Una nuova traduzione delle Lettere di J.R.R. Tolkien



di Adriano Bernasconi



Partiamo da una certezza: le Lettere di J.R.R. Tolkien sono un testo imprescindibile per chiunque voglia addentrarsi all’interno dell’universo tolkeniano. Esse contengono informazioni di grandissima utilità per ricercatori, studiosi, curiosi, sia riguardanti la vita privata di Tolkien (eventi, rapporti con familiari e amici, opinioni sul mondo) che la sua attività subcreativa di scrittore: riflessioni su tematiche e personaggi; sviluppo e struttura delle lingue inventate; origine di nomi e influenze letterarie; fasi di scrittura delle opere – e molto altro ancora.

Giusto per fare qualche esempio, dalla lettura di questo testo possiamo conoscere lo stretto legame tra J.R.R. Tolkien e suo figlio Christopher durante la seconda guerra mondiale, proprio nel corso della stesura di tutta la parte centrale del Signore degli Anelli (lettere da 52 a 102), oppure l’evoluzione del rapporto con Rayner Unwin, il figlio del suo editore, che da bambino aveva recensito Lo Hobbit, permettendone la pubblicazione, e con il quale Tolkien arrivò ad avere un’amicizia importante («Pensi che riusciresti a chiamarmi per nome?», lettera 334). Le Lettere ci permettono di scoprire le idee di Tolkien riguardo a matrimonio e rapporto tra i sessi (lettera 43), agli Stati Uniti (es. lettera 77), all’uso delle tecnologie in guerra (es. lettera 78), alla Disney (lettere 13, 202, 234), alle novità del Concilio Vaticano II (lettera 306) e così via… c’è la magnifica lettera in cui Tolkien si rifiutò di dichiararsi ariano (la numero 29) e poi, ovviamente, ci sono tante, tantissime risposte ai lettori (o ai traduttori, o ai recensori) del Signore degli Anelli e delle altre sue opere, tramite le quali possiamo approfondire il tema dell’Eucatastrofe e della Pietà (si vedano, ad esempio, le lettere 89, 181, 191 o 246), quello del Male (es. lettera 183), quello di Morte ed Immortalità (es. lettere 153, 186 o 212), l’odio di Tolkien per le allegorie (es. lettere 68 o 203) e molto altro ancora. Le Lettere sono una preziosa e profonda miniera di informazioni.

Era dunque necessaria una nuova traduzione di questo testo? La precedente traduzione era di Cristina De Grandis per l’edizione Rusconi del 1990 (le Lettere erano state pubblicate col titolo La realtà in trasparenza). Nel 2000 i diritti di traduzione e pubblicazione del volume sono stati acquisiti, assieme all’intera opera tolkeniana, dalla Bompiani che, sull’onda dei film di Peter Jackson, ha ripubblicato il libro con lo stesso titolo e la stessa traduzione: una prima edizione nel 2001, una ristampa nel 2002… e poi, per quindici anni, nient’altro, a tal punto che – nonostante ripetuti appelli – il testo in italiano era divenuto introvabile. A peggiorare la situazione c’era pure il fatto che l’unica traduzione ufficiale in italiano, quella della De Grandis per l’appunto, era duramente criticata dalla stessa Associazione Italiana Studi Tolkeniani per i numerosi errori contenuti, che rendevano incomprensibili alcune parti del testo o che ne manomettevano involontariamente il significato. Accogliamo dunque con favore questa nuova edizione e traduzione delle Lettere – finalmente tornate anche al loro titolo originale – a cura di Lorenzo Gammarelli, socio e saggista dell’Associazione Italiana Studi Tolkeniani, nonché curatore di altre riedizioni in italiano di opere tolkeniane. La nuova traduzione, pubblicata il 3 gennaio 2018, è stata possibile anche grazie all’acquisizione della Bompiani da parte del Gruppo Giunti, che sta ristampando le opere di Tolkien con nuove edizione rivedute e corrette.

Come lo stesso Gammarelli ammette in una recente intervista, tradurre le Lettere non è un’impresa facile: vi sono spesso termini poco comuni e tecnici – correlati alla linguistica, alla botanica, alla liturgia e così via – e vi sono termini comuni usati però con accezioni particolari, vi sono costruzioni sintattiche che non sono solitamente usate nella lingua inglese (e che dunque possono creare confusione se tradotte alla lettera) e citazioni di altri testi, talvolta anche di autori poco noti, compiuti con qualche modifica e cambiamento, a tal punto che è quasi impossibile risalite alla fonte originale. Vi sono anche frasi o parole in anglosassone, greco, latino, elfico quenya e sindarin, italiano, tedesco e quant’altro, senza contare i neologismi, le abbreviazioni, i giochi di parole, gli acronimi, i modi di dire o gli errori involontari di Tolkien… per non parlare, infine, di tutti i nomi propri di luoghi o personaggi delle opere tolkeniane, che vanno opportunamente tradotti mantenendo coerenza con le traduzioni già esistenti in italiano.

È possibile trovare quindi, nella “vecchia” traduzione di Cristina De Grandis, frasi assolutamente prive di senso, come la seguente: «Nella mia storia non esiste il male assoluto. Non penso nemmeno che esista, a meno che non sia lo Zero» (lettera 183, pag. 275 dell’edizione Bompiani 2001), che nell’originale suonava così: «In my story I do not deal in Absolute Evil. I do not think there is such a thing, since that is Zero» e che nella nuova edizione è stata così ritradotta: «Nella mia storia non mi occupo del Male Assoluto. Non penso che esista, poiché sarebbe Zero» (pag. 386).

Sono state ripristinate, da Gammarelli, le parti inspiegabilmente mancanti nella precedente edizione, come la trascrizione in lingua inglese delle rune della Lettera 112 (nota a pag. 706 ed. Bompiani 2018), la nota a piè pagina, scritta dallo stesso Tolkien, della lettera 307 (pag. 628, Bompiani 2018), o il passo originale dal Libro di Exeter della Lettera 54 (pag. 107, Bompiani 2018).

Inoltre, per qualche ragione incomprensibile, quasi tutti i nomi di luoghi e personaggi di Arda e delle altre opere tolkeniane non erano stati tradotti dalla De Grandis, bensì mantenuti nella forma originale (forse sulla scia di quanto detto dallo stesso Tolkien nelle sue Lettere, ad esempio nella 190?). Era quindi tutto un fiorire di Rivendell, Goldberry, Shadowfax, Oakenshield, Harrowdale, Gaffer, Farmer Giles of Ham, Smith of Wootton Major e così via. Però, si badi bene, non sempre: ad esempio Mirkwood rimaneva tale nella Lettera 10, ma veniva tradotto Bosco Atro in lettere successive, come nella 289 o nella 339; Monte Fato nella Lettera 91 diventava “Montagna del Destino” (mentre altrove era correttamente tradotto) e Grampasso era tradotto nella Lettera 257. Il Fiume Anduin mutava in “Anduino” (es. Lettere 131 e 144) e c’era persino un’improbabile “Hobbilandia” (per Hobbiton, da noi tradotto come Hobbiville) nella Lettera 109. I Sovrintendenti di Gondor (“Stewards”) erano incredibilemente divenuti “Amministratori” nella Lettera 163, come se Gondor fosse un condominio e non un reame. Per un elenco un po’ più completo (ma non certo esaustivo) degli errori della traduzione della De Grandis, si veda quanto riportato in calce alla presente recensione.

La nuova edizione delle Lettere, oltre a correggere i tanti errori di questo tipo e a rendere conseguentemente il testo molto più comprensibile, amplia l’indice analitico in fondo al libro (sebbene sia ancora lontano dalla completezza di quello originale, che è stato compilato nel corso di svariati anni) ed arricchisce il testo di nuove note di traduzione, al fine di chiarire al lettore italiano quei passaggi, quelle citazioni e quelle terminologie che altrimenti gli risulterebbero oscure. Ad esempio nella lettera 43 Tolkien scrive: «Allas! Allas! That ever love was sinne! come dice Chaucher», ma nell’edizione Bompiani 2001 la frase non è tradotta, mentre nella nuova edizione 2018 c’è un’opportuna nota a fondo libro che spiega «“Ahimè, ahimè, che amor fu mai peccato!” dai Racconti di Canterbury, v. 614». Secondo esempio: nella lettera 250 a suo figlio Michael, Tolkien scrive «Not for me the Hound of Heaven, but the never-ceasing silent appeal of Tabernacle, and the sense of starving hunger»; nella traduzione di Cristina De Grandis era «Non per me l’Abisso dei Cieli, ma la voce silenziosa del Tabernacolo e quella sensazione di fame implacabile» (pag. 382, Bompiani 2001), mentre nella nuova traduzione di Lorenzo Gammarelli diventa «Per me non il Segugio del Cielo, ma l’incessante silenzioso richiamo del Tabernacolo, e un senso di fame implacabile» (pag. 539) ed una nota a fine libro (pag. 729) spiega che Segugio del Cielo è la citazione del titolo di una poesia di Francis Thompson, poeta cattolico inglese. Oltre all’incomprensibile traduzione della De Grandis di “hound” come “abisso” e non come “segugio, cane da caccia”, manca la comprensione di questa citazione senza l’opportuna nota inserita nella nuova edizione. Terzo ed ultimo esempio: nella lettera 323 Tolkien, parlando al figlio Christopher della primavera di quell’anno, scrive «The old saw about the oak and the ash, if it has any truth, would usually need wide-spread statistics […]» frase che alla lettera può essere tradotta «Il vecchio detto sulla quercia e il frassino, se contiene un briciolo di verità, avrà bisogno di diffuse statistiche […]» e che era correttamente tradotta anche nella vecchia edizione. Mancava però una nota che specificasse che ciò a cui Tolkien si riferisce è “Se prima del frassino la quercia fiorisce, dal cielo ogni nube sparisce. Se il frassino mette la prima gemmata, sarà un’estate molto bagnata”, un proverbio popolare inglese (viene spiegato nella nota a pag. 735 della nuova edizione).

Vi è anche, all’inizio del libro, una nota del traduttore che spiega il metodo applicato sia per le note a fine libro che per la traduzione del testo, oltre ad un comodo elenco di abbreviazioni usate da Tolkien nelle sue lettere con i rispettivi significati.

Volendo trovare proprio il pelo nell’uovo, c’è un piccolo refuso a pag. 580: la data della lettera 282 non è 18 dicembre 1945, come viene scritto, ma ovviamente 1965. Manca anche un “S.W.9” all’indirizzo del signor Sam Gamgee della lettera 184 (pag. 388). Nell’introduzione alla lettera 168 (pag. 354) “Treebeard” (cioè Barbalbero) è tradotto come “Sveltolampo” (che però è un altro Ent, “Quickbeam”, chiamato anche Bregalad). A pag. 179, nella lettera 96, nella frase «Bene, sembra che la delle Macchine […]» manca un “Guerra” prima di “delle”. Nella terza lettera (pag. 17) “pencil copy” è stato tradotto come “copia a macchina”, ma credo dovesse essere “copia a matita”. Infine nella lettera 75 compare una citazione del Runo XX del Kalevala (pag. 141 della nuova edizione Bompiani): Gammarelli sceglie di usare la traduzione italiana classica di Paolo Emilio Pavolini (come spiegato nella nota a pag. 701), la quale però, per mantenere metrica e rime, non traduce alla lettera l’originale. Se infatti nel testo in inglese leggiamo «Drunk was Ahti, drunk was Kauko, drunken was the ruddy rascal, with the ale of Osmo's daughter» (è la traduzione di W.H. Kirby del 1905 citata da Tolkien), nel testo italiano diventa «Restò Kauko inebriato, / ebro il giovin scapestrato / per la nuova birra cotta / dalla figlia di Kaleva». Forse sarebbe stato bene inserire nella nota anche il testo originale in inglese. Si tratta tuttavia di piccoli dettagli, che non inficiano assolutamente la comprensione del testo e che potranno essere facilmente corretti nelle prossime ristampe.

Trovo dunque ammirevole il difficile lavoro che Lorenzo Gammarelli ha affrontato nel ritradurre e nel curare questo importante ma complesso testo e ne consiglio la lettura sia a coloro che possedevano solo le vecchie edizioni Rusconi o Bompiani, sia a coloro che finora hanno letto solo l’edizione originale in inglese… e, ovviamente, consiglio caldamente la lettura delle Lettere a tutti quelli che non si sono mai accostati a questo volume prima d’oggi!



Adriano Bernasconi



Come poscritto lascio un abbondante – ma, ripeto, non esaustivo – elenco di errori di traduzione presenti nell’edizione Rusconi (e dunque anche Bompiani 2001) e che sono stati corretti nella nuova traduzione di Gammarelli: