele al padrone del Tesoro (dell'Anello del Potere), e per un lungo periodo di tempo rispetta incondizionatamente la sua promessa. Le motivazioni del rispetto della promessa sono difficili da capire con chiarezza: paura di chi in quel momento possiede il Tesoro, i resti di un fondo di umanità, qualche rimasuglio di sincera amicizia verso chi per una volta non lo tratta come un mostro infido ed in qualche modo si fida di lui, puro interesse per trovare un momento favorevole per riappropriarsi del Tesoro... ; comunque sia, Gollum per molto tempo sembra fedele a Frodo e Sam, anche in situazioni in cui potrebbe tradirli56:

Si allontanò di qualche passo, quindi si voltò con aria interrogativa, come un cane che invita il proprio padrone a una passeggiata. "Aspetta un attimo, Gollum!", gridò Sam. "Non andare troppo avanti! Io ti starò sempre alle calcagna e ho la corda a portata di mano".

"No, no!", esclamò Gollum. "Sméagol ha promesso".


Una costante del comportamento di Gollum è che quando è leggermente più libero dalla pressione della brama dell'Anello tende ad usare la prima persona singolare e a chiamare se stesso Smeagol, in una sorta di affermazione di autonomia e libertà dal male, quando invece cede all'odio e al desiderio dell'Anello usa il noi accomunandosi con il suo Tesoro, nei momenti critici di scelta poi tende a dialogare con fra sé e sé, in cui delle due parti, la più leale, è Smeagol57:

"Sméagol ha promesso", disse il primo pensiero.

"Sì, sì, tesoro mio", fu la risposta, "abbiamo promesso: di salvare il Tesoro, di non farlo avere a Lui..., mai. E invece sta andando verso di Lui, ogni passo più vicino. Che cosa vuole farne l'Hobbit, chissà, sì, chissà!".

"Non lo so. Non posso far nulla. Il padrone ce l'ha. Sméagol ha promesso di aiutare il padrone".

"Sì, sì, di aiutare il padrone: il padrone del Tesoro. Ma se fossimo noi il padrone, allora potremmo usarlo, sì, e continuare a mantenere la promessa".

"Ma Sméagol ha detto che sarebbe stato molto buono. Caro Hobbit! Ha tolto la corda cattiva dalla gamba di Sméagol. Mi parla gentilmente".

"Molto molto buono, eh, tesoro mio? Siamo buoni allora, buoni come pesci, dolce tesoro, ma con noi stessi. Senza far male al caro Hobbit, naturalmente, no, no".

"Ma il Tesoro mantiene la sua promessa", obiettò la voce di Sméagol.

"Allora prendilo", disse l'altro, "e manterremo noi la promessa!

Saremo noi il padrone, gollum! Fa' che l'altro Hobbit, l'Hobbit cattivo e sospettoso, strisci, sì, gollum!".

"Ma non l'Hobbit gentile e caro?".

"Oh no, se non ci fa piacere. Eppure è un Baggins, tesoro mio, sì, un Baggins. Fu un Baggins a rubarlo. Lo trovò e non disse nulla,nulla. Noi odiamo Baggins".

"No, non questo Baggins".

"Sì, tutti i Baggins. Tutti quelli che hanno il Tesoro. Dobbiamo averlo noi!".


Sam ad un certo punto capisce la situazione di Gollum/Smeagol, si rende conto che la sua fedeltà è legata con un fragilissimo filo, oltre che alla paura, alla buona disposizione di Frodo verso di lui (molto meno a Sam, considerato da Gollum 'cattivo' per la sua durezza e mal fidatezza), e che quel filo si potrebbe spezzare se Gollum capisse che l'obiettivo di Frodo è di distruggere l'Anello; l'opinione di Sam è nettamente pragmatica58:

Ma Sam, ricordando la discussione udita, trovava assai difficile convincersi che il sottomesso Sméagol avesse ripreso il sopravvento: certo, non era stata la sua voce a vincere la disputa. L'idea di Sam era che le due metà, Sméagol e Gollum (che egli fra sé e sé chiamava Servile e Scurrile), avessero stabilito un periodo di tregua e di temporanea alleanza: nessuna delle due desiderava che il Nemico s'impadronisse dell'Anello; ambedue volevano evitare che Frodo fosse fatto prigioniero per tenerlo sotto gli occhi il più a lungo possibile, in ogni caso fino a quando fosse esistita per Scurrile la possibilità di mettere mano sul suo "Tesoro". Che vi fosse davvero un altro ingresso a Mordor, Sam ne dubitava assai.


Il racconto, fino alla decisione definitiva di tradire da parte di Gollum, mostra uno Smeagol ancora più o meno leale con la voglia di mostrare che la sua lealtà è sincera59:

"Sì, andiamo", disse Frodo. "Ma se non sai fare altro che parlar male di chi si è mostrato con te misericordioso, allora sta' zitto!".

"Buon Padrone!", disse Gollum. "Sméagol stava soltanto scherzando. Perdona sempre, lui, sì sì, perdona persino i piccoli inganni del buon Padrone. Oh sì, buon Padrone, buono Sméagol!".


La decisione definitiva si può considerare avere avuto origine nel passo chiave60

Gollum li guardò a lungo. Una strana espressione passò sul suo scarno viso affamato. Il bagliore nei suoi occhi sbiadì, rendendoli opachi e grigi, vecchi e stanchi. Come colto da uno spasimo di dolore si allontanò, scrutando le tenebre in direzione del valico, scuotendo il capo: pareva in preda a una lotta interiore. Poi tornò indietro, e allungando lentamente una mano tremante sfiorò il ginocchio di Frodo; più che un tocco era una carezza. Per un attimo fugace, se uno dei dormienti l'avesse potuto vedere, avrebbe avuto l'impressione di mirare un vecchio Hobbit stanco, logorato dagli anni che lo avevano trascinato assai oltre il suo tempo, lungi dagli amici e dai parenti, dai campi e dai fiumi della giovinezza, ormai nient'altro che un vecchio e pietoso relitto.

Ma bastò quel tocco perché Frodo si muovesse e lanciasse nel sonno un piccolo grido; e Sam fu immediatamente sveglio. La prima cosa che vide fu Gollum... intento, gli sembrò, a "frugare il suo padrone".

"Ehi, tu!", disse rudemente. "Che stai combinando?".

"Niente, niente", disse Gollum sottovoce. "Caro Padrone!".

"Direi!", esclamò Sam. "Ma dove sei stato... con questo tuo andare e tornare sgattaiolando, farabutto?".

Gollum indietreggiò, e sotto le sue palpebre pesanti luccicò un bagliore verde. Pareva quasi un ragno, accovacciato in quel modo sulle gambette curve, coi suoi occhi protuberanti. L'attimo fugace era volato via per sempre.


Questa situazione per chi si lascia prendere dal racconto è commovente; Gollum sembra sfinito dalla tensione dei secoli in cui è vissuto da quando si è appropriato dell'Anello ed ha un momento di quasi pentimento, che, sopravvenendo, avrebbe potuto dare una svolta totalmente diversa agli eventi, ma la reazione di Sam che non ha ancora fatto il passo della pietà che già avevano fatto Gandalf, Aragorn e Frodo, recide definitivamente il filo che avrebbe potuto salvare Smeagol.

Il seguito non è altro che un continuo inseguimento di Gollum a Frodo e Sam nel cuore della Terra di Mordor; Gollum ogni volta che riesce a raggiungere i suoi nemici cerca di assalirli di sorpresa. Il primo tentativo è ai danni di Sam nella Tana di Shelob all'ingresso a Mordor, poi ci saranno i due attacchi finali a Monte Fato, il vulcano in cui Frodo doveva gettare l'Anello per distruggerlo. Il primo attacco si conclude con una resa di Gollum per la reazione di Frodo cui si era avvinghiato per strappargli l'Anello e per il sopraggiungere di Sam. Il secondo attacco è quello finale, Gollum sbatte a terra Sam e si getta su Frodo che è sull'orlo dell'abisso del vulcano e ha appena deciso di non gettare l'Anello nella lava incandescente infilandoselo al dito. Gollum assale Frodo che ora è invisibile, con un morso gli stacca il dito del'Anello e con il dito in mano saltella felice per la riconquista del suo Tesoro, nella sua gioia non vede l'orlo dell'abisso e cade nel vulcano61; si conclude così la storia della Terza Età della Terra di Mezzo, l'Anello ritorna nel fuoco con cui Sauron lo aveva forgiato e viene distrutto, con Esso il potere di Sauron e dei suoi servitori viene dissolto.

Le questioni del male e Gollum

Nella storia di Gollum si può trovare una forma di male abbastanza rozza, nel senso di non sofisticata con piani complicati, con maldicenze oblique o con atteggiamenti volutamente ambigui; c'è in lui un chiaro e inequivocabile desiderio di riappropriarsi del suo Tesoro di cui tutti sono consci; nello stesso tempo si capisce che lo desidera, ma ha anche una quasi annichilente paura dell'Anello in mano ad altri; infine il male, almeno fino alla scena dell'ultimo brano citato, non lo abita in modo assolutamente irrecuperabile, come è per esempio nei Nazgul, negli Orchi o nei Trolls che preferiscono la autodistruzione a qualsiasi cedimento al bene.

Per le questioni sul male si può concludere che nel male che riguarda Gollum/Smeagol, convivono almeno due risposte: il Libero Arbitrio e la Reductio in mysterium; non manca anche qualche relazione con la Creazione come processo in evoluzione, che si può chiamare in causa nella possibilità della redenzione intravista nel punto cruciale citato. Nel caso di un eventuale pentimento, sia Frodo che soprattutto Sam, forse, rischiando di dare ancora più fiducia (a livelli a dire il vero pressoché inattuabili) a Gollum potevano farlo risalire lentamente dal gorgo di perdizione al cui fondo era arrivato e dare il via al processo di ricostruzione della sua personalità.

Il Dualismo è quello intrinseco al mondo creato da Tolkien, Gollum, con l’Anello, ha avuto in mano, quasi, l’essenza del male di Arda capace anche di influenzare le creature di Arda come una forma di energia indipendente dalla psicologia o dalla storia di chi ne è influenzato.


Le caratteristiche del male e Gollum


L'Origine e la Natura del male in Gollum sono dovute con tutta probabilità ad un intreccio tra condizionamenti personali/ambientali e libere scelte egoistiche e misantropiche; con l'Anello condizionamenti e scelte personali si sono poi radicalizzati all'estremo.

Le Azioni del male in Gollum sono proporzionate alla sua razza, le loro malizia e ferocia hanno raggiunto il massimo grado con l'Anello, ma la, seppur debolissima, resistenza alla convinzione di non essere colpevole della morte di Deagol, come osservato da Gandalf e all'abbandono totale al male rintracciabile nei barlumi di riconoscenza di certi suoi atteggiamenti, dimostrano ancora l'esistenza in lui di una lotta tra bene e male, quantunque estremamente sbilanciata verso il male.

L'Utilità del male che compie è allusa da Gandalf, ma tutti i personaggi dalla parte del bene che hanno l'occasione di avere in proprio potere la vita di Gollum sentono pietà per lui e non lo uccidono bastino i due esempi seguenti62:

"Senz'alcun dubbio", disse Frodo. "Ma quel che intende fare è un fatto a parte". Rimase un attimo silenzioso a riflettere. Gollum giaceva immobile e aveva smesso di piagnucolare. Sam lo guardava con cipiglio.

A Frodo parve improvvisamente di udire, distinte ma lontane, voci del passato:

Che peccato che Bilbo non abbia trafitto con la sua spada quella vile ed ignobile creatura quando ne ebbe l'occasione!

Peccato? Ma fu la Pietà a fermargli la mano. Pietà e Misericordia: egli non volle colpire senza necessità.

Non ho nessuna pietà per Gollum. Merita la morte.

Se la merita! E come! Molti tra i vivi meritano la morte. E alcuni che sono morti avrebbero meritato la vita. Sei forse tu in grado di dargliela? E allora non essere troppo generoso nel distribuire la morte nei tuoi giudizi, sappi che nemmeno i più saggi possono vedere tutte le conseguenze.

"Molto bene", rispose ad alta voce abbassando la spada. "Ma ho ancora paura. Eppure, come vedi, non toccherò questo essere. Infatti, ora che lo vedo, mi fa pietà".


"Ora!", disse Sam. "Finalmente posso regolare i conti con te!". Balzò avanti con la spada sguainata, pronto a combattere. Ma Gollum non scattò. Cadde lungo disteso per terra e si mise a piagnucolare.

"Non ucciderci", singhiozzò. "Non farci male con cattivo crudele acciaio! Lasciaci vivere, sì, vivere ancora un po'. Perduti, perduti! Siamo perduti. E quando il Tesoro va via, moriremo, sì, moriremo nella polvere". Graffiò le ceneri del sentiero con le sue lunghe dita scarne. "Sssì, polvere!", sibilò.

La mano di Sam esitò. La sua mente era eccitata dalla collera e dai cattivi ricordi passati. Sarebbe stato giusto uccidere quell'essere infido e cattivo, giusto e più volte meritato; e sembrava anche l'unica cosa sicura da farsi. Ma in fondo al cuore qualcosa lo tratteneva. Non poteva colpire quella cosa distesa nella sabbia, disperata, distrutta, miserevole. Lui stesso aveva portato l'Anello, solo per poco tempo, ma poteva vagamente immaginare l'agonia della mente e del corpo di Gollum, incatenato all'Anello, dominato, incapace di ritrovare nella vita mai più pace o sollievo. Ma Sam non aveva parole per esprimere ciò che sentiva.

"Maledetto essere puzzolente!", disse. "Vattene! Togliti dai piedi! Non mi fido di te, ma vattene. Altrimenti ti farò davvero male, sì, con cattivo crudele acciaio".


Questi e altri atti pietosi verso un essere così malvagio saranno la chiave della sconfitta di Sauron; in ultima analisi, solo perché Gollum era stato risparmiato, l'Anello cadde nel vulcano impedendo a Frodo che il suo cedimento finale segnasse la vittoria definitiva di Sauron. Nello stesso tempo la malizia di cui Gollum era ormai colmo gli fece sferrare il disperato attacco di Sammath Naur e la sua delirante esaltazione per la sconfitta di chi si era impossessato del suo Tesoro lo fece cadere nella lava. Con queste premesse credo si possa senza dubbio parlare di una Utilità del male compiuto da Gollum.

Qualsiasi Scopo del male di Gollum aveva come oggetto l'Anello, questo accadeva quando però ne aveva ancora il possesso; tutti i possibili motivi del male, che prima potevano riguardare i tesori nascosti sotto le montagne, l'odio verso chi lo aveva scacciato ecc, si erano ridotti, all'epoca in cui Bilbo lo privò del suo Tesoro, al nutrirsi a spese di qualsiasi organismo vivente commestibile che gli capitava a tiro.

Il Destino del male in Gollum sarebbe stato una vita indefinitamente lunga del tutto priva di varietà, di rapporti umani, consistente in null'altro che nella continua e corrosiva relazione con il suo Tesoro, fino alla morte o al dissolvimento in qualcosa di inconsistente. Paradigmatica di questa situazione è la descrizione, già citata, che Gandalf fa di Gollum ancora in possesso del suo tesoro: “Non c'era niente più da trovare, niente più che valesse la pena fare, soltanto furtivi pasti malvagi e ricordi sdegnati”. Il destino del male di Gollum senza l'Anello sarebbe potuto consistere per esempio nelle seguenti prospettive:


Gollum è forse il personaggio più tragico di tutto il racconto; si trova al confine tra il bene e il male, ma la sua storia, le sue scelte, gli eventi della sua vita hanno sbilanciato verso il male la sua personalità. La speranza di un recupero si esaurisce solo nella fase finale, nella quale tuttavia egli non è più minimamente padrone di se stesso, i tradimenti e l’assalto finale presentano un bassissimo grado di deliberato consenso e piena avvertenza, condizioni necessarie per il peccato come l’intende la Chiesa Cattolica. Si possono certamente richiamare le azioni più libere commesse durante la sua vita, ma non è possibile indagare più a fondo circostanze ed eventi.


Il problema del male nei componenti della Compagnia dell’Anello (escluso Boromir)

Frodo come Sam si trovano molto più vicino al confine tra bene e male dei loro compagni: Peregrino Tuc e Meriadoc Brandibuck, Aragorn e Gandalf, Legolas e Gimli. In sostanza gli altri membri della Compagnia dell’Anello, a parte Boromir, si trovano ad affrontare difficoltà e rischi come Sam e Frodo, ma il pericolo della loro situazione è legato a battaglie e guerre esterne a loro, o, al più, alle paure che devono vincere. La lealtà e la fiducia degli altri membri della Compagnia in Gandalf, il primo tra loro che ha rifiutato di pensare di usare l’Anello, è tale per cui l’Anello su di essi non ha il potere di attizzare la concupiscenza; non è chiaro se siano puri e buoni di natura o dalla nascita; in qualche modo dalla storia si evince che hanno vinto la tentazione e il desiderio persino di voler guardare l’Anello più da vicino, e questo li salva dal desiderio di usarlo. La vita spesa per difendere i loro popoli nella lealtà li ha resi fortemente propensi al bene, che naturalmente non è un bene pacifista ad oltranza o altruista anche con i nemici. In accordo con l’ambientazione e con il tipo di avversari da affrontare, che sono emanazione diretta del male, il bene non esclude la violenza, anzi, richiede che si debba combattere per la libertà dei popoli liberi dai lacci di Sauron; coloro che rimandano l’entrata in guerra o pensano a qualche forma di accordo con il nemico si dimostrano traditori. Diverso è il caso del dopo-sconfitta: Gandalf offre, prima a Vermilinguo e poi direttamente a Saruman di abbandonare il loro atteggiamento egoistico e sdegnato e di lavorare per il bene, ad esempio curando le ferite della Guerra dell’Anello (Saruman) o anche solo aiutando se stessi cercando di recuperare la propria condizione antecedente alle scelte per il male che li hanno portati negli abissi dell’egoismo, della prepotenza e dell’odio (Saruman e Grima). Per quanto riguarda i popoli umani che si erano alleati a Sauron, si dice solo che, dopo la dissoluzione degli eserciti di servitori di Sauron, continuarono a combattere la Battaglia del Cancello Nero fino alla resa e alla sottomissione ai vincitori. I servitori di Sauron, orchi e trolls, fuggono disperati, convinti di non poter ottenere nessuna pietà dai vincitori; le dirette emanazioni di Sauron, i Nazgul in particolare, si dissolvono nel nulla. Dal destino degli sconfitti si può dedurre che i vincitori hanno pietà dei vinti che la chiedono, ma non la offrono a chi non la vuole chiedere.

Da quanto osservato si può dedurre che una analisi del male nei sei membri coraggiosi difensori del bene e costantemente leali verso la causa della difesa da Sauron (Peregrino Tuc e Meriadoc Brandibuck, Aragorn e Gandalf, Legolas e Gimli), non richiederà molte parole. Un poco più complessa sarà l’analisi del problema in Frodo e Sam.

Gandalf e Aragorn

Gandalf con ammirevole costanza dedica tutte le sue energie per scoprire dove è finito l’Anello del potere, per conoscere, aiutare e stringere amicizia con tutti i popoli liberi della Terra-di-Mezzo, fa errori di valutazione, ad esempio non capendo in tempo le intenzioni di Saruman, o temporeggiando quando dovrebbe agire con più rapidità, ma non fa nulla di malvagio nella sua attività sulla Terra-di-Mezzo ed esercita il massimo rispetto verso tutte le creature non al servizio del male; in particolare si interessa anche dei popoli meno importanti come gli Hobbit che a prima vista non rivestono alcun ruolo strategico o politico. La rottura del bastone di Saruman si capisce essere una necessaria punizione-precauzione nei confronti di un traditore per nulla pentito dei suoi gesti.

Aragorn è un implacabile nemico dei servitori dell’Oscuro Potere, ma si comporta con grande rispetto e altruismo con coloro che gli capita di incontrare.

Abbiamo già osservato che l’uccisione dei nemici dei popoli liberi non può essere considerata un male nell’ottica del romanzo, anche le difficoltà che Aragorn incontra nelle scelte che deve compiere senza Gandalf sono legate all’oggettiva difficoltà della loro natura. L’incontro di Legolas, Gimli e Aragorn con Eomer, dopo il durissimo inseguimento degli Uruk-Hai di Saruman rapitori degli Hobbit Pipino e Merry (Peregrino Tuc e Meriadoc Brandibuck), è un momento di tensione nel quale Aragorn sembra disposto a battersi con i Cavalieri di Rohan, ma la sua presa di posizione è dovuta all’estrema importanza che attribuisce alla salvezza di Pipino e Merry. Alla reggia di Theoden inizialmente si rifiuta di consegnare Anduril, la spada di Isildur, ma Gandalf lo convince a ad accettare l’ordine di Hama della guardia del re di Rohan. A Gondor non intende presentarsi subito come legittimo re a Denethor, anche dopo la morte del Sovrintendente attende che sia finita la Battaglia del Cancello Nero per presentarsi come re di Gondor e lo fa quando tutti i nobili di Gondor lo riconoscono come loro legittimo sovrano.

Men che meno mostra slealtà nel parlamentare con la Bocca di Sauron (il messaggero-ambasciatore di Sauron) davanti al Cancello Nero prima della battaglia decisiva della Guerra63.

Legolas e Gimli

Legolas, l’Elfo del regno di Tharanduil, posto a nord di Bosco Atro, e Gimli della stirpe dei Nani della Montagna Solitaria a mio parere vanno considerati insieme. Il loro iniziale rapporto risente fortemente della tradizionale rivalità tra Elfi e Nani, risalente a secoli addietro, ma col procedere del racconto tra i due si instaura una salda amicizia che, viene fatto intendere, segnerà una nuova epoca dei rapporti tra i due popoli. Gimli si mostra sempre più focoso dell’elfo, ma la sua lealtà e il suo rispetto per gli altri non ha che piccole cadute assolutamente giustificabili: quando ad esempio si rifiuta di essere bendato per entrare a Lorien (la terra elfica di Galadriel e Celeborn) o si dice pronto a combattere con Eomer per difendere la stessa Galadriel dall’accusa di essere una specie di strega. Lo stesso Legolas è pronto a lottare per Aragorn e Gimli contro i Cavalieri di Rohan di Eomer, in ogni caso non succede nulla, e nulla è realmente imputabile neppure all’elfo.

Merry e Pipino

Anche a proposito dei due Hobbit amici e parenti di Frodo non c’è nulla da imputar loro, la loro lealtà verso Frodo, verso la Compagnia e nei confronti degli incarichi che si assumono è indiscutibile. Una nota richiedono l''infedeltà' di Pipino a Denethor, quando questi sta per impazzire e lo giudica una spia di Gandalf, e il non rispetto dell'ordine di Theoden da parte di Merry. In entrambi i casi si tratta di quello che si potrebbe chiamare modello Eomer-Faramir, la legge non deve essere ubbidita ciecamente sempre e comunque, in alcuni casi si deve affermare con gli atti che la legge è per l'uomo e non l'uomo per la legge.

Frodo e Sam

Il male che possono aver compiuto o concepito i due principali attori della distruzione dell’Anello è legato essenzialmente all’Anello del Potere. Infatti, come si è visto, se Sam è stato sempre piuttosto ruvido con l’ex possessore dell’Anello, nel momento cruciale alla fine dell’avventura di Monte Fato anche lui mostra pietà verso quella ‘cosa [ …] disperata, distrutta, miserevole’. Il male di Frodo, si può dire sia direttamente proporzionale all’azione dell’Anello su di lui, come quando Sam lo salva a Cirith Ungol e gli sta consegnando l’Anello64:

"L'hai tu?", balbettò Frodo. "L'hai qui con te? Sam, sei grande!".

Poi improvvisamente il suo tono mutò in modo strano. "Dammelo!", gridò alzandosi e tendendo una mano tremante. "Dammelo immediatamente! Non lo puoi tenere tu!".

"Benissimo, signor Frodo", disse Sam piuttosto sorpreso. "Eccolo!".

Si tolse lentamente di dosso l'Anello, passando sul capo la catena.

"Ma ora siete nella terra di Mordor, signore; e uscendo vedrete la Montagna di Fuoco e tutto il resto. Troverete l'Anello molto pericoloso, adesso, e molto difficile da portare. Se per voi è troppo pesante, forse possiamo darci il cambio".

"No, no!", gridò Frodo strappando Anello e catena dalle mani di Sam. "No, non lo porterai, ladro!". Ansimò, scrutando Sam con occhi sbarrati dalla paura e dall'ostilità. Poi, improvvisamente, stringendo l'Anello nel pugno chiuso, rimase immobile e costernato.


Lo stesso vale per la scena che si svolge sul ciglio del vulcano quando Frodo decide di arrogarsi l’Anello. Ma queste sono situazioni estreme, ove il deliberato consenso e la piena avvertenza, e quindi il Libero Arbitrio, sono gravemente compromessi. Per il resto, nonostante dimostrazioni di antipatia o di mal fidatezza verso Gollum, nulla si può trovare nei comportamenti di Frodo e Sam che possa considerarsi male.

Conclusioni

Per i membri della Compagni dell’Anello, si può solo brevemente mettere in evidenza il ruolo determinante nei loro comportamenti del Libero Arbitrio, hanno già preso decisioni definitive per il bene, e mantengono fede, lungo tutto il dipanarsi delle vicende della Guerra dell’Anello, a quanto è stato deciso nel Consiglio di Elrond a Gran Burrone. La decisione cruciale di Aragorn di inseguire gli Uruk-Hai che hanno rapito Merry e Pipino dopo aver ucciso Boromir, lascia Frodo e Sam in balia dei tremendi pericoli delle terre sotto il dominio di Sauron, ma è assolutamente logica e sensata, dato che il pericolo immediato riguarda gli altri due Hobbit. Il destino di Frodo e Sam, a quel punto, è al di fuori dalla portata di qualsiasi membro della Compagnia dell’Anello.

Il rilievo della teodicea nei comportamenti degli otto personaggi della Compagnia dell’Anello esaminati, è dunque, direi, trascurabile; si può solo sottolineare che l’essere buoni nella Terra-di-Mezzo non vuol dire essere disposti al martirio pur di esercitare un pacifismo ad oltranza, né vuol dire amare i propri nemici come insegna la Bibbia nei punti più valorizzati dal cristianesimo. I motivi di questo modo di trattare del bene e del male da parte di un cattolico convinto come J.R.R. Tolkien si possono riassumere nei seguenti punti:

- il mondo de Il Signore degli Anelli è un mondo pensato come pre-cristiano o meglio antecedente alla rivelazione divina ebraico-cristiana;

- i nemici dei personaggi positivi principali del romanzo sono in prevalenza servitori diretti del male incarnato e perciò, in linea di massima, irredimibili;

- la funzione della tendenza al male in Frodo e Sam è quasi completamente assorbita dall’azione tentatrice dell’Anello;

- l’atteggiamento di mal fidatezza verso Gollum, da parte soprattutto di Sam, non ha i requisiti per essere considerato male;

- i comportamenti dei personaggi, se si vuole, sono improntati ad una crescita nella comprensione reciproca, nella dedizione alla causa del bene (servizio) e nella spiritualità (intesa in senso lato) personale, cioè ad una auto-trascendenza nel senso proposto da Viktor E. Frankl; almeno così attesta Christopher Garbowski nel suo saggio La Terra-di-Mezzo di Tolkien e la spiritualità per il mondo reale comparso alle pagg. 61-72 di Mitopoiesi – Fantasia e Storia in Tolkien, edito nell’aprile 2005, su commissione del Comune di Brescia, da Grafo Edizioni – Brescia.

Concludendo, non è offerta alcuna risposta chiara alle questioni del problema del male negli eventi che riguardano gli otto compagni che sono rimasti costantemente fedeli e leali alla causa del bene. Questo non vale per il contesto in cui i membri della Compagnia dell’Anello devono svolgere i loro compiti e lottare, che è dualistico (Dualismo), come non vale per la rilevanza che ha il Libero Arbitrio, sia per i personaggi della Compagnia dell’Anello, sia per le principali figure del romanzo non appartenenti direttamente all’entourage di Sauron, né appartenenti alla Compagnia dell'Anello: Denethor, Faramir, Theoden, Eomer, Barbalbero, Saruman, Vermilinguo, Galadriel, Elrond, Vecchio Uomo-Salice, Tom Bombadil, Spettro dei Tumuli, Balrog, Shelob.

I personaggi minori de Il Signore degli Anelli


Ho raggruppato in questa categoria personaggi non propriamente secondari, ma di cui ritengo si possa parlare in modo conciso: Eomer, Theoden, Eowyn, Grima Vermilinguo, Barbalbero, Galadriel, Elrond, Vecchio Uomo-Salice, Tom Bombadil, Spettro dei Tumuli, Balrog, Shelob.

Questi personaggi partecipano tutti in modo influente della dinamica bene-male, e in effetti anche loro sono in grado di contribuire in maniera determinante al successo all’insuccesso della causa dei 'buoni'. Barbalbero, con la sua decisione di scendere in guerra contro Saruman, è determinante per la sconfitta degli eserciti di Isengard, Denethor avrebbe potuto impossessarsi dell'Anello se Faramir non avesse lasciato andare Frodo, Sam e Gollum ad Henneth Annûn, Boromir cercando di impossessarsi dell'Anello fece prendere a Frodo la decisione definitiva di andare da solo a Mordor, Theoden, liberato dall'influenza nefasta di Vermilinguo decide di scendere in guerra a fianco di Gondor contro Mordor, Eomer non attacca né cattura Legolas, Gimli e Aragorn quando li incontra dopo la battaglia contro gli Uruk-Hai di Saruman contravvenendo agli ordini, il Vecchio Uomo Salice fa incontrare agli Hobbit Tom Bombadil, lo Spettro dei Tumuli permette agli Hobbit di armarsi in modo piuttosto adeguato, il Balrog sconfitto da Gandalf (quindi è una Utilità acquistata a caro prezzo) permette che Gandalf il Grigio diventi Gandalf il Bianco, Shelob ha garantito l'unica via d'ingresso a Mordor per gli Hobbit ecc.

Di Saruman, Denethor, Faramir e Boromir ho già parlato, rimangono i già ripetutamente citati Eomer, Theoden, Eowyn, Grima Vermilinguo, Barbalbero, Galadriel, Elrond, Vecchio Uomo-Salice, Tom Bombadil, Spettro dei Tumuli, Balrog, Shelob. Brevemente cerco di delinearne i tratti più significativi in relazione con il problema del male.

Eomer

È il Terzo Maresciallo del Mark di Rohan che si occupa della perlustrazione del Mark Orientale. Nell’incontro con Aragorn, Legolas e Gimli si comporta un po’ come Faramir con Frodo e Sam: non rispetta in pieno i comandi di re Theoden, perché assale fuori zona gli Huruk-hai di Saruman e poi lascia andare i tre stranieri dandogli anche due cavalli. La sua lealtà sia verso il suo re che verso il suo paese è indiscutibile, ma fa strappi alle regole militari perché nell’amore per la sua patria capisce che Theoden non è completamente libero nelle scelte politico-militari a causa di un consigliere ambiguo: Vermilinguo.

Il non rispetto delle leggi, tanto più se perpetrato da un militare, è considerato un male. Ma Tolkien mostra, con tutto il dipanarsi della sua storia, che le leggi sono fatte per gli uomini e non gli uomini per le leggi; il mancato rispetto della legge come ho già osservato parlando di Faramir, è un comportamento che, improntato alla lealtà verso istituzioni e cittadini e al buon senso, e compiuto con cognizione di causa, può essere fonte di bene e aiuto indispensabile per risolvere situazioni gravi, drammatiche e pericolose.

Theoden e i Rohirrim

Il re di Rohan è mostrato in due tipi di condizioni completamente differenti, la prima quando è in qualche modo soggiogato da Vermilinguo suo consigliere, ma in realtà spia di Saruman. Vermilinguo era riuscito a lavorare su due fronti: convincere Theoden di essere ormai vecchio e incapace di guidare il regno, e spingere Rohan a trattenersi il più possibile dall’interessarsi a quanto avveniva ad Isengard, la torre fortificata da Saruman per preparare l’attacco a Rohan. L’arrivo di Gandalf il Bianco insieme con Aragorn, Legolas e Gimli, smaschera Vermilinguo e soprattutto risveglia Theoden dall’auto-compatimento e dalla debolezza indotta dal consigliere. Senza l’aiuto di Gandalf, Rohan sarebbe stata perduta, e quasi certamente anche la Guerra dell’Anello. Il male legato alla primitiva condizione di Theoden è difficilmente attribuibile al re di Rohan, mancando ormai in lui la forza per scuotersi dal condizionamento di Vermilinguo, cionondimeno in una tale situazione emerge un aspetto del male che spesso si dimentica, la mancanza di decisione causata dalla auto-commiserazione e dalla incapacità di reagire alle difficoltà dell’età che non di rado accelera l’invecchiamento e trattiene dallo svolgere ancora un ruolo nella vita e nella società.

Il secondo Theoden, quello ‘risvegliato’ da Gandalf, è decisionista e coraggioso, trascina tutto il suo popolo verso le guerre ormai indispensabili e diventa il principale sprone per il suo esercito di cavalieri nella Battaglia di Gondor; la stessa morte del sovrano infonde grande forza e coraggio all’esercito di Rohan che spazza via migliaia di nemici, fino a rischiare di essere a sua volta circondato dall’ancora numerosissimo esercito di Sauron.

L’immagine che emerge di Theoden e del suo popolo è quella di un fiero e coraggioso popolo non molto civilizzato che però fa della lealtà e dell’ardimento le doti indispensabili di uomini e donne, la ferocia non è aliena a queste genti, ma viene esercitata solo verso i nemici giurati che sono servitori di chi vuole sottomettere Rohan, o dipendono direttamente dal male personificato dell’Oscuro Potere.

Le questioni del male hanno poco a che vedere con la figura di Theoden, la sua situazione negativa iniziale dipende prettamente da limitazioni al suo Libero Arbitrio introdotte dal suo infido consigliere65. Le caratteristiche del male, attribuibili solo al primo Theoden, quello manipolato da Vermilinguo, sono: un’Origine nel cedimento troppo affrettato alla naturale tendenza all’invecchiamento, rafforzata da chi gli vuole male, una Natura connessa con il quadro psicologico in cui spesso si viene a trovare chi arriva alla terza età; queste caratteristiche si traducono nella perdita della voglia di lottare, che nel caso di un re guerriero, il cui regno è in grave pericolo, può rivelarsi fatale per lui e per il suo popolo. Un quadro psicologico come quello di Theoden, sarebbe stato senza dubbio utile solo alla causa del male; proprio per questo era indispensabile che Gandalf intervenisse per scuotere il re di Rohan dalla sua dipendenza dal consigliere ingannatore. Lo Scopo del male di cui Theoden è responsabile, anche se in minima parte, è il quieto vivere che cela in effetti un modo di colpevolizzare il destino o, in fondo, il Creatore, per la condizione della vecchiaia cui l’uomo è ineluttabilmente destinato. Un comportamento come quello del primo Theoden non avrebbe avuto altro effetto che la sconfitta, la decadenza e la sottomissione a Saruman o a Sauron di tutto il suo popolo e della sua casata.

Eowyn

Anche la figlia di Theoden presenta due, forse anche tre, diverse condizioni nel romanzo. Prima del ‘risveglio’ di Theoden è una donna fiera e forte che però è costretta a vivere da umile donna al servizio di un vecchio convinto di essere ormai alla fine dei suoi giorni, la sua regalità è del tutto negletta e la sua sofferenza è profonda. Dopo il risveglio di Theoden la sua fierezza riemerge, ma è ancora doppiamente angustiata perché vogliono lasciarla a Rohan mentre l’esercito va a combattere a Gondor, e perché si sente rifiutata da Aragorn cui vorrebbe dare il suo cuore; la sua angustia si potrebbe considerare un misto di ribellione verso il prossimo che le impedisce di realizzare la sua vocazione di principessa guerriera, e verso se stessa, perché incapace di fare breccia nel cuore dell’uomo che incarna tutto il suo ideale di regalità e forza: Aragorn. Questa condizione la spinge a reagire disattendendo gli ordini di Theoden, che la mette a capo del popolo dei Rohirrim durante la sua assenza per la guerra a fianco di Gondor. Eowyn così, sotto le mentite spoglie del guerriero Dernhelm, si avvia alla guerra e porta addirittura con sé, nascondendolo, Merry che pure aveva ricevuto ordine di rimanere a Rohan, ma che si sentiva inutile e, forse, sottovalutato, proprio come Eowyn. L’amarezza di Eowyn e Merry li spinge a partecipare alla tremenda Battaglia di Gondor, proprio in quella battaglia diventano lo strumento decisivo per la morte del terribile Signore dei Nazgul, Merry colpisce al ginocchio, da dietro, il terribile spettro dell’Anello ed Eowyn lo uccide infilzandogli la spada nella testa; entrambi subiscono gravissime conseguenze dal loro attacco allo spettro; ma, mentre Merry si riesce a riprendere con le cure di Aragorn, re e guaritore, Eowyn non ci riesce perché le è rimasta una delle cause della sua profonda angustia la sua attrazione non corrisposta per Aragorn. Faramir con le sua penetranti ed amorevoli attenzioni per Eowyn riuscirà infine a guarirla e la sposerà66.

Il male che si può vedere nella storia di Eowyn ha due facce: quella del mancato riconoscimento da parte degli altri delle proprie doti e quella del desiderio di possedere quello che non si può avere, non nel senso di possesso di oggetti o potere, ma dell’amore di un’altra persona. La prima esigenza è comprensibile, e Tolkien mostra che, se si reagisce ad essa impegnandosi in una causa giusta e senza desiderare di emergere per prevalere, ma per mostrare il proprio valore di cui si è consci aiutando il prossimo, non se ne può trarre che beneficio, se non per sé, almeno per gli altri. La seconda esigenza ha connotati più egoistici: si desidera qualcuno per acquisirne, in un certo senso, le doti e per possederlo e non si prende in considerazione la libertà di quella persona e le sue scelte. Lo sconforto che nasce dal secondo atteggiamento è, a mio parere, secondo Tolkien, molto più pericoloso dell’ostinazione che nasce dal primo atteggiamento; infatti l’atto veramente eroico dell’uccisione del Signore dei Nazgul, pericoloso anche dopo essere stato compiuto (per via della maledizione che grava su chi uccide il più potente Spettro dell’Anello), in Eowyn fa sentire le sue conseguenze più nefaste a causa del desiderio un po’ egoistico ed irrealizzabile di avere l’amore di Aragorn. Due prove di ciò si possono trovare nel fatto che, quando Eowyn accetta l’offerta di amore di Faramir, comincia a guarire, e che Merry, Hobbit e per sua natura particolarmente spensierato, si riprende molto più velocemente della figlia di Theoden.

I problemi del male in Eowyn sono per lo più connessi al Dualismo, concretizzato nella maledizione cui chiunque uccide un Nazgul viene sottoposto, e al Libero Arbitrio con cui la persona tende ad assecondare le proprie tendenze egoistiche. La Sofferenza come Pena per il Peccato compare nella sua natura di auto-punizione che si infligge chi non riesce a vincere il proprio egoismo.

L’Origine del male in Eowyn ha a che vedere con la sua storia di persona molto dotata, ma impossibilitata, per motivi anche non dipendenti dalla sua volontà, a mettere a frutto le proprie doti, come pure con il desiderio, citato più volte, di possedere l’amore di un’altra persona. La Natura del male ha a che vedere con l’intreccio, spesso confuso, di sentimenti egoistici, di amor proprio, di sincero amore e di orgoglio, che ci avviluppano riducendo le occasioni di scegliere liberamente il bene. Le Azioni del male, se così si possono chiamare, sono dirette in prevalenza verso se stessa, il suo voler prendere a tutti costi parte alla battaglia assomiglia un po’ ad un tentativo di suicidio, volto a punire chi non la prende in considerazione per le sue doti e per il suo amore, e nello stesso tempo a cercare, nell’autodistruzione per una giusta causa, l’unico modo per realizzarsi o auto-trascendersi, per usare il vocabolario di V. E. Frankl. L’Utilità di un male così configurato assume valore positivo in quanto viene compiuto nella devozione alla causa del bene, con grande coraggio e in favore di chi lotta contro il male personificato. Senza i requisiti appena elencati, si può presumere che il comportamento di Eowyn avrebbe probabilmente portato ad una morte infruttuosa della discendente del re, alla sconfitta della Battaglia di Gondor e alla invasione delle terre di Rohan ormai sguarnite e senza capi. Il Destino del male che albergava nelle pieghe dei sentimenti della Dama di Rohan (come la chiamano Aragorn e Faramir) poteva addirittura essere l’ago della bilancia in negativo della Guerra dell’Anello, se non fosse stato intrecciato con il coraggio, la determinazione e il profondo amore verso suo padre; d’altro canto un male sarebbe potuto essere anche l’ubbidienza al comando di Theoden di rimanere a Rohan per guidare i Rohirrim che non potevano andare in guerra.

Concludendo, Eowyn rappresenta una figura con accenti fortemente tragici e sentimentali nel romanzo di Tolkien, in essa risiedono gli aspetti del male che si confondono con i sentimenti più veri e profondi della persona e la sua presenza come personaggio ne Il Signore degli Anelli contraddice apertamente chi ritiene l’opera di Tolkien priva di risvolti psicologici e sentimentali e tendenzialmente misogina.


Grima Vermilinguo

Su questo personaggio non c’è molto da dire, non ha compiuto azioni determinanti per lo svolgimento della Guerra dell’Anello, ma anche la sua figura presenta qualche risvolto interessante.

Delle sue origini nulla si dice; viene presentato quasi subito come servitore di Saruman e spia al suo servizio nella reggia di Theoden, quasi subito è smascherato e fugge. Nella sua prima fuga spera ancora di condividere la vittoria di Saruman; nella sua seconda comparsa e in tutte le successive, invece, ha già cognizione della sconfitta del suo padrone e ha più volte l’occasione di andarsene e di essere libero, ma non trova mai il coraggio di lasciare Saruman, basti come esempio l’incontro di Grima con Gandalf, Frodo Galadriel, Merry e Pipino quando stanno ritornando a Gran Burrone dopo la fine dei festeggiamenti della vittoria della Guerra67:

"Alzati, idiota!", urlò all'altro mendicante, che si era seduto per terra; e lo colpì con il suo bastone. "Voltati! Se questa bella gente sta andando nella stessa direzione, vuol dire che noi cambieremo strada. Alzati, o non ti darò croste per la cena!".

Il mendicante si voltò e avanzò curvo e gemente: "Povero vecchio Grìma! Povero vecchio Grìma! Sempre frustate e maledizioni. Come lo odio! Se soltanto potessi lasciarlo!".

"Lascialo dunque!", disse Gandalf.

Ma Vermilinguo lanciò con i suoi occhi sbiaditi uno sguardo pieno di terrore a Gandalf, e si affrettò a seguire Saruman. I due esseri miserevoli passarono improvvisamente accanto agli Hobbit: Saruman si fermò e li guardò con astio. Ma gli Hobbit lo osservarono pieni di pietà.


L’unica liberazione che Grima avrà sarà quella dalla propria, ormai miserrima, vita, quando, nella Contea, da cui lui e il suo padrone stanno per essere cacciati, al colmo della sopportazione delle angherie di Saruman, lo uccide, e viene a sua volta ucciso dalle frecce Hobbit.

Il problema del male in Grima Vermilinguo è difficile da trattare per la mancanza di informazioni sulla sua vita, si può presumere che, inizialmente, abbia volontariamente seguito Saruman per accrescere il proprio potere; ma, per come lo vediamo nel romanzo, sembra che ormai sia in qualche modo legato a doppio filo alla volontà di Saruman. Saruman stesso dice di odiarlo, ma né lui né Vermilinguo riescono a separarsi anche nella condizione più avvilente, al culmine del disprezzo vicendevole ed esortati a farlo dai loro vincitori; l’unica separazione si ha con l’uccisione di Saruman da parte di Grima. Nel destino di Grima si possono intravedere un certo peso del Libero arbitrio, una certa dose di mistero nel rapporto di legame/odio tra lui e Saruman: nel romanzo non si dice nulla in proposito, ma sembra si voglia far intendere che ci sia qualcosa di raccapricciante e innominabile nella storia di Vermilinguo68:


"Vermilinguo!", gridò Frodo. "Non sei obbligato a seguirlo. Non so di alcun male che tu mi abbia fatto. Troverai qui riparo e cibo, finché sarai più forte e potrai andartene per i fatti tuoi".

Vermilinguo si fermò e si volse a guardarlo, già tentato a restare. Saruman si voltò. "Nessun male?", ghignò. "Oh no! Anche quando striscia fuori di notte è soltanto per guardare le stelle. Ma non ho forse udito qualcuno chiedere dove si nasconde il povero Lotho? Tu lo sai, vero, Verme? Perché non glielo dici?".

Vermilinguo si accasciò e gemette: "No, no!".

"Allora lo dirò io", disse Saruman. "Verme ha ucciso il vostro Capo, povero piccolo, il vostro caro Capo. Non è vero, Vermilinguo? Credo che l'abbia pugnalato nel sonno. Spero che l'abbia seppellito, benché Verme sia stato molto affamato di recente. No, Verme non è proprio carino. E' meglio che lo lasciate a me".

Uno sguardo di odio selvaggio apparve negli occhi rossi di Vermilinguo. "Tu mi hai detto di farlo; tu mi hai costretto a farlo", sibilò.

Saruman rise. "Tu fai quello che dice Sharkey, vero, Verme? Ebbene ora ti dice: seguimi!". Gli sferrò un calcio in pieno viso e Vermilinguo si voltò e lo seguì. Ma improvvisamente qualcosa scattò in lui; si rizzò a un tratto, estraendo un pugnale nascosto e ringhiando come un cane saltò sulla schiena di Saruman, gli tirò indietro la testa, gli tagliò la gola e corse giù per il viale con un grido. Prima che Frodo potesse riprendersi e pronunciare una parola, tre frecce hobbit sibilarono e Vermilinguo cadde morto.


Si può evidenziare in Grima la Sofferenza come Pena per il Peccato nella sua dimensione di auto-condanna; invece è abbastanza misteriosa (Reductio in mysterium) la ribadita ostinazione nel rifiutare la misericordia di chi lo ha sconfitto che gli fa chiudere la porta a qualsivoglia ipotesi di cambiare strada e cercare di rigettare il male compiuto. Grima, dunque, rinuncia alle occasioni che gli darebbe il desiderio di cambiare vita. Questa ultima condizione di Vermilinguo si può configurare anche come il mancato innesco di meccanismi correlabili alla risposta alla teodicea della Creazione come Processo in Evoluzione.

Le caratteristiche del male presentano questa configurazione: l’Origine del male non è data per certa, ma può ricercarsi nel desiderio di potere, di ricchezza e, forse in un secondo momento, di possedere Eowyn. La Natura del male è in diretta relazione con il profondo egoismo umano e il desiderio di soddisfarlo con tutti i mezzi disponibili senza alcun rispetto per gli altri, anche la distruzione della personalità di un uomo anziano e la rovina di un popolo sono viste come mezzi leciti ed efficaci per raggiungere i propri Scopi. Le Azioni che compie vanno dal tradimento, allo spionaggio, alla menzogna e non escludono l’omicidio. L’Utilità del male di Vermilinguo si limita al fatto che Grima toglie dal mondo il peggior traditore della causa del bene, Saruman, ricevendo su di sé la maledizione che a quanto pare lo stregone prometteva a chi lo avrebbe ucciso. Gli Scopi sono i classici Scopi dei malvagi di tutti i tempi: avere potere, ricchezza e arrivare anche ad impossessarsi della volontà delle persone per disporne come meglio si crede; non sono cose diverse da quelle volute da Sauron e da Saruman che però agiscono su scala molto più ampia. Il Destino del male compiuto è una condizione miserevole e disgraziata che forse potrebbe essere stata redenta, se solo Grima avesse avuto il coraggio, anche una volta sola, di dire sì alle offerte di pietà che gli vennero fatte a più riprese.

Barbalbero e gli Ent

Ho riunito Barbalbero e gli Ent perché come capo della Foresta di Fangorn, Barbalbero rappresenta tutti gli Ent ivi dimoranti. Barbalbero tuttavia prende decisioni in modo democratico, indice una Entaconsulta, ove viene presa la decisione definitiva di entrare in guerra contro Isengard. La sua iniziale posizione politica è di non intervento, anche nel suo caso mantenere questa politica averebbe significato la probabile sconfitta dei Popoli Liberi. La sua iniziale neutralità viene spiegata da Barbalbero con il fatto che nessuno è mai stato dalla sua parte, ma le notizie portate da Merry e Pipino cambiano le cose e gli fanno prendere la decisione di indire l’assemblea degli Ent.

La ferocia silenziosa di Ent (veri uomini-albero) ed Ucorni (alberi capaci di muoversi e combattere, ma al servizio degli Ent e pieni di odio per tutto ciò che cammina che non sia un Ent) e il terribile rumore del loro marciare, cantare e distruggere le infrastrutture di Isengard, sono tratti caratteristici degli Uomini-Albero. Il loro rispetto va in pratica solo a Gandalf e la loro decisione di scendere in guerra la prendono per due motivi: perché gli Orchetti hanno distrutto molti boschi ed Ent di Fangorn e appunto per fiducia nei confronti di Gandalf 69:

"Stanno succedendo parecchie cose", disse Merry; "e anche se tentassimo di fare in fretta ci vorrebbe molto tempo per narrarle. Ma tu ci raccomandi di non essere frettolosi. Non è ancora troppo presto per raccontarti qualcosa? Ci troveresti maleducati se ti chiedessimo che cos'hai intenzione di fare di noi, e da che parte stai? E se conoscevi Gandalf?".

"Sì, lo conosco: l'unico stregone che ami veramente gli alberi", rispose Barbalbero. "Non intendo far nulla di voi, se ciò significa "fare qualcosa a voi", senza il vostro permesso. Potremmo fare qualcosa insieme. E di parti non so niente. Io vado per la mia strada; ma la vostra potrebbe fiancheggiare la mia per un certo tempo. Ma parlate di Messere Gandalf come se appartenesse a una storia ormai conclusa".

"Isengard! Anche se sei protetto da un maledetto, da monti e da ponti, noi faremo i conti!/ Isengard! Anche se sei forte e violento, freddo come vento, duro e cruento, è giunto il momento / E' giunta la guerra e trema la terra, sfonderem la pietra e la porta tetra! / Bruciano il tronco ed il ramo, e noi andiamo, e noi marciamo / Con passo più duro di sasso, più greve di masso, con tono cavernoso e basso. / A Isengard portiamo sconquasso e fracasso, / Sterminio e distruzione, scompiglio e perdizione!".

E così cantando marciarono verso sud.


Dopo la decisione di partire per attaccare Saruman, gli Ent sono del tutto dalla parte dei Popoli Liberi e non credo si possa parlare di malvagità nei loro comportamenti.


Galadriel


La Dama del Bosco d’Oro è una dama elfica di grande potere e la sua storia risale addirittura ai primi anni di permanenza a Valinor degli Elfi. Si è già detto del suo comportamento ne Il Silmarillion: fu tra i Noldor che vollero lasciare Valinor, e il suo scopo era di crearsi un regno tutto suo nella Terra-di-mezzo. Ne Il Signore degli Anelli è in tutto e per tutto al servizio della causa dei Popoli Liberi, l’unico atto che la riguarda, degno di attenzione per le questioni di teodicea, è il momento in cui, a Lorien, nel suo reame, Frodo sarebbe disposto a darle l’Anello del Potere70:

"Sei saggia, ed intrepida, e bella, Dama Galadriel", disse Frodo. "Io ti darò l'Unico Anello, se me lo domandi. E' una faccenda di gran lunga troppo importante per essere affidata a me".

Galadriel rise, d'un riso improvviso e limpido. "Saggia è forse Dama Galadriel", disse, "ma qui ha trovato un suo pari in fatto di cortesia. Ti vendichi gentilmente di quando misi alla prova il tuo cuore, il giorno del nostro primo incontro. Incominci a vedere con occhio penetrante. Non nego che il mio cuore ha a lungo desiderato chiederti quel che ora mi offri. Per molti e molti anni ho ponderato ciò che avrei fatto se il Grande Anello fosse venuto nelle mie mani, e meraviglia! esso si trova ora a portata di mano. Il male creato tanto tempo addietro avanza in mille modi, sia che Sauron resista, sia ch'egli crolli. Non sarebbe forse stata una nobile impresa da accreditare a codesto Anello, se l'avessi tolto al mio ospite con la forza o col timore?"

"Ed ora infine giunge a me. Tu mi daresti l'Anello di tua iniziativa! Al posto dell'Oscuro Signore vuoi mettere una Regina. Ed io non sarò oscura, ma bella e terribile come la Mattina e la Notte! Splendida come il Mare ed il Sole e la Neve sulla Montagna! Temuta come i Fulmini e la Tempesta! Più forte delle fondamenta della terra. Tutti mi ameranno, disperandosi!".

Levò in alto una mano, e l'anello che portava irradiò una gran luce che illuminava solo lei, lasciando tutto il resto al buio. In piedi innanzi a Frodo pareva adesso immensamente alta, e il fascino della sua bellezza era insostenibile. Ma poi lasciò ricadere il braccio, e la luce scomparve, e improvvisamente rise, e si rimpicciolì: tornò ad essere un'esile donna elfica, vestita di semplice bianco, dalla dolce voce morbida e triste.

"Ho superato la prova", disse. "Perderò i miei poteri, e me ne andrò all'Ovest, e rimarrò Galadriel".


In questo dialogo è racchiusa tutta la drammaticità e la pericolosità della situazione in cui Galadriel e Frodo stesso si vengono a trovare. Frodo rischia di perdere l’Anello e di diventare un inutile essere negletto. Galadriel rischia ancora di più: può assumere il potere del Grande Anello e iniziare la sua lotta, forse anche molto lunga, ma sicuramente perdente, con il potere corrompente dell’oggetto creato da Sauron, e infine divenire, per ben che vada, una degna sostituta dell’Oscuro Potere che ‘Tutti ameranno, disperandosi’.

Nella decisione di rinunciare all’Anello è racchiusa la stessa storia plurimillenaria di Galadriel: da simpatizzante di Fëanor e del suo desiderio di indipendenza dai Valar e di vendetta verso Morgoth, a saggia e potente regina elfica coinvolta in prima persona in tutte le vicende più importanti della storia della Terra-di-mezzo e nella lotta svolta dal Bianco Consiglio contro Sauron. Le ultime parole del dialogo riportato sono dense di significato: "Ho superato la prova", disse. "Perderò i miei poteri, e me ne andrò all'Ovest, e rimarrò Galadriel". Si cita la prova della tentazione, c’è l’affermazione netta di rinuncia al potere che rende impotente l’Anello nei confronti di Galadriel, c’è la consapevolezza che rinunciare al potere vuol dire rimanere se stessi.

È come se secoli di lotte interiori, di decisioni difficili, di guerre sanguinose, di tentazioni di affermare la volontà di dominio, si siano condensate in quel momento decisivo: Galadriel rinuncia allo strapotere della magia nera incarnata da Sauron e accetta un destino che la porterà lontano dalla sua patria e dalla storia della Terra, la priverà delle grandi capacità che l’hanno accompagnata e che ella ha affinato durante tutta la sua vita, ed infine la priverà anche del potere sanante e preservante dalla corruzione del tempo dell’Anello elfico Nenya71 creato da Celebrimbor.

Per il resto, il ruolo di Galadriel ne Il Signore degli Anelli è del tutto positivo e i doni che fa ai singoli componenti della Compagnia dell’Anello si rivelano determinanti per la riuscita della Guerra dell’Anello e di tutti i compiti dei rappresentanti del bene.

Dei problemi teoretici di teodicea si possono richiamare, a proposito di Galadriel, il Libero arbitrio che la Dama del Bosco sembra esercitare in modo pieno, e la Creazione come processo in Evoluzione, ma solo se si fa mente locale alla storia di Galadriel narrata ne Il Silmarillion. Da questa storia si può dedurre una crescita nella sua percezione del male. Nei tempi antichi quando era ancora giovane e orgogliosa voleva essere indipendente ed avere un proprio regno nella Terra-di-mezzo, per cui abbandonò le Terre Imperiture abitate dai Valar e dagli Elfi Chiari; ora ha il coraggio di compiere il sacrificio forse più grave che le potrebbe essere richiesto: abbandonare tutto quello che ha costruito, la sua casa più cara, la terra che ha curato e conservato con così grande amore, per ritornare nelle Terre Imperiture di Valinor, Terre che non le appartengono e che dovrà condividere con chi è lì da più tempo di lei, in cui forse si sentirà sempre in qualche modo ospite e non padrona. In quest’ottica si può forse anche collocare un richiamo alla Sofferenza come Pena per il Peccato nella sua forma ormai più nota di auto-punizione: Galadriel ha infatti assaporato cosa significa essere padrona di un luogo e abbellirlo conservandone e migliorandone le caratteristiche per il proprio diletto e per il diletto del suo consorte e dai suoi sudditi, e ora sa che, rinunciando all’Anello del Potere, rinuncia anche a tutto quanto ha costruito e al luogo che è stato la sua amata dimora per secoli.

Parlare delle caratteristiche del male non ha significato, in quanto, come per gli altri campioni della difesa dei Popoli Liberi e della Terra-di-mezzo, nel romanzo non emerge alcun tipo di Azione o comportamento malvagio di cui sia responsabile.

Elrond e il destino degli Elfi

La sua figura è totalmente positiva, si può forse attribuirgli una certa freddezza, ma è spiegabile con la sua storia e le sue esperienze dure di lotta continua con l’Oscuro Potere; fu a fianco di Gil-Galad, Elendil, Isildur nel terribile assedio di Barad-Dur, in cui Isildur, con una scheggia della spada Narsil (che, una volta riforgiata e presa in consegna da Aragorn, fu chiamata Andúril), tagliò il dito dell’Anello di Sauron abbattendone il potere. Era figlio di Earendil ed Elwing, e quindi discendente di Beren e Luthien, dunque aveva sangue degli Uomini, degli Elfi e addirittura della Maia Melian che fu sposa di Elu Thingol.

La sua storia comincia con la scelta del destino degli Elfi a differenza di suo fratello Elros che scelse di morire come uomo e fu il primo re di Numenor e progenitore dei re di Gondor e di Arnor quindi anche di Aragorn. In tutta la storia della Terra-di-mezzo non si narra di alcun male che abbia compiuto; anche all’epoca della Guerra dell’Anello è totalmente dalla parte del bene; gli si può rimproverare solo un eccesso di fiducia in Saruman.

Per quanto riguarda i rapporti con Arwen sua figlia e promessa sposa di Aragorn, si può cogliere dalle appendici de Il Signore degli Anelli una sua certa contrarietà all’amore tra Arwen e Aragorn72:

"Quando Elrond apprese la scelta della figlia rimase silenzioso, benché il suo cuore soffrisse e trovasse il dolore a lungo temuto assai difficile a sopportare. Ma quando Aragorn tornò a Gran Burrone egli lo chiamò a sé e gli disse: ""Figlio mio, verranno degli anni durante i quali ogni speranza svanirà, e ciò che seguirà non mi è chiaro. E ora un'ombra ci separa. Forse è stato deciso così, che il regno degli Uomini possa venire restaurato soltanto se io me ne andrò. E poiché ti amo come un figlio ti dico: Arwen Undòmiel non diminuirà lo splendore della sua vita per un motivo futile. Ella non sarà la sposa di alcun Uomo, a meno che questi non sia al tempo stesso Re di Gondor e di Arnor. Anche in tal caso la nostra vittoria non potrà recare a me altro che dolore e una triste separazione... ma a te e a lei la speranza di qualche tempo di gioia. Ahimè, figlio mio! Temo che il Fato degli Uomini sembrerà ad Arwen arduo da affrontare, alla fine".


Tuttavia Elrond capisce che, in fondo, la vita è di sua figlia e il destino che ella sceglie non può essere cambiato. Proprio come Galadriel, inoltre, Elrond ha un destino che lo accomuna a tutti gli Elfi rimasti al di qua del Mare: entro poco tempo deve lasciare la Terra-di-mezzo. È cominciata infatti una nuova epoca, chiamata Quarta Era del Sole, l’epoca del dominio degli Uomini, in cui Elfi e Nani, e forse anche molte altre creature, devono scomparire o lasciare la Terra alla razza degli Uomini. Alfine è giunto il momento in cui si concretizza uno dei doni principali di Ilúvatar agli Uomini (Atani)73:


[...]*Agli Atani però intendo concedere un nuovo dono». Volle dunque che i cuori degli uomini indagassero di là dal mondo, e in questo mai trovassero pace; ma che avessero la facoltà di plasmare la propria vita , tra le potenze e casi del mondo, oltre la Musica degli Ainur, la quale è come un destino per tutte le altre creature; e per opera loro ogni cosa sarebbe stata, in forma e azione, compiuta, e il mondo definitivo sino all'ultima e alla più minuscola di tutte.


Elrond, dunque, come Galadriel, è il paradigma del destino che attende ogni Elfo ancora vivente sulla Terra-di-mezzo: rinunciare all’immenso amore per la Terra immersa nel flusso del tempo e dello spazio di cui sono stati i primi e più capaci custodi e perfezionatori per abbandonarlo nella mani di una razza e di popoli74

che:


[…] collocati tra i tumulti delle potenze del mondo, sovente si sarebbero sviati, e non si sarebbero avvalsi in armonia dei loro doni; […]


che si dimostrarono già:


un cruccio per Manwë, che conosce gran parte della mente di Ilùvatar;


che sembra:


si somiglino a Melkor più di tutti gli Ainur, benché egli sempre li abbia temuti e odiati, persino quelli che lo hanno servito.


In questa prospettiva si scopre, alla fine delle vicende di tutto il Corpus leggendario tolkieniano, che gli Elfi75, pur avendo doni mirabili, pur avendo portato nel mondo le bellezze più grandi, pur avendo amato il mondo più di qualsiasi altra creatura di Ilúvatar, pur essendo dotati della prerogativa di non morire per vecchiaia o malattia, non possono far altro che lasciare tutto ciò, che hanno amato e contribuito a costruire, a chi è arrivato dopo di loro, è molto più debole, sembra meno efficiente, industrioso e ingegnoso, è molto meno rispettoso e amorevole verso il creato e infine abbandonerà e dimenticherà, prima o poi, tutti i contributi portati al creato, di chi l’ha preceduto.

Il male di cui gli Elfi sono vittime è probabilmente peggiore della morte, evento drammatico che ogni Uomo prima o poi deve affrontare. La morte è la fine definitiva della vita nello spazio e nel tempo, ma permette all’Uomo di accogliere qualche forma di speranza in qualcosa che è ignoto, è mistero, va oltre qualsiasi destino immaginabile. La vita elfica continua indefinitamente in una sorta di sospensione della corruzione, ma anche del tempo, in uno spazio che non evolve; la vita piena di ricordi che non si potranno mai più rivivere, di mirabili opere compiute e di luoghi amati e curati con passione, di rapporti di profondo amore e rispetto o anche di dolorosi avvenimenti e di amari pentimenti. La vita che attende gli Elfi al di là del Mare e al di fuori del Mondo in cui sono vissuti per innumerevoli anni, è forse proprio più spaventosa e triste76, della semplice morte che attende gli Uomini con la quale finisce tutto e, per chi crede, ed in particolare è cristiano (come era Tolkien), è l’inizio di qualcosa di assolutamente nuovo al di fuori dalle cerchie del mondo, ma esente dalle contraddizioni e ambiguità spazio/non spazio tempo/non tempo, che ci hanno insegnato la logica e l’esperienza.

Vecchio Uomo Salice e Vecchia Foresta

A parte i Cavalieri Neri / Nazgul, è il primo nemico pericoloso che i quattro Hobbit, appena usciti dalla Contea, incontrano. Il nemico inizialmente sembra la Vecchia Foresta, ma quando gli Hobbit arrivano al fiume Sinuosalice si comprende che in qualche modo tutta la Foresta è dominata da un solo antichissimo albero che vive sulle rive del fiume. I sentieri ingannatori che devono seguire i quattro Hobbit portano direttamente ad un punto specifico della sponda del Sinuosalice, ove si trova un grande salice, una sonnolenza strana colpisce i quattro Hobbit. Merry e Pipino addormentatisi appoggiati all'albero, ne vengono risucchiati, Frodo a cavallo di una radice viene gettato nel fiume e quasi fatto affogare. Rimane relativamente al sicuro Sam che salva Frodo. Sam e Frodo tentano con il fuoco di far liberare Merry e Pipino, ma sono avvertiti da Merry che, se non spengono il fuoco, il Vecchio albero li stritolerà. Chiedendo disperatamente aiuto, Frodo richiama l'attenzione di uno strano individuo, Tom Bombadil, che obbliga Vecchio Uomo Salice a liberare gli Hobbit.

Tutto porta a pensare che il Vecchio Uomo Salice sia il responsabile della deviazione degli Hobbit verso il Sinuosalice, ma non c'è dubbio che la Vecchia Foresta stessa odi i bipedi, in special modo le creature che possono brandire asce o accendere fuochi.

Il male della Vecchia Foresta sembra essere legato al rancore dei vegetali verso chi li ha spodestati dal loro predominio su quelle terre. Da quanto raccontano Barbalbero, ma anche gli Elfi e Gandalf, la natura dei vegetali della Vecchia Foresta è probabilmente simile a quella dei luoghi più pericolosi di Fangorn, la foresta dagli Ent che lo stesso Barbalbero dice di non controllare del tutto.

Per quanto riguarda le questioni della teodicea, la malevolenza degli alberi e l'aggressione vera e propria da parte del Vecchio Uomo Salice sembrano avere i connotati di una certa libertà di scelta, anche basandosi su quanto dice Barbalbero dei luoghi più oscuri di Fangorn, lo stesso Tom Bombadil parla con il Vecchio Uomo Salice dicendo: “ "Lasciali uscire immediatamente, Vecchio Uomo Salice!", disse. "Che ti salta in testa? Non dovresti essere sveglio. Mangia la terra! Scava profondo! Sorseggia l'acqua! Dormi subito! Bombadil te lo ordina!”. Ma è soprattutto il ricatto che lo stesso Vecchio Uomo Salice fa attraverso la mente di Merry che ne dimostra l'esistenza cosciente e capace di decisioni in qualche modo libere:


"Spegnetelo! Spegnetelo!", urlò Merry. "Mi stritola e mi taglia in due, sennò. Me l'ha detto lui!".


Può porsi la questione se il Vecchio Uomo Salice sia o no alleato del male rappresentato da Sauron, ma per le informazioni rintracciabili ne Il Signore degli Anelli, sembra che la Vecchia Foresta nel suo complesso sia una entità autonoma che desidera vendicarsi di qualsiasi creatura bipede pericolosa dal suo punto di vista o, per lo meno, sopravvivere come ultimo baluardo all'onnipresente esistenza delle creature bipedi. Un vero e proprio mistero nel male compiuto dalla foresta non mi pare possa essere proposto (Reductio in mysterium); lo stesso vale per la Privatio boni, se non intesa come rinuncia ad una coesistenza pacifica con le altre categorie di organismi ormai considerata compromessa da vicende storiche; ma questa è una rinuncia ad un bene possibile, non una carenza originaria di qualche grado di bontà. Nulla a che vedere con la Creazione come processo in evoluzione, addirittura si potrebbe invocare una ipotetica tendenza alla Creazione come processo in involuzione. Il Libero Arbitrio certamente si può citare come risposta al problema del male nella Vecchia Foresta; forse, però, si tratta di una libertà di scelta come può averla qualche animale piuttosto intelligente, piuttosto che Libero Arbitrio affine a quello umano. Il Dualismo non sembra aver rilievo. Infine la Sofferenza come Pena per il Peccato, si limita alla perdita di possibili prede o di occasioni di vendetta mancata verso gli odiati bipedi.

        1. Digressione sull'”involuzione”

Quest'ultima risposta (Creazione come processo in involuzione) non l'ho considerata. In effetti, invece, vari settori del cristianesimo, durante la storia, ed anche al presente, reputano l'etica umana77 ormai radicalmente compromessa dopo la caduta originaria (il peccato originale, redimibile solo ed esclusivamente da Cristo, senza alcuna partecipazione umana). A ben vedere, la storia de Il Silmarillion, non esclude questo destino di 'Arda Corrotta' (si ricordi il brano tratto da Morgoth's Ring, che avevo citato più volte nella parte riguardante il problema del male ne Il Silmarillion - ad esempio posso ricordare il paragrafo “Il Destino e gli altri Attributi del Male alla conclusione del Quenta Silmarillion”, e soprattutto la citazione del brano in “Un contenuto esplicitamente cristiano?”). Il Silmarillion è una lunga storia di decadimento dalla bellezza e dalla purezza originaria, come avevo osservato a suo tempo: è più simile ad un dramma o ad una tragedia (in molti racconti) che ad una Storia (inventata) romanzata. L'ottimismo è fondato su una base possente (ciò che dice Ilúvatar, il creatore: la bellezza dal dolore, la ricapitolazione di tutto nel bene, l'uomo come ultimo gradino dello sviluppo del destino di Arda), ma i fatti raccontati sembrano indicare tutto il contrario. Dunque una risposta aggiuntiva alla teodicea potrebbe essere proprio una continua diminuzione di bellezza e di bontà, una sempre più grande frammentazione78 del potere buono originario della creazione e delle creature, con solo alla fine un escaton positivo guidato e deciso in gran parte da Eru-Ilúvatar, anche se attuato, a quanto pare, in qualche modo attraverso la razza degli Uomini (vedasi il paragrafo di questo lavoro ). Ma preferisco non approfondire quest'ultima serie di considerazioni, cosa che allungherebbe il già troppo lungo lavoro che ho presentato in questi anni.

Gli attributi del male nel Vecchio Uomo Salice e nella Vecchia Foresta

Per ciò che riguarda gli attributi: l'Origine e la Natura del male della Foresta nascono da un desiderio di vendetta. Il male del Vecchio Uomo Salice sembra essere motivato anche da qualcos'altro: una malizia più grave, che, se collegata agli altri nemici che i personaggi della Compagnia incontrano, potrebbe non essere dovuta solo all'autonoma volontà dell'albero senziente, ma potrebbe essere stato accresciuto da qualche servitore dell'Oscuro Potere o da una vera e propria scelta di campo del Vecchio Uomo Salice in persona a favore del male incarnato. Ma ho già osservato che non si può sapere se fosse questa l'idea di Tolkien.

Le Azioni del male che si riscontrano nella Foresta nel suo insieme sono state a suo tempo aggressioni vere e proprie ai viandanti, tentativi di invasione dei villaggi confinanti (si ricordi la Siepe di protezione sotto la quale i quattro Hobbit passano per entrare nella Foresta – La Compagnia dell'Anello, Libro I, capitolo VI de Il Signore degli Anelli) o agli stessi abitanti Hobbit vicini alla Vecchia Foresta:


E gli alberi non amano gli estranei: ti osservano e ti scrutano. Generalmente si accontentano di guardarti, finché è ancora giorno, e non fanno gran che. Può darsi che rare volte i più ostili abbassino un ramo o caccino fuori una radice, o ti afferrino con una liana. Ma di notte avvengono le cose più allarmanti, o perlomeno così raccontano. Personalmente ci sono venuto soltanto un paio di volte dopo il calar del sole, e non mi sono mai allontanato dalla Siepe. Mi sembrava di sentire tutti gli alberi sussurrare fra loro, passandosi notizie e messaggi e complottando in un linguaggio inintelligibile; e vedevo i rami oscillare e palpare nel buio senza un alito di vento. Pare che effettivamente gli alberi si muovano, e possano circondare gli estranei e incastrarli; vero è che molto tempo fa attaccarono la Siepe: avanzarono e le si piantarono proprio vicino, curvandosi dall'altra parte. Ma gli Hobbit vennero, tagliarono centinaia di alberi, facendone un gran falò in mezzo alla Foresta; poi bruciarono tutto il terreno compreso in una lunga fascia a est della Siepe. Dopo questa sconfitta, gli alberi rinunciarono ad attaccare, ma divennero nemici dichiarati. Esiste ancora, nel punto dove fu fatto il falò, un vasto spiazzo completamente nudo".


L'Utilità per il bene della Vecchia Foresta consiste nel permettere agli Hobbit di rimanere celati ai Cavalieri Neri per un po', e soprattutto nel propiziare l'incontro con Tom Bombadil. Prendendo in esame una scansione temporale più ampia, non si può dire molto di questo attributo. Il Senso di questa malvagità diffusa della Foresta e specifica del Vecchio Uomo Salice (che pare in ogni caso avere una specie di dominio, in qualche modo affine a quello di Barbalbero su Fangorn, ma più dittatoriale e nello stesso tempo meno dinamico) sembra possa essere quello di un ambiente costruito da vegetali e da essi mantenuto e dominato da tempi immemorabili, molto ostile verso qualsiasi estraneo, soprattutto se bipede. Una storia di decrescita terribile di questa influenza vegetale su tutte le terre circostanti (probabilmente fino ad arrivare alle Montagne Nebbiose a est ed alle Montagne Azzurre a ovest) può aver indurito il cuore vegetale degli individui rimasti, che non intendono più permettere ulteriori riduzioni della superficie (del territorio) che occupano; Tom Bombadil in qualche modo è il contraltare del Vecchio Uomo Salice, ma ha ben più potere di esso: se da una parte impedisce, nei limiti del possibile e dei suoi tempi e modi, che siano danneggiate creature senzienti bipedi o quadrupedi (si ricordino i ponies degli Hobbit), dall'altra aiuta in qualche modo la foresta a sopravvivere in quel mondo così cambiato. I due Scopi principali sono: la sopravvivenza nelle condizioni attuali, e anche, purtroppo, il rendere, per lo meno, difficile la vita a chi si avventuri nella Foresta. Il Destino si può ipotizzare che sarà comune a quello delle altre creature e razze più antiche che popolano ancora la Terra di Mezzo; un lento, ma inesorabile declino concomitante all'affermarsi dell'Era degli Uomini. Gandalf afferma nel romanzo che intende andare a far visita a Tom Bombadil, una volta che sia finita la Guerra dell'Anello, ma sappiamo che anche Gandalf farà vela per l'Ovest (le Terre Imperiture, dimora dei Valar e degl Elfi, ormai separate dalla Terra) insieme agli Elfi ed ai possessori dell'Anello. La Foresta dunque sarà probabilmente destinata a divenire un luogo un po' oscuro, avvolto nelle nebbie del passato, oggetto di dicerie, fiabe e racconti un po' sinistri, ma ormai appartenente ad ere passate del mondo. Ma questa è un'ipotesi che non viene direttamente esposta nel romanzo.

Tom Bombadil

In Tom Bombadil il problema del male non ha, in pratica, alcun rilievo. Si può solo supporre che si sia insediato in un luogo originariamente non suo e abbia sedotto la propria sposa (ottenendone però, una libera corresponsione), ma 'Il Più Antico e Senza Padre'79 è un enigma non risolvibile, che Tolkien stesso ha lasciato nell'indecifrabilità. Tra gli appassionati e i critici delle opere di Tolkien esiste, per esempio, anche una querelle sul fatto che Tom Bombadil sia o non sia un Maia che, come Melian (moglie dell'Elfo Grigio Elu Thingol), ha deciso di insediarsi nella Terra di Mezzo all'origine dei tempi. È di rilievo la sua totale immunità agli effetti dell'Anello; immunità che però sarebbe un pericolo se gli fosse affidato l'Anello dal momento che se lo dimenticherebbe o lo getterebbe via, come osserva Gandalf a Gran Burrone80:


"No", disse Gandalf, "non lo farebbe (n.d.r. Tom Bombadil riguardo a nascondere l'Anello) mai volentieri. Soltanto, forse, se tutti i popoli liberi della terra lo supplicassero; e ciò nonostante egli non ne vedrebbe il motivo. E se l'Anello gli fosse consegnato, egli lo dimenticherebbe presto, o ancor più probabilmente lo getterebbe via. Simili cose non hanno presa nella sua mente, ed egli sarebbe un custode dei più pericolosi; credo che questa sia una risposta sufficiente".


Se si vuole proprio cercare il pelo nell'uovo, si può dire che Tom sia un po' egoista, desiderando starsene con la sua sposa Baccador nella sua terra con meno interferenze possibili da creature provenienti da fuori81:


Ho tante cose da fare", disse: "costruire e cantare, parlare e camminare, e occuparmi della campagna. Tom non può star sempre accanto alle porte aperte e alle fessure dei salici. Tom deve badare alla sua casa, e Baccador aspetta.


Ma siamo sempre nel campo degli atteggiamenti normali per una terra limitata da spazio e tempo. E poi la gentilezza sua e di Baccador con gli ospiti è fuori discussione.


Spettro dei Tumuli

Lo Spettro dei Tumuli è un personaggio racchiuso nell'avventura dei Tumulilande, fa parte probabilmente di una categoria di esseri spirituali malvagi o forse, meglio, resi malvagi da Sauron o il Re Stregone di Angmar che si trova in quella zona specifica.

Nella notte sfruttando la nebbia tra i Tumuli sfrutta il disorientamento totale degli Hobbit riuscire in qualche modo a farli arrivare al suo tumulo, quindi predispone tutto per sacrificarli con incantamenti malvagi; è necessario riportare le parole dell'incantamento per valutare le caratteristiche del male di questo Spettro82:


si riusciva di tanto in tanto a ricollegare gruppi di parole e lembi di frasi: parole empie, feroci, spietate, inesorabili e dolenti. La notte malediceva il giorno che la soppiantava, e il freddo imprecava contro il bramato caldo. Frodo era raggelato fino al midollo. Dopo qualche tempo il canto diventò più chiaro, e con la morte nel cuore si accorse che si era trasformato in un incantesimo: Fredda la mano ed il cuore e le ossa,/ Freddo anche il sonno è nella fossa:/ Mai vi sarà risveglio sul letto di pietra,/ Mai prima che muoia il Sole e la Luna tetra./ Nel vento nero le stelle anch'esse moriranno,/ Ed essi qui sull'oro ancora giaceranno,/ Finché l'oscuro signore non alzerà la mano/ Sulla terra avvizzita e sul mare inumano.


Frodo, l'unico ad essere rimasto cosciente, o perché è stato catturato dopo o perché ha l'Anello o perché oggettivamente più forte anche psicologicamente dei suoi compagni o per caso (il racconto non permette di scegliere con sicurezza tra queste possibilità), riesce a mettersi in contatto, tramite una canzone insegnata agli Hobbit da Tom Bombadil, con il loro salvatore; non prima però di aver tagliato la mano allo Spettro che stava per tagliare la testa a Sam. L'arrivo provvidenziale di Tom salva gli Hobbit sfondando la parete del tumulo. Lo Spettro, tramite una filastrocca di Tom a lui indirizzata, si dissolve con un flebile grido83:


Va' via, vecchio Spettro dei Tumuli, sparisci rapido al sole!/ Diradati come la fredda nebbia, ululando più triste del vento,/ Lontano dalle montagne, nelle terre squallide e brulle!/ Non tornar mai più qui! Lascia vuoto il tuo tumulo!/ Sii perso e dimenticato, più buio dell'oscurità,/ Là dove apriranno i cancelli quando il mondo corretto sarà!

Quando ebbe pronunciato le ultime parole, si udì un grido e il lato della stanza che dava sull'interno del tumulo crollò con gran fragore. Seguì un lungo strillo acuto e lamentoso, che si smorzò spegnendosi in una lontananza imprecisata; e poi il silenzio.


Le caratteristiche del male dello Spettro dei Tumuli in questi due brani citati sono sufficientemente chiare

Origine: è possibile che all'origine ci siano uomini morti in battaglia, forse anche uomini nemici del regno di Angmar, e quindi uomini del regno numenoreano del Nord (quello degli antenati di Aragorn, quando però già si era diviso al suo interno): ad un certo punto, dopo l'arrivo di Tom, Merry, in una sorta di flashback rivissuto, sembra rivivere un attacco contro i Dunédain da parte dei servitori del Re Stregone. Ma la presenza con cui hanno a che fare gli Hobbit, ha a che vedere certamente con l'Oscuro Signore: probabilmente richiamato o reso attivo in quel luogo dal Re Stregone (capo dei Nazgul), lo Spettro nomina espressamente l'Oscuro Signore. L'Origine quindi del male nello Spettro risale a qualche terribile maledizione o incantamento prodotto dal Signore dei Nazgul in quanto servitore di Sauron.

Natura: è molto affine agli Spettri dell'Anello, dato che la sua scomparsa è piuttosto simile a quella che avverrà allo stesso Signore dei Nazgul quando sarà infilzato in piena testa da Éowyn. Non ha ovviamente il potere del suo creatore o evocatore o imprigionatore, ma è espressione di malvagità pura come esso.

Azione: è molto meno dinamico di altri servitori dell'Oscuro Potere, vive in un luogo definito e può agire solo in condizioni a lui favorevoli, nebbia, notte, nemici isolati; il suo modo di incarnare il male nelle sue azioni richiede un cerimoniale e un sacrificio. Non vanno dimenticati due effetti che possono perdurare dopo la sua scomparsa: chi è stato attaccato dallo Spettro deve rimanere nudo al sole e correre libero per un po' ed il tesoro che custodisce è probabilmente maledetto, e deve essere esposto all'aria e al sole libero di essere preso da chiunque84:


Tom tornò sul tumulo a esaminare i tesori. Riunì la maggior parte in un mucchio che brillava e luccicava sull'erba al sole. Comandò loro di restare lì, "liberi d'esser presi da chiunque, bestie, uccelli, Uomini o Elfi, e ogni gentile creatura": questo era infatti il modo per rompere l'incantesimo del Tumulo e allontanare per sempre i freddi e tetri Spettri.


Utilità: l'Utilità più evidente che gli Hobbit (e il bene) traggono da questo scontro è che vengono dotati di armi estremamente efficaci contro il male, essendo forgiate da uomini dell'Ovesturia; in particolare il pugnale di Merry, preso dal Tumulo, colpirà proprio il Signore dei Nazgul, esecutore delle maledizioni su quei tesori e su quel luogo, al ginocchio, permettendo a Eowyn di ucciderlo.

Senso e Scopi: il senso e lo scopo del male compiuto dallo Spettro dei Tumuli è legato strettamente alla sua Origine di creatura maledetta, evocata per uccidere e maledire a sua volta gli incauti che riesce a catturare. Si potrebbero fare molte ipotesi suggerite dalla fantasia; ad esempio che lo Spettro fosse a sua volta un cacciatore di tesori coinvolto nella maledizione del Tumulo, ma il testo non ci dice di più.

Destino: è comune a questo genere di creature del mondo di Tolkien; una dissoluzione accompagnata da un acuto grido di disperato tormento quando sconfitto. O una meschina e piena di rancore esistenza estendentesi per un tempo indefinito.

Per quanto riguarda le risposte al problema della teodicea, il Dualismo mitigato è da prendere in considerazione, poiché la creatura è emanazione del male di Sauron. Il Libero arbitrio sembra ben poco possibile, potrebbe essere chiamato in causa se si sapesse qualcosa di più dell'Origine dello Spettro; per quanto dice il racconto è possibile sia che si tratti di maledizione contro qualche guerriero incolpevole o maledizione che ha avvolto per colpe specifiche la creatura, a somiglianza ad esempio di come si sono formati gli Spettri dell'Anello, esseri umani cui Sauron ha proposto il potere tramite i nove anelli per gli uomini; una volta accettati gli anelli sono stati sottomessi dall'Oscuro Signore. Ma siamo nel campo delle ipotesi..., questa impossibilità di spiegare questi aspetti dell'Origine dello Spettro dei Tumuli porta a valorizzare la risposta della Reductio in mysterium. La Privatio boni non sembra poter essere chiamata in causa. La Sofferenza come pena per il peccato è possibile, ma assolutamente non dimostrabile. Lo stesso vale per la Creazione come processo in evoluzione.

Balrog di Moria


Il Balrog svolge un ruolo importante nella Guerra dell'Anello ed è senza dubbio uno dei più potenti rappresentanti del male sulla Terra-di-mezzo. Già abbiamo visto il potere e il numero dei Balrog ne Il Silmarillion. Questa creatura, appartiene, come sappiamo, ai Maiar che per primi si misero dalla parte di Melkor/Morgoth. Una caratteristica che non avevamo a suo tempo evidenziato è che sono Maiar di una categoria, non si tratta di un Maia singolo, ma di un gruppo omogeneo. Qualcosa di simile si potrebbe dire degli stregoni, i due stregoni Blu, Saruman, Gandalf, Radagast, che però sono molto più caratterizzati individualmente, vicini a specifici Valar e chiamati espressamente per una missione. Tuttavia potrebbe solo darsi che, dato che la prospettiva dei racconti del Corpus tolkieniano è normalmente elfica e dalla parte dei buoni, distinguere tra i vari Balrog non era essenziale ai fini della storia della Terra-di-mezzo.

La storia è ben nota ovviamente anche ai soli estimatori del film di Peter Jackson. Quindi non è necessario riassumerla.

Comincio subito con gli attributi del male nel Balrog di Moria.

Origine e Natura: come ho già detto, è uno spirito dei Maiar che già dall'Ainulindale si sono messi, senza se e senza ma, dalla parte di Melkor: hanno forte affinità con il fuoco e con l'oscurità, e sono stati tra i più potenti servitori di Morgoth Bauglir. Il Signore di Balrog, Gothmog, aveva ucciso niente meno che Fëanor, Fingon ed Ecthelion (che lo uccise). Dopo la sconfitta di Morgoth i Balrog superstiti si erano dispersi e nascosti in luoghi remoti ed inaccessibili della Terra-di-mezzo. Quello di Moria aveva ucciso due re dei Nani di Moria, che, prima del fattaccio, era una delle più grandi e ricche dimore naniche della Terra-di-mezzo. I Nani, scavando sempre più in profondità nelle loro miniere per trovare il Mithril (il materiale argenteo, leggero ma durissimo con cui era fatta la cotta di maglia indossata da Frodo) liberarono il Balrog che a poco a poco distrusse tutta la loro enorme dimora e accolse tra i suoi servitori orde di Orchi e Trolls mandati da Sauron per popolare Moria. Del suo rapporto con Sauron, non si sa nulla; è ovvio che si conoscevano essendo entrambi Maiar di Melkor e suoi servitori della primissima ora. Probabilmente Sauron con l'Anello avrebbe potuto comandare sul Balrog, ma senza l'Anello si può immaginare una sorta di coesistenza, non-interferenza o collaborazione tra i due; è improbabile che si sarebbe avuta una lotta per la supremazia, almeno finché entrambi avevano territori non confinanti e nemici comuni.

Azione e Scopi: il Balrog appare strettamente legato all'ex regno nanico di Moria, e al tempo in cui la Compagnia dell'Anello passò di là, non aveva ancora alleati per poter occupare tutta Moria. La sua presenza con l'arrivo di Orchi e Trolls divenne una specie di governo assoluto e dispotico (di quelli che piacciono o per lo meno che si confanno agli Orchi) che, probabilmente aveva come Scopi primari rioccupare tutta Moria per poi costruire un regno anche fuori dalle montagne a spese di qualsiasi popolazione confinante (in questo caso: Lórien e Fangorn). Quando la Compagnia dell'Anello entra a Moria il Balrog pare che si limiti a governare qualche orda di Orchi e Trolls a lui associatasi e a favorirne le azioni di depredazione e distruzione; non si può escludere che avesse messo al lavoro gli Orchi per scavare nelle miniere naniche. Le sue capacità sono fondamentalmente guerresche, è una specie di gigante capace di volare, manipolare il fuoco e le tenebre e di brandire armi come la spada e il suo terribile flagello, ha anche capacità magiche distruttive. Lo scontro con Gandalf è propiziato dalla scoperta di intrusi entrati nell'ormai suo regno, ed è probabile che il fatto che tra essi vi sia, forse, anche il portatore dell'Anello sia un ulteriore motivo del suo attacco. Il combattimento con Gandalf è nell'ordine delle cose; quando due Maiar di campi opposti si incontrano è ovvio che finiscano per scontrarsi, anche se Gandalf aveva l'obiettivo di far uscire la Compagnia e non di uccidere il Balrog. Quindi da re delle orde di Orchi sotto la montagna il Balrog si trasforma, come tra l'altro era suo compito tra le fila dell'esercito di Morgoth, in campione del male, il più formidabile nemico che Gandalf ha dovuto affrontare direttamente nella sua missione. Scopi dunque erano: creare probabilmente un suo regno malvagio personale; proteggere quell'area dai buoni impedendo a chiunque di passare nella 'scorciatoia' di Moria; nel momento in cui Gandalf passa a Moria, distruggere lo stregone; possibilmente catturare il portatore dell'Anello. Quest'ultimo scopo non è chiaro fino in fondo, non si sa se il Balrog fosse alleato fedele di Sauron e se gli avrebbe consegnato l'Anello, in realtà, non si sa neppure se avesse avuto qualche rapporto con il Signore di Dol Guldur (Sauron quando era nella fortezza a sud di Bosco Atro). Difficile dai testi del romanzo decidersi tra queste ipotesi.

Utilità e senso: la sua Utilità per il bene, direi che si limita, una volta sconfitto da Gandalf, a favorirne in qualche modo la trasformazione da Gandalf il Grigio a Gandalf il Bianco. Il senso del male compiuto dal Balrog all'epoca della Guerra dell'Anello è, tutto sommato, poco rilevante, proviene da un passato di gloriosa militanza a favore del male, quando insieme ai suoi correlativi conduceva guerre e assestava dure sconfitte ad eserciti ed eroi del bene; invece, al tempo della Guerra dell'Anello, più modestamente, stava cercando di costruire un regno, ben più piccolo (dato l'abbandono di Moria in sue numerose parti) e inefficiente (con gli Orchi e con i Vagabondi/Troll delle Montagne non si può, neppure lontanamente, avere l'organizzazione dei Nani) della originaria e favolosa Khazad-Dum dei Nani; si limitava quasi a fare il guardiano di una scorciatoia e il terribile dittatore di una massa di creature piene di odio e tenute insieme dalla paura e, forse dall'ammirazione, verso di lui.

Destino: probabilmente, nel caso di vittoria di Sauron sarebbe diventato il suo più terribile luogotenente; nel caso di sconfitta di Gandalf avrebbe probabilmente aggregato il suo esercito di Orchi e Troll a quelli di Sauron e Saruman. Ma quello che è accaduto è stata la sua sconfitta nello scontro con un Maia campione del bene, l'ha a quanto pare, ucciso, ma lui ha avuto la peggio, nessuno che gli permettesse di riprendere vita; Gandalf invece fu riportato alla vita, probabilmente con il misterioso concorso di Ilúvatar stesso e sicuramente anche a motivo del suo sacrificio per il bene dei compagni. Dunque, il destino del Balrog è la rovina, ed una specie di morte, non si parla in questo caso di dissolvimenti, precipita giù dalla montagna e non se ne sa più nulla.

Le risposte ai problemi della teodicea, nel caso del Balrog sono tutto sommato abbastanza facili da individuare: il Dualismo ha a che fare con il dualismo generale di tutta l'epopea tolkieniana, il Balrog è un Maia come Gandalf, solo che è con il male contro il bene di cui Gandalf è rappresentante; il Libero arbitrio c'entra perché il e i Balrog hanno scelto liberamente all'inizio della creazione di stare al fianco di Melkor, la scelta, certo fu definitiva, ma, direi, quasi certamente convinta; la Reductio in mysterium per la natura della mitologia tolkieniana non può essere considerata; la Privatio boni non sembra avere un ruolo importante, i Balrog con tutto il loro essere si sono votati al male e di quel male sono tra i più 'degni' rappresentanti. Le Sofferenza come pena per il peccato, è circoscritta al momento della sua sconfitta (se non consideriamo la sua stessa presenza a Moria in quanto fuggito dalla Guerra d'Ira) quando cessa di essere un pericolo per la Terra-di-mezzo, non si sa però in cosa consista effettivamente la sua scomparsa. Nulla a che vedere con la Creazione come processo in evoluzione, il Balrog è come bloccato nella sua incarnazione e nella sua scelta di campo per il male, si può dire che non abbia una evoluzione apprezzabile.


Shelob


Un piccolo quadro di Shelob lo si può fare citando il seguente brano85:

Essa dimorava lì da tempi immemorabili, malefico essere a forma di ragno, lo stesso che anticamente errava nella Terra degli Elfi in quell'Occidente ormai sommerso dal Mare, lo stesso contro il quale lottò Beren nei Monti del Terrore a Doriath, e che poi in un remoto chiaro di luna si recò a Lùthien sull'erba verde fra le cicute.

Nessuna storia narra in che modo, fuggendo dalla rovina, Shelob fosse giunta lì: pochi sono i racconti tramandati dagli Anni Oscuri. Eppure era ancora in quel luogo, colei che vi era arrivata prima di Sauron, prima che fosse posta la prima pietra di Barad-dûr; e non serviva altri che se stessa, bevendo avidamente il sangue di Elfi e Uomini, grassa e gonfia per via dell'interminabile rimuginare i suoi banchetti, tessendo ragnatele d'ombra; ogni essere vivente era il suo cibo, e il suo vomito era oscurità.


Per la sua Origine rimando in parte a quanto è stato detto di Ungoliant nei capitoli della Seconda Parte “il male e il caos” e “Completamento del ritratto di Ungoliant”. Nello specifico Shelob è della schiatta dei ragni giganti, ma è estremamente più potente dei ragni di Bosco Atro che furono combattuti da Bilbo e dai Nani ne Lo Hobbit. É una vera e propria figlia di Ungoliant, avendo anche capacità 'magiche', rappresentate soprattutto dalla sua terribile tela e dall'oscurità innaturale che l'avvolge.

Anche la sua Natura è la stessa di Ungoliant, solo nettamente meno potente, perché Ungoliant era in realtà una creatura o un essere, che risaliva all'inizio dei tempi, era probabilmente una Maia e forse qualcosa di più o di peggio, se aveva spaventato lo stesso Melkor dopo aver ucciso gli Alberi di Valinor. Comunque Shelob che le è inferiore, mantiene però delle prerogative terribili.

La sua Azione è strettamente connessa con la sua natura aracneiforme e con la sua dimensione gigantesca. Pare che l'unico modo di vivere che conosce sia di pattugliare la sua tana e le gallerie circostanti riempite della sua tela magica, avvolta dall'oscurità e quasi indistruttibile, e nelle esalazioni quasi insopportabili del suo corpo e delle sue vittime, nutrendosi di tutto ciò che riesce ad intrappolare, grande o piccolo, buono o malvagio; ha anche vie di fuga che la mettono al sicuro nel caso che, per qualche motivo, si trovi a mal partito.

La sua Utilità per il bene, come già anticipato, è che costituisce l'unico spiraglio per permettere l'ingresso a Mordor del gruppo Frodo-Sam-Gollum. Essendoci Lei, Sauron ritiene che bastino due piccole guarnigioni di Orchi per tenere il passo di Cirith Ungol. Invece, con l'iniziale aiuto di Gollum, con l'Anello, con grande coraggio, una certa dose di furbizia e un bel po' di provvidenziale fortuna, Frodo e Sam riescono a sfuggire alle grinfie di Shelob, seguiti dall'ormai definitivamente nemico giurato Gollum.

Il Senso della sua esistenza deriva dalla sua Origine da una madre che è l'incarnazione del male nella sua dimensione di oscurità e caos; in quanto figlia di Ungoliant ha ripercorso a suo modo le orme della madre; non produce l'oscurità annientatrice della madre, ma, per la Terza Età è più che sufficiente la sua oscurità piena di fetore e le sue tele pressoché indistruttibili, oltre che i suoi veleni.

Del Destino di Shelob non si sa molto; dopo essere stata ferita da Sam con Pungolo (lama elfica, capace anche di tagliare i fili delle sue tele) e invasa dalla, per lei quasi letale, luce della Fiala di Galadriel, si dice che86:

Shelob era scomparsa; e questa storia non narra se nei lunghi anni d'oscurità a venire, covando e leccando piaghe e miseria nel fondo del suo covo, sia riuscita a guarirsi, a riprodurre gli occhi accecati, per poi ricominciare a tessere le sue orride trame nelle Montagne dell'Ombra, affamata come la morte.

Le risposte al problema del male, nel caso di Shelob, sono le seguenti.

Il Dualismo mitigato ha rilievo solo nel senso che Shelob è per sua Natura aderente al male e contro tutto e tutti dal momento che tutti gli organismi animali (compresi i più evoluti) sono possibili prede e cibo per lei.

Molto poco Libero arbitrio: la Natura di Shelob pare sia talmente intrecciata con quella della madre che non si riesce neppure ad immaginare che possa aver pietà di qualcuno o che abbia una qualche lontanissima idea di cambiare il suo modo di vivere nel mondo. È una cacciatrice e non lascia nulla di intentato per agire come tale. Una scelta potrebbe essere stata quella di fare una specie di patto di non belligeranza con Sauron o un'alleanza con lui, nello stesso capitolo da cui è stato tratto il brano citato si dice che Saron mandava prigionieri a Shelob come dono chiedendo una descrizione della morte di quegli infelici. Ma il male fa costituzionalmente parte della Natura di Shelob.

Non c'è più di misterioso in Shelob, di quanto non ce ne sia in Ungoliant, Shelob è malvagia perché appartiene alla schiatta di Ungoliant.

Neppure la Privatio Boni sembra poter essere chiamata in causa.

La Sofferenza come pena per il peccato, nel senso semplicissimo che Shelob ha ricevuto almeno una parte di quello che si è meritata, si è ovviamente concretizzato quando Sam l'ha ferita agli occhi alle zampe e all'addome e le ha 'puntato contro' la Fiala di Galadriel pronunciando le parole elfiche. E il ricordo di quella bruciante e terribile sconfitta da una delle più piccole creature senzienti con cui ha avuto a che fare, associato all'ancora più terribile luce elfica penetratale nelle carni non l'avrebbe mai potuto dimenticare.

Creazione come processo in evoluzione; per le creature del male, votate con tutte se stesse al male, a quanto pare in Tolkien non c'è da sperare qualche passo verso un minor male o un maggior bene. E Shelob non è una eccezione.


Orchi (Orchetti)

Pur essendo onnipresenti ne Il Signore degli anelli, gli Orchi non sono in realtà molto approfonditi nelle loro caratteristiche. Si sa di essi quanto viene detto ne Il Silmarillion e ne Lo Hobbit. Sono nemici fin nel profondo di tutte le altre creature che in qualche modo hanno a che fare con il bene e sono nemici anche tra di loro, in base alle aree e alle tribù cui appartengono. La loro unione è sempre mantenuta a costo di regole ferree dettate dal più forte, da aguzzini incaricati di fare loro da superiori e dalla pura e semplice legge del più forte. Le poche volte in cui hanno autonomia di giudizio, pensano in primo luogo a se stessi o al massimo ai loro commilitoni più affini e più vicini. Odiano anche il loro Signore, ma odiano di più chi rappresenta la libertà e il bene, o le loro vittime chiunque esse siano. Due scontri tra Orchi sono certamente da non dimenticare, quello tra gli Uruk-hai di Saruman e gli Orchetti di Mordor e delle Montagne Nebbiose che hanno catturato Merry e Pipino e quello tra la piccola guarnigione di Minas Morgul e quella di Cirith Ungol presenti nei pressi della tana di Shelob al passaggio di Sam, Frodo e Gollum. In entrambi i casi si può notare la fortissima tendenza egoistica, anche contro i propri padroni in condizioni in cui fosse sentito meno il loro potere, di queste creature pervertite da Melkor in tempi antichissimi e da Saruman (gli Uruk-Hai di Isengard, in particolare) prima della Guerra dell'Anello. Nell'esercito di Mordor vi era una gerarchia strutturatissima in cima alla quale stavano i Nazgul e specializzazioni particolari (si ricordi la vicenda della cattura di Frodo e Sam nei pressi della valle di Udûn e del Cancello di Morannon, con l'Orchetto 'segugio' e il suo guardiano; e sempre al cancello, per esempio, i Trolls che aprivano e chiudevano quel terribile e apparentemente indistruttibile ingresso di Mordor).

Ne Il Signore degli Anelli, Barbalbero spiega così l'Origine di Orchi e Trolls( anche se in una sua lettera87 spiega che Barbalbero aveva un suo punto di vista sulla questione non necessariamente corrispondente alla realtà)88:

Forse avete udito parlare dei Troll? Sono molto forti. Ma i Troll non sono che pessime copie degli Ent, fatte dal Nemico all’epoca della Grande Oscurità, così come gli Orchi sono una cattiva imitazione degli Elfi.


già più volte in questo lavoro ho ricordato che nel mondo di Tolkien, il male non può creare nulla, può solo corrompere ciò che è pre-esistente. Purtroppo, in particolare dalle Letters e da History of Middle-Earth (X, Morgoth's Ring), emerge che Tolkien non ha mai stabilito in modo chiaro la vera origine degli Orchi. Le sue idee sulla loro Origine si possono comunque riassumere in almeno tre gruppi: origine dagli Elfi o da altre creature umanoidi, origine da spiriti pervertiti da Morgoth, origine da materia inanimata cui è stata data una qualche forma di animazione. Una costante è ben riassunta in questa frase89: “These creatures Morgoth made in envy and mockery of the Elves”, “queste creature furono fatte (= pervertite, trasformate) per invidia e per scherno nei confronti degli Elfi”. La più importante delle informazioni di esse riguarda il Libero arbitrio90:

Free Will is derivative, and is.'. only operative within provided circumstances; but in order that it may exist, it is necessary that the Author should guarantee it, whatever betides : sc. (abbreviazione del latino scilicet, anche in italiano = “cioè”) when it is 'against His Will', as we say, at any rate as it appears on a finite view. He does not stop or make 'unreal' sinful acts and their consequences. So in this myth, it is 'feigned' (legitimately whether that is a feature of the real world or not) that He gave special 'sub-creative' powers to certain of His highest created beings: that is a guarantee that what they devised and made should be given the reality of Creation. Of course within limits, and of course subject to certain commands or prohibitions. But if they 'fell', as the Diabolus Morgoth did, and started making things 'for himself, to be their Lord', these would then 'be', even if Morgoth broke the supreme ban against making other 'rational' creatures like Elves or Men. They would at least 'be' real physical realities in the physical world, however evil they might prove, even 'mocking' the Children of God. They would be Morgoth's greatest Sins, abuses of his highest privilege, and would be creatures begotten of Sin, and naturally bad. (I nearly wrote 'irredeemably bad'; but that would be going too far. Because by accepting or tolerating their making “ necessary to their actual existence “ even Orcs would become part of the World, which is God's and ultimately good.)

[…]

I have represented at least the Orcs as pre-existing real beings on whom the Dark Lord has exerted the fullness of his power in remodelling and corrupting them, not making them. That God would 'tolerate' that, seems no worse theology than the toleration of the calculated dehumanizing of Men by tyrants that goes on today. There might be other 'makings' all the same which were more like puppets filled (only at a distance) with their maker's mind and will, or ant-like operating under direction of a queen-centre.

Traduzione mia:

Il Libero Arbitrio è derivato, ed è operativo solo in determinate circostanze; ma perché esista, è necessario che l'Autore lo garantisca, qualsiasi cosa succeda: cioè anche quando è, come si dice, 'contro il Suo Volere', o per lo meno quando sembra che sia contro il Suo Volere dalla nostra prospettiva necessariamente parziale. L'Autore non impedisce, né rende 'irreali' gli atti colpevoli e le loro conseguenze. Così in questo mito, è 'simulato' (legittimamente, che sia un tratto del mondo reale o che non lo sia) che Egli abbia dato speciali poteri 'subcreativi' ad alcune delle sue creature più potenti: questa è una garanzia che ciò che essi avevano concepito e costruito dovesse aver ricevuto la realtà della Creazione. Naturalmente entro dei limiti, e naturalmente soggetto a certi comandi o proibizioni. Ma, se essi 'cadono', come fece il Diabolico Morgoth, cominciando a fare cose 'esclusivamente per sé, per essere il Signore di esse', queste sarebbero allora 'poste in essere', anche se Morgoth aveva infranto il divieto supremo di 'fare' altre creature 'razionali' come Elfi o Uomini. Quegli esseri razionali concepiti da Morgoth sarebbero dovuti essere 'posti in essere' come realtà fisiche, appartenenti al mondo fisico, anche se si fossero rivelati malvagi, al punto da essere concepiti a scherno dei Figli di Dio. Sarebbero stati le peggiori Nefandezze di Morgoth, abusi del suo più alto privilegio, e sarebbero state creature generate dal Peccato, e cattive per natura. (Ho quasi scritto 'irrimediabilmente malvagie'; ma questo sarebbe andare troppo oltre. Perché, accettando o tollerando il loro concepimento “necessario alla loro esistenza attuale”, persino gli Orchi diventerebbero parte del Mondo, che è di Dio, e quindi in fin dei conti buono).

[…]

Ho descritto gli Orchi come esseri reali pre-esistenti su cui l'Oscuro Signore ha esercitato la pienezza del suo potere per rimodellarli e corromperli, non per farli. Il fatto che Dio 'tolleri' questo non sembra peggior teologia della tolleranza della calcolata disumanizzazione degli Uomini provocata dai Tiranni che continua anche ai nostri giorni. Cionondimeno ci potrebbero essere altre 'realizzazioni' che sono come pupazzi riempiti (solo da una certa distanza) con il pensiero e il volere del loro fabbricatore, o che agiscono come specie di formiche sotto la direzione di una regina-centro di controllo.


Da come Tolkien argomenta qui direi che si dovrebbe poter attribuire agli Orchi qualche forma di Libero arbitrio, che tra l'altro emerge anche dal romanzo quando un orco nei pressi delle gallerie di Shelob vagheggia, parlando con un suo compagno, di mettersi in proprio lasciando perdere i capi e i superiori91:

«E che cos’altro potrebbero dire?», grugnì Gorbag. «Lo vedremo. Ma comunque, se effettivamente finirà bene, ci sarà molto più spazio. Che te ne pare?… Se dovessimo avere l’occasione, tu ed io, di svignarcela e metterci su per conto nostro con pochi ragazzi fidati, in un posto dove c’è del buon bottino e niente capi né superiori?».

«Ah!», esclamò Shagrat. «Come ai vecchi tempi».


Certo è un Libero arbitrio orientato ancora a compiere il male, anche se in un modo più autonomo rispetto all'appartenenza alle schiere di Sauron. Invece, un orco potrebbe aver pietà disinteressata di un nemico o di una vittima? Oppure, potrebbe compiere qualcosa per altruismo? Da quanto emerge nel Legendarium tolkieniano, sembra proprio di no. Una orchetta che tipo di cure parentali darà ai suoi figli? Quest'altra semplice domanda non ha risposta nel Legendarium. La Libertà per il bene sembra molto difficile possa essere esercitata dagli Orchi; forse il loro cameratismo potrebbe essere una forma di amicizia? Non più, verrebbe da dire, di quanto non lo sia, per esempio, quella tra giovani ghepardi che vivono in gruppo appena abbandonata la madre... Questa questione è stata toccata anche dalla fantascienza, si possono ricordare i numerosi casi di razze totalmente artificiali: evoluzioni di robot e intelligenze artificiali come quella presupposta in Terminator, o in Matrix. O la serie Strargate Atlantis in cui la razza nemica degli uomini nella Galassia di Pegaso sono i Wraiths, una razza che può nutrirsi solo a spese della energia vitale degli Uomini o di altri esseri viventi (obbligata quindi a fare del male per sopravvivere), nata dalla casuale interazione genetica tra un parassita genetico di un pianeta (una specie di ragno gigante che scambia il suo DNA con quello delle sue vittime) e gli Antichi, la razza più avanzata dell'universo, evoluta a livelli inimmaginabili milioni di anni prima degli Esseri Umani. Dunque, Libero arbitrio per il male solo? Non vi è una risposta certa; se fosse sì, però non potrebbe corrispondere al concetto di Libero arbitrio di cui si è parlato nel presente lavoro: specularmente a quanto detto per il Libero arbitrio in un mondo creato da un Dio buono, anche il Libero arbitrio in un mondo in cui il male domina, deve lasciare la possibilità di fare il bene.

Per tornare alla sintesi che ha caratterizzato i paragrafi precedenti vediamo ora gli attributi e le risposte al problema del male in un elenco.

Origine degli Orchi: non certa, in ogni modo non creati dal nulla come Elfi o Umani, forse nata in qualche modo come sono nati i Nani92. La differenza non si racconta né di cosa Ilúvatar dice a Melkor e fa agli Orchi a proposito di questa sua 'creazione', né se Melkor abbia mostrato qualche pentimento del tipo di quello di Aüle riguardo agli Orchi; eppure gli Orchi nella Terra di Mezzo esistono e sono la razza forse più numerosa all'epoca della Guerra dell'Anello.

Natura: è chiaramente una Natura radicalmente malvagia come conseguenza della sua dipendenza fin dalla sua Origine da Melkor il ribelle al Creatore. Una della caratteristiche che accomuna gran parte degli Orchetti è poi il timore della luce diurna. Al quale Sauron ha messo alcune pezze creando gli Uruk-Hai, più grossi e meno sensibili alla luce.

Azione: tutto ciò che di grossolano male possono fare lo fanno; in genere mancano di sottigliezze nel loro agire malvagio (tradimenti, spionaggi, falsa bontà...), ma al loro padrone servono così.

Utilità e Senso: a livello cosmogonico non si possono che richiamare alcune delle parole di Ilúvatar che già numerose volte ho citato93:

E tu, Melkor, t’avvederai che nessun tema può essere eseguito, che non abbia la sua più remota fonte in me, e che nessuno può alterare la musica a mio dispetto. Poiché colui che vi si provi non farà che comprovare di essere mio strumento nell’immaginare cose più meravigliose di quante egli abbia potuto immaginare ».

[…]

E tu, Melkor, scoprirai tutti i segreti pensieri della mia mente, e t’avvederai che essi sono soltanto una parte del tutto e tributari della sua gloria


Gli Orchi, nonostante sembrino un'espressione esclusiva dell'autonomia malvagia e piena d'odio di Melkor, rientreranno nel progetto del creatore; si potrebbe dire che da sempre vi sono rientrati, se non si rischiasse di avvallare una predestinazione troppo spinta nella storia di Arda, della quale io credo sia lecito dubitare. L'Utilità per il bene degli Orchi la si può forse solo associare all'Utilità di tutto il male provocato da Melkor che consiste essenzialmente nel far procedere la storia del Mondo e nell'essere indiretta origine della triste bellezza dei canti, di eventi e di alcune creazioni dei popoli nemici di Melkor94:

Ma all’ultima asserzione di Fëanor, che cioè i Noldor avrebbero per lo meno compiuto imprese destinate a essere cantate in eterno, rialzò il capo, come chi oda una voce lontana, e disse: «Così sia! A caro prezzo quei canti saranno guadagnati, eppure saranno ben meritati. Il prezzo infatti non potrebbe essere un altro. Così, come Eru ci ha detto, una bellezza mai prima concepita apparirà in Eä, e ciò che è male sarà bene per il fatto di essere stato ».

Mandos però disse: «E tuttavia, male resterà. Ben presto Fëanor verrà a me ».


Ma questi risultati in effetti potrebbero essere fatti risalire al già citato potere del Creatore (Ilúvatar) di trarre anche dal male la bellezza e il bene.

Scopi: se alla loro fabbricazione gli Scopi della loro esistenza erano dettati in tutto e per tutto, a quanto pare, da Melkor, con il passare del tempo si può dire che si insinui tra loro un qualche barlume di desiderio di indipendenza (si ricordi il dialogo degli Orchi nei pressi della tana di Shelob); in ogni caso quell'indipendenza significherebbe solo un continuare a compiere il male insegnato dal loro ideatore, ma per motivi personali. In realtà subito dopo la caduta di Sauron con la distruzione dell'Anello nella lava di Monte Fato qualcosa si dice degli Scopi rimasti nei servitori di Sauron:

I Capitani chinarono il capo, e quando levarono di nuovo lo sguardo, meraviglia! tutti i nemici erano in fuga e il potere di Mordor svaniva come polvere al vento. Come le formiche che vedendo morire l’essere che covava in fondo alla loro tana, turgido e malevolo, dominandole tutte, si mettono a vagare senza scopo né senso per poi lasciarsi morire, anche le creature di Sauron, Orchi, o Troll, o bestie rese schiave, incominciarono a correre qua e là come impazzite, alcune uccidendosi, altre gettandosi nei pozzi, altre ancora cercando rifugio in luoghi bui e tenebrosi lontani da ogni speranza.


Lo Scopo di essere senza Scopo è un controsenso, ma quanto si dice in questo brano potrebbe essere legato al cedimento improvviso della volontà del padrone di quelle schiere; non vi è la certezza che gli Orchi scompaiano del tutto dopo la terribile sconfitta della Guerra dell'Anello. Ma non ci è dato di sapere che tipo di vita da allora in poi vivano quelle creature segnate così profondamente dalla malvagità,.

Il Destino dunque è presto detto: suicidi e pazzie di massa, e, forse, una vita di cattiveria su piccola scala 'alla Gollum' di coloro che hanno resistito alla follia della sconfitta di Sauron, l'Oscuro Signore.

Uruk-hai, Trolls e Spettri dell'Anello


Degli Uruk-hai e dei Trolls non si possono dire cose molto differenti che degli Orchi, inoltre abbiamo ancora meno informazioni su di essi e dunque ritengo lecito soprassedere all'analisi del problema del male in queste altre creature.

Per quanto riguarda gli Spettri dell'Anello, si potrebbe fare, o tentare di fare, un'analisi del problema del male in essi, ma:

1)In linea di massima sono totalmente proni al volere di Sauron e dell'Anello

2)Gli attributi del male in essi, si potrebbero analizzare, ma non sulla base de Il Signore degli Anelli, quanto piuttosto delle altre parti del Legendarium.

3)Ne fa un'ottima e sufficientemente completa descrizione e analisi Tom Shippey nei suoi due libri, già citati: Autore del Secolo e La via per la Terra-di-mezzo. Soprattutto nel primo ci sono molte pagine espressamente dedicate alla questione degli 'Spettri' in Tolkien (pp. 155-171).

4)Posso comunque rimandare ad un altro numero di Endore per completare, ad esempio a mo' di schede, il problema del male negli altri personaggi del Legendarium.


Conclusione

Per cominciare questo capitolo finale riporto come guida orientativa una tabella con i due gruppi di questioni che lungo tutto il lavoro ho utilizzato come quadro di riferimento per analizzare il problema del male in Tolkien:


RISPOSTE DELLA TEODICEA

ATTRIBUTI DEL MALE

Dualismo mitigato

Origine

Libero arbitrio

Natura

Reductio in mysterium

Azione

Privatio boni

Utilità e Senso

Sofferenza come pena per il peccato

Scopi

Creazione come processo in evoluzione

Destino

Invito i lettori a tener conto di alcune puntualizzazioni: le risposte alla teodicea proposte coprono, a mio parere, gran parte dei casi di 'male' in Tolkien, come anche nel mondo reale; con l'avvertenza (come avevo a suo tempo osservato) che il problema del male naturale non è stato elencato, perché una 'mitologia' come quella del Legendarium tolkieniano è già in se stessa anche una spiegazione del perché esiste il male naturale. Ricordo ancora una volta che le risposte al problema del male non si escludono a vicenda, ma in generale possono coesistere ed essere combinate per dare una risposta complessa e articolata.

Gli attributi del male sono stati scelti per avere uno schema orientativo di analisi, ma, in effetti, potevano essere scelti secondo altri criteri; in ogni caso credo, comunque, che per un lavoro di base come il presente, questo tipo di suddivisione sia sufficientemente accettabile e utilizzabile.

Alcune osservazioni aggiuntive

Un'osservazione che solo quest'ultimo anno ho messo a fuoco bene, è relativa al Dualismo. Il dualismo, ho detto, si può distinguere in Dualismo assoluto e Dualismo mitigato, a seconda che il male dipenda da un Dio cattivo equivalente al Dio buono o che dipenda da una creatura in qualche modo capace (perché, normalmente, ne ha il permesso dal suo creatore) di affrontare Dio su scala per così dire globale (classico è l'esempio di Satana); quest'ultimo dualismo ritengo, come più volte ho dichiarato, sia il solo che si può chiamare in causa per Il Signore degli Anelli e per Il Silmarillion.

Il Dualismo assoluto a sua volta può essere suddiviso in vari modi. Semplificando:

- Dualismo Caos/materia - Dio ordinatore/spirito.

- Dualismo puro Dio malvagio-Dio buono (ne è un esempio il manicheismo).

- Dualismo che si potrebbe chiamare 'dell'equilibrio' (oggi particolarmente diffuso95), secondo il quale il bene e il male sono le due facce della stessa medaglia: uno non può esistere senza l'altro, e l'obiettivo che le creature (o l'insieme della realtà) dovrebbero verosimilmente perseguire è il mantenimento dell'equilibrio; in questo caso, se si parla di un Dio cattivo e di un Dio buono, si potrebbe dire che sono entrambi creatori e che l'uno senza l'altro non può esistere96.

Anche quest'ultimo Dualismo assoluto è totalmente alieno al cristianesimo, ma è assolutamente plausibile in mitologie pagane. Tuttavia, per quanto riguarda Il Signore degli Anelli, escluderei questo Dualismo. Nel capolavoro di Tolkien: il bene deve trionfare (o, per lo meno, deve, conservando un ottimismo di fondo, far di tutto per contrastare il male) e tutto quello che accade ha lo scopo di far vincere il bene contro il male, inoltre, l'opera, come dice Tolkien, è fondamentalmente religiosa e cattolica. Anche se si allarga lo sguardo a Il Silmarillion, ritengo che, nonostante mi paia vi siano proposte in tal senso, si debba ugualmente escludere questo Dualismo. Perché Ilúvatar è l'unico creatore. Certo, c'è chi dice: “dal momento che anche Il Silmarillion è stato pensato da Tolkien come una descrizione della storia fatta dagli Elfi, potrebbe essere visto come una parziale interpretazione di una parte (quella che si autodefinisce bene) a sfavore dell'altra (quella che la prima parte definisce male)”; addirittura vi sono vari appassionati di Tolkien che hanno provato a fare delle descrizioni della 'storia' della Terra-di-mezzo fatte dalla parte dei 'cosiddetti' cattivi. Però, a questa obiezione io risponderei che Tolkien è lo scrittore, è lui che ha impostato l'opera e la sua fantasia ne è la fonte, e nella sua opera prevale totalmente la prospettiva concretamente redatta ove il bene è il punto di riferimento. E, per usare una simbolica tolkieniana, come Melkor ha cercato di sviare e corrompere l'opera del creatore; così, chi prova a fare romanzi tolkieniani dalla parte di Melkor e di Sauron o chi vuole classificare Arda come opera alla pari di Ilúvatar e Melkor97 o di un Ilúvatar diviso in due, agisce come Melkor-Morgoth ha agito nella protostoria, nella preistoria e nella storia di Arda. Agisce, dunque come gli Uomini di Arda, di cui si dice che: “non si sarebbero avvalsi in armonia dei loro doni”98; solo che, nel caso della realtà primaria, il dono in questione è la sub-creazione Tolkieniana. L'eventuale punizione di questa 'ribellione' al sub-creatore è, ovviamente, compito di Ilúvatar, che mi auguro possa misericordiosamente ribadire: “«Anche costoro, a tempo debito, costateranno che tutto ciò che fanno alla fine torna soltanto a gloria della mia opera »”99.

Riepilogo degli attributi del male

L'Origine del male ne Il Signore degli Anelli potremmo dire che deriva dalle seguenti situazioni: libera scelta di creature potenti (es: Balrog, Sauron, Saruman, Nazgûl – questi ultimi almeno in partenza); obbligo di nascita nelle creature malvagie minori (Orchi, Trolls...); nell'Anello (ma si tratta in effetti di Sauron stesso), obbligo dovuto alla sua stessa forgiatura; in gran parte di chi sta dalla parte dei buoni, scelte dovute a Libero arbitrio limitato da condizioni ambientali o personali o relazionali (senza escludere anche, però, per esempio, i già citati Saruman e Nazgûl).

Natura del male. Non molto differente dall'Origine, ma più legato a caratteristiche strutturali delle creature. Male mescolato al bene nei buoni e in coloro che stanno o sono stati per un certo tempo, a cavallo, eticamente parlando, tra il bene e il male (es: Gollum, Vermilinguo, Saruman stesso); in questi casi, si possono citare tra gli elementi caratteristici del male compiuto, l'egoismo o un amor proprio molto marcato, la convinzione esclusiva delle proprie idee e delle proprie scelte, la paura stessa del male. Apparentemente malvagità 'inguaribile', senza apprezzabile etica positiva, nei più cattivi (Sauron, Nazgûl, Orchi, Trolls).

Azione del male. Va, dalle azioni più varie e sofisticate nell'Anello, in Sauron e in Saruman, a quelle, diciamo così, intermedie (con una certa varietà, ma non troppo ampia o sofisticata) nel Balrog, nei Nazgûl, in Denethor100, in Gollum (la sua fissazione per l'Anello lo domina, ma mette in pratica la complessa trappola di Shelob, poi il suo inseguimento e suoi attacchi sono feroci improvvisi), a quelle semplici e dirette della manovalanza del male (Orchi, Trolls, Uruk...).

Utilità e Senso del male. Abbiamo più volte chiarito che si tratta di Utilità per il bene. L'Utilità per il bene ha uno spettro molto ampio e a tratti sorprendente, basti ricordare Gollum, che con il suo attacco finale a Frodo (attacco che è male in sé), lo libera dalla perdizione cui Frodo sarebbe stato destinato arrogandosi il possesso dell'Anello. Altre molte svolte del romanzo rispondono al detto provvidenziale: “le vie del Signore (di Ilúvatar) sono infinite”. Il Senso del male compiuto, che ha una valenza più cosmogonica, è, anche ne Il Signore degli Anelli come ne Il Silmarillion, quello di una realtà nata dalla ribellione al creatore e ai metodi che il creatore ha usato per dare vita ad Arda (creandola dal nulla e donandola a se stessa e a coloro che vi ha fatto abitare). La libertà impiegata a Scopi esclusivamente egoistici, in fondo, è ciò che dà Senso al male avvenuto; questo vale anche, e questa è una peculiarità delle mitologie, riguardo al male naturale, che invece, di norma, nel Mondo Primario è il male nettamente più difficile da giustificare e spiegare in un mondo creato da un unico Dio buono onnipotente e onnisciente. Mordor, le Paludi Morte e, nel loro piccolo, Tumulilande e la Vecchia Foresta, sono esempi di una natura degenerata per opera del male personificato in Melkor, Sauron e altre potenti creature malvagie.

Scopi del male. Gli Scopi del male sono riassumibili nella visione del mondo totalmente egoistica e auto-centrata; l'Anello è catalizzatore di questi Scopi altre che attivare in chiunque abbia a che fare con lui la brama di possesso, tentazione che è indispensabile vincere perché rischia di far cadere nella spirale del potere per il potere e del male in tutte le forma che si adattano meglio allo specifico individuo che viene tentato. Chi incarna il male al massimo livello orienta la sua visione egoistica al potere assoluto sul prossimo e sul mondo, da conquistare con tutti i mezzi possibili. Le creature malvagie meno potenti si limitano ad autoaffermarsi compiendo tutto ciò che è a proprio vantaggio, usando di preferenza la violenza verso il prossimo, meglio se appartenente al campo del bene. Gli Scopi del male di chi si trova dalla parte del bene sono orientati alla difesa da chi compie il male e all'amor proprio perseguito normalmente cercando di evitare di danneggiare l'altro.

Destino del male. Più volte ho distinto il Destino definitivo dai destini intermedi. Ne Il Signore degli Anelli il primo riguarda solo alcuni personaggi: l'Anello, i Nazgûl, Saruman, il Balrog. Di essi, a giudicare dal racconto, non rimane assolutamente nulla di vivo fisicamente o di spirituale duraturo nella realtà storica. Sauron pare che in qualche modo sopravviva, ma come ombra della sua malizia, e si fa cenno al fatto che Sauron è solo un emissario del male che pare accompagnerà tutta la storia di Arda nello spazio-tempo. Quindi nel suo caso non è chiaro che vi sia un annientamento totale effettivo già durante il corso della storia di Arda. Il Destino a livello cosmogonico del male non è preso in considerazione ne Il Signore degli Anelli, come invece è in qualche modo preconizzato ne Il Silmarillion e in alcune parti del Legendarium tolkieniano101. I mali compiuti da chi militava con i 'buoni' si concludono in vari modi, dipendenti molto anche dal tipo e dalla gravità del male compiuto: con pentimenti (Boromir), con pazzia (auto-)distruttiva (Denethor), con correzione 'provvidenziale' della volontà ormai incapace di scegliere il bene (Frodo, e Gollum, anche, in un certo senso), oppure, nei casi meno gravi (Faramir, Eowyn, Eomer, Sam stesso...) con riassunzione di quel male, molto relativo, all'interno degli eventi positivi che porteranno, provvidenzialmente, alla vittoria del bene.

Riepilogo delle risposte al quesito della Teodicea

Seguendo l'ordine della tabella riassuntiva vediamo ora a grandi linee quali risposte o quali combinazioni di risposte prevalgono nel racconto.

A proposito del Dualismo ho già fatto un'ampia discussione nel paragrafo sulle precisazioni. Riassumendo anche quel discorso, si può dire che Il Signore degli Anelli, come le altre opere del Legendarium pubblicate con J.R.R. Tolkien vivente102, viene ambientato in una realtà Dualista, non assoluta, ma relativa. C'è un unico creatore, Ilúvatar, che ha creato esseri senzienti e liberi molto potenti; tra di essi, già prima che esistesse Arda (il Mondo) vi furono alcuni ribelli che si opposero al loro creatore e ai loro fratelli di razza, per perseguire solo intenti egoistici e di potere. Il più potente di essi, e il loro capo, era Melkor, una sorta di Satana che però ha partecipato alla costruzione di Arda (non alla sua creazione, ma potremmo dire alla sua 'progettazione' e al suo 'assemblaggio'). Ne Il Signore degli Anelli, questo è presupposto, e Sauron è l'erede principale di Melkor, il capo della ribellione al creatore. Sauron ha qui il ruolo del capo, guida e campione del male nella Terza Età della Terra-di-mezzo.

Altra risposta al problema difficilmente contestabile è quella del Libero Arbitrio, gran parte dei personaggi e dei popoli de Il Signore degli Anelli possono scegliere se stare contro Sauron e contro il male che lui vuole far trionfare o stare con Sauron. La questione più spinosa a proposito di questa risposta è quella dei servitori dell'Oscuro Potere: Orchi, Trolls, Uruk-hai. In essi si deve ammettere un'assenza pressoché totale della libertà individuale di scegliere tra bene e male. La mia posizione, nonostante tutto, di accordargli un minimo di capacità di scegliere, almeno tra il proprio egoismo e la sottomissione totale all'Oscuro Signore e di lasciare aperta la possibilità che questi servitori del male, in un remoto futuro, ammesso e non concesso che persista la loro esistenza sulla Terra-di-mezzo, evolvano qualche forma di morale effettivamente buona. Questa ipotesi si appoggia sul fatto che il creatore di Arda è un creatore buono e afferma in più occasioni che ricondurrà tutto (anche il male terribile commesso dai servitori di Melkor) al suo progetto positivo originario103. In tutti gli altri casi la Libertà ha un ruolo prevalente nelle scelte degli individui, anche se è sempre più o meno limitata da circostanze della vita, storia delle persone, scelte malvagie precedenti.

La Reductio in mysterium in genere è limitata alla conoscenza circostanziata del male (esempio: male nella Vecchia Foresta, male nello Spettro dei Tumuli, male negli Ucorni, nell'origine dei servitori di Sauron...), ma non si può chiamare in causa per la condizione del male a livello cosmogonico, l'idea chiara è che Arda è stata guastata da Morgoth in origine, e ferita dai suoi eredi e servitori che si sono susseguiti lungo i secoli. Questa idea viene confermata ne Il Signore degli Anelli.

La Privatio Boni, come abbiamo ribadito più volte, ha un ruolo certamente di rilievo come risposta al problema del male ne Il Signore degli Anelli, ma è circoscritta all'Anello104. Negli altri casi il male non può creare dal nulla, ma può distruggere e pervertire in modi terribilmente concreti e spaventevoli, tali per cui parlare solo di assenza, o privazione, di bene sembra troppo ottimistico. Per l'Anello abbiamo parlato delle sue funzioni facendoci aiutare da Tom Shippey. E certamente una parte delle azioni e funzioni dell'Anello ha a che vedere con la diminuzione di bene; per lo meno nel senso della tentazione del potere, dell'uso dell'Anello stesso come strumento per avvantaggiarsi egoisticamente nei confronti del prossimo e della distorsione dei fini che guidano la vita delle persone dedite al bene. Negli altri casi, e nei vari personaggi considerati, questa risposta sembra essere insufficiente per spiegare il male, a meno che non sia messa in relazione con il Libero arbitrio. Un rifiuto di fare il bene, o di agire bene, provocano di fatto una Privatio boni, ma allora è forse più corretto ascrivere la risposta in prima istanza al Libero arbitrio e solo secondariamente alla Privatio boni.

Sofferenza come pena per il peccato. Viene ribadita molte volte; non come minaccia o condanna, quanto soprattutto come esito in qualche modo provvidenziale degli avvenimenti narrati o come auto-condannarsi del 'colpevole'. Sauron finisce pressoché distrutto, il Balrog muore, Saruman svanisce nel nulla, Shelob sarà costretta vita natural durante a convivere con quella velenosa luce elfica penetrata nelle sue carni ecc. Per quanto riguarda Frodo, nel Il Signore degli Anelli si dice che si sente ferito e teme di non potere guarire mai del tutto: è difficile capire se questa ferita 'spirituale' è dovuta al fallimento alla Voragine del Fato (in tal caso sarebbe propriamente Sofferenza come pena per il peccato) o al potere distorcente del male infuso nell'Anello da Sauron (una sorta di Privatio boni) o, per esempio, a qualcosa che risale alla contaminazione originaria di Arda (Dualismo mitigato, ma non troppo).

Creazione come processo in evoluzione. Come abbiamo osservato in vari punti, questa risposta non vale per i cattivi convinti; per chi, pur avendo avuto occasione di ritornare sui suoi passi, ha ripetutamente confermato la sua scelta per il male, si può addirittura parlare di creazione come processo in involuzione, un progresso nel male che trascina alla perdizione mediante passi successivi, sempre più impermeabili alla conversione. Affine a questa involuzione, ma in senso molto più globale, a livello di cosmogonia e più evidente ne Il Silmarillion, è il progressivo rifrangersi/frantumarsi della luce (si ricordi Splintered light di Verlin Flieger) originaria che aveva il suo centro nelle Terre Imperiture, patria prima delle Lampade, poi degli Alberi di Valinor e comunque luogo in cui dimorano i Valar e gli Elfi Chiari (Vanyar). La migrazione 'di ritorno' verso oriente degli Elfi Noldor, ma ancora prima degli Elfi Verdi che mai erano andati a Valinor è un allontanamento dalla luce originaria ed è caratterizzata tra l'altro da alcuni cambi negli Elfi rimasti lontani o ritornati lontani da Valinor: minor potere, tendenza a trasformare la propria lingua in un idioma meno sonoro e più 'sussurabile', modo di vivere sempre più nascosto e mescolato con l'ambiente; chiedo scusa se cito una recensione da me fatta del libro su Endore n° 6, ma non saprei riassumere meglio il nucleo del pensiero della Flieger su questo argomento:


Motivo dominante della trattazione della luce e dei linguaggi viene ad essere poi la frammentazione e la diminuzione (espresse bene con la parola “Splintering”); dalla Luce quindi derivano le luci, e i linguaggi seguono la frammentazione della luce differenziandosi e, in un certo modo, patendo un oscuramento con l‟allontanarsi dalle Terre Imperiture e dai primi tempi: nelle prime fasi della storia della Terra-di-mezzo la Luce era quasi non manipolabile dagli stessi Valar (la luce delle lampade viene appunto manipolata con grande prudenza dai Valar per evitare che danneggi Arda), poi è declinata verso la luce degli Alberi e quella riflessa nei Silmaril e verso la luce, lontana dalla superficie della Terra, di Sole e Luna; la Flieger fa notare che gli stessi linguaggi degli Elfi dell'est e di quelli che sono usciti dalle Terre Imperiture hanno un tono e un suono meno aulici e nitidi rispetto al linguaggio degli Elfi nelle Terre Imperiture. La propensione per la luce secondo la Flieger è quindi un elemento distintivo delle singole razze della Terra-di-mezzo, essa è massima nei Vanyar, cala nei Noldor (subendo una diminuzione a causa della scelta dei Noldor di tornare sulla Terra-di-mezzo), e diventa via via minore nei Sindar che non hanno visitato le Terre Imperiture e negli Elfi Silvani che ne sono rimasti lontani.



Bisogna dire che qui si parla precisamente de Il Silmarillion e non de Il Signore degli Anelli, ma la condizione della Terra-di-mezzo all'epoca della Guerra dell'Anello se presa globalmente mostra i segni di questa frantumazione/rifrazione dell'energia e della purezza originaria; basti pensare agli Elfi di Gran Burrone (più segnata dalla presenza di Elfi Noldor; vi sono presenti almeno tre Noldor: Elrond – quantunque mezzelfo, di lignaggio Noldor per la parte elfica - , Arwen – figlia di Elrond -, Glorfindel di Gondolin) e agli Elfi di Lórien (abitata in netta prevalenza dagli Elfi Verdi; comandati, guarda caso, da una Noldor come Galadriel). I primi più 'aristocratici' e legati ad ambienti strutturati, i secondi più in armonia con i boschi e con la natura, silenziosi e vestiti in modo semplice (lo stesso Legolas appartiene agli Elfi Verdi, è dunque affine agli Elfi di Lórien).

Per non divagare ulteriormente, questa visione polare luce-buio applicata agli Elfi e alla geografia della Terra-di-mezzo, si concretizza con le descrizioni di un mondo in cui i pericoli del male vengono in genere da Est (luoghi lontani dalla posizione originaria delle Terre Imperiture e di Valinor). L'Oriente pare sia molto più influenzato dal male di quanto non lo sia l'Ovest (più vicino alle Terre Imperiture, luogo di origine e di raccolta della luce). I viaggi verso la salvezza, in special modo quelli degli Elfi e delle razze più antiche della Terra-di-mezzo, sono sempre diretti a Occidente; mentre, se si viaggia verso Oriente ci si dirige verso il pericolo e anche l'involuzione. È vero che, però, gli Uomini, passata la Terza Età, diventano in certo modo immuni alla diminuzione suscitata dall'allontanamento dall'Occidente. Solo allora, potremmo dire, l'evoluzione positiva viene resa possibile in qualsiasi luogo della Terra; la polarità luce-buio originaria si è dissolta. La Creazione come processo in evoluzione prende piede nettamente sull'involuzione che ha colpito tutte le razze diverse e più antiche degli Uomini e che Il Silmarillion ha descritto concludendosi con la frase:

Qui termina il SILMARILLION. Se in esso si è passati dall’eccellenza e dalla bellezza alla tenebra e alla rovina, è perché tale era, fin da tempi antichissimi, il destino di Arda Corrotta; e se un mutamento si verificherà, e la Corruzione sarà cancellata, lo possono sapere solo Manwë e Varda, i quali però non l’hanno rivelato, né se ne trova traccia nelle sorti di Mandos105.


Il Signore degli Anelli provvede, potremmo dire, ad una correzione del Destino (di Arda Corrotta) appena delineato. Mette in campo alcune razze ormai dimenticate, ma poi, soprattutto, diventa una storia di Uomini e annuncia che agli Uomini passa il testimone della guida della Terra-di-mezzo. La morte (dono di Ilúvatar agli Uomini) ormai si avvia a diventare l'onnipresente realtà che segna il mondo e, se da una parte diventa segno del male che nel mondo ha ormai posto radici solide e ramificate, dall'altra viene messa in discussione, alla sua radice con le parole di Aragorn ad Arwen al momento della propria morte:


"Così sembra", egli disse. "Ma non lasciamoci sopraffare dalla prova finale, noi che anticamente rinunciammo all'Ombra e all'Anello. In tristezza dobbiamo lasciarci, ma non nella disperazione. Guarda! Non siamo vincolati per sempre a ciò che si trova entro i confini del mondo, e al di là di essi vi è più dei ricordi. Addio!".


La morte di tipo umano rimane, però, segno di dolore e turbamento, carattere proprio del Male naturale106 questa unica volta, per chi non ne possiede il dono in pieno, Arwen:


(Aragorn) "Non ti dirò parole di conforto, perché per simili dolori non vi è conforto entro i confini del mondo. Ti attende un'ultima scelta: pentirti e recarti ai Rifugi, portando con te all'Ovest il ricordo dei giorni trascorsi insieme, un ricordo sempre verde, ma pur sempre soltanto un ricordo; o, altrimenti, attendere la Sorte degli Uomini".


(Arwen) "No, mio amato sire", ella rispose, "quella scelta è stata fatta ormai da molto tempo. Non vi sono più navi che mi porteranno sin là, e devo attendere la Sorte degli Uomini, volente o nolente: la perdita e il silenzio. Ma voglio dirti, Re dei Numenoreani, che sinora non avevo compreso la storia della tua gente e la loro caduta. Li deridevo come se fossero stupidi e cattivi, ma ora finalmente li compiango. Perché se questo è, in verità, il dono dell'Uno agli Uomini, è assai amaro da ricevere".

["Così sembra", egli disse. "Ma non lasciamoci sopraffare dalla prova finale, noi che anticamente rinunciammo all'Ombra e all'Anello. In tristezza dobbiamo lasciarci, ma non nella disperazione. Guarda! Non siamo vincolati per sempre a ciò che si trova entro i confini del mondo, e al di là di essi vi è più dei ricordi. Addio!".](citato sopra).

"Estel, Estel!", ella gridò, e mentre gli prendeva la mano e la baciava egli si addormentò. Allora in lui si rivelò una grande bellezza, e tutti coloro che vennero a guardarlo l'osservarono con meraviglia, perché videro che la grazia della sua gioventù, il coraggio della virilità e la saggezza e maestà della vecchiaia erano fusi in uno. Egli giacque a lungo là, immagine dello splendore dei Re degli Uomini immersa nella gloria raggiante precedente al crollo del mondo.

"Arwen partì, e la luce dei suoi occhi era spenta; al suo popolo parve che ella fosse diventata fredda e grigia come la notte d'inverno senza una stella. Disse addio a Eldarion, alle sue figlie e a tutti coloro che aveva amato, e lasciò la città di Minas Tirith; si recò nella terra di Lòrien, e vi dimorò sola sotto gli alberi pallidi fino al giungere dell'inverno. Galadriel era partita, e anche Celeborn se n'era andato, e tutto era silenzio.

"Alla fine, mentre cadevano le foglie dei mallorn e la primavera era ancora lontana, ella si distese sul Cerin Amroth; e quella sarà la sua verde tomba finché il mondo cambierà, e i giorni della sua vita saranno del tutto obliati dagli uomini che nasceranno, e l'elanor e il niphredil non fioriranno più a est del Mare.

"Qui finisce questa storia, giunta a noi dal Sud; e dopo la scomparsa di Stella del Vespro questo libro non narra più nulla dei tempi passati".


Concludendo, la Creazione come processo in evoluzione appartiene fino ad un certo punto al Legendarium tolkieniano, e si limita a essere mostrata nelle storie individuali, non nella Storia della Terra-di mezzo. Questa risposta alla teodicea, nell'ottica de Il Signore degli Anelli, è rimandata alle epoche successive alla Guerra dell'Anello, pensate come le epoche della Storia del mondo Primario.


EPILOGO

Il mio obiettivo di questi anni era di eseguire un lavoro di base sul male nella narrativa tolkieniana a cui fosse facile attingere per fare ulteriori analisi e approfondimenti.

Mi auguravo, dunque, che gli appassionati, che hanno avuto la voglia e la pazienza di seguire la rivista Endore e lo sviluppo di questa tematica, avessero così a disposizione un'analisi fondata su criteri costanti, facilmente leggibile e aperta alla discussione.

Non so se sono riuscito in questo mio intento. L'assenza di discussioni e riscontri a quanto ho presentato parrebbe non corrispondere a questa mia speranza. Vero è, però, che non esistendo un forum specifico di Endore, né un mio blog, o sito, personale, ed essendo io molto pigro nelle mie navigazioni su Internet tanto da non partecipare a forum di taglio tolkieniano (certamente non assenti dal web) e neppure da intervenire in discussione di alcun genere (di cui immagino sia piena la rete), potrà essermi sfuggito l'interesse che potrebbe aver suscitato qualche mia considerazione.

In ogni modo il lavoro, per quanto mi riguarda, è terminato, anche se è lungi dall'essere completo, ed è, purtroppo, tecnicamente e letterariamente per nulla ineccepibile.

BIBLIOGRAFIA


OPERE DI TOLKIEN


SAGGI E ARTICOLI

FONTI INTERNET

1Nota. I primi capitoli di questa parte sono stati redatti con una certa precisione e con molto più tempo a disposizione, ma molto tempo fa e non vi è stata una revisione molto puntuale di essi. Gli ultimi capitoli sono stati fatti ex novo, quest'estate, e sono, se possibile, ancora meno curati di quelli che li precedono. Se tutto questo lavoro, già dall'inizio era comunque stato pensato come un lavoro di base per fare ulteriori analisi e ricerche, in questa ultima parte direi che il lettore ha di fronte solo alcuni abbozzi di analisi, utili più che altro solo come stimolo, per chi intendesse fare una teodicea organica del Legendarium tolkieniano.

2Humphrey Carpenter, J.R.R. Tolkien - la biografia, Fanucci Editore, Roma, 2002, capitolo V, paragrafo 2, da pag. 237.

3Vorrei richiamare l'attenzione sul fatto che qui per Silmarillion ovviamente non intendo il libro Il Simarillion che, come si sa, è stato pubblicato da pagine scelte e coerenti tra loro del Legendarium Tolkieniano dopo la morte di Tolkien. In pratica con Silmarillion intendo la totalità del mondo mitologico di Tolkien così come era nell'epoca di cui sto parlando, come per altro fa lo stesso Carpenter nel Capitolo a cui ho fatto rifermento nella nota precedente.

4Humphrey Carpenter, J.R.R. Tolkien - la biografia, Fanucci Editore, Roma 2002, pag. 254.

5Tom Shippey, J.R.R. Tolkien Author of the Century, HarperCollinsPublishers, London 2000, pag. 119.

6 J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, Rusconi Libri S.p.A, Milano 1990, pag. 83.

7Mi pare opportuno puntualizzare che qui il termine 'destino' ha un significato differente dal termine 'Destino' che ho usato per gli attributi del male; il primo, quello di questa nota, si riferisce ad una concezione deterministica della storia della Terra-di-mezzo, il secondo è usato con il significato di destino finale effettivo dei personaggi o degli eventi considerati

8J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, Rusconi Libri S.p.A, Milano, 1990, pag. 89.

9Humphrey Carpenter & Christopher Tolkien, The Letters of J.R.R. Tolkien, Harper Collins, London 1981, lettera 172.

10Robert Foster, The Complete Guide To Middle-earth, HarperCollinsPublishers, 1971,pag. 280,

11pag. 89, Il Signore degli Anelli, da questo momento quando cito le pagine, faccio riferimento all'edizione de Il Signore degli Anelli nella sua ristampa del 1990.

12pag. 94, Il Signore degli Anelli

13Si veda, per il significato che si può attribuire al termine 'allegoria' l'articolo di Alberto Quagliaroli, In Avanscoperta pubblicato a pag. 20-23 della rivista Endore, n° 3, settembre 2000

14A mio parere proprio in questa svolta a Brea, c'è il passaggio definitivo da fiaba a romanzo ne Il Signore degli Anelli.

15Parte I, Libro I, Capitolo XI, Il Signore degli Anelli. Da questo momento è possibile che si incontri questo modo di citare, accanto al modo classico di citazione con la pagina relativa all'edizione del 1990 di Rusconi de Il Signore degli Anelli. Il motivo è che non avendo più sufficiente tempo per elaborare la presente ricerca, ho preso la via breve della citazione dal romanzo su supporto informatico in una forma in cui il numero di pagina non si può stabilire.

16Humphrey Carpenter & Christopher Tolkien, The Letters of J.R.R. Tolkien, Harper Collins, London 1981, lettera 181 – pag.234.

17Verlin Flieger, Splintered Light, Logos and Language in Tolkien's work (Revised Edition), The Kent State University Press, Kent, Ohio 2002, pag. 154.

18Verlin Flieger, Splintered Light, Logos and Language in Tolkien's work (Revised Edition), The Kent State University Press, Kent, Ohio 2002,

19Tom Shippey, Autore del secolo, Simonelli Editore, Milano 2004, pp. 162-167.

20Il testo più chiaro di questa posizione teologica si trova in Sap 1,13-14: “perché Dio non ha creato la morte/ e non gode per la rovina dei viventi./ gli infatti ha creato tutte le cose perché esistano;/ le creature del mondo sono portatrici di salvezza,/ in esse non c’è veleno di morte,/ né il regno dei morti è sulla terra”.

21pag. 31, Il Silmarillion, per quest'opera di Tolkien, faccio riferimento alla seguente edizione: JRR Tolkien, Il Silmarillion, Rusconi Libri S.p.A., Milano 1978.

22La critica letteraria indica quasi sempre la polarità luce-buio come il quadro entro il quale è costruito Mondo Secondario di Tolkien.

23Cfr. per esempio: Tom Shippey, J.R.R. Tolkien,: la via per la Terra-di-mezzo, Casa Editrice Marietti S.p.A., Genova-Milano 2005, p 310.

24Interessante a questo proposito è ricordare il problema della pronuncia del nome di Woldemort nella saga di Harrry Potter. Solo Harry Potter si sentiva libero di pronunciarne il nome, gli altri usavano espressioni del tipo: 'Tu sai chi'.

25Non è questa la sede per parlare di quanto, in decine d'anni, hanno prodotto appassionati di Tolkien di tutto il mondo in termini di disegni, racconti, giochi, musica ed altri prodotti artistici; limitandomi ai disegni e ai quadri, ritengo che tra le decine di disegnatori e artisti che sono diventati famosi come interpreti del Mondo Secondario di Tolkien, non vi sia ancora nessuno che abbia reso in modo soddisfacente l'Occhio di Sauron.

26pag. 451 e pag. 495-496, Il Signore degli Anelli

27Eccetto che forse dal Balrog e da Shelob, che hanno poteri confrontabili con Sauron, ma la seconda sicuramente se ne sarebbe liberata; il primo in effetti poteva essere un concorrente di Sauron, ma, per come è finito il terribile scontro con Gandalf, il problema ha smesso di sussistere.

28pag. 1133, Il Signore degli Anelli

29Humphrey Carpenter & Christopher Tolkien, The Letters of J.R.R. Tolkien, Harper Collins, London 1981, pag. 144, lettera 131.

30Tom Shippey, Autore del secolo, Simonelli Editore, Milano 2004, pp. 160.

31pag. 326, Il Signore degli Anelli.

32pag. 673, Il Signore degli Anelli.

33pag. 674 e pag.1205, Il Signore degli Anelli.

34pag. 327-328, Il Signore degli Anelli.

35 pag. 86, Il Signore degli Anelli

36 pag. 1214, Il Signore degli Anelli e Tom Shippey, Autore del Secolo, Simonelli Editore, Brescia 2004, p. 161

37La domanda sul quando Saruman comincia a compiere il male può essere posta così: avendo egli, come Maia, partecipato all'Ainulindalë, non avrebbe dovuto già allora manifestare le sue scelte per il male? E in tal caso, come potevano fidarsi i Valar ad inviarlo sulla Terra-di-mezzo per salvarne gli abitanti? Si potrebbe rispondere, ad esempio, che è possibile che, nella 'Grande Musica', egli abbia mimetizzato la sua performance anti-Eru in modo da non essere individuato, dai Valar.

38A pag. 811 de Il Signore degli Anelli, Faramir dice: "comprendo bene come Boromir, fiero e spericolato, sovente avventato, sempre ansioso di vedere la vittoria di Minas Tirith (e con essa la propria gloria) potesse desiderarlo ed esserne attratto."

39 Pag. 444 e 457, Il Signore degli Anelli

40 pag. 491-492

41Denethor crede che Faramir, incosciente, sia destinato a morire, ed il Sovrintendente lo porta con sé sulla pira che ha preparato per darsi fuoco

42 Ho già detto, a proposito dell'Anello e di Frodo, che un'arma di protezione verso le perniciose influenze dell'Anello è compiere atti e assumere atteggiamenti altruistici, umili e di rispetto per gli altri; è dunque possibile che Boromir sia riuscito a svincolarsi dalla brama di possesso dell'Anello anche in virtù del suo spirito di obbedienza e della sua onestà di fondo.

43A pag. 1022 Pipino chiede ": «Non puoi salvare Faramir? » [...] «Forse posso», disse Gandalf; «ma se lo faccio, altri morranno, purtroppo. Ebbene devo venire, poiché non potrà avere altro aiuto. Ma ciò sarà causa di eventi nefasti e di dolore. Persino nel cuore della nostra fortezza il Nemico possiede armi capaci di colpirci: questa infatti è una conseguenza del suo volere»"

44 pag. 804, Il Signore degli Anelli

45 pag. 807 e 808, Il Signore degli Anelli

46 pag. 807, Il Signore degli Anelli

47 Per richiamare un altro esempio: anche la stessa Eowyn non rispetta la volontà di Theoden che lei rimanga a Rohan

48 Pag. 822, Il Signore degli Anelli

49 Parte II, Libro IV, Capitolo V

50 Parte II, Libro IV, Capitolo V

51Cosa a cui, tra parentesi, non viene fatta giustizia nel film di Peter Jackson, con l'inspiegabile, a mio parere, ritirata anticipata a Osgilliath di Faramir che si porta dietro Frodo e Sam. Per non parlare dell'incontro ravvicinato del Nazgul con Frodo sulle mura della città..., ma questo è un problema che non riguarda la questione di cui sto trattando.

52 Pag. 86, Il Signore degli Anelli.

53Pag. 86-87

54Parte I, Libro I, Capitolo II

55ISdA parte I, libro I, capitolo II

56IsdA parte II, libro IV, capitolo I

57IsdA parte II, libro IV, capitolo II

58Parte II, libro IV, capitolo III

59 Parte II, Libro IV, Capitolo VI

60Parte II, libro IV, capitolo VII

61Anche questa scena è una grandissima occasione persa dal film di Jackson. La scena finale del film, certamente per essere più cinematografica (ma io sono sono convinto che, se Jackson si fosse impegnato seriamente mettendo in gioco tutta la sua arte e professionalità, avrebbe potuto rendere con uguale pathos la scena vera del libro), non descrive i fatti come nel libro, ma mostra che Gollum cade nel vulcano per causa diretta della colluttazione con Frodo.

62 Il Signore degli Anelli, Parte II libro III, Parte III libro VI

63Situazione ben diversa, se non sbaglio, da quella presentata dalla Extended Version del terzo film de Il Signore degli Anelli, in cui Peter Jackson mostra l’assurdo atto di Aragorn che taglia la testa al messaggero di Mordor nel bel mezzo del dialogo tra i rappresentanti di Sauron e quelli dei popoli liberi.

64 P III, L VI, Cap I

65Anche se sembra un po' troppo una possessione diabolica, il film rende bene, direi, i condizionamenti patiti da Theoden.

66È senz'altro consigliabile, a questo proposito, leggere l'ottimo capitolo “Faramir ed Eowyn: la relazione come guarigione” dell'ottimo libro di p. Guglielmo Spirito ofm. Conv., Tra san Francesco e Tolkien – una lettura spirituale del Signore degli Anelli, Il Cerchio Iniziative Editoriali, Rimini 2006, pp. 67-96.

67 Parte III Libro VI capitolo V

68 Parte III, Libro VI, Capitolo VIII

69 Parte II, Libro III, Capitolo IV

70 Parte II, Libro II, Capitolo VII

71 Il secondo dei tre anelli degli Elfi forgiati dal famoso artiere elfico Celebrimbor senza l’assistenza di Sauron, ma che Sauron poteva individuare quando possedeva l’Unico Anello e attraverso cui l’Oscuro Signore poteva tentare di controllarne i possessori; avevano, a differenza dell’Anello di Sauron, il potere di costruire, capire e guarire, non di controllare o conquistare. Sauron uccise Celebrimbor, ma quest’ultimo riuscì a nascondere i suoi tre anelli prima di essere ucciso.

72 Appendice A, Il Signore degli Anelli.

73 Pag. 43, Il Silmarillion

74 Ibidem

75Molto indicato per approfondire la morte e l'immortalità nel mondo di Tolkien è il libro: Roberto Arduini, Claudio Testi (a cura di), La falce spezzata – morte e immortalità in J. R. R. Tolkien, Casa editrice Marietti S.p.A., Genova-Milano 2009.

76Sarebbe necessario puntualizzare, a questo punto, che questa impressione proviene da noi che siamo uomini a tutti gli effetti: arrivare ad immaginare, mettendosi nei loro stessi panni, come gli Elfi vivrebbero questa loro condizione al di là del Mare e al di fuori del Mondo, ritengo sarebbe stato uno sforzo troppo grande anche per Tolkien.

77Nel caso del Corpus tolkieniano, e paradigmaticamente in quello della Vecchia Foresta, sarebbe comunque etica di creature senzienti

78Si ricordi Splintered Light di Verlyn Flieger, che sostiene con fondatezza che una chiave di lettura dell'opera di Tolkien è leggerla come la storia di una progressiva frammentazione della luce, bellezza e potenzialità creativa originaria.

79Così è definito da Elrond quando gliene parlano a Gran Burrone.

80La Compagnia dell'Anello, Libro II, Capitolo II, “Il Consiglio di Elrond”.

81La Compagnia dell'Anello, Libro I, Capitolo VIII, “Nebbia sui Tumulilande”.

82La Compagnia dell'Anello, Libro I, Capitolo VIII, “Nebbia sui Tumulilande”.

83La Compagnia dell'Anello, Libro I, Capitolo VIII, “Nebbia sui Tumulilande”.

84Id. E' possibile che anche le parole che poco prima Tom aveva pronunciato sul tesoro siano un contro-incantesimo.

85Le Due Torri,Libro IV, Capitolo IX “La tana di Shelob”

86Le Due Torri,Libro IV, Capitolo X “Messer Samvise e le sue decisioni”

87Letters, Letter 153, September 1954, to Peter Hastings.

88Le Due Torri, Libro III, Capitolo IV.

89J.R.R. Tolkien, Mogoth's ring, HarperCollinsPublishers, London 1993, Part Three, The Later Quenta Silmarillion, The First Phase, “7 On the fly of the Noldor”.

90Humphrey Carpenter & Christopher Tolkien, The Letters of J.R.R. Tolkien, Harper Collins, London 1981, Letter 153, September 1954, to Peter Hastings.

91Le Due Torri, Libro III, Capitolo V.

92Ricordiamo che la loro origine è chiara: il Vala Aüle decide di 'creare' un popolo di esseri viventi senzienti a modello di Elfi e Umani, che abbiano caratteristiche simili alle sue, Ilúvatar lo ammonisce severamente, Aüle si pente ed è disposto a distruggere i sette padri dei Nani da lui modellati con la terra, Ilúvatar dà l''alito di vita' 'razionale' ai Nani, accettandoli come razza della Terra-di-mezzo che deve comparire sulla terra solo dopo gli Elfi.

93Il Silmarillion, pp. 13-14.

94Il Silmarillion, p. 116.

95Questo Dualismo viene attribuito per esempi ad alcuni aspetti delle religioni orientali, in particolare al Taoismo, dal quale si trae il seguente simbolo rappresentativo bianco e nero (il sito è scelto 'a caso' con una ricerca di Google): http://domenicopresutto.blogspot.com/2011/08/evil-in-world-il-peccato-e-attorno-noi.html. In realtà al capitolo 49 del Tao-te-ching, il testo più antico del taoismo, si dice quanto segue (propongo due traduzioni, ma mi pare che tutte le traduzioni – tra quelle che si possono trovare nel sito http://wayist.org/ttc%20compared/indexchp.htm - convengano sull'asimmetria etica tra bene e male che ho evidenziato in grassetto):

L'Uomo reale non ha affetti particolari / Il suo animo è universale / È buono con i buoni / È buono con i non-buoni / Questa è la perfezione della bontà / È leale coi leali / È leale con gli sleali / Questa è la perfezione della lealtà (Traduzione di J.Evola, in Lao-Tze, Il libro del principio e della sua azione – Tao-tê-ching, Edizioni Mediterranee, ristampa Roma 1984, p. 145)

Il Santo non ha cuore costante. Del cuore del popolo egli fa il proprio cuore (dicendo): “L'uomo buono, lo tratto con bontà, e colui che non è buono, tratto anche lui con bontà; in questo modo ottengo bontà. L'uomo di buona fede, lo tratto con buona fede, e colui che manca di buona fede, anche lui lo tratto con buona fede; in questo modo ottengo buona fede”. (Tradizione di Duyvendak sul sito: http://wayist.org/ttc%20compared/indexchp.htm )

Come si può notare, alle radici di questa antica e venerabile filosofia/religione, non vi è totale simmetria tra bene e male, come converrebbe al Dualismo dell'equilibrio citato.

96Questi tipi di dei, però, dovrebbero necessariamente mancare degli attributi divini di Onnipotenza e Onniscenza, oltre che essere nettamente contrapposti in quanto a morale. Se invece all'interno stesso dell'unico Dio si ipotizzano due polarità, una che chiamiamo malvagia e l'altra benigna, a mio parere riproponiamo, in fondo, una realtà di cui già si fa una divinità in alcune applicazioni metafisiche della fisica: il caso. La conseguenza ultima dell'esistenza esclusiva del caso-divinità, soprattutto nel campo dell'etica, è allora: ognuno può fare ciò che vuole, e non vi è altro che la legge del più forte a governare l'etica. Lascio immaginare, o ricordare, al lettore le conseguenze sulla storia di questo tipo di visione.

97L'espressione (che si trova all'inizio dell'”Ainulindalë“, primo capitolo de Il Silmarillion) riferita ai Valar: “rampolli del suo (di Ilúvatar) pensiero”, non si può usare, secondo la mia opinione, a supporto di questa visione dualistica dell'equilibrio. L'esistenza di Melkor, pur derivante dal pensiero di Eru-Ilúvatar, è di svariati ordini di gradi/livelli (almeno quanti sono i Valar, anche se i livelli hanno 'energie' differenti, per usare una immagine chimico-fisica) inferiore a quella di Eru-Ilúvatar. Melkor potrà forse essere una polarità nel pensiero di Eru, ma è parte di una situazione multi-polare nel pensiero di Eru, e poi, a quanto risulta, decide, dopo la sua venuta all'esistenza (la sua creazione, direi), in libertà di opporsi al canto di Eru.

98p. 44, Il Silmarillion.

99p. 45, Il Silmarillion.

100Il personaggio è complesso; e anche il suo modo di compiere il male è abbastanza peculiare, tanto da esprimersi in una forma di lucida pazzia in cui critica le decisioni sagge prese dal prossimo, non prende decisioni sagge quando Gondor è in pericolo, manda a morire il figlio minore Faramir in un'azione suicida per un misto di rigidità legalistica e contorto senso di colpa, abbandona il comando di Minas Tirith ecc.

101Si ricordi, per esempio, la già citata discussione tra Finrod e Andreth in Morgoth's Ring che parla di Arda 'Marred' (= 'guastata', 'danneggiata', 'macchiata') e di Arda 'Healed' (= 'guarita'); in J.R.R. Tolkien, Morgoth's Ring, Part Four (Athrabeth Finrod Ah Andreth = The Debate of Finrod and Andreth, Harper Collins, London, 1994, pag. 318. Possiamo ancora ricordare anche l'associazione del destino di Sauron con quello del suo capo Morgoth (pag. 31, Il Silmarillion): “Ma in tardi anni si levò simile ad ombra di Morgoth e a un fantasma della sua malizia, e lo seguì passo passo, lungo il rovinoso sentiero che lo trasse giù nel Vuoto”.

102Come avevo a suo tempo motivato, ritengo anche Il Silmarillion, curato da figlio Christopher Tolkien, appartenente a questa categoria, pur essendo stato pubblicato dopo la morte di J.R.R. Tolkien.

103Si può riassumere questo sviluppo storico come fanno Andreth e Finrod nel citato Athrabeth: Arda incontaminata, Arda contaminata, Arda guarita.

104Diverso è il caso de Il Silmarillion, in cui viene spesso citata la convinzione che il male può solo pervertire il già esistente, che, di per sé, per come fu pensato da Ilúvatar apparteneva ad un progetto benevolo sul creato; e, si aggiunga, a quel progetto anche il male, viene assicurato, sarà ricondotto.

105p. 321, Il Silmarillion.

106In precedenza avevo escluso la questione del male naturale dalle risposte della teodicea, in quanto le mitologie sono caratterizzate, di norma, da esaurienti (almeno nell'intento) spiegazioni dell'Origine del male naturale; ma proprio alla fine, nell'Appendice A de Il Signore degli Anelli, Tolkien non si trattiene dal porre ancora l'eterna domanda dell'uomo nel Mondo Primario: perché la morte? O meglio, perché il male della morte?