Report di There and back again - Lo Hobbit, oltre il film

Ovvero, perché organizzare un evento tolkieniano



di Simone Bettini

L’Associazione Sackville è probabilmente uno dei più piccoli gruppi di appassionati di Tolkien in Italia – conta una ventina di soci “sulla carta” per l’anno 2014 anche se agli incontri mensili non di rado capita che ce ne siano solo un paio – eppure periodicamente fiorisce come un mallorn, rendendo più bella la provincia di Bergamo con eventi dedicati al Professore. Sono ormai lontani i fasti de I borghi dell’Anello, la manifestazione di due giorni organizzata nelle estati 2004, 2005 e 2006 in Val Brembana, una sorta di Hobbiton orobica ricca di attività pensate per tutti, dal super-appassionato tolkieniano al villeggiante milanese in cerca di frescura nelle valli bergamasche. Non hanno più le forze per organizzarla ed è venuto a mancare il supporto delle amministrazioni locali.

Tuttavia, nel dicembre 2012, sfruttando il volano comunicativo del primo film (molto) liberamente ispirato da Lo Hobbit, l’Associazione Sackville ha ideato e realizzato un format di evento che potesse essere interessante per un pubblico non specialistico: ha riunito numerosi esperti a vario titolo di Tolkien (saggisti, doppiatori, musicisti, community manager) dando loro un tempo massimo di pochi minuti per parlare di una parola che il relatore riteneva importante, in relazione alle opere letterarie della Terra di Mezzo. There and back again: Sulle tracce di Bilbo Baggins in sé è stato un successo di pubblico, ma organizzare un evento del genere richiede un prezzo da pagare in tempo sottratto alla propria famiglia e - perché no - alla lettura. Pertanto a conclusione della serata i cinque componenti del direttivo dell’Associazione Sackville si erano ripromessi di non cadere più nella tentazione di dar vita a un altro evento, perché per poche ore di “tolkienianità” si fatica per mesi. Dallo scegliere il titolo al contattare i possibili relatori, dalla comunicazione online a quella fisica in biblioteche e negozi, le cose da fare sono molteplici e non sempre interessanti. O piacevoli. E come ebbero modo di constatare nei mesi seguenti uno degli scopi principali dell’evento – farsi conoscere nel territorio per portare nuovi soci e simpatizzanti agli incontri mensili – non era stato raggiunto.

Alla luce di queste riflessioni l’assemblea dei soci ad inizio 2014 aveva deciso di organizzare delle tranquille presentazioni di “giovani scrittori fantasy”, sempre nell’intento di ottenere un po’ di visibilità, ma senza doversi impegnare troppo. Tuttavia, mentre prendevano contatti per i primi incontri, l’asticella sembrò loro troppo bassa… e ci ricascarono!

Nonostante i vari inconvenienti di percorso (da uno dei quattro organizzatori sparito per settimane ai malanni di stagione che hanno impedito la partecipazione all’ultimo minuto di due relatori) There and back again - Lo Hobbit, oltre il film ha avuto luogo il 13 dicembre 2014.

Lo spazio nella centralissima via Tasso a Bergamo – messa a disposizione dall’Associazione Torquato Tasso – si presenta ai visitatori non come una impersonale sala conferenze, ma più come una casa: all’ingresso c’è un salotto con comode poltrone per accogliere gli stanchi viaggiatori provenienti da tutto il nord Italia mentre nella saletta laterale ci si può immergere immediatamente nelle atmosfere della Terra di Mezzo.
Entrando si vede subito la piccola ma ben fornita area, con molti dei libri scritti dai relatori insieme
a quelli del Professore, allestita dal libraio di fiducia dei Sackville, Oscar della Libreria Fluttuante di Medolago. Sulle pareti sono esposti i pannelli della mostra Qui, nel mondo Reale - L’incredibile corrispondenza tra il mondo di Tolkien e il nostro cuore, realizzati da alcuni ragazzi del Centro Culturale “Pier Giorgio Frassati” di Brescia, per presentare i personaggi principali: utile per chi è meno ferrato in materia ma ottimi anche per chi necessita di un piccolo ripasso. Sfortunatamente, nonostante sia già stata fatta una selezione per scegliere quelli da esporre tra tutti quelli realizzati, i pannelli avrebbero bisogno di spazi molto più ampi per essere fruiti al meglio. Al centro della saletta, invece, sono esposti quattro diorami ispirati alla prima trilogia di Peter Jackson. Il più imponente è quello di Orthanc allagata, che diventa ancora più incredibile se si scambia qualche parola con l’artefice di tali opere, Gianfranco Martinelli, che sorprende tutti spiegando come ha costruito la Torre Nera di Isengard: mollette, stuzzicadenti e forchettine da cocktail! L’altro diorama, che nella ricchezza e complessità della scena trattiene a lungo lo sguardo dell’osservatore, è quello del ponte di Khazad-dûm, ma non sono certo meno affascinanti la fuga al guado e la scena di battaglia degli Eorlingas. Su di un lato della stanza fanno bella mostra tre diorami più piccoli non ispirati a Tolkien, ma che raggiungono un livello di perfezione e maniacalità nei dettagli a dir poco incredibile: sono alcune delle creazioni del gruppo modellistico I picchiatelli, presentate a Stresa durante il World Model Expo (il campionato mondiale di modellismo) vincendo l’oro nella categoria Fantasy!

Quando gli ultimi spettatori si sono accomodati nella sala principale il presentatore che farà da fil rouge tra tutti gli interventi dei relatori – il bravissimo Angelo Maurizio Mapelli dell’associazione culturale Alle Radici della Comunità – introduce brevemente l’Associazione Sackville e l’evento There and back again - Lo Hobbit, oltre il film con il suo format atipico.

Passa quindi la parola a Angelo Berti, direttore di Fantasy Planet e scrittore che non si definisce esperto ma appassionato. La parola scelta è invisibile: tutti prima o poi nella vita vorrebbero essere invisibili per nascondersi alle cose negative che possono accadere loro. L’Anello al contrario ti nasconde agli occhi di chi ti vuole bene ed al contempo ti rende ancora più visibile agli occhi di Sauron. Il vero protagonista del Signore degli Anelli secondo Berti è Samvise Gamgee, l’unico che non scompare mai ed è lo stesso dall’inizio alla fine del libro: l’invito è ad essere come lui, diventare portatori dei nostri anelli e di quelli degli altri in modo da far scomparire l’invisibilità.

Dopo il caloroso applauso è il momento di Paola Cartoceti, filologa e appassionata di lingue e letterature, traduttrice per la Fanucci, che parla del coraggio come poetica della sconfitta. Questa parola è collegata con la guerra: Tolkien ne aveva avuto esperienza diretta durante il primo conflitto mondiale, quando aveva da poco iniziato a scrivere della Terra di Mezzo. Sostenne che la teoria del coraggio contenuta nel poema La battaglia di Maldon è il più grande contributo dell’antica poesia nordica: il paradosso della volontà invitta di fronte alla sconfitta inevitabile. Nel Beowulf il Professore è affascinato dal guerriero precristiano dotato di valori positivi e universali. Da giovane sconfigge Grendel ma in tarda età viene ucciso da un drago e la sua unica ricompensa è la maestosità della pira funebre, in quanto dato il periodo di transizione non c’è né il Valhalla pagano né il Paradiso cristiano. Ne Lo hobbit troviamo una rappresentazione poetica del coraggio senza speranza quando Bilbo deve fare il primo passo verso la caverna occupata da Smaug. Nel Signore degli Anelli la figura del pagano nobile e virtuoso che incarna la teoria del coraggio è Eomer, ruolo reso esplicito quando recita le strofe:

Dal dubbio e dalle tenebre verso il giorno galoppai,
E cantando al sole la spada sguainai,
Svanita ogni speme, lacero è il cuore:
Ci attende la collera, la rovina e il notturno bagliore!

Ma Tolkien è anche il teorico dell’eucatastrofe: infatti le vele nere non portano la sconfitta ma addirittura Aragorn, il rex venturus.

Durante questo intervento iniziano ad entrare dalle finestre che guardano via Tasso le melodie natalizie di un organetto che non ci abbandoneranno più fino alla fine dell’evento…

Il microfono passa a Marco Cimmino, storico militare e scrittore specializzato nello studio della Grande Guerra, che – stanco di parlare di morti e di scontri – tratta per una volta un tema diametralmente opposto, la guarigione. Lo affronta da un punto di vista filologico ed epistemologico, come avrebbe fatto Tolkien, per dimostrare come si possano leggere le sue opere affiancandolo ad altri autori. Ci sono due tipi di guarigione in Tolkien, magico (la medicina elfica) e religioso (il re che guarisce): da un punto di vista metaforico sono il punto di partenza della cultura di Tolkien, un cattolico che si occupa di letteratura inglese. Cimmino analizza prima brevemente l’Orestea trovando la rappresentazione del sincretismo tra il precedente culto ctonio e il nuovo culto olimpico; passa poi all’Ivanhoe di Walter Scott individuando in Riccardo Cuor di Leone la figura cardine nel difficile passaggio del potere fra sassoni e normanni, in quanto normanno che ha come caro amico un sassone e quindi tratta tutti imparzialmente. Allo stesso modo nel Signore degli Anelli la guarigione è uno dei principali trait d’union tra due mondi diversi: quello precristiano rappresentato dagli elfi e il mondo cristiano rappresentato da Aragorn.

Mapelli introduce Roberto Fontana, ingegnere nucleare e appassionato di calligrafia elfica, che per non tradire le aspettative ha scelto di parlare di Tengwar. È il plurale di Tengwa, una parola della lingua Quenya con connotazioni sia fonetiche che grafiche. Fontana spiega e contemporaneamente mostra scrivendo che dal punto di vista stilistico possiamo distinguere fra tre tipi di grafia. Il Tengwar parmaïtë, cioè la “scrittura formale dei libri”, costituisce uno stile dritto e semplice (tecnicamente, un semionciale) adatto alla produzione letteraria e saggistica; il Tengwar corsivo, uno stile inclinato (italico), con ammorbidimento delle forme, dove fanno la loro comparsa riccioli e piccoli svolazzi. Infine, le Tengwar spigolose, di cui Tolkien ci ha lasciato qualche esempio ma che non furono mai utilizzate significativamente. Il sistema fonetico-simbolico ideato da Tolkien può essere adattato ad ogni linguaggio, a condizione che i vari fonemi che compongono tali lingue vengano codificati in Tengwar in modo costante ed univoco. La lingua italiana ben si adatta al sistema Tengwar, in quanto nonostante varie eccezioni, i valori fonetici delle lettere sono abbastanza costanti. Solo alla fine svela cosa ha scritto mentre parlava: Elen síla lúmenn’ omentielvo!

È il momento per Paolo Gulisano, saggista e scrittore esperto di Tolkien, di descrivere come nel grande affresco della condizione umana realizzato nelle opere del Professore ci sia un posto di rilievo per una tipologia particolare del male, non quello mostruoso e visibile degli orchi, ma per il tradimento. Partendo dall’etimologia latina, “consegnare”, si capisce che è un’azione molto concreta: consegnare sé stessi o qualcosa al nemico. I tradimenti più gravi sono quelli delle creature che hanno ricevuto di più; il primo esempio è quello di Fëanor nel Silmarillion, un elfo dotato di qualità straordinarie (ha ideato tra le altre cose le Tengwar) che ad un certo punto tradisce gli elfi e i Valar. Nel Signore degli Anelli c’è il tradimento di un altro grande, Saruman, ma anche quelli dei piccoli, come Sméagol che tradisce l’amico Déagol uccidendolo. Il tradimento di Saruman è però molto più grave, è un’apostasia a cui è spinto dalla superbia e dal calcolo. Per Tolkien questo è un tema importante perché aveva studiato i passaggi più tragici nella storia del suo Paese, quando i grandi tradirono per seguire il potere: è una forma di male che viene da una decisione deliberata, non il cedimento di un momento. Per questo Boromir non è un traditore: cede e “tradisce” ma solo per un attimo, immediatamente dopo – rendendosi conto di quello che ha fatto – si riscatta. Il tradimento è qualcosa di più radicale: è deliberato, lucido, fermo, consapevole. Contro questo Tolkien ci esorta a vigilare.

Emanuele Manco, curatore del magazine online fantasymagazine, parla di Tolkien come grande affabulatore scegliendo la parola narrazione. Le storie ci affascinano poiché quando entriamo in contatto con l’autore sospendiamo l’incredulità, come disse nel ’800 Samuel Coleridge. Tolkien nel saggio Sulle fiabe scrive che non ci si può accontentare della sospensione dell’incredulità perché questa suppone che esista un filtro, ovvero che il lettore sappia che è una storia che in quel momento gli concede una parentesi. Lui vuole invece avvolgere il lettore nel suo mondo secondario, vero quanto la realtà. La storia è come una cornice che ritaglia un piccolo pezzo di un mondo enorme creato dai mondi cha appaiono in trasparenza (lingue, costumi, genealogie, …). Se il lettore è capace di essere dentro la storia e nel contempo percepire che c’è qualcosa all’interno ecco che la magia del mondo secondario diventa reale. Al narratore serve maestria elfica per costruire il mondo secondario poiché tutto – dai mari alle stelle – deve essere accuratamente pianificato: l’esercizio della fantasia di chi legge non implica la perdita della razionalità, la costruzione pertanto deve essere rigorosa. Il momento chiave di tutta la narrazione si compie quando il lettore chiede allo scrittore se è vero quello che sta leggendo. Secondo Tolkien se il narratore ha costruito bene il suo mondo la riposta può essere solamente «sì, è vero in quel mondo».

Franco Manni, direttore di Endòre e presidente onorario dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani, affronta il tema del fallimento. Ci sono numerosi fallimenti nelle opere tolkieniane e anche Il signore degli Anelli ha fallito, non riuscendo a diventare un classico. Falliscono “democraticamente” sia i buoni che i cattivi. Melkor fallisce, pur non fallendo nel lasciare conseguenza, falliscono Sauron e Saruman. Ma anche i buoni falliscono: dalla tragedia di Túrin Turambar a Finrod Felagund nella ricerca del Silmaril, Ilúvatar stesso fallisce nel tema della Musica degli Ainur a causa delle variazioni introdotte da Melkor, Elrond fallisce nel piano per sua figlia. Troviamo fallimenti con riscatto finale, come quello di Boromir, ma i fallimenti dei buoni non sono necessariamente con riscatto finale, come le vicende di Túrin ci dimostrano. Gollum è il salvatore della Terra di Mezzo ma è senza riscatto, mentre Frodo al contempo è convinto di aver fallito, perché all’ultimo si è arrogato il potere dell’Anello. In seguito non riesce più a godere della Contea, vive celibe e non particolarmente apprezzato dagli hobbit. Come dare un senso ai falliti con accanto i non-falliti e alla compresenza tra falliti con riscatto e quelli senza? Fallisce anche il fallimento, quando moriranno tutti e si spengneranno le stelle morirà anche il morire… Manni conclude scusandosi che il suo fallimento è stato nello spiegarlo, ma che è l’ultimo fallimento del suo intervento!

Mapelli introduce l’ultima ospite dell’evento, la scrittrice Chiara Nejrotti, che ci racconta di come ciò che più la colpì quando lesse Tolkien per la prima volta fu l’atmosfera, che può essere esemplificata nel tema delle stelle. Le stelle sono un elemento costante nell’opera tolkieniana: tra i Valar la più lungimirante è Varda, la signora della volta stellata, e gli elfi nascono quando ancora non esistono il sole e la luna, ma solo le stelle. Eärendil raggiunge Valinor per implorare la pietà dei Valar e viene trasformato in una stella che, sorgendo per la prima volta nel cielo, è segno di speranza per gli elfi nella Terra di Mezzo. Nel Signore degli Anelli Galadriel dona a Frodo la fiala che contiene la luce di Eärendil, l’unica luce che può sostenere lui e Sam nei luoghi oscuri abitati da Shelob. Ed è la breve apparizione delle stelle a Mordor che dà speranza a Sam, ricordandogli le tranquille notti nella Contea. La luce delle stelle pur essendo flebile e distante illumina la notte, facendo in modo che non ci sia mai una notte tanto buia da essere senza speranza. Una delle etimologie possibili della parola desiderare è dal latino de-sidera (riguardo le stelle), quindi il desiderio come aspirazione verso l’oltre, la ricerca della luce e della verità – intese come bellezza – che ci porta a guardare nella notte verso l’alto alla ricerca delle stelle.

Angelo Mapelli ricorda le otto parole presentate dai relatori nell’ora e mezza precedente; tocca poi alla presidente dei Sackville, Valentina Zenoni, fare i ringraziamenti di rito e congedare il pubblico.

Ne è valsa la pena?
Sicuramente sì!
L’
Associazione Sackville organizzerà qualcosa di simile in futuro?
Certamente no!
Almeno fino alla prossima volta, ne siamo certi!