Signori della Paura

I non-morti nelle opere di J.R.R. Tolkien


di Barbara Sanguineti



“… For the Dead needed no longer any weapon but fear1




Nel folklore il non-morto è un individuo che, dopo la morte, ritorna o persiste nel nostro mondo attraverso sortilegi o maledizioni. Miti e leggende si sono sbizzarriti a indicare le cause di questa sinistra forma di esistenza: nella maggior parte dei casi si tratta dell’estrema malvagità del defunto, di un contagio o di un intervento magico esterno (è il caso di vampiri e zombie); oppure diventa non-morto chi ha subito una morte violenta, un torto che richiede riparazione, o chi ha infranto una promessa solenne (come avviene per i fantasmi).

Presenti ovunque nelle leggende di tutto il mondo, i non-morti ammoniscono a non violare il naturale ordine delle cose per un mal riposto desiderio di eternità. In origine esseri umani, essi sono poi stati condannati a vagare nel nostro mondo senza pace, sospesi in un’esistenza dove il carisma soprannaturale si paga con moneta di sangue (vampiri), e l’eternità non è che un’eco ossessiva di torti subiti o arrecati (fantasmi/spettri). I consueti poteri dei non-morti poi, come l’aura di terrore che sprigionano, l’invulnerabilità alle armi normali, la capacità di autorigenerarsi, la magia nera, sono controbilanciati da altrettanto fatali debolezze: l’avversione per la luce e per i simboli sacri, ad esempio, o il dover sottostare a regole o proibizioni rituali (come il fatto, per i vampiri, di non poter entrare in una casa se non invitati).

Le storie riguardanti queste creature sono uno sguardo gettato dall’umanità oltre la soglia che più spaventa, quella della morte. Come sempre avviene, la paura ha poi trovato l’esorcismo più efficace nella risata: ridotte a fantocci grotteschi queste figure hanno popolato i teatrini di marionette, il grand-guignol, i luna-park, i film di serie B.

Eppure la connessione con la morte e il dopo-vita rende i non-morti creature estremamente ‘serie’, esseri metafisici che permettono di comprendere meglio il rapporto con l’Aldilà tipico della cultura che li ha generati. Ad esempio a partire dall’Ottocento la figura del vampiro, presente fin dall’antichità, assume i caratteri di ‘titanismo’ propri di certe correnti romantiche, come se, nella sua scelta di una vita eterna ma dannata, questa creatura potesse rappresentare la ribellione dell’uomo verso le leggi di Dio. Anche lo spettro, che insieme al vampiro rappresenta l’altra grande categoria di non-morto, dimostra questa interconnessione con l’elemento religioso quando tra le motivazioni che lo spingono a tornare tra i viventi incomincia ad apparire, proprio nel Medioevo cristiano, la necessità di ottenere preghiere e intercessioni (la consueta ’anima inquieta del Purgatorio’).

L’espressione ‘non-morto’ è un calco dall’inglese ‘undead’. Fu Bram Stoker a impiegare questo termine per designare il vampiro nel suo romanzo Dracula (1897) e da allora in poi la parola è stata riferita generalmente a tutti gli esseri che mantengono apparenza di vita dopo la morte. Anche in Tolkien troviamo il termine undead, per esempio in bocca a Éowyn quando affronta il Re dei Nazgûl per difendere Théoden: "For living or dark undead, I will smite you, if you touch him”, “Perché, che tu sia creatura vivente o oscuro non-morto, ti distruggerò, se lo tocchi2.”

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L’interesse di Tolkien per la dimensione ultraterrena ed escatologica emerge nel celebre commento sul tema portante del Signore degli Anelli che troviamo nelle Lettere: “Se mi venisse chiesto, direi che il racconto non tratta in realtà del potere e del dominio: due cose che si limitano ad avviare gli avvenimenti; tratta della morte e del desiderio di immortalità3.”

Le creature non-morte, peraltro, si prestano non solo ai fini contenutistici ma anche a quelli riguardanti la tecnica narrativa. Come tutti i grandi autori infatti, Tolkien sa alternare efficacemente nella narrazione un vasto spettro di emozioni. E in fondo è lui stesso ad affermare: “... ogni romanzo che consideri le cose seriamente deve avere in sottofondo paura e orrore, se vuole raffigurare, per quanto remotamente o in modo rappresentativo, la realtà, e non essere pura evasione4.” Quando si tratta di suscitare la paura è naturale che egli ricorra anche a creature non-morte, delle quali le più cospicue sono i Fantasmi dell’Anello o i Morti di Dunclivo.

Mentre questi ultimi sono il frutto di una maledizione, come spiegherò più avanti, i Nazgûl vengono creati durante la Seconda Era, usando il sistema di ‘assoggettamento’ degli anelli: infatti i Nove consegnati agli Uomini ne corrodono lentamente la volontà, asservendoli irrimediabilmente a Sauron ma anche prolungandone la vita ben oltre il termine naturale.

Non vi è dubbio che i non-morti tolkieniani abbiano molte caratteristiche che nella tradizione sono tipiche di queste creature:

- Innanzitutto essi sono in grado di incutere il terrore in chiunque li veda. Questa è l’arma principale dei Morti di Dunclivo, che volgono in fuga i Corsari di Umbar ispirando loro un panico incontrollabile; ma anche i Nazgûl irradiano un’aura di terrore e il loro grido, come quello degli spettri irlandesi banshee, lacera le orecchie e i cuori. Per questo motivo gli Orchi di Mordor li chiamano ’Shriekers’, vale a dire ‘coloro che urlano’5. La voce terribile dei Nove è in effetti una delle loro armi più temibili, capace di infondere terrore e disperazione a distanza ancora prima che essi diventino visibili.

Riguardo al terrore suscitato dai Nazgûl può essere interessante rifarsi al saggio di T. Shippey “Orcs, Wraiths, Wights: Tolkien’s Images of Evil6”, in cui si analizzano le qualità del Male incarnate da tali creature malvagie. Shippey nota che, nel caso degli Spettri dell’Anello, il tipo di terrore che incutono si basa sul ‘trascolorare’ delle certezze positive in una zona di dubbio, sospetto, disperazione che alla fine ribalta in negativo qualsiasi ‘causa’ o proponimento gli individui abbiano abbracciato: questo, afferma Shippey, si coniuga bene sia con l’idea di Male come ‘assenza o distorsione del Bene’ tipica del legendarium, sia con la passività di fronte alla degenerazione che ha contraddistinto molti tragici eventi del secolo passato.

- L’esistenza dei non-morti è talora legata alla morte violenta, come nel caso degli Spiriti delle Paludi Morte, guerrieri caduti in antiche battaglie che appaiono a Frodo e Sam sotto forma di immagini evanescenti, ipnotiche, simili a fuochi fatui (sappiamo dalle Lettere che per questo episodio Tolkien trasse ispirazione dai massacri della Somme7). Nel caso degli Spiriti delle Paludi più che vere e proprie creature senzienti tali apparizioni fanno venire in mente solo una specie di ‘residuo’ o ‘riverbero’ di tragici eventi passati. Possiamo ipotizzare che la prossimità con un luogo malefico, la Terra di Mordor, agisca come catalizzatore per l’apparizione di queste vittime di morti cruente, un po’ come accade per i fantasmi dell’Overlook Hotel in The Shining di S. King8.

- I Morti di Dunclivo, guerrieri codardi che in vita violarono il giuramento di fedeltà al re Isildur, sono il classico caso di anime condannate alla non-morte per aver infranto un voto (non per nulla sono chiamati anche ‘Gli Spergiuri’). E soltanto l’erede di Isildur, Aragorn, li libererà dalla maledizione dopo che questi l’avranno assistito in battaglia, aiutandolo a impadronirsi della flotta di Umbar.

- Anche i non-morti tolkieniani sono incorporei, in parte o completamente, e quindi non vulnerabili alle armi normali ma soltanto a quelle magiche, oppure a modi speciali di offesa: ecco dunque il Re Stregone di Angmar, immune ai colpi di schiere di uomini ma destinato a perire per mano della guerriera Éowyn. A latere dell’incorporeità dei Nazgûl si apre in realtà una interessante quanto spinosa questione, quella della collocazione e definizione del cosiddetto ‘mondo degli spiriti’ (‘the wraith-world’), dimensione eterea in cui gli Spettri dell’Anello sono visibili, e dove si trova catapultato chiunque indossi l’Unico. La natura di questo piano di esistenza è questione dibattuta, ed esula assolutamente dallo scopo di quest’articolo. Ma è interessante notare come il mondo degli spiriti faccia parte del più generale ‘Unseen’, il reame non visibile popolato da creature buone e malvagie, un’ulteriore riprova della valenza metafisica che anche in Tolkien, seppur negativamente, possiedono queste creature.

- La consueta avversione verso la luce presente nel folklore ritorna anche nelle pagine di Tolkien, che descrive i poteri dei Nazgûl come assai amplificati durante la notte9. Anche la repulsione per l’acqua, tipica ad esempio dei vampiri, viene ripresa da Tolkien: ricordiamo i Nove travolti e dispersi dalla piena magica del fiume Bruinen10. Il fuoco, infine, tradizionale arma contro i non-morti, è capace di tener lontani anche gli Spettri dell’Anello11.

- Come molte creature non-morte delle leggende, i Nazgûl hanno un’aura velenosa, il Soffio Nero (‘the Black Breath’), che induce malessere e perdita di conoscenza. La ferita inferta a Frodo dal pugnale dei Nazgûl, inoltre, ha tutte le peculiarità del morso di un vampiro, difficile da curare e debilitante per la vittima.

- Durante l’assedio di Minas Tirith emerge chiaramente l’abilità del Re Stregone dei Nazgûl di operare la magia nera, tratto tipico dei non-morti più potenti: attraverso oscuri incantesimi infatti egli amplifica la forza dell’ariete che sfonda la porta della città.

- Un discorso a parte merita una delle debolezze consuete dei non-morti, la vulnerabilità ai simboli e oggetti sacri come i crocefissi, l’acqua santa, le Sacre Scritture e così via. Nel mondo secondario creato da Tolkien (Arda) non troviamo riferimenti diretti alla religione del mondo primario (il nostro), seppure siano innegabili le influenze che il cattolicesimo esercitò sull’autore. Eppure in diverse occasioni i personaggi del Signore degli Anelli, quando sono minacciati dal male, invocano le ‘sacre’ potenze dell’Ovest, i Valar, con modalità simili a quelle cui si fa tradizionalmente ricorso nella lotta contro i non-morti: pensiamo a Frodo su Colle Vento, che eleva il grido ‘O Elbereth! Gilthoniel!’ (il nome della Valië Varda, regina delle stelle), proprio mentre cerca di resistere all’attacco dei Nazgûl.

Lo stesso Tolkien, in una delle Lettere afferma che gli Uomini e gli Elfi “si rivolgevano per un aiuto a un Valar (come Elbereth), così come un cattolico si rivolge a un santo, benché senza dubbio sapessero che il potere di un Vala era limitato e derivava da altri12

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Nelle opere di Tolkien non troviamo veri e propri vampiri - quelli citati nel Silmarillion sono in realtà forme di enormi pipistrelli - ma, a ben pensarci, l’Unico Anello e i set di Nove dati agli Uomini possiedono molte caratteristiche tipiche dei vampiri: seducono e soggiogano coloro che li maneggiano, ne sottraggono la forza vitale e poco per volta li trasformano in creature notturne, veri e propri spettri (wraiths) sospesi tra il mondo reale e la dimensione di ombre, il misterioso mondo degli spiriti citato sopra. Inoltre, secondo la tradizione delle congreghe di vampiri, i Nazgûl traggono forza dalla reciproca presenza, come Tolkien dice esplicitamente13.

C’è stato infine chi ha voluto addirittura tracciare un paragone tra Sauron e Dracula, sottolineando che lo sguardo di entrambi ha le stesse caratteristiche ipnotiche, capaci di creare un esercito di schiavi da manovrare come burattini14.

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Se vogliamo addentrarci più a fondo nell’essenza di queste creature dobbiamo esaminare il momento cruciale dell’esistenza degli undead tradizionali: il momento della trasformazione, del passaggio dalla vita alla non-morte. In molti casi, come per i vampiri e tutti quei non-morti che ritornano con il corpo, si tratta di un vero e proprio decesso seguito da una ‘resurrezione’: infatti in molte regioni europee i non-morti sono stati chiamati ‘revenant’, coloro che appunto fanno ritorno dagli oscuri territori della morte. Nei miti nordici, importanti in quanto fucina per l’ispirazione tolkieniana, si parla di draugar, che potenti stregoni (per primo Odino) potevano richiamare in vita, spesso a scopo divinatorio, come fa un vero e proprio negromante15. I draugar - e una loro sottospecie, gli haugbui, che infestano particolarmente le tombe (i ‘burial mounds’ tipici della tradizione nordica) sono stati spesso citati in riferimento agli Spettri dei Tumuli.

In effetti i draugar hanno molte caratteristiche che ricordano queste creature tolkieniane: l’aspetto cadaverico, la capacità di lanciare incantesimi malvagi attraverso il canto, il controllo degli elementi, il loro dimorare nelle tombe, addirittura la capacità di influenzare i sogni dei viventi. Eppure, come spiegherò a breve, malgrado tutti questi elementi di somiglianza c’è una macroscopica differenza tra i non-morti classici e gli Spettri dei Tumuli, strettamente connessa alla dimensione escatologica del legendarium.

Vale la pena innanzitutto di puntualizzare che, per quanto riguarda l’universo tolkieniano, ha senso applicare il fenomeno della vera e propria non-morte a Umani e Hobbit, ovvero le stirpi non soggette, come lo sono invece gli Elfi o i Nani, a una sosta del loro spirito entro i confini del mondo e ciclico ritorno dopo la morte (semplificando a dir poco un argomento molto complesso che ha già ispirato numerosi saggi16). Sottolineo nuovamente che le apparizioni delle Paludi Morte (Elfi, Uomini, Orchi) sono da considerare forse più come immagini che come vere creature - come paiono confermare, nel Signore degli Anelli, le parole di Gollum a riguardo17.

Perché esista la non-morte, insomma, è necessario che l’anima sia destinata a un Aldilà definitivo, che esclude reincarnazione o altre forme di ritorno ‘fisiologico’ al mondo.

Ecco dunque l’osservazione più importante, perché conferma ancora una volta l’originalità e la coerenza di Tolkien: negli undead da lui descritti manca completamente il momento di morte seguito da rinascita fisica. I non-morti di Tolkien sono semplici spiriti rimasti sulla terra, come gli Spergiuri, oppure, se hanno corpo fisico come i Nazgûl, giungono allo stato di non-morte per un processo di lenta consunzione e non attraverso un decesso vero e proprio - lo stesso processo che vediamo all’opera in Gollum, una sorta di ’non-morto in fieri’.

Questo non è un dettaglio da poco, anzi esso distingue gli undead tolkieniani da quelli tradizionali (come i revenant o i draugar) che ‘risorgono dalla tomba’.

Nell’universo tolkieniano, infatti, quando l’anima di un Uomo (fëa) si divide dal corpo (hröa) al momento della morte, il corpo decade e l’anima sosta brevemente nelle aule di Mandos per poi passare definitivamente altrove: un altrove che neppure i Valar conoscono. Su questo passaggio delicato e misterioso, che costituisce il Dono di Iluvatar, si gioca tutta l’eccezionalità dei Secondogeniti e il progetto ultraterreno cui sono destinati. E per questo motivo non c’è sortilegio o titanismo che tenga - una volta che l’anima e il corpo di un Uomo si sono separati, essi non possono riunirsi nuovamente, salvo che Ilúvatar lo voglia - e in tutto il legendarium vi è un solo caso in cui questo accade.



Prova a rinforzo di ciò sono proprio gli Spettri dei Tumuli, le creature nominate prima che, malgrado le apparenze, non sono affatto non-morti: si tratta infatti di spiriti maligni inviati dal re stregone di Angmar ad infestare le tombe e i resti degli eroici condottieri Dúnedain, in spregio alla loro grandezza. Le ossa dei defunti vengono animate sì, e con intento malevolo, ma Tolkien dice esplicitamente che a possedere i resti umani sono spiriti estranei, non certo le anime che avevano abitato quei corpi. Nelle Appendici al Signore degli Anelli, infatti, si legge: “Fu a quest’epoca [T.E. 1473-1670] che si estinsero i Dúnedain di Cardolan; gli spiriti malefici giunti da Angmar e da Rhudaur entrarono nei cumuli abbandonati e vi dimorarono.18

Resta l’ambiguità del sogno fatto da Merry, in cui lo hobbit ‘rivive’ le antiche battaglie dal punto di vista dei valorosi ‘Men of Westernesse’ nelle cui tombe si trova: ma anche T. Shippey ritiene improbabile che gli spiriti di coloro che si batterono così valorosamente contro le forze oscure possano tornare dopo la morte come alleati del Male19. L’ipotesi della possessione da parte di spiriti esterni (non fëa di alcuno, ma probabilmente Maia minori al soldo di Sauron) rimane la più accreditata, e come si è visto sopra, confermata nei testi.

Anche in questo caso nessuna ‘resurrezione’ dunque. Tolkien è categorico: le leggi che presiedono al passaggio dalla vita alla morte e l’incarnazione dell’anima nel corpo sono esclusivo appannaggio di Ilúvatar, e il Male, o qualsiasi altra entità, non potrà mai compiere resurrezioni più di quanto non possa creare dal nulla.

Come illustre corollario accettiamo quindi che l’unica vera resurrezione nella storia di Arda avvenga in circostanze eccezionali, con il beneplacito di Ilúvatar, e legata alla vicenda centrale del Silmarillion, quella di Beren e Lúthien, i due amanti attraverso cui si realizza l’unione tra le stirpi di Uomini e Elfi.

Al termine delle loro peripezie Beren viene ferito mortalmente e spira. Lúthien però non si rassegna alla perdita e, lasciato il proprio corpo accanto a quello esanime di lui, in spirito si spinge fino a Valinor per reclamare indietro l’amato; proprio come Orfeo intona un canto così struggente che lo stesso Mandos, Vala del Fato, ne viene commosso; Manwë, interprete del volere di Iluvatar, concede allo spirito di Beren di rientrare nel suo corpo, e ai due amanti di tornare nella Terra di Mezzo per terminare, con i loro corpi mortali, la loro vita insieme.

Naturalmente Beren non è un vero e proprio non-morto, ma un Uomo resuscitato. Eppure prendiamo atto di un fatto singolare, nonché significativa conclusione di questa carrellata sui non-morti: l’isola su cui i due amanti si stabiliscono viene poi chiamata dagli Eldar ‘Dor-Firn-i-Guinar’ cioè ‘La Terra dei Morti che vivono’ (‘The Land of the Dead that live’ in inglese).

Questo nome potrebbe farci sorridere, riportandoci alla mente gli zombie-movies degli anni ’70-’80; ma per Tolkien sanciva, anche nella toponomastica, l’eccezionalità di un evento - il ritorno dalla morte - che nessuna magia o intento avrebbe mai potuto realizzare, se non l’amore nella sua forma più estrema.

1 J.R.R. Tolkien, The Lord of the Rings, HarperCollins, London 2001, III, The Last Debate.

2 The Lord of the Rings (op. cit.), III, The Battle of the Pelennor Fields (traduzione mia)

3 Lettere n. 203 (in Lettere: La realtà in trasparenza, Rusconi, Milano, 1990, p. 296)

4 Lettere n. 109 (op. cit., p. 139)

5 Il termine usato nella traduzione italiana è ‘strilloni’ (Il Signore degli Anelli, Bompiani, Milano, 2011, p.999)

6 Il saggio è compreso nella raccolta Roots and Branches (Walking Tree Publishers, 2007).

7 Lettere n. 226 (op. cit., p. 342)

8 Un’altra ipotesi interessante, e molto più organica alle opere di Tolkien, è che queste immagini - almeno quelle elfiche - siano una manifestazione di una particolare categoria di spiriti elfici, gli ‘houseless’, appartenenti a quegli Elfi che hanno perso i loro corpi, ma rifiutano la chiamata del vale del Fato, Mandos, e rimangono in forma incorporea nella Terra di Mezzo (Morgoth’s Ring, p. 224 in The History of Middle-earth, HarperCollins, London 2002).

9 Lettere n. 210 “[I Nazgûl] non possono far molto contro chi non li teme; ma i loro poteri, e la paura che suscitano, sono enormemente aumentati dall’oscurità.” (op. cit., p. 308)

10 Nei Racconti Incompiuti (Rusconi, Milano 1981) si dice che: “Tutti [i Nazgûl] salvo il Re degli Stregoni, temevano l’acqua ed erano restii, se non in caso di estrema necessità, a entrare in fiumi o ad attraversarli se non a piedi asciutti, su un ponte.” (p. 455)

11 Grampasso dice nel Signore degli Anelli:Sauron può adoperare il fuoco per fini malvagi, come fa con tutte le altre cose, ma questi Cavalieri non lo amano e temono coloro che lo posseggono. Il fuoco è il nostro amico nelle terre deserte e selvagge.” (op. cit., p. 225)

12 Lettere n.153 (op. cit., p. 219)

13 Così si afferma nei Racconti Incompiuti: “Inoltre la loro arma principale era il terrore, il quale risultava maggiore […] quando fossero tutti assieme.” (op. cit., p. 455)

14 Gwenyth Hood, “Sauron and Dracula” in Mythlore 52 (Winter 1987): in questo interessante articolo si analizzano tra l’altro gli effetti di sdoppiamento e traviamento che sia l’Anello sia Dracula provocano nelle loro vittime, e si giunge alla conclusione che l’influenza negativa dell’Anello è molto più profonda e difficile da estirpare di quella di Dracula. Infatti dopo la morte di Dracula Mina Harker si ritrova uguale a prima, con l’animo nuovamente integro e buono, laddove neppure la caduta di Sauron riesce a eliminare da Frodo l’ombra di angoscia proiettata su di lui dall’aver portato l’Anello.

15 G. C. Isnardi, I Miti Nordici, Longanesi, Milano (pp. 362-4)

16 Fondamentale a questo riguardo la raccolta La Falce spezzata (Marietti, Genova-Milano 2009).

17 “Non puoi raggiungerli, non puoi toccarli. Ci provammo una volta, sì, ci provammo, tesoro. […] Forse sono solo forme che si vedono e non si toccano.” (Op. cit., p. 688)

18 Op. cit., p. 1120

19 Op. cit., p. 260-265. Tom Shippey porta gli Spettri dei Tumuli come esempio di un Male Assoluto in senso manicheo, e non una semplice corruzione del Bene come di solito avviene nell’universo tolkieniano.

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