Noblesse Oblige: immagini di classe in Tolkien.1



di Tom Shippey

(traduzione di Simone Bonechi)

Ho cominciato a pensare di scrivere un articolo sul presente argomento quando un giornalista del Times - una volta si sarebbe detto “un gentiluomo del Times” - mi telefonò per chiedermi cosa avessi da dire riguardo all’accusa mossa da Michael Moorcock a Tolkien di rappresentare solo “i valori di una classe media moralmente in bancarotta”. La risposta che diedi allora è troppo sgarbata per essere ripetuta qui, ma mi portò a riflettere sulla questione delle classi sociali in Tolkien.

Può sembrare un argomento di scarsa importanza o rilievo. Una caratteristica di molti paesi fantastici della letteratura inglese –in William Morris e ne La spada nella roccia di T. H. White, così come in Tolkien – è che appaiono essere ambientati in una sorta di Utopia che, pur non essendo priva di classi sociali, è tuttavia libera dalle pressioni della competizione di classe, come se lo scopo principale degli autori fosse di permettere alle persone di dimenticare per un breve periodo di tempo il sistema di classi inglese (o, direbbe qualcuno, di fornir loro una versione edulcorata di questo sistema, per renderglielo più accettabile nella vita reale). In questa interpretazione, gli autori fantasy non hanno sostanzialmente nulla di originale da dire sul tema delle classi sociali. Nel caso di William Morris, in particolare, la possibilità che egli potesse effettivamente avere qualcosa da dire è stata rigettata in modo netto dai suoi eredi e dai suoi critici.

Parlando del romanzo di Morris The House of the Wolfings (1888), sua figlia May Morris raccontava una storia su come, dopo l’uscita del libro, un professore tedesco “scrisse ponendo erudite domande sul Mark, aspettandosi, temo, di ricevere risposte ugualmente erudite dal nostro Poeta, il quale talvolta sognava delle realtà senza avere prove documentabili della loro esistenza.”2 La figlia di Morris si faceva beffe, nelle sue intenzioni, del professore tedesco, che avrebbe dovuto essere abbastanza avveduto da non aspettarsi che Morris avesse una chiara opinione su una regione, il Mark, che aveva inventato di sana pianta.

Quasi esattamente allo stesso modo E.P. Thompson, il più autorevole dei biografi di Morris, riporta una storia secondo la quale, “quando un archeologo tedesco gli scrisse chiedendo quali fonti di informazione avesse usato nello scrivere The House of the Wolfings, Morris esclamò: ‘Questo sciocco non si rende conto […] che è un romanzo, un’opera di fantasia – che sono tutte BUGIE!’”3 Io non so se il “professore tedesco” di May Morris e l’ “archeologo tedesco” di Thompson siano la stessa persona,4 ma il nocciolo di entrambe le storie è il medesimo. I commentatori inglesi di Morris vogliono negare che la sua narrativa possa essere stata qualcosa di più che un puro e semplice racconto romanzesco, che potesse contenere una seria riflessione o interpretazione sulla società da offrire ai propri lettori. E si liberano dall’idea che forse egli sapesse effettivamente di cosa stava scrivendo, scaricandola su sciocchi e comici pedanti tedeschi: in Inghilterra i tedeschi hanno fama di prendere le cose troppo sul serio.

Morris era in verità una persona estremamente colta, con una vasta biblioteca, la cui immaginazione era stata oltretutto potentemente stimolata proprio da quella tradizione (in gran parte tedesca) di riflessioni filologiche sulla antica letteratura nordica, recentemente riscoperta, che ispirò, a parer mio, lo stesso Tolkien. Proprio l’uso di termini come ‘il Mark’ in The House of the Wolfings mostra che Morris aveva letto edizioni critiche e commenti filologici.5 Mi sembra del tutto probabile che Morris stesse cercando effettivamente di dire qualcosa sulle classi sociali nelle sue opere narrative, anche se era qualcosa che sua figlia e i suoi critici bien-pensant di sinistra non volevano sentire. Penso che lo stesso sia ancor più vero per Tolkien. Ma, come le reazioni da May Morris a Michael Moorcock dimostrano, il problema (specialmente per un inglese) è essere capaci di affrontare il problema delle classi sociali senza rimanerne invischiati. Il modo migliore per farlo è trattarlo sotto il profilo linguistico.

Qual è la situazione della Contea rispetto alle classi sociali? È chiaro che c’è un sistema di classi: ma questo sistema ha dei buchi. Non c’è nessuno in cima ad esso. Gli hobbit della Contea riconoscono verbalmente ancora l’autorità del re, ma non ne hanno avuto uno per quasi mille anni. Hanno invece un Conte (Thain), “per tenere l’autorità del re che era andato via.” (SDA, pg. 29, traduzione mia).1 La parola Thain, (come la parola Mark in Morris) è importante in sé, perché è chiaramente la parola Anglo-sassone Þegn, ‘servo’, ma trasformata per darle un aspetto familiare e renderla facile da pronunciare. Tolkien comunque evita deliberatamente l’ortografia shakespeariana Thane, probabilmente perché quella forma mostra la maligna influenza del Grande Spostamento Vocalico. Nella Contea, Thain è un titolo ereditario posseduto dalla famiglia Took.

I Took, tuttavia, non sono l’indiscusso vertice della scala sociale hobbit. La loro posizione in relazione alla famiglia Baggins è resa chiara sin dall’inizio dello Hobbit, laddove ci viene detto in un tono vagamente di scusa che “rimaneva il fatto che i Took non erano così rispettabili come i Baggins, pur essendo indiscutibilmente più ricchi.” (Hobbit, pg. 41).2 Ma essere “rispettabili” è una buona cosa? Nell’Hobbit essere rispettabili equivale a non aver avuto mai alcuna avventura o non aver mai fatto qualcosa di inaspettato. I Baggins sono tanto rispettabili perché “si poteva presupporre l’opinione di un Baggins su un problema qualsiasi senza avere la seccatura di chiedergliela.” (Hobbit, pg. 40). Alla fine della storia Bilbo “non era più rispettabile.” (Hobbit, pg. 375), sebbene avesse guadagnato reputazione nel vasto mondo esterno e fra i più giovani dei Took.

Tutto questo ha il suo senso all’interno della complessa terminologia sociale dell’Inghilterra. Definendo la parola “rispettabile”, l’Oxford English Dictionary (OED) – cui Tolkien si è costantemente ispirato – dice, piuttosto prevedibilmente, che significa “degno di nota”, ecc., ma poi giunge ad una importante affermazione al punto 4, dove sposta l’obbiettivo dalla “condizione sociale” alle “qualità morali”, per concludere dicendo “dunque, in un uso più tardo, onesto e decente in carattere o condotta, senza riferimento alla posizione sociale, o a dispetto dell’essere in umili circostanze.” Puoi insomma aspirare ad essere rispettabile anche se sei povero, sebbene è probabilmente più facile raggiungere quello status se non sei povero. L’essere ricco come i Took, o Bilbo alla fine dello Hobbit non è certamente un requisito essenziale. Ma è del tutto appropriato essere “benestante”, come Bilbo all’inizio del romanzo.

Ciò che tutto questo discorso mette in luce è che la Contea ha un rimasuglio di classe superiore, in famiglie come i Took o i Brandybuck, che hanno titoli, autorità e lunghe genealogie, ma solo poteri nominali o emergenziali, come essere il capitano “dell’Adunata della Contea e della Milizia Hobbit” (SDA, pg. 33. Si noti che la Milizia non viene richiamata dal Thain contro Saruman).3 Nella Contea, inoltre, si dà un grande valore alla “rispettabilità”, una qualità che, in teoria, può essere riconosciuta a persone di qualunque estrazione sociale. I Baggins hanno pochi motivi per sentirsi inferiori agli altolocati Took, con i quali del resto sono imparentati. Ma nella Contea esistono distinzioni di classe al di sotto del livello Took/Baggins? La riposta è un più chiaro e netto “sì”.

All’osteria dell’Edera, nel primo capitolo del Signore degli Anelli, la prima cosa che il Gaffiere Gamgee dice è che il “Signor Bilbo” (come il Gaffiere lo chiama, stando bene attento ad usare sia il titolo di Signore che il nome di battesimo, dimostrando così al tempo stesso deferenza e familiarità), è un “genitlhobbit molto cortese e forbito” (SDA, pg. 44).4 “Gentilhobbit”, ovviamente, non è nell’OED. È chiaramente un adattamento di “gentiluomo” (per il quale vedi più sotto). Ed è un termine che ha portato i traduttori di Tolkien a fermarsi e riflettere. La traduzione olandese riporta “een heel aardige en beleefde hobbit-heer”6; la più vecchia traduzione tedesca ha “Ein sehr liebenswürdiger und feiner Edelhobbit”7; quella norvegese “riktig en fin hobbitherre”8. Nessuna di queste versioni si avvicina molto al termine inglese “well-spoken”, un aggettivo di speciale importanza all’interno del sistema educativo inglese, così come in quello delle classi sociali, sebbene la versione islandese abbia “einstaklega orðprùður og göfuglyndur Höfðings-Hobbiti”9. Ancor più significativo, forse, è il fatto che nessuna di queste traduzione germaniche, assai affini fra loro, ha un esatto corrispettivo per “gentle”.

Come si definisce un “gentiluomo” (o un “gentilhobbit”)? All’interno del Signore degli Anelli è chiaro cosa intende il Gaffiere con quel termine. Egli, il Gaffiere, può essere “rispettabile” (sebbene non penso che lo abbia mai affermato apertamente), ma non è “gentile”. Egli chiama Bilbo Signore (Mister), ma Bilbo chiama lui Mastro (Master) (nella mia giovinezza, questo era la forma che si usava per i ragazzi, così come Signorina (Miss) per le ragazze, solamente che i ragazzi passavano automaticamente a Signore (Mister) diventando adulti e non dovevano aspettare di sposarsi, come le ragazze; questa asimmetria ha generato la creazione del titolo femminile di Miz o Ms.)5 Il Gaffiere non è “forbito”, poiché il suo inglese mostra determinati errori grammaticali come “drownded” per “drowned” (affogato), e pronuncia alcune parole in modo colloquiale, senza preoccuparsi della loro etimologia, come “vittles” per “victuals” (vettovaglie): per quanto ne so questi errori non sono replicati nelle traduzioni sopra citate, ma in inglese sono significativi.10 Egli non è ricco, non ha ambizioni di diventarlo, ed è in generale contrario all’idea di educazione. Quando menziona il fatto che Bilbo ha “imparato a Sam a leggere e a scrivere” – “imparato” (learned) per “insegnato” (taught) è un altro degli errori del Gaffiere – egli aggiunge subito “senza avere cattive intenzioni, badate bene, e spero che non ne verrà niente di male.” Il suo consiglio a Sam è quello di “non immischiarsi negli affari dei tuoi superiori”6; questa frase è resa letteralmente nella versione norvegese e quasi letteralmente in quella islandese “meiri háttar Hobbitum” (Thorarensen 2001, I, pg. 34), “hobbit di status più elevato”, ma è rigettata sia nella traduzione tedesca che in quella olandese, che dicono rispettivamente “die Angelegenheiten deiner Herrschaft” (Carroux 1972; I, pg. 38) o “der zaken va je merderen” (Schuchart 1956; I, pg. 33). In tedesco e olandese gli “affari” possono anche essere troppo grandi per Sam, ma questo non significa che abbia dei “superiori”.11

Il Gaffiere Gamgee in effetti dimostra che la Contea non è totalmente democratica o almeno non abbastanza democratica per i moderni lettori tedeschi e olandesi. Possiede una sorta di vestigia di classe superiore nei Took, ma ha una classe inferiore chiaramente identificabile nei Gamgee. Questa classe inferiore è ben cosciente del proprio posto e non desidera uscirne. La vera autorità morale, insieme con la vera rispettabilità, ha il suo fulcro in famiglie di classe media, come i Baggins. I Baggins sono allo stesso tempo benestanti finanziariamente e rispettabili moralmente, e questo è ciò che li rende dei “gentilhobbit”. Entro questi termini si potrebbe dire che almeno qualcuna delle accuse di Michael Moorcock citate all’inizio di questo saggio è fondata: i valori della Contea possono o meno essere “moralmente in bancarotta,” ma sono decisamente valori della “classe media”.

Fino a che punto, ci si potrebbe chiedere, il sistema di classi della Contea si rispecchia nelle altre società della Terra di Mezzo? Gondor, possiamo dire, assomiglia un poco alla Contea, per il fatto che manca il re, con un Sovrintendente ereditario al posto del Conte ereditario. Anche a Gondor troviamo una classe inferiore, rappresentata chiaramente da Ioreth, la vecchia comare delle Case di Guarigione. È una figura interessante, nella quale si fondono varie caratteristiche. L’esperto di erbe delle Case di Guarigione la tratta con sufficienza, pensando ovviamente che le sue rime sull’erba athelas non abbiano alcun senso, una “filastrocca ingarbugliatasi nella memoria delle vecchie comari”, che le vecchie comari come lei ripetono “senza afferrarne il significato” (SDA, pg. 935, traduzione leggermente rivista). Egli ha ragione a metà, perché in effetti Ioreth tradisce una sorprendente mancanza di comprensione poco più di un centinaio di pagine dopo, nel capitolo “Il Sovrintendente e il Re”, quando il resoconto che fa alla sua cugina dei Mezzuomini e della distruzione dell’Anello è estremamente “ingarbugliato” e dove la vediamo gonfiare la sua parte negli avvenimenti delle Case di Guarigione ben oltre la verità (Gandalf non le dice affatto “Ioreth, gli uomini ricorderanno a lungo le tue parole.”) E tuttavia nonostante la sua mancanza di educazione e di sensatezza, Ioreth è la prima a dire “Le mani del re sono mani di guaritore” e la prima a riconoscere Aragorn come re. In termini di classe si potrebbe dire che sia a Gondor che nella Contea la vera tradizione dei giorni antichi si è mantenuta più a lungo alle due estremità della scala sociale, mentre la classe media, come l’esperto di erbe o Bilbo Baggins prima di perdere la propria rispettabilità, le hanno voltato le spalle.

Però, dopo aver detto tutto questo, bisogna riconoscere che sotto altri aspetti Gondor non è per niente simile alla Contea. La sua classe superiore ha molto più potere e visibilità di quella della Contea; sebbene non vi sia un re c’è comunque un principe di Dol Amroth, e vi troviamo la nozione, se non di classe, per lo meno di status: Beregond afferma di non avere “né incarichi, né rango, né titolo”, ma essendo un uomo d’arme della Guardia della Torre di Gondor viene trattato da tutti con “onore” (SDA, pp. 832-833). È dubbio che nella Contea l’“onore” verrebbe riconosciuto in questo modo. I Gondoriani chiamano Peregrino Ernil i Pheriannath, “Principe dei Mezzuomini”, ma chiunque conosca la Contea capisce subito come un tale titolo sarebbe del tutto assurdo. Nell’ultimo capitolo Merry e Pipino sono definiti “signoreschi” (lordly) persino nella Contea, ma si fa capire fra le righe che normalmente nella Contea (così come in Inghilterra) un tale aggettivo va inteso in senso critico, non elogiativo. È una peculiarità della Lingua Comune così come parlata dagli hobbit che si usi lo stesso pronome della seconda persona singolare per chiunque, senza badare al suo rango.12 Tutto sommato bisogna dire che, sebbene la Contea può non essere molto democratica se la si confronta con le moderne Olanda o Germania, lo è comunque assai più di Gondor. La differenza fra le due società è messa in luce più volte e attraverso molti significativi dettagli.

Penso sia possibile illustrare questa differenziazione sul piano linguistico, ponendo a confronto due aggettivi inglesi, ma prima di ciò vorrei introdurre nel nostro schema comparativo una terza società: quella del Riddermark. Quest’ultima è facile da descrivere, ma assai lontana dalla moderna esperienza. I Cavalieri hanno un re, Théoden. La stessa parola Þéoden, in Antico Inglese, non significa esattamente “re” – significa qualcosa tipo capo del Þeod, o popolo – ma è una parola usata per i re. I nomi del padre, del nonno, del bisnonno e degli antenati di Théoden, elencati nella Appendice A, sono per la maggior parte parole dello stesso tipo, sinonimi del termine “re”. Il nome del fondatore della dinastia di Théoden, tuttavia, Eorl, non è come questi. Significa “earl” (conte), una parola che implica rango, ma un rango inferiore a quello di un re. Ciò che sta a significare è che Eorl non è nato re; si è fatto re. Ma tutti i suoi discendenti sono re. Al di sotto di questo rango i Cavalieri (Riders) appaiono privi di differenze. Sentiamo nominare varie volte, nella battaglia dei Campi del Pelennor, i “cavalieri (knights) della Casa di Théoden”, ma ciò sembra solo indicare la stretta relazione tra questi Cavalieri (Riders) e Théoden stesso; in Inghilterra per secoli un cavaliere (knight) ha avuto l’appellativo di “Sir”, come Sir Gawain o oggigiorno Sir Richard o Sir William, ma nessuno chiama uno dei cavalieri di Théoden Sir Háma o Sir Éomer. Noto che in tutte e cinque le traduzioni in lingue germaniche che possiedo, questa distinzione fra “rider” e “knight” non è evidenziata. La frase sopra citata è tradotta come “die Ritter seines Hauses” (in entrambe le traduzioni tedesche), “de ridders van zijn huis”, “Rytterne av hans eget hus”, “riddarar af húshaldi hans”.13 Penso sia essenzialmente corretto. Tolkien aveva l’abitudine di predatare la conquista normanna introducendo il termine per “guerriero a cavallo” (cioè knight, cavaliere) prima che i guerrieri a cavallo diventassero una realtà familiare.14 In questo contesto “cavaliere” (knight), sebbene militarmente corretto, sembra socialmente anacronistico. I Cavalieri (Riders) di Rohan sono una società di uguali, teoricamente, senza i ranghi di Gondor o le nozioni di classe e rispettabilità che troviamo fra gli hobbit. Essi riconoscono posizioni di responsabilità, come “maresciallo”, ma queste sono, ritengo, appannaggio del re, che può conferirle a chi vuole. Háma, quando restituisce la propria spada a Éomer senza un ordine espresso di Théoden nel capitolo “Il re del palazzo d’oro”, sembra pensare che si può essere agli arresti senza perdere la propria posizione di maresciallo, ma forse succede perché Théoden non ha ancora preso una decisione definitiva al riguardo. L’unico altro segno di distinzione di classe che rilevo nel Mark è il nome dell’uomo che Théoden incontra all’inizio del capitolo “Il Fosso di Helm”, Ceorl. Nell’Inglese moderno questa parola è divenuta churl, un termine dispregiativo per indicare una persona rozza o di classe bassa. Ma nell’Antico Inglese ceorl è assai più vicino al tedesco moderno Kerl e significa o “uomo” o “marito”.7 Significativamente, il poema eddico RigsÞula riconosce solo tre ranghi nella società, con un quarto in procinto di essere aggiunto. Sono thrall o schiavo, karl o uomo libero, jarl o guerriero. Il figlio di Jarl è Konr Ungr, Kon il Giovane, o re (king) (konungr in Antico Norreno). I Cavalieri non hanno schiavi. Il loro antenato è Eorl (=Jarl). Ceorl (=Karl) è ancora un nome perfettamente rispettabile da portare. Essi sono tutti (se maschi) sia uomini liberi che guerrieri, con un re sopra di loro e quegli ufficiali militari che egli decide di nominare. Nel Riddermark (come nel Mark di William Morris, a cui i suoi critici hanno così accuratamente negato ogni logica) vediamo un’immagine “ricostruita” dell’antichità germanica: quanto quest’immagine abbia mai corrisposto alla realtà possiamo chiedercelo, e Tolkien l’ha certamente purificata eliminando la classe degli schiavi. Ma è chiaro che uno dei motivi del suo fascino è che proviene da un periodo precedente all’invenzione delle classi sociali (e dell’educazione, e della ricchezza e del parlare forbito).

Riassumerei ciò che è stato detto finora affermando che nella storia dell’Inglese, e in una certa misura nei linguaggi a questo vicini, ci sono o ci sono stati tre termini per designare uno status superiore. Questi appartengono alle famiglie semantiche di gentle (gentile), noble (nobile) e athel (patrizio) e sono esemplificati rispettivamente dalla Contea, da Gondor e dal Mark. Procedendo a ritroso attraverso questi termini, le parole derivate dall’Antico Inglese æÞel sono quasi scomparse dall’Inglese moderno: atheling, un principe, rimane vagamente familiare agli storici. È un termine autoctono, che sopravvive nel Tedesco moderno Adel, edel, e vedi Edlhobbit più sopra. Questo è il termine - arcaico, autoctono, desueto, germanico – che mi pare essere esemplificato dai Cavalieri. I Gondoriani, proseguendo, sono “nobili”, un aggettivo che lo Oxford English Dictionary (OED) cerca di definire con parole come “superiorità nominale”, “magnificenza” o “grandiosità”, tutte molto appropriate per Gondor, la Città e i suoi abitanti. Gli hobbit, infine, non hanno traccia del concetto di Adel, e non aspirano nemmeno alla “nobiltà”. Il modo in cui gli piace essere chiamati, come il Gaffiere Gamgee dice all’inizio del romanzo, è “gentilhobbit”. Ma come si definisce un “gentilhobbit” o un gentiluomo?

Qualcuno direbbe che il tentativo di rispondere a questa domanda coincide con la storia del romanzo inglese, nel qual caso Tolkien non sarebbe poi così lontano dal fulcro della letteratura della propria nazione come usualmente si pensa. In breve – e tenendo bene a mente che ci sono tante opinioni quanti sono gli inglesi stessi su cosa sia un vero gentiluomo – è un’opinione antica (di Chaucer, in effetti)15 che ci sono tre componenti del gentiluomo e della gentildonna. Queste sono: nascita, ricchezza e virtù. A queste ne aggiungerei una quarta: l’accento, ovvero il “parlare forbito”. Non c’è dubbio che chi le possiede tutte e quattro verrà riconosciuto come gentildonna o gentiluomo. Il problema si pone se una o più, e quali, di queste caratteristiche manca. In pratica uno potrebbe pensare che la ricchezza sia il vero fattore determinante. Una definizione che l’OED cita per “gentiluomo” è quella di una persona che “non ha occupazione” o “che non ha un lavoro da fare” – intendendo, ovviamente, non un disoccupato, ma qualcuno ricco abbastanza da non aver bisogno di lavorare. Anche all’inizio dell’Hobbit Bilbo Baggins ricade in questa definizione, mentre il Gaffiere Gamgee non può certo aspirare a questo status. Ciò non di meno, la ricchezza di per sé stessa non è mai stata accettata come requisito sufficiente per la “gentilità”, come si può vedere anche nel romanzo inglese. In Grandi speranze, di Dickens, Magwitch l’ex-carcerato possiede una fortuna, ma nessuno, nemmeno lo stesso Magwitch, pensa che ci sia una possibilità che possa passare per un gentiluomo. Al contrario Magwitch trae piacere dall’idea di poter creare o comprare un gentiluomo, in Pip. Pip è un gentiluomo? Ha ricchezza, ma decisamente non una “nascita gentilizia” (il primo criterio che l’OED cita). D’altro canto ha un accento inglese ‘standard’ (parla “forbito”) e Dickens sottolinea fortemente il fatto che lo ha acquisito tramite l’insegnamento. Un punto che fa particolarmente piacere a Magwitch è che Pip è capace di leggere le lingue straniere: in pratica, per molti secoli in Europa, si poteva dire che saper leggere e scrivere in Latino dava un buon diritto a reclamare lo status di gentiluomo. C’è un’analogia a questo nel fatto che sia Bilbo che Frodo conoscono l’Elfico. Vien fatto di chiedersi se questo tipo di conoscenza possa essere inclusa in quel “leggere e scrivere” di cui il padre di Sam è così sospettoso.

Vi è, infine, la questione della virtù morale. Praticamente tutti i commentatori insistono che questa è essenziale per il “vero gentiluomo”; il problema è che tutti i commentatori hanno riconosciuto che la virtù morale da sola (come ad esempio nel Ploughman di Chaucer) non ti porta assolutamente da nessuna parte. Un modo per risolvere il problema consiste nell’affermare che l’essere un gentiluomo comporta un particolare tipo di virtù morale, che include non solo la bontà, ma la grazia, ovvero l’abilità sociale. Una delle definizioni tradizionali del gentiluomo è che si tratta di un uomo che non offende mai qualcuno accidentalmente. Robert Louis Stevenson, in una lunga ed interessante discussione,16 afferma conclusivamente che ciò che definisce un gentiluomo è “una qualità di raffinata attitudine”8, esemplificata a suo modo di vedere dal generale Grant, quando accetta la resa del generale Robert E. Lee nel 1865. Persino i gentilhobbit, ad essere sinceri, mostrano pochi segni di questa attitudine: e nessuno dell’altra definizione tradizionale (chiarissima, per esempio, a Water Scott) che un gentiluomo è qualcuno che è satisfaktionsfähig, ovvero, capace di dare soddisfazione per un proprio comportamento impegnandosi in un duello, senza per questo disonorare l’altro combattente. Essi non sono, inoltre, particolarmente galanti (nel senso di mostrare estrema devozione per le signore), sebbene Tolkien fosse consapevole della forza di questo concetto in poemi come Sir Gawain and the Green Knight, e lo facesse balenare più tardi, inaspettatamente, nella incondizionata devozione di Gimli verso Galadriel.

Tirando le somme, si potrebbe dire che l’immagine del “gentilhobbit” nella Contea è quella tipica della classe media, essendo basata sulla ricchezza (non dover lavorare), sull’accento e sull’educazione (possedere proprietà di linguaggio e vasta cultura), sulla nascita, entro certi limiti (provenire da una famiglia ben conosciuta e capace di ricordare tutti i propri cugini) e su una certa solida cortesia anche verso coloro che sono inferiori socialmente: ma non sulla “raffinata attitudine”, sul Frauendienst o sul duellare, tutte nozioni piuttosto aristocratiche. In questo e in molto altro la Contea rappresenta una versione idealizzata dell’Inghilterra della classe media che Tolkien conobbe in gioventù. E tuttavia elementi di ciò che questa definizione lascia fuori (“nobiltà”, regalità, Adel) sono posti in contrasto con essa nei personaggi che vengono da Gondor e dal Mark.

Il mio suggerimento al riguardo è questo: in molti romanzi classici inglesi il dibattito sulla “gentilità” – come la gente dovrebbe comportarsi e fino a che punto il merito individuale può essere portato allo stesso livello con il riconoscimento sociale – è rappresentato all’interno di un unico scenario o persino di un unico personaggio. Il Pip di Dickens è un gentiluomo? È ricco ma non è di buona famiglia, parla bene, ma non ha (forse?) un carattere forte. La Tess Turbeyfield di Hardy è una signora? Non è ricca e ha un accento inadeguato – ma si dà il caso che sia di buona famiglia. Non è vergine, però è stata stuprata. Ed è stata stuprata da qualcuno che possiede ricchezza e il giusto accento, ma ovviamente uno pessimo carattere morale, e la cui apparente ottima nascita signorile è stata comprata, mentre quella di Tess non lo è. Di tormentose indecisioni come questa è fatto il romanzo inglese classico. In Tolkien non si ritrovano. Ma ciò che vi si trova in cambio è una consapevolezza storica, linguistica e culturale assai più chiara di quanto queste idee di rango e onore siano relative; quanto esse siano mutate attraverso i secoli e quali alternative la società inglese abbia avuto di epoca in epoca. Sono queste contrapposizioni che vengono tradotte sul piano drammatico nei contrasti culturali all’interno del Signore degli Anelli. È per lo meno sorprendente che (nonostante in problemi riguardo hobbit-heer e Edlhobbit, knights e Riders e ridders) vi siano sempre state poche difficoltà per i lettori europei ed americani nel riconoscere le tensioni sociali e le complessità che Tolkien mette in scena. Questo fa pensare che una bel po’ di consapevolezza delle attitudini verso le classi sociali sia ancora presente, sottotraccia, nelle nostre nazioni apertamente e ufficialmente democratiche.

C’è un'altra cosa che vorrei aggiungere, ovvero che Tolkien era perfettamente capace, fuori dal Signore degli Anelli, di mettere in scena le tensioni sociali all’interno di un singolo personaggio. Lo fa in particolare con Beren e Túrin. Il mondo del Silmarillion, nel quali figurano, contiene assai meno contrasti sociali rispetto al mondo del Signore degli Anelli: per restare nel contesto della discussione che stiamo sviluppando, direi che i suoi personaggi aspirano costantemente alla “nobiltà”, non alla “gentilità” e ancora meno alla “rispettabilità” – entrambe troppo deboli e moderne dal loro punto di vista – e nemmeno alla virtù germanica dell’Adel, una virtù appropriata a ciò che Faramir chiamerebbe i Popoli di Mezzo, popoli di più semplice cultura rispetto agli Édain. Ciò non di meno, anche senza contrasti culturali, si può vedere che anche nelle storie di Beren e Túrin Tolkien mostra un interesse per la classe, il rango o lo status, e in particolare per le esigenze imposte ai personaggi dal senso del proprio valore individuale: le esigenze, in poche parole, del noblesse oblige.

Nel caso di Beren questo viene messo in luce in uno specifico punto della narrazione, che ho già discusso in Lembas tempo addietro: la scena che si svolge davanti a Thingol, durante la quale Beren viene provocato a pronunciare il suo ambiguo giuramento. Un motivo guida nell’intera sequenza è l’assoluta necessità di mantenere la parola data, tradizionalmente una delle più aristocratiche fra le virtù. All’interno del “Racconto di Beren”, Beren, Thingol, Felagund e i figli di Fëanor sono tutti legati strettamente dai loro giuramenti alla propria malasorte, malasorte che in ognuno di questi casi essi accettano consapevolmente, piuttosto che ritornare sulla parola data. Particolarmente tesa è la scena davanti a Thingol, nella quale la consapevolezza del proprio status si pone quanto meno come uno dei fattori principali nella “sorte del Doriath”. Tanto per cominciare, la rabbia di Thingol verso Beren è causata solo dall’arrivo di questi nel Doriath, e dal timore di Thingol per Lúthien. Ma quando Beren si pone ad un livello di parità con Thingol, affermando che nulla lo potrà tenere separato da Lúthien, Thingol usa le parole offensive “infimo mortale (…) spie e schiavi”.17 “Infimo” (baseborn,) e “schiavo” (thrall) sono particolarmente offensivi in termini di classe – viene in mente come l’idea di schiavitù (thralldom) sia stata censurata dal mondo del Mark, per tutto il resto modellato strettamente sulla società eddica. In entrambi i casi si potrebbe argomentare che Thingol non intende queste parole in termini strettamente di classe: potrebbe essere che per lui “mortale” e “infimo” siano più o meno la stessa cosa, focalizzandosi sulla presunzione di Beren di unirsi con una immortale, mentre nel chiamare Beren uno schiavo egli intenda uno schiavo (=servitore) di Morgoth. Beren reagisce a queste parole, tuttavia, come se fossero insulti alla propria famiglia, non a se stesso: “la mia casa non ha certo meritato offese del genere da qualsivoglia Elfo” (Silm. Pg. 206). Nel mondo arcaico della “nobiltà”, lo status dipende fortemente dal lignaggio familiare e in un certo senso non può mai essere acquisito, solo ereditato. Thingol sembra rendersene conto e far leva su questo quando dice “le imprese di un padre (…) non sono sufficienti a conquistare la figlia di Thingol e di Melian” (Silm. Pg. 207). Si noti che Thingol ha in un certo modo cominciato a parlare come Beren. Non dice ‘mia figlia’, ma “la figlia di Thingol”, in terza persona, come se il suo rango fosse più importante di se stesso. È davvero questo il modo di parlare di Thingol, oppure è un ulteriore tentativo di mettere in trappola Beren costringendolo a provare il proprio rango, trascinandolo in una prova di nobiltà? Melian, significativamente, parla in maniera molto più diretta, quando infine anche lei si pronuncia, dicendo “i miei occhi (…) tua figlia (…) te stesso” (Silm. Pg. 208). Tutto considerato, in questa scena si vede, penso, il concetto di noblesse oblige esercitare una maligna influenza e creare una vuota retorica. Allo stesso tempo uno dei maggiori elementi di fascino del Silmarillion è la sensazione che i suoi personaggi seguano un codice etico più esigente del nostro.

Il caso di Túrin è simile sotto vari aspetti – sia lui che Beren discendono da grandi casate, sono personaggi di alto rango, ma in sostanza sono degli orfani. Una differenza importante è che Túrin è insicuro, perché nella sua giovinezza il suo status è ambiguo o non viene riconosciuto. Il suo primo crimine, l’uccisione di Saeros, è provocato principalmente dal suo istintivo timore per la madre e la sorella, combinato tuttavia con la reazione ad un attacco alle sue maniere a tavola (si era presentato a tavola “trasandato”, un errore che, per inciso, può sembrare a noi irrilevante, ma che per autori medievali come il poeta del Gawain rappresentava la più grave delle mancanze di cortesia).18 Da questo momento in poi è significativo che Túrin reagirà sempre ogniqualvolta il suo status venga minacciato o non riconosciuto. A pagina 203 del Silmarillion9 il nano Mîm (un Nanerottolo, Petty-dwarf nell’originale) riconosce la signorilità di Túrin – “parli come un signore di Nani degli antichi tempi” – e Túrin è mosso a pietà e ne diventa amico. A pagina 204 (Silm, pg. 256) Beleg gli consegna l’Elmo-di-Drago, sperando che potesse farlo “nuovamente sollevare i pensieri” oltre quelle vita “da capo di una misera banda (petty company)”: Túrin lo indossa, con conseguenze disastrose. Notate qui la ripetizione della parola petty, che sebbene sia direttamente derivata dal francese petit (piccolo), ha nell’inglese moderno forti connotazioni dispregiative, e si usa quando si vuol definire qualcuno come meschino, di mente ristretta o infido, accuse che Túrin non può sopportare. Alle pagine 213-214 (Silm., pg. 268) Glaurung usa di nuovo la parola “schiavo” rivolgendosi a Túrin e lo accusa di essere una disgrazia per suo padre e per il suo sangue: la reazione di Túrin è nuovamente disastrosa. Parte della sua tragedia è che egli tenta costantemente di fare ciò che ritiene sia la cosa onorevole da fare.

È pertanto un buon segno quando (Silm., pg. 272)10 Túrin mette da parte la spada, arma aristocratica, e si affida invece ad “arco e lancia”; un cattivo segno quando (nuovamente reagendo ad una provocazione verbale) ritorna a brandire la spada. Il suo crimine definitivo, tuttavia, è l’uccisione di Brandir, provocato di nuovo dall’accusa – fatta da Glaurung, ma ripetuta da Brandir – di essere “una maledizione per il suo sangue” (Silm., pg. 282). La cosa più significativa di questa uccisione, tuttavia, a mio modo di vedere, è che Brandir al suo primo apparire è definito come “un uomo di animo gentile” (Silm., pg. 272). Che cosa significa “gentile” in questo contesto? Senza dubbio ha il senso che possiede nell’inglese moderno, dato nell’OED come “mite (…), buono, tenero”, inoltre non bellicoso, riluttante a causare dolore. Tutti queste qualità possono attribuirsi a Brandir. Ciò non di meno Tolkien era consapevole come nessun altro al mondo dei modi in cui le parole cambiano il loro significato, modi che egli non riteneva fossero accidentali. In questo particolare caso, inoltre, bisogna tener conto del fatto che il significato della vera gentilesse era già stato oggetto di dibattito nella cultura inglese almeno da Chaucer a R.L. Stevenson. Io ritengo che nello scontro fatale fra Brandir e Túrin noi vediamo sia una tragica prefigurazione della più comica contrapposizione tra Bilbo il gentilhobbit e i nani ne Lo Hobbit, sia uno scontro tra le virtù della gentilesse, che a Túrin manca in tutti i sensi, e della noblesse, che egli si sente chiamato a praticare fino all’eccesso.

Per concludere io direi tre cose in risposta all’accusa di Michael Moorcock citata all’inizio di questo saggio. Primo, ritengo che i valori di Tolkien siano effettivamente quelli della classe media, sebbene questo sia valido per praticamente tutti gli autori inglesi persino oggi; ma io non penso che la classe o i suoi valori siano moralmente in bancarotta.19 Se lo fossero, dubito che la narrativa che li fa propri si sarebbe dimostrata così facile da comprendere o così capace di traduzione nella maggior parte delle lingue e delle culture dell’Europa e dell’America, se non del mondo intero. Secondo, anche se questi valori possono esser stati tipici della classe media, sarebbe del tutto sbagliato vederli come dati acquisiti; al contrario, i valori della classe media nell’opera di Tolkien devono lavorare sodo per provare la propria validità nei confronti dei potenti avversari della classe superiore, e persino della classe inferiore, come l’inattaccabile sicurezza di sé dei Gamgee. C’è spesso un senso di tensione sociale in Tolkien che si potrebbe mettere in relazione, incidentalmente, alla posizione talvolta difficile dello stesso Tolkien nella sua Oxford: quel suo essere ufficialmente un membro della noblesse de robe (nobiltà di toga), ma solitamente senza i mezzi finanziari per mantenere un tale rango: è una difficoltà della quale, ancora in un recentissimo passato, dei professori di Oxford hanno discusso seriamente con me. Infine, direi che per quanto riguarda il problema della classe, così come in molti altri aspetti, la Terra di Mezzo mi sembra riflettere ranghi e tradizioni specificamente inglesi. Un membro di Unquendor mi ha fatto notare che gli piaceva andare in Inghilterra, perché era come tornare indietro nel tempo; le strutture sociali inglesi sono in effetti tuttora straordinariamente arcaiche, dalla Camera dei Lords alla possibilità che i professori ancora hanno di essere investiti cavalieri (per buona condotta). E tuttavia sarebbe un errore pensare che questo arcaismo e conservatorismo culturale non possa coesistere con una profonda auto-analisi e una prontezza ad esaminare i significati più reconditi di parole e sistemi etici: come, io credo, Tolkien fece: un filo durevole nella rete della sua narrativa.



[traduzione autorizzata di 'Noblesse Oblige: Images of Class in Tolkien', da Roots and Branches. Selected Papers on Tolkien, Zollikofen, Walking Tree Publishers, 2007; pp. 285-301]



1 Questo saggio è apparso per la prima volta in “Lembas Extra” 93/94 (1994; pp. 27-43, dopo essere stato letto per la prima volta ad una riunione di Unquendor a Rotterdam. Sono come sempre grato a René van Rossenberg e alla Tolkien Society olandese per avermi invitato a parlare e per la loro ospitalità.

2 Nella sua “Introduzione” a William Morris, Collected Works; London, Longmans, Green, 1910-1912; XIV, pg. xxv.

3 Vedi E.P. Thompson, William Morris: Romantic to Revolutionary; London, Lawrence and Wishart, 1955; pg. 784. La storia è stata raccontata per la prima volta da H.H. Sparting, The Kelmscott Press and William Morris, Master Craftsman; London, Macmillan, 1924.

4 Sospetto che siano entrambi un’invenzione degli oziosi e di coloro che si sentono insicuri sotto il profilo linguistico, invenzione che li esime dal pensare o ricercare oltre. May Morris, tra l’altro, conosceva i Tolkien e mandò loro una giovane signora islandese, affinché abitasse con loro per qualche tempo ad Oxford (e fosse decorosamente accompagnata in giro per la città): mi si dice che questa ragazza si lamentava che il Professor Tolkien “voleva continuamente parlare della lingua islandese.”

5 Vedi anche il mio articolo su “Goti e Unni” in questo volume, pp. 115-136.

6 Max Schuchart (trad.) In de Ban van de Ring; Utrecht, Het Spectrum, 1956; 3 voll.; I vol, pg. 30.

7 Margaret Carroux (trad.), Der Herr der Ringe; Stuttgart, Klett-Cotta, 1972; 3 voll.; vol I, pg. 36. Una traduzione più tarda ha “Ein sehr feiner und vornehmer Hobbit”: Wolfgang Krege (trad.) Der Herr der Ringe; Stuttgart, Klett-Cotta, 2000; pg. 37. Quest’ultima traduzione evita i problemi posti dai termini “well-spoken” e “gentle”.

8 Torstein Bugge Høverstad (trad.), Ringenes Herre; Oslo, Tiden Norsk Forlag, 1980; 3 voll.; vo. I, pg. 34

9 Thorstein Thorarensen (trad.), Hringadróttinssaga; Reykjavik, Fjölvaútgáfan, 2001; vol. I, pg. 32. Ármann Jakobsson mi ha fatto gentilmente notare che la frase questa frase in islandese è “sensibilmente più lontana dal normale vocabolario di quanto lo sia la sua corrispondente inglese; Höfðings-Hobbiti non riecheggia alcuna particolare frase islandese e orðprùður è una di quelle parola che ti fanno subito capire che la frase è una traduzione.” Sui problemi di traduzione delle opere di Tolkien vedi il volume curato da Thomas Honegger, Tolkien in Translation; Zurich, Walking Tree Publishers, 2003 e quello di Allan Turner, Translating Tolkien: Philological Elemnts in The Lord of the Rings; Frankfur, Peter Lang, 2005.

10 Per una discussione approfondita delle caratteristiche del dialetto hobbit vedi Nils-Lennart Johannesson; “The Speech of the Individual and of the Community in The Lord of the Rings” in News from the Shire and Behyond; a cura di Peter Buchs e Thomas Honegger; Zurich and Berne, Walking Tree Publishers, 1997; pp. 11-47.

11 Krege di nuovo evita diplomaticamente il problema, traducendo “Angelegenheiten, von denen zu nichts verstehst”: “affari di cui non capisci nulla”. (Krege 2000, pg. 39).

12 In questo la forma di Ovestron in uso presso gli hobbit è, rispetto alle altre forme della stessa Lingua Corrente, come l’Inglese rispetto alla maggior parte delle altre lingue europee. Anche l’Inglese ha un’unica forma di pronome personale della seconda persona, e gli anglofoni hanno difficoltà a capire quando debbono usare du, Sie, Ihr; u, jihj, jullie eccetera. Una significativa differenza è che l’Inglese ha mantenuto solo la forma di rispetto o plurale, mentre lo Hobbitesco ha tenuto solo la forma familiare (per così dire, danno del “tu” (thou) a tutti e non del “voi” (you)). Quando Tolkien, nelle “Appendici”, sottolinea che le forme deferenziali si sono mantenute sotto forma di vezzeggiativi fra gli abitanti dei villaggi della Contea e del Decumano Ovest, egli senza dubbio sapeva che lo stesso valeva per le forme familiari in Inglese: “tu” (thou) è ancora usato nel West Riding come segno di intimità. Come capita sovente, anche in questo caso la Contea è ricalcata strettamente sull’Inghilterra.

13 Rispettivamente Carroux III, pg. 127; Krege, pg. 886; Schuchart III, pg. 1100, Høverstad III, pg. 123, Thorarensen III, pg. 106.

14 Vedi le mie considerazioni in Tolkien and “The Homecoming of Beorhtnoth” in questo volume [pp. 323- 339].

15 Vedi il suo breve poesia “Gentilesse” in cui discute vertu, richesse e lignaggio, senza pronunciarsi definitivamente su quale sia la più importante. Il poema “The Franklin’s Tale” è una dimostrazione narrativa della gentilesse, svolta grosso modo sulle stesse linee del saggio di R.L. Stevenson di cinque secoli dopo, che discuteremo più avanti; un segno del conservatorismo sociale degli inglesi. Vedi anche Jane Chance; “Subversive Fantasist: Tolkien on Class Difference”; in Wayne G. Hammond e Christina Scull (a cura di ), The Lord of the Rings 1954-2004. Scholarship in Honor of Richard E. Blackwelder; Milwaukee, Winsconsin; Marquette University Press, 2006; pp. 153-168.

16 Vedi il suo saggio “Gentlemen”, in R.L. Stevenson, Ethical Studies and Edinburgh: Picturesque Notes; London, Heinemann, 1924. Il saggio apparve per la prima volta sulla “Scribner’s Magazine” nel 1888, quattro anni prima della nascita di Tolkien.

17 J.R.R. Tolkien; Il Silmarillion; Milano, Bompiani, 2001, pg. 206. Baseborm mortal nell’originale, letteralmente ‘di infima nascita, malnato’.

18 Vedi i versi 133-192 della poesia Cleanness (J.J. Anderson (editor), Cleanness; Manchester, Manchester University Press, 1977), presente nello stesso manoscritto del Sir Gawain and the Green Knight e quasi certamente dello stesso autore. Il poeta usa l’immagine di sedersi a tavola con gli abiti da lavoro come metafora dell’impurità sessuale nei preti: in entrambi i casi uno si presenta davanti al proprio signore, o a Dio, con le mani sporche, una terribile infrazione alle buone maniere.

19 È interessante notare che C.S. Lewis discute diffusamente i mutevoli significati della parola ”bougeois” (borghese) nel suo Studies in Words, (1967). È rimasta una parola con connotati dispregiativi, ma nella sua giovinezza la borghesia era disprezzata perché non era aristocratica, mentre più tardi era disprezzata perché non era proletaria. Lewis non lo dice, ma naturalmente molti di coloro che manifestavano questo disprezzo erano – come Michael Moorcock – loro stessi irrimediabilmente borghesi in origine e comportamenti. Lo snobismo assume molte forme.

1 J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, Milano, Bompiani, 2003. Tutte le traduzioni del testo in italiano sono tratte da questa edizione, salvo i casi in cui, come qui, non sia io stesso a ritradurre per avere una maggiore aderenza all’originale. Nel testo di Tolkien si ha “to hold the authority of the king that was gone”, che in italiano è tradotto, un po’ frettolosamente “che sostituisse il re.” (N.d.T.)

2 J.R.R. Tolkien, Lo Hobbit annotato da Douglas Anderson; Milano, Bompiani, 2005. (N.d.T.)

3 La traduzione italiana corrente rende “Shire-muster and the Hobbitry-in-arms” con “Assemblea Nazionale ed esercito hobbit”, ma il verbo “to muster” (radunare, adunare) e il suo sostantivo “muster” si riferiscono specificamente all’adunata di uomini armati, di truppe “per ispezione, schieramento in battaglia o esercitazioni”. E “Hobbitry-in-arms” più che ad un esercito, che implica nozioni di struttura gerarchica e formale, è traducibile in italiano piuttosto col termine “milizia”, intendendosi con tale parola riferirsi soprattutto alle milizie feudali dell’Alto Medioevo, di cui il fyrd anglo-sassone è un esempio che Tolkien conosceva senza dubbio. (N.d.T)

4 Anche qui la traduzione italiana corrente: “un gentilhobbit, (…) molto simpatico e per bene” non rende adeguatamente l’originale “a very nice well-spoken gentlehobbit”, soprattutto nelle sue implicazioni linguistico-sociali, su cui si basa invece il discorso di Shippey. (N.d.T.)

5 Si tratta di un termine neutro, riferibile ad una donna indipendentemente dal suo stato civile, nubile o maritata. Si pone quindi tra Miss (Signorina) e Mrs (Signora) ed è intraducibile in italiano. (N.d.T.)

6 The business of your betters nel testo originale, SDA, pg. 46. (N.d.T.)

7 Ad ulteriore chiarimento del termine, riporto, traducendola, l’origine del termine così come data dal New Oxford Dictionary of English, edizione 2003: “tardo Antico Inglese (nei significati di ‘maschio a capo di una casata’ e di ‘fattore (manager), sovrintendente (steward)’, dall’Antico Norreno húsbóndi ‘padrone di casa’, da hús ‘casa’ + bóndi’ occupante e aratore del suolo’. L’originale senso del verbo [to husband] era ‘arare, coltivare’.

8A quality of exquisite attitude nel testo originale dell’articolo (N.d.T.).

9 Shippey si riferisce qui alle pagine dell’edizione inglese della Allen & Unwin pubblicata nel 1977. Nell’edizione Bompiani 2001 la frase citata è alla pg. 254. (N.d. T.)

10 La traduzione italiana è lacunosa ed errata in questo punto. Il testo inglese riporta (pg. 2017) “(…) for he could not endure that the Orcs should come to the Crossings of Teiglin or draw night to Haudh-en-Elleth, and he made that a place of dread for them, so that they shunned it. But he laid his black sword by, and wielded rather the bow and the spear.” La traduzione italiana (pg. 272) ha: “(…) non potendo tollerare che gli Orchi calassero ai Guadi di Teiglin o sfilassero vicino a Haudh-en-Elleth, e rese quel luogo temibile per gli Orchi, pronto com’era a maneggiare sia arco che spada.”, mentre invece l’ultima frase dovrebbe tradursi come segue: “Ma egli mise da parte la spada nera, e maneggiò piuttosto l’arco e la lancia.” (N.d.T.)