La religione nelle opere di Tolkien


di Franco Manni


  1. Verso Dio : Dei no, Destino sì


"Potevamo aspettarci di trovare qui nient'altro che rovine e cenere. Ma questo è stato impedito grazie al fatto che ho incontrato Thorin Scudodiquercia una sera all'inizio di primavera , non lungi da Brea. Un incontro casuale, come diciamo noi nella Terra di Mezzo"


Gandalf a Frodo in Racconti Incompiuti , pag. 433


In Tolkien il “meraviglioso” non ha a che fare con la religione : Draghi, spettri, porte runiche, incantesimi sono cose indubbiamente "magiche" ma altrettanto indubbiamente non sono "religiose", cioè non sono significative per il rapporto con Dio e per lo scopo ultimo della vita. Come scrive Tolkien :"La strada che porta al Paese delle Fate non è certo la via del Cielo e nemmeno, a mio giudizio, dell'Inferno". Il Meraviglioso indica solo che la Natura è più ricca, misteriosa e potente di quanto una certa mentalità ottusa e materialistica (alla Sackville-Baggins per intenderci !) potrebbe pensare. Esistono infatti Valar e Maiar, anche se Lobelia e Ted Sabbioso non lo sanno, e da essi deriva, direttamente o indirettamente , tutta la Magia presente nella Terra di Mezzo. Ma anche se i Valar "da alcuni uomini sono stati chiamati Dei", essi non lo sono, non hanno cioè la capacità di creare dal nulla, né l'onniscienza, né l'onnipotenza e dunque non possono decidere né il destino del Mondo né il destino - verso il Bene o verso il Male - del più piccolo hobbit. Essi piuttosto (per usare un termine famigliare alla tradizione monoteista ebraico-cristiano-islamica) sono Angeli, cioè sono - come dicono sia San Paolo sia Tolkien - le Potenze del Mondo, sia buone sia cattive. Un Angelo ( Vala o Maia) è molto più potente di un Elfo o di un Uomo, ma, proprio come questi , non è padrone del destino né proprio né altrui. Sono ( quando buoni) come fratelli maggiori che con il loro esempio danno coraggio : gli Elfi "invocano" Varda, la Vala del lume delle stelle e Pipino invoca Gandalf (il Maia Olorin) affinchè allontani da Faramir il terrore che incute il Nazgul. Ma i fratelli maggiori non sono i genitori, non sono sentiti all'origine della nostra natura, della nostra vita, della nostra storia : l'unico padre è Eru Iluvatar, Colui che sta Solo, che ha creato Valar, Maiar, il Mondo , gli Elfi, gli Uomini e Tutto; e il Tutto lo ha creato dal Niente.

D'altra parte nel Signore degli Anelli nessuno mai nomina o prega Eru Iluvatar. E' vero che anche ebrei e cristiani ritengono comandamento religioso "non nominare il nome di Dio invano", ma nel mondo di Tolkien sembra che in qualsiasi situazione lo si nominerebbe invano, e dunque non lo si nomina mai (mai nell'età della Guerra dell'Anello, quasi mai nelle altre età). Ma, se nessuno parla di Eru, allora nessuna mamma umana o elfica o hobbit ne parla ai suoi bambini e questi mai ,dunque, ne sentono parlare e mai, dunque, ne conoscono l'esistenza. Ma allora la religione della Terra di Mezzo è quella in cui esiste un Dio creatore onnipotente, ma in cui nessuno sa che Egli esiste. Possiamo allora chiamarla religione, o si tratta piuttosto di un mondo che è conscio, più del nostro, delle profonde possibilità della Natura (la magia , i Valar) ma che, rispetto al nostro, è sostanzialmente ateo ? Io penso - e questa è la tesi principale di questo scritto - che legittimamente possiamo parlare di religione e, anzi, che questa religione della Terra di Mezzo sia molto vicina e molto fedele a quella degli ebrei e dei cristiani. Questo, se depuriamo l'ebraismo e il cristianesimo dalle scorie che , lungo i millenni, le mitologie mediterranee (egizia, orfica, babilonese, greco-romana) e nordiche (celtica, germanica e finnica) vi hanno depositato, contaminandoli : ebraismo e cristianesimo, nati in Palestina, sono stati diffusi fuori da essa in altre realtà etnico-culturali e necessariamente hanno da esse preso i linguaggi, le metafore, le immagini. Ma il contenuto religioso ebraico-cristiano (legato a Dio e al fine della vita) può essere distinto nettamente da tali realtà etnico-culturali e dalle loro scorie mitiche.

Il mondo di Tolkien non è ateo perché in esso (o, almeno, in alcuni dei suoi abitanti) c'è la coscienza dell'esistenza del Destino, cioè di una Necessità trascendente ( superiore alle conoscenze e alle volontà dei singoli), unitaria (che coinvolge e lega tra loro tutte le storie di tutti i singoli), sensata (che ha uno scopo, un significato che porta non a un caotico Caso, ma porta a una situazione finale che potrà essere compresa dai singoli, anche se adesso è incomprensibile e imprevedibile). Ora, chi è cosciente che esiste un Destino (cioè una necessità trascendente, unitaria, sensata) non è ateo ma è credente.

E' credente Gandalf quando, parlando con Frodo, dice che sé stesso, l'Anello, Bilbo erano "destinati" a fare quello che hanno fatto e che egli, Gandalf, non "scelse" Bilbo ma piuttosto "fu scelto per scegliere Bilbo". E' credente Frodo quando è pietoso verso Gollum nel viaggio a Mordor, e poi , durante l'eruzione di Monte Fato, quando ricorda a Sam il perché di tale pietà : e cioè che anche Gollum era destinato - volente o nolente - a compiere qualcosa di decisivo per salvare la Terra di Mezzo. Invece è miscredente Denethor quando, in procinto di suicidarsi, dice :"Vorrei che tutto fosse come al tempo dei miei avi. Ma se il Fato non me lo concede, preferisco non aver nulla : né la vita diminuita né l'amore dimezzato". Cioè, è miscredente colui che, desiderando l'impossibile (che un tempo passato ridivenga presente) si ribella al Destino e dunque alla Realtà : la realtà gli proipone ancora di sperare in un futuro di Sovrintendente (anche se ci sarà, finalmente tornato, il Re) ed in un futuro di padre (anche se ci sarà posto, nel cuore del figlio Faramir, per i consigli di Gandalf), ma Denethor, accecato dalla superbia, preferisce la disperazione a una speranza in qualche cosa di non scelto da luio stesso, ma scelto invece dal Destino.



  1. Verso Dio : chiamata e con-chiamata



"La Via prosegue senza fine

Lungi dall'uscio dal qual parte

Ora la Via è fuggita avanti,

Devo inseguirla a ogni costo

Rincorrendola coi piedi alati

Sino all'incrocio con una più larga

Dove si uniscono piste e sentieri .

E poi dove andrò ? Nessuno lo sa"



Il Signore degli Anelli , pag. 65



Nell'accettazione (fides) speranzosa (spes) del Destino ci sono già dunque due virtù teologali (che vengono da Dio e si volgono a Dio). Mentre Denethor grida :"L'Occidente soccombe!", Gandalf invece crede e spera, anche se deve accettare, se verrà la vittoria contro Sauron di tramontare e di lasciare per sempre la Terra di Mezzo (cioè morire). E Pipino dice a Denethor :"Gandalf non è uno stolto, e, finchè lui continuerà a sperare, io non temerò la morte!". Perché Gandalf continua a sperare, anche se nel contenuto della sua speranza cioè la morte personale, e, d'altra parte egli non è uno "stolto" ? Questo è un punto importante : mentre Denethor pone sé stesso al centro di tutto ( e dunque non può accettare un Destino in cui egli non sarà più al centro né di Minas Tirith né dell'affetto di Faramir), Gandalf, invece, non pone sé stesso al centro ; il centro della sua affettività è piuttosto la salvezza della Terra di Mezzo, e dunque riesce ad accettare un Destino in cui la Terra di Mezzo possa essere salva , anche se in essa non ci sarà più un Gandalf-Mithrandir (rimarrà Olorin, ma in una dimensione "altra"). Ecco dunque le due virtù teo-logali della Fides e della Spes motivate dalla terza e più grande : la Caritas, l'amore vasto che, pur non escludendolo, non trova il baricentro nel proprio ego.

Per gli individui "Destino" significa una chiamata verso qualcosa - una missione, una meta - che tutto è tranne che chiara e definita, eppure è proprio una chiamata, cioè un impulso a strutturare la vita in una maniera piuttosto che in un'altra. Bilbo per esempio è celibe, diversamente dagli altri hobbit. Perché ? Per una ragione profonda che neanche lui comprendeva, e per tale ragione voleva rimanere libero per potere partire dalla Contea non appena fosse stato necessario. E Frodo, anche lui celibe, conduce una vita comoda e borghese, ma ogni tanto sente uno struggente desiderio di visitare le Montagne e desidera, prima o poi, di raggiungere Bilbo. Ma sempre dice a sé stesso :"Non ancora!", attende che giunga il momento di essere chiamato. E Gollum diventa, passo dopo passo, un traditore "di professione", contro quelle che erano le abitudini hobbit in cui era stato educato ; ma anche questa è una chiamata a una missione particolare, come dice Gandalf : un traditore può tradire sé stesso e compiere del bene che non intende fare. Una persona è chiamata perché è sé stessa e non per qualità standard ritenute utili a compiere missioni standard. Perché è stato scelto Frodo come Portatore ? Non si sa, certo non a causa della sua forza o della sua sapienza.

La chiamata individuale è sempre anche congiunta ad una chiamata comunitaria o con-chiamata (cum-vocatio, ek-klesìa), perché ciascun singolo è chiamato, a modo suo, per la sua unica e irripetibile strada, verso quella ste3ssa meta verso la quale tutti gli altri singoli, per le loro uniche ed irripetibili strade, sono chiamati. Di ciò di solito non ci si rende conto , non ci si accorge di collaborare a uno scopo comune (anche Melkor collabora, pur non sapendolo, per realizzare l'ultima e la più grande musica di Iluvatar).

Solo in alcune occasioni è possibile diventare consapevoli della con-chiamata. Per esempio, al Concilio di Elrond, come dice lo stesso Mezzelfo :"Questo è il motivo per cui siete stati chiamati tutti qui. Chiamati, dico, pur non avendovi io chiamati a me, stranieri di remoti paesi. Siete venuti, e vi siete incontrati, parrebbe quasi per caso. Eppure non è così. Sappiate che è stato ordinato che noi, seduti in questo luogo, noi e non altri, dobbiamo trovare una soluzione al pericolo che corre il mondo".

I luoghi dove è possibile rendersi conto della con-chiamata, e cioè Rivendell e Lothlorien, potremmo chiamarli "chiese" ; non sono certo metropoli o fortezze in cui reclutare eserciti contro Sauron. Eppure Sauron commise un grave errore a non distruggere Rivendell e Lothlorien, distratto dalle armate di Gondor, perché senza di essi la Compagnia non avrebbe potuto accorgersi di essere una Compagnia, e il Portatore dell'Anello non avrebbe potuto rendersi conto della missione a cui era stato chiamato.

Nelle multiformi strade della con-chiamata c'è poi un compito (un "ministero") speciale che potremmo chiamare "clericale", quello di fare accorgere i chiamati di essere con-chiamati, di persuadere all'unità i popoli liberi della Terra di Mezzo. E' il compito degli Istari, e per compierlo essi devono poter soffrire e morire come gli uomini, e non devono mai fare sfoggio di potere , e, se contravvengono, falliscono il loro compito, tanto che adesso solo uno di loro - Mithrandir - rimase fedele.


  1. Verso Dio : la Morte di ogni giorno e l'altra dimensione della Vita


" <Fuggite, sciocchi!>, gridò , e scomparve".


Gandalf alla Compagnia, Il Signore degli Anelli, pag. 412



" <Ma allora non sembrava così, proprio per niente>, ribattè Parish <No, allora era solo un abbozzo> spiegò l'altro."


Albero e foglia, pag. 134


Quale che sia la chiamata, però, tutti sono destinati a un'esperienza comune : l'incontro col Male e alla sconfitta. Sconfitta che - ultimamente - è la morte fisica, ma che - ogni giorno - è la morte quotidiana : è la perdita delle cose buone (della spensieratezza, delle gioie dell'infanzia, dei propri cari, dei propri sogni), è l'invecchiare accorgendosi di non essere riusciti ad eliminare il Male (che o permane nelle forme antiche o rispunta in forme nuove), è l'incapacità a realizzare quel mondo di comprensione, amicizia e verità che pur continuamente si desidera e si insegue.

Tolkien ama tanto la mitologia nordica (quella di Odino, del Wahlalla, del drago Fafnir, dell'orco Grendel, del crepuscolo degli dei) perché essa ha questa superiorità sulla mitologia mediterranea ( quella di Zeus, di Afrodite e Apollo, dell'Olimpo e del Parnaso, delle Muse e delle Grazie) : avere posto il problema del Male, in essa i Mostri sono al centro e loro è la vittoria (anche se non l'onore), in essa anche gli dei, nella battaglia finale contro i mostri, sono sconfitti e il loro regno è distrutto. L'eroe nordico necessariamente è sconfitto e muore : l'unica - terribile - soluzione non è la vittoria esterna, ma solo quella interna su sé stesso, nella quale l'eroe mostra il coraggio della propria nuda volontà e tanto più fermo lo mostra tanto più certa è la tenebra. Il coraggio di fronte alla morte, però, per Tolkien, non deve essere motivato dall'orgoglio del buon nome personale, del volere "fare bella figura", e , in questo senso, molti eroi della mitologia nordica falliscono (come nel Signore degli Anelli fallisce Denethor e rischia di fallire Boromir). Dice Tolkien :"Lo spirito eroico che affronta la morte è puro se fatto per obbedienza alla necessità, è l'eroismo dell'obbedienza e dell'amore a essere più alto e commuovente". Nel Signore degli Anelli è il sacrificio di Gandalf per la Compagnia a Moria, quello di Faramir per suo padre e per la gente di Minas Tirith, quello di Sam per Frodo a Mordor.

Ma, comunque, pur se Gandalf rimane fermo di fronte al Balrog ("Non puoi passare!"), egli, però, veramente "resta ucciso" nello scontro (come in un altro scritto Tolkien precisa) e "solo per breve tempo è richiamato alla vita". E così veramente Bilbo, Frodo, Sam, Legolas, Gimli partono per sempre dai Rifugi Oscuri, e Aragorn, Pipino e Merry sono seppelliti a Gondor, e veramente per sempre "finì di esistere la Compagnia dell'Anello nella Terra di Mezzo". L'ultima parola è dunque quella della morte?

Sì, se non vogliamo usare metafore consolatorie, sì, se non vogliamo arrampicarci sugli specchi. L'ultima (nel comune significato di "cronologicamente ultima") parola è quella della morte. Gli Elfi lasciano per sempre la Terra di Mezzo e gradualmente il ricordo di essi impallidisce nell'era degli Uomini, fino a scomparire del tutto. Dopo la mia morte non c'è più la mia vita né il suo ricordo - se non in maniera confusa e comunque anch'esso per un tempo limitato - rimane nella vita degli altri.

Tolkien nel suo scritto sulle fiabe dice che esse devono avere un' "eucatastrofe" , cioè un momento nel quale ciò che sembrava solamente male si "capovolge" e riusciamo a intravedere la "Gioia oltre le Mura del Mondo ; una gioia acuta come il dolore". Eppure tale "eucatastrofe" non smentisce il disastro . Tolkien dice anche che la vita di Gesù Cristo è l' "Eucatastrofe" della Storia del Mondo, e che la morte-resurrezione è l' "eucatastrofe" della vita di Gesù Cristo stesso. Ma cosa vuol dire questo ? Sappiamo, o crediamo di sapere, cosa significa "morte". Ma cosa vuol dire "resurrezione" ?

Non sembra che, per Tolkien , voglia significare "vita futura". Elrond dice che i saggi, se sono veramente saggi, non desiderano sapere niente del futuro. E Gandalf dice a sé stesso e ai suoi amici che, se anche fosse stato sconfitto Sauron, altri mali possono sopraggiungere, "ma non tocca a noi dominare tutte le maree del mondo ; il nostro compito è di fare il possibile per la salvezza degli anni in cui viviamo, sradicando il male dai campi che conosciamo, al fine di lasciare a coloro che verranno dopo una terra sana e pulita da coltivare. Ma il tempo che avranno non dipende da noi".

Ma leggiamo iul racconto Foglia di Niggle , che è lo scritto in cui Tolkien affronta esplicitamente dell' "altra vita". Niggle è un ometto solitario, appassionato di alberi e di pittura, i cui unici contatti sociali sono con il vicino Parish, che disprezza i suoi quadri e va a trovarlo ( sembra) solo per chiedere in prestito attrezzi per il giardinaggio. Niggle muore e , dopo qualche tempo, sia di lui sia dei suoi quadri non rimane alcun ricordo nel paese. Muore anche Parish e, per qualche tempo, a ricordarlo rimane sua moglie, ma poi anche questa muore e anche Parish viene totalmente dimenticato.

Eppure, parallelamente, Tolkien narra un'altra storia : Niggle si trova in ospedale, a letto mentre sente due Voci discutere tra loro dei suoi vizi e delle sue virtù. Convalescente, viene dimesso e portato in una campagna primaverile in cui ritrova - anche se molto più dettagliati e belli - gli alberi che aveva incominciato a dipingere. E' felice, ma sente la mancanza di Parish ("ci sono molte cose sulla terra, le piante e gli alberi, che lui conosce e io no. Questo posto non può essere soltanto un parco privato"), e lo ritrova . Ed insieme si mettono a lavorare per migliorare la campagna. Parish si accorge di avere sempre avuto bisogno di Niggle e di ammirare i suoi alberi, che pur credeva di disprezzare. E Niggle di avere sempre avuto bisogno di Parish, vicino sgarbato e interessato, ma l'unico che veniva a parlare con lui. E dice :"Sai Parish, ti avevo soprannominato Vecchia Talpa. Ma che importa ormai ? Abbiamo vissuto e lavorato insieme. Le cose sarebbero potute andare diversamente, non però essere migliori".

Tolkien dunque ci dice che la nostra vita non ha un'unica dimensione. La nostra stessa vita può essere guardata ( e proprio grazie alla morte, o, meglio, alla coscienza della morte, sia quella quotidiana sia quella finale) da un altro punto di vista. Proprio mentre stiamo costruendo un mondo in cui i capelli cadono, i cari ci lasciano, i ricordi si annebbiano, i sogni si disperdono, contemporaneamente costruiamo un altro mondo (nel quale , per Tolkien, la creazione artistica e i rapporti interpersonali sono i mattoni fondamentali). In esso ciò che creiamo (un quadro, un figlio) risulta molto più ricco, dettagliato, stupefacente, di quanto avessimo immaginato ; in esso quei legami, che possono sembrare grigi, ordinari, di basso profilo, risultano essere la nostra reale occasione di ricevere e dare affetto. Un affetto che realmente ci fa vivere, anche (o forse proprio) quando questa nostra vita ci sembra una perdita di tempo.

E non è tutto, perché quest'altra dimensione della nostra vita, questa campagna che sentiamo famigliare, perché è espressione della nostra persona, è solo una porzione dell'altro mondo. Attorno ad essa e in essa ci sono anche oggetti e paesaggi costruiti da altre persone, note e ignote ; c'è una Foresta e, oltre ad essa, ci sono le Montagne, per le quali Niggle (come Bilbo e come Frodo) sente un acuto desiderio.



  1. Verso Dio : la religione "anonima" nella Terra di Mezzo



"Vanda sina termaruva Elenna noreò alcar enyalen ar Elendil Vorando voronwe. Nai tiruvantes i harar mahalmassen mi Nùmen ar i Eru i or ilye mahalmar ea tennoio"

Cirion a Eorl in Racconti Incompiuti , pag. 409

Diversamente che in altro mondi fantasy precedenti e successivi a quello inventato da Tolkien, nella Terra di Mezzo non ci sono templi e non esiste un culto alla divinità. Solo nella Seconda Era e non nella Terra di Mezzo ma a Nùmenor-Atlantide, è esistito un culto a Iluvatar : in cima al monte Meneltarma il re di Nùmenor e il popolo tre volte l'anno salivano : il re a primavera chiedeva felicità per il nuovo anno, a mezz'estate lodava la potenza di Dio, alla fine dell'autunno ringraziava per l'anno trascorso. In tutte le altre occasioni chi saliva sul Meneltarma osservava un assoluto silenzio. E anche là : "nessun edificio, nessun altare, neppure un cumulo di pietre nude vi si rizzò mai ; e niente che assomigliasse a un tempio ebbero i Numenorean per tutto il periodo della loro gloria fino all'avvento di Sauron". L'unico tempio mai costruito, infatti, fu quello che , a Nùmenor, Sauron dedicò al Vala Melko Morgoroth e in cui si facevano sacrifici umani.

E' chiaro il riferimento biblico : Tolkien guarda alla religiosità di Israele dal tempo di Abramo al tempo di Davide, escludendo Salomone e i suoi discendenti. E' il tempo in cui non esiste alcun tempio a Jahvè e il popolo ebreo si sente ancora come tra le tende del Deserto durante l'Esodo : quando poteva sperare solo nella fedeltà amorosa di Jahvè e in nient'altro. Non credeva ancora di poter "bloccare" Dio in un contrattuale "do ut des" attraverso il culto. Davide fu tentato di costruire il tempio, ma poi rinuncerà poiché Dio attraverso il profeta Natan rifiutò : "Non tu Davide farai una casa a me, ma io farò una casa a te, cioè farò uscire da te una discendenza che durerà in eterno ; tu fidati del mio amore fedele, già numerose volte ho salvato il popolo e sempre lo salverò".

Ma Salomone, figlio di Davide, costruì il tempio a Gerusalemme, egli ebbe una vita piena di peccati anche se di gloria apparente, e già i figli delle varie concubine lottarono a morte per l'eredità , e il regno si spaccò in due fino alla conquista da parte dei vari imperi pagani e alla definitiva perdita della libertà.

L'appello biblico e tolkieniano è dunque alla purezza e alla nudità dell'affidamento a Dio (Dio ci salva perché lo vuole Lui - Lui è il fedele - e non perché col culto lo "costringiamo" a salvarci). Questa purezza delle fede fu oscurata in tutta la restante storia di Israele dal X secolo a. C. fini al 70 d. C. e cioè alla distruzione del tempio da parte del romano Tito e alla diaspora mondiale degli ebrei (Nùmenor nella sua lunga decadenza fini al cataclisma e alla fuga dei pochi Fedeli rimasti al seguito di Elendil che stabiliscono nuovi insediamenti nella Terra di Mezzo).

Ci fu un solo momento che contrastò questa decadenza, e fu poco prima del disastro finale, ma fu un momento decisivo : Gesù Cristo . Egli predisse la distruzione del Tempio di Salomone e affermò che l'Unico Vero Tempio del culto a Dio era il suo corpo stesso : se sarà distrutto Egli lo ricostruirà in tre giorni (venerdì, sabato e domenica di Pasqua). E san Paolo in numerosi passi delle sue Lettere precisò che l'Unico Vero Tempio è il corpo di Cristo, e cioè la comunità dei cristiani, ovunque diffusa nel tempo e nello spazio. E' Gesù il discendente di Davide ("Osanna, figlio di David") del quale parlava il profeta Natan come di colui che regnerà in eterno. E in Gesù - il Dio-uomo - Dio contemporaneamente farà una Casa-Tempio all'uomo e riceverà dall'uomo una Casa-Tempio, tempio fatto da "pietre vive"…..

Come si rapporta Tolkien a questa teologia ebraica e cristiana ? In parte , come abbiamo già visto, la segue : senso del Destino, della chiamata, della con-chiamata, rinuncia a chiudere Dio in un Tempio. In parte, però, non la segue : alla Terra di Mezzo mancano due cose essenziali sia per gli ebrei sia per i cristiani : la preghiera e il Messia.

Nella Terra di Mezzo le persone, anche quelle libere e fedeli, non pregano, cioè non dialogano direttamente con Dio. La forza per seguire la Via Giusta, dunque, non viene loro dall'appello esplicito a Dio, ma da altre fonti. Per Frodo e i suoi amici, per esempio, la fuoriuscita dalla vita piccolo-borghese hobbit deriva da un loro spaesamento esistenziale nella Contea e dal fascino per l'avventura e per le persone "belle e nobili". Come dice Merry :"E' difficile per gli Hobbit vivere nell'epica, ma bisogna pur incominciare ad amare ciò che si è fatti per amare ; ci sono cose più alte e più profonde della Contea, e senza di esse nessun vecchio contadino potrebbe coltivare il suo giardino in quella che chiama pace, anche se ne ignora l'esistenza ; io sono contento di conoscerle, almeno un poco". Per Sam la forza di resistere alla tentazione di arrogarsi l'Anello viene da due cause : l'amore per Frodo e la modestia caratteriale che gli fa sembrare assurdo un "Samvise il Forte , Eroe dell'Era".

Oltre alla preghiera manca , nella Terra di Mezzo, la figura del Messia, dell'uomo-Dio : Dio risiede "oltre le mura del mondo" e nessun uomo nella storia riesce a realizzare in sé pienamente la volontà di Dio e dunque ad essere esempio per gli altri uomini che tale volontà può essere pienamente realizzata. Sul Campo di Cormallen, dopo la disfatta di Sauron, Frodo porge a Gandalf la corona da mettere sul capo di Aragorn. Aragorn è il Re degli uomini, colui che deve portare la pace politica, la prosperità economica, il rigoglio culturale. Gandalf è il Profeta, colui che sa leggere il significato della Storia e "sveglia le coscienze assopite" istruendo chi vuole ascoltarlo. Frodo è il Sacerdote , colui che fa il sacrificio supremo, non quello di un capretto o di un montone, ma quello del proprio corpo e della propria volontà. Regalità, Profezia, Sacerdozio. Sono i tre carismi (doni) del messia, il quale è assieme Re dei Re, Ultimo dei Profeti, Sommo Sacerdote. Ma, nella Terra di Mezzo, questi doni sono divisi e distribuiti a persone diverse.

In conclusione, come valutare la religione della Terra di Mezzo ? Secondo me, essa è quella che il principale teologo del Concilio Vaticano II, Karl Rahner chiama "cristianesimo anonimo", cioè la religiosità della persona che, se interrogata sulla sua fede, dice :"Sì, credo in Dio, ma so poco o nulla in realtà del Dio cristiano. Credo in un Essere Superiore che ha creato il mondo e ne guida misteriosamente le vicende, e vuole che ovunque regni l'amore". Tolkien ha voluto parlare di un mondo profano, non perché mondo abbandonato da Dio, ma perché mondo che di Dio non si occupa esplicitamente e che dell'esistenza di Dio, a meno che non sia interrogato esplicitamente sull'argomento, di solito non è cosciente. E' il mondo nel quale i "liberi e fedeli" seguono quando possono la Via Maestra, ma lo fanno di solito inconsciamente.

Tolkien ,nella sua vita di uomo, ha sempre fatto bene della Chiesa Visibile (quella col suo libro sacro, con i suoi vescovi e preti, i suoi sacramenti, i suoi templi e le sue preghiere) e da essa ha preso grande luce e grande conforto ; nella sua carriera di autore, invece, ha voluto parlare di coloro che Fanno parte della Chiesa Invisibile ( i Popoli Liberi della Terra di Mezzo) . Costoro non hanno né Libro né ministri né preghiere ed i loro "sacramenti" ( cioè segni efficaci) di salvezza sono un incontro "casuale" in una locanda o in una foresta, la nostalgia per le Montagne e per la nobiltà dei grandi eroi, l'ascolto del racconto di un vecchio saggio, l'obbedienza fedele a un incarico ricevuto, la sfida coraggiosa a un nemico ingiusto e crudele, l'amicizia e il sacrificio - quando occorre - della propria vita per gli amici.