Una nuova traduzione delle Lettere di J.R.R. Tolkien
di Adriano Bernasconi
Partiamo da una certezza: le Lettere di J.R.R. Tolkien sono un testo imprescindibile per chiunque voglia addentrarsi all’interno dell’universo tolkeniano. Esse contengono informazioni di grandissima utilità per ricercatori, studiosi, curiosi, sia riguardanti la vita privata di Tolkien (eventi, rapporti con familiari e amici, opinioni sul mondo) che la sua attività subcreativa di scrittore: riflessioni su tematiche e personaggi; sviluppo e struttura delle lingue inventate; origine di nomi e influenze letterarie; fasi di scrittura delle opere – e molto altro ancora.
Giusto per fare qualche esempio, dalla lettura di questo testo possiamo conoscere lo stretto legame tra J.R.R. Tolkien e suo figlio Christopher durante la seconda guerra mondiale, proprio nel corso della stesura di tutta la parte centrale del Signore degli Anelli (lettere da 52 a 102), oppure l’evoluzione del rapporto con Rayner Unwin, il figlio del suo editore, che da bambino aveva recensito Lo Hobbit, permettendone la pubblicazione, e con il quale Tolkien arrivò ad avere un’amicizia importante («Pensi che riusciresti a chiamarmi per nome?», lettera 334). Le Lettere ci permettono di scoprire le idee di Tolkien riguardo a matrimonio e rapporto tra i sessi (lettera 43), agli Stati Uniti (es. lettera 77), all’uso delle tecnologie in guerra (es. lettera 78), alla Disney (lettere 13, 202, 234), alle novità del Concilio Vaticano II (lettera 306) e così via… c’è la magnifica lettera in cui Tolkien si rifiutò di dichiararsi ariano (la numero 29) e poi, ovviamente, ci sono tante, tantissime risposte ai lettori (o ai traduttori, o ai recensori) del Signore degli Anelli e delle altre sue opere, tramite le quali possiamo approfondire il tema dell’Eucatastrofe e della Pietà (si vedano, ad esempio, le lettere 89, 181, 191 o 246), quello del Male (es. lettera 183), quello di Morte ed Immortalità (es. lettere 153, 186 o 212), l’odio di Tolkien per le allegorie (es. lettere 68 o 203) e molto altro ancora. Le Lettere sono una preziosa e profonda miniera di informazioni.
Era dunque necessaria una nuova traduzione di questo testo? La precedente traduzione era di Cristina De Grandis per l’edizione Rusconi del 1990 (le Lettere erano state pubblicate col titolo La realtà in trasparenza). Nel 2000 i diritti di traduzione e pubblicazione del volume sono stati acquisiti, assieme all’intera opera tolkeniana, dalla Bompiani che, sull’onda dei film di Peter Jackson, ha ripubblicato il libro con lo stesso titolo e la stessa traduzione: una prima edizione nel 2001, una ristampa nel 2002… e poi, per quindici anni, nient’altro, a tal punto che – nonostante ripetuti appelli – il testo in italiano era divenuto introvabile. A peggiorare la situazione c’era pure il fatto che l’unica traduzione ufficiale in italiano, quella della De Grandis per l’appunto, era duramente criticata dalla stessa Associazione Italiana Studi Tolkeniani per i numerosi errori contenuti, che rendevano incomprensibili alcune parti del testo o che ne manomettevano involontariamente il significato. Accogliamo dunque con favore questa nuova edizione e traduzione delle Lettere – finalmente tornate anche al loro titolo originale – a cura di Lorenzo Gammarelli, socio e saggista dell’Associazione Italiana Studi Tolkeniani, nonché curatore di altre riedizioni in italiano di opere tolkeniane. La nuova traduzione, pubblicata il 3 gennaio 2018, è stata possibile anche grazie all’acquisizione della Bompiani da parte del Gruppo Giunti, che sta ristampando le opere di Tolkien con nuove edizione rivedute e corrette.
Come lo stesso Gammarelli ammette in una recente intervista, tradurre le Lettere non è un’impresa facile: vi sono spesso termini poco comuni e tecnici – correlati alla linguistica, alla botanica, alla liturgia e così via – e vi sono termini comuni usati però con accezioni particolari, vi sono costruzioni sintattiche che non sono solitamente usate nella lingua inglese (e che dunque possono creare confusione se tradotte alla lettera) e citazioni di altri testi, talvolta anche di autori poco noti, compiuti con qualche modifica e cambiamento, a tal punto che è quasi impossibile risalite alla fonte originale. Vi sono anche frasi o parole in anglosassone, greco, latino, elfico quenya e sindarin, italiano, tedesco e quant’altro, senza contare i neologismi, le abbreviazioni, i giochi di parole, gli acronimi, i modi di dire o gli errori involontari di Tolkien… per non parlare, infine, di tutti i nomi propri di luoghi o personaggi delle opere tolkeniane, che vanno opportunamente tradotti mantenendo coerenza con le traduzioni già esistenti in italiano.
È possibile trovare quindi, nella “vecchia” traduzione di Cristina De Grandis, frasi assolutamente prive di senso, come la seguente: «Nella mia storia non esiste il male assoluto. Non penso nemmeno che esista, a meno che non sia lo Zero» (lettera 183, pag. 275 dell’edizione Bompiani 2001), che nell’originale suonava così: «In my story I do not deal in Absolute Evil. I do not think there is such a thing, since that is Zero» e che nella nuova edizione è stata così ritradotta: «Nella mia storia non mi occupo del Male Assoluto. Non penso che esista, poiché sarebbe Zero» (pag. 386).
Sono state ripristinate, da Gammarelli, le parti inspiegabilmente mancanti nella precedente edizione, come la trascrizione in lingua inglese delle rune della Lettera 112 (nota a pag. 706 ed. Bompiani 2018), la nota a piè pagina, scritta dallo stesso Tolkien, della lettera 307 (pag. 628, Bompiani 2018), o il passo originale dal Libro di Exeter della Lettera 54 (pag. 107, Bompiani 2018).
Inoltre, per qualche ragione incomprensibile, quasi tutti i nomi di luoghi e personaggi di Arda e delle altre opere tolkeniane non erano stati tradotti dalla De Grandis, bensì mantenuti nella forma originale (forse sulla scia di quanto detto dallo stesso Tolkien nelle sue Lettere, ad esempio nella 190?). Era quindi tutto un fiorire di Rivendell, Goldberry, Shadowfax, Oakenshield, Harrowdale, Gaffer, Farmer Giles of Ham, Smith of Wootton Major e così via. Però, si badi bene, non sempre: ad esempio Mirkwood rimaneva tale nella Lettera 10, ma veniva tradotto Bosco Atro in lettere successive, come nella 289 o nella 339; Monte Fato nella Lettera 91 diventava “Montagna del Destino” (mentre altrove era correttamente tradotto) e Grampasso era tradotto nella Lettera 257. Il Fiume Anduin mutava in “Anduino” (es. Lettere 131 e 144) e c’era persino un’improbabile “Hobbilandia” (per Hobbiton, da noi tradotto come Hobbiville) nella Lettera 109. I Sovrintendenti di Gondor (“Stewards”) erano incredibilemente divenuti “Amministratori” nella Lettera 163, come se Gondor fosse un condominio e non un reame. Per un elenco un po’ più completo (ma non certo esaustivo) degli errori della traduzione della De Grandis, si veda quanto riportato in calce alla presente recensione.
La nuova edizione delle Lettere, oltre a correggere i tanti errori di questo tipo e a rendere conseguentemente il testo molto più comprensibile, amplia l’indice analitico in fondo al libro (sebbene sia ancora lontano dalla completezza di quello originale, che è stato compilato nel corso di svariati anni) ed arricchisce il testo di nuove note di traduzione, al fine di chiarire al lettore italiano quei passaggi, quelle citazioni e quelle terminologie che altrimenti gli risulterebbero oscure. Ad esempio nella lettera 43 Tolkien scrive: «Allas! Allas! That ever love was sinne! come dice Chaucher», ma nell’edizione Bompiani 2001 la frase non è tradotta, mentre nella nuova edizione 2018 c’è un’opportuna nota a fondo libro che spiega «“Ahimè, ahimè, che amor fu mai peccato!” dai Racconti di Canterbury, v. 614». Secondo esempio: nella lettera 250 a suo figlio Michael, Tolkien scrive «Not for me the Hound of Heaven, but the never-ceasing silent appeal of Tabernacle, and the sense of starving hunger»; nella traduzione di Cristina De Grandis era «Non per me l’Abisso dei Cieli, ma la voce silenziosa del Tabernacolo e quella sensazione di fame implacabile» (pag. 382, Bompiani 2001), mentre nella nuova traduzione di Lorenzo Gammarelli diventa «Per me non il Segugio del Cielo, ma l’incessante silenzioso richiamo del Tabernacolo, e un senso di fame implacabile» (pag. 539) ed una nota a fine libro (pag. 729) spiega che Segugio del Cielo è la citazione del titolo di una poesia di Francis Thompson, poeta cattolico inglese. Oltre all’incomprensibile traduzione della De Grandis di “hound” come “abisso” e non come “segugio, cane da caccia”, manca la comprensione di questa citazione senza l’opportuna nota inserita nella nuova edizione. Terzo ed ultimo esempio: nella lettera 323 Tolkien, parlando al figlio Christopher della primavera di quell’anno, scrive «The old saw about the oak and the ash, if it has any truth, would usually need wide-spread statistics […]» frase che alla lettera può essere tradotta «Il vecchio detto sulla quercia e il frassino, se contiene un briciolo di verità, avrà bisogno di diffuse statistiche […]» e che era correttamente tradotta anche nella vecchia edizione. Mancava però una nota che specificasse che ciò a cui Tolkien si riferisce è “Se prima del frassino la quercia fiorisce, dal cielo ogni nube sparisce. Se il frassino mette la prima gemmata, sarà un’estate molto bagnata”, un proverbio popolare inglese (viene spiegato nella nota a pag. 735 della nuova edizione).
Vi è anche, all’inizio del libro, una nota del traduttore che spiega il metodo applicato sia per le note a fine libro che per la traduzione del testo, oltre ad un comodo elenco di abbreviazioni usate da Tolkien nelle sue lettere con i rispettivi significati.
Volendo trovare proprio il pelo nell’uovo, c’è un piccolo refuso a pag. 580: la data della lettera 282 non è 18 dicembre 1945, come viene scritto, ma ovviamente 1965. Manca anche un “S.W.9” all’indirizzo del signor Sam Gamgee della lettera 184 (pag. 388). Nell’introduzione alla lettera 168 (pag. 354) “Treebeard” (cioè Barbalbero) è tradotto come “Sveltolampo” (che però è un altro Ent, “Quickbeam”, chiamato anche Bregalad). A pag. 179, nella lettera 96, nella frase «Bene, sembra che la delle Macchine […]» manca un “Guerra” prima di “delle”. Nella terza lettera (pag. 17) “pencil copy” è stato tradotto come “copia a macchina”, ma credo dovesse essere “copia a matita”. Infine nella lettera 75 compare una citazione del Runo XX del Kalevala (pag. 141 della nuova edizione Bompiani): Gammarelli sceglie di usare la traduzione italiana classica di Paolo Emilio Pavolini (come spiegato nella nota a pag. 701), la quale però, per mantenere metrica e rime, non traduce alla lettera l’originale. Se infatti nel testo in inglese leggiamo «Drunk was Ahti, drunk was Kauko, drunken was the ruddy rascal, with the ale of Osmo's daughter» (è la traduzione di W.H. Kirby del 1905 citata da Tolkien), nel testo italiano diventa «Restò Kauko inebriato, / ebro il giovin scapestrato / per la nuova birra cotta / dalla figlia di Kaleva». Forse sarebbe stato bene inserire nella nota anche il testo originale in inglese. Si tratta tuttavia di piccoli dettagli, che non inficiano assolutamente la comprensione del testo e che potranno essere facilmente corretti nelle prossime ristampe.
Trovo dunque ammirevole il difficile lavoro che Lorenzo Gammarelli ha affrontato nel ritradurre e nel curare questo importante ma complesso testo e ne consiglio la lettura sia a coloro che possedevano solo le vecchie edizioni Rusconi o Bompiani, sia a coloro che finora hanno letto solo l’edizione originale in inglese… e, ovviamente, consiglio caldamente la lettura delle Lettere a tutti quelli che non si sono mai accostati a questo volume prima d’oggi!
Adriano Bernasconi
Come poscritto lascio un abbondante – ma, ripeto, non esaustivo – elenco di errori di traduzione presenti nell’edizione Rusconi (e dunque anche Bompiani 2001) e che sono stati corretti nella nuova traduzione di Gammarelli:
Difficoltà con le terminologie linguistiche e storiche. L’inglese medio (“Middle English”) era tradotto in alcuni punti come “inglese medievale” (es. Lettera 7) e in altri come “medio-inglese” (es. Lettere 163 o 243). Allo stesso modo “norse” veniva sempre tradotto come “norvegese” anziché, correttamente, come “norreno” (es. Lettere 272, 289, 297). Nella Lettera 96 “Offa of Angels” era tradotto “Offa degli Angeli”, ma in quel caso indicava invece Offa degli Angli, leggendario re del IV secolo d.C. Il termine “tushery” (cioè “l’uso di arcaismi nei romanzi”) della Lettera 171 non veniva tradotto. La “Bayeux Tapestry” (cioè l’Arazzo di Bayeux, fondamentale per la ricostruzione della storia normanna in Inghilterra) era divenuto, nella Lettera 211, la “tappezzeria di Bayeux”.
Difficoltà con la nomenclatura geografica. C’era spesso confusione tra “Britain” (Gran Bretagna) e “Brittany” (Bretagna) – es. Lettere 131 e 297. Le Midlands Occidentali (“West Midlands”) venivano tradotte alla lettera come “Inghilterra centro-occidentale” (lettera 43), “zona centro-occidentale” (lettera 152), fino all’assurda traduzione di «I am a West-midlander by blood» (lettera 163) con «Sono un centro-occidentale per sangue» (frase che si ripete anche alla Lettera 165). Anche nella Lettera 276 le Midlands diventavano “l’Inghilterra Centrale”. Idem per Northfolk e Southfolk, tradotte con “Settentrionali” e “Meridionali” (Lettera 152). Le Marche Gallesi della Lettera 165 (“Welsch Marches”) erano divenute una vaga “zona di confine con il Galles” (pag. 247, ed. Bompiani 2001), mentre il Gotland della Lettera 183 era mutato nella Germania (si veda pag. 273 della vecchia edizione). Anche la geografia d’invenzione non se la cavava meglio: il popolo degli Esterling (Lettera 183) diventava “gli orientali”, probabilmente a causa del prefisso “Est-”; similarmente l’immaginario Loamshire della Lettera 190 diventava “una qualche contea agricola”.
Difficoltà con i modi di dire. Si prenda, ad esempio, la Lettera 6: «there is no trace of the press-gang» era tradotto in modo troppo letterale «non c’è traccia della banda della stampa», quando invece significa «non c’è stato bisogno di arruolamenti forzati» (pag. 22 della nuova edizione). Lettera 77: «they are between the devil and the deep sea all right» (“si trovano tra il diavolo e l’abisso”) era tradotto inspiegabilmente con «si trovano tra il diavolo e l’acqua santa», che stravolge il significato della frase (è una scelta tra due mali, non tra un bene ed un male). Lettera 91: «Very trying having your chief audience Ten Thousand Miles away, on or off The Walloping Window-blind» (nella nuova traduzione «È molto snervante che il tuo pubblico principale sia a diecimila miglia di distanza, su e giù dalla Tapparella Gigante», pag. 167 ed. Bompiani 2018. La “tapparella gigante” è la citazione di una filastrocca per bambini) – nella traduzione della De Grandis quest’ultimo passaggio era assente. Il “Welsh rabbit” della Lettera 241 è un toast col formaggio fuso (come spiega la nota a pag. 727 della nuova edizione), ma nell’edizione Bompiani 2001 era tradotto alla lettera “coniglio gallese”.
Difficoltà con la terminologia di ambito religioso. “Blessed Sacrament” (il Santissimo Sacramento, cioè l’Eucarestia) veniva sempre tradotto come “i santi sacramenti”. Si vedano le lettere 43, 89 o 250 (in quest’ultima, inoltre, «the promulgation of the Blessed Sacrament» anziché essere “l’istituzione del Santissimo Sacramento” era “la promulgazione dei Santi Sacramenti”). La traduzione del Gloria della Lettera 310 è letterale e non aderisce al testo da noi conosciuto in italiano: anziché «Ti lodiamo, Ti benediciamo, Ti adoriamo, Ti glorifichiamo, Ti rendiamo grazie per la Tua gloria immensa», compariva come «Noi ti lodiamo, ti chiamiamo santo, ti veneriamo, proclamiamo la tua gloria, ti ringraziamo per la grandezza del tuo splendore».
Neologismi. Lettera 53: «Hither Further and Inner Mumbo-land» era diventato un confuso «nelle terre più lontane dove esistono ancora stregoni» (pag. 76 ed. Bompiani 2001), mentre ora è tradotto con «in Mumbolandia citeriore ulteriore e interiore» (pag. 105 ed. Bompiani 2018). Nota a piè pagina della Lettera 307: “youbody” e “youbodies” (“qualchetu” e “qualchevoi”) non erano tradotti, facendo così perdere il gioco di parole e l’ironia del testo.
Altre confusioni. Lettera 15: «Dodgson's official status was Student of Christ Church» veniva tradotto letteralmente come «lo stato ufficiale di Dodgson era studente della Chiesa di Cristo» (pag. 28, ed. Bompiani 2001), non riconoscendo evidentemente il nome proprio della Christ Church di Oxford. Nella nota a piè pagina della Lettera 35 (pag. 50, ed. Bompiani 2001) “dwarves” (nani) era tradotto “gnomi” e “Ringwraiths” (Spettri dell’Anello) era diventato “fantasmi degli anelli”. Nel post scriptum della Lettera 48 “reverend” (reverendo) era mutato in “venerabile”. Lettera 53: si traduceva «When they have introduced American sanitation […]» con «Quando avranno introdotto il sistema sanitario americano […]», ma gli “American sanitation” sono gli impianti igienici. L’economo scozzese K. Murray della Lettera 72 veniva mutato in un “borsista” (nell’originale: “bursar”, cioè tesoriere, economo). Lettera 78: “figure of speech” (cioè figura retorica) era diventato “prodotto dell’immaginazione”. Lettera 85: «an extra day’s Entmoot» (“un giorno extra di Entaconsulta”) era tradotto come «un giorno in più, alla buona, alla maniera degli Ent». La “cotta di mithril” di Frodo (Lettera 91) diventava “il mantello” (pag. 120, ed. Bompiani 2001). Le dannate “ragnatele” (“cobwebs”) di Shakespeare (nota a piè pagina della Lettera 131) erano mutate in “trappole”. Lettera 131: «the Valar (or powers: Englished as gods)» era diventato «i Valar (o “poteri”: dei anglicizzati - pag. 167, ed. Bompiani 2001)», creando confusione – non si tratta di “dei diventati inglesi”, ma della resa in lingua inglese del termine “Valar”. Più avanti, sempre nella Lettera 131, il termine “Void” (“vuoto”) viene lasciato in inglese con la maiuscola, come se fosse il nome proprio di un luogo fisico. Nella Lettera 144 “Elder Children” era tradotto “Figli di Elder” anziché “i Figli Maggiori” e, poco dopo, la frase «The formation is not meant to resemble Hebrew» (“La parola non intende somigliare all’ebraico”) era tradotta in modo confuso con «La parola non è stata creata a somiglianza di ebreo». Una grossa confusione avviene nella Lettera 155, nella quale Tolkien spiega la differenza la differenza tra magia e goezia; la frase «Neither is, in this tale, good or bad (per se), but only by motive or purpose or use» (“In questo racconto nessuna delle due è buona o cattiva (di per sé), ma lo diventa solo in base alla motivazione o lo scopo per cui è usata”) era tradotta erroneamente con «Niente, in questa storia, è buono o cattivo (per sé), ma solamente per come viene usato, per l’intenzione che c’è sotto» (pag. 226, ed. Bompiani 2001). I “mills” (mulini) della Lettera 155 erano stati trasformati in “telai”. Nella Lettera 156 viene citato un frammento della conversazione tra Gandalf e Frodo: «Behind that there was something else at work, beyond any design of the Ring-maker's» (la famosa frase «Dietro questo vi era qualche altra [forza] all’opera, che era al di là di qualunque progetto del Creatore dell’Anello»); ma nell’edizione Bompiani 2001 la frase diveniva «dietro c’era qualcos’altro all’opera, dietro ogni proposito dei facitori dell’Anello» (pag. 228) – il genitivo sassone è stato forse scambiato per un plurale, poiché di Creatore dell’Anello ve n’è uno solo, Sauron. Nella Lettera 171 c’è un divertente esempio di “uso di arcaismi” da parte di Tolkien, che riscrive un frammento del capitolo Il re del Palazzo d’Oro usando un registro aulico ed antiquato; nell’edizione Bompiani 2001 questo cambio di registro non si percepisce. Nella Lettera 184 l’ovatta (“cotton-wool”) era confusa col cotone (cotton). Nella Lettera 210 Tolkien spiega che le Aquile sono un pericoloso “meccanismo” letterario («The Eagles are a dangerous “machine”»), ma nell’edizione Rusconi/Bompiani 2001 il passo era tradotto «Le Aquile sono “macchine” pericolose», rendendo il senso della frase quantomeno bizzarro. Il Gaffiere, cioè Hamfast Gamgee, padre di Samwise, diventava “la famiglia Gaffer” nella Lettera 246 (si veda pagina 371 della vecchia edizione). Nella Lettera 257 Elrond è definito “a Ringholder” (“portatore di un anello”), poiché possiede Vilya, uno dei Tre; però nella traduzione della De Grandis diventava “portatore dell’Anello” con la A maiuscola, con cui viene indicato solo l’Unico Anello, creando una grossa confusione. Lo stucco (“plaster”) del busto di Tolkien menzionato nella Lettera 288 era divenuto “argilla” (che invece è “clay”). La frase «in the mid-twenties» (a metà della mia terza decade, cioè tra i 20 e i 30 anni) era tradotta «attorno ai vent’anni» (Lettera 290). Il “B.Phil.”, Bachelor of Philosophy, cioè il dottorato di ricerca (Lettera 290), era evidentemente un termine incomprensibile per la traduttrice, che infatti lo ha trasformato in “trasferimento alla facoltà di filosofia”. Nel poscritto alla Lettera 309 c’è una filastrocca: «J. R. R. Tolkien / had a cat called Grimalkin:/ once a familiar of Herr Grimm / now he spoke the law to him»; il terzo verso significa “un tempo famiglio di Herr Grimm” ma nell’edizione Bompiani 2001 era tradotto come “che una volta conosceva i Fratelli Grimm”. Clamorosa la confusione alla fine della Lettera 328: «Leaves out of the elf-country, gah!» (“Foglie al di fuori del paese elfico? Puah!”) era tradotto come «Andatevene dal paese degli Elfi» - dico clamorosa, perché l’imperativo di to leave (andare via, lasciare) non vuole la “s” finale e dunque non avrebbe dovuto essere confuso col plurale di leaf (foglia). Nella Lettera 333 la frase «clouded-yellow, peacock, and tortoiseshell butterflies flitting about» si riferisce a diverse varietà di farfalle – limoncelle, occhio di pavone, vanessa delle ortiche – ma nella traduzione del 2001 leggiamo «pavoni, tartarughe, farfalle». Nella Lettera 345 Arwen cambia sesso e diventa «non un elfo, ma uno dei mezzelfi» (Bompiani 2001, pag. 476)
Errori ricorrenti:
Il Negromante (“the Necromancer”), cioè l’oscura figura presente nello Hobbit che poi coinciderà con Sauron nel Signore degli Anelli era tradotta come “i Negromanti” (Lettera 17, pag. 30; nota 5 della Lettera 109, pag. 496 – Bompiani 2001), come “lo stregone” (Lettera 35, pag. 50; Lettera 114, pag. 149; Lettera 131, pag. 174 – Bompiani 2001). Lettera 35: «for the N. is not child's play» (“il N[egromante] non è un gioco da ragazzi”) era tradotto come «la stregoneria non è un gioco da ragazzi». Anche la “strega negromantica” (“negromantic witch”) consultata da Saul nella Bibbia, citata nella Lettera 297, diventava “il negromante”. Però nella Lettera 134 il nome rimaneva stranamente “Negromante”.
Le “fairy-tales” (fiabe) erano tradotti alla lettera “racconti di fate” (es. Lettera 135) oppure diventavano “racconti fantastici” (es. Lettera 159) o “storie fantastiche” (es. Lettere 165, 181, 235). Ugualmente “Fairyland” (Lettera 183), cioè la “Terra delle fiabe”, diventa il “Paese delle fate”.
Re Artù diventava “Arturo” in molte occasioni: nella Lettera 122 (“ciclo di Arturo”), Lettera 154 (“il ritorno di Arturo”), Lettera 165 (“Caduta di Arturo”)… ma non in tutte (si veda ad esempio la Lettera 183, “ciclo di Artù”, o la 211, “Re Artù”.