J.R.R. TOLKIEN, Beren e Lúthien, Bompiani, Milano 2017


di Claudio Antonio Testi



PREMESSA


Le presenti note vogliono essere un piccolo contributo per inquadrare, nel suo valore filologico e letterario, il recente volume Beren e Lúthien di J.R.R.Tolkien (citato qui come B-LU). Non entro nel merito delle recensioni apparse su quotidiani importanti perché vorrei iniziare una riflessione “critica” che riguardi solo il libro in questione. Nello scrivere quanto segue ho cercato di tener presenti tutti i testi della History of Middle earth (HoMe) riguardanti Beren e Lúthien, e di far tesoro della mia esperienza alla Bodleian Library di Oxford ove ho sperimentato la fatica del leggere e riordinare i manoscritti tolkienani (cosa a cui Christopher Tolkien ha dedicato metà della sua vita).


«Beren e Lúthien» E GLI ALTRI VOLUMI DI J.R.R. TOLKIEN PUBBLICATI POSTUMI


I volumi di J.R.R. Tolkien pubblicati dopo la sua morte sono circa una trentina e si possono raggruppare in tre categorie:

a) edizioni critiche di manoscritti di Tolkien, in cui vengono riportate anche le cancellature e le evidenziazioni, come ad esempio On Fairy Stories curato da V. Flieger e D. Anderson: con questi testi si potrebbe in teoria evitare di andare alla Bodleian Library a consultare i manoscritti (tant’è che lì si viene invitati a consultare questi libri prima di richiederne i manoscritti relativi). Il valore di un testo simile per lo studioso è enorme, pur non possedendo, ovviamente, un grande valore narrativo;

b) volumi che riportano alcuni scritti di Tolkien intervallati da commenti del curatore: questi sono la maggior parte ed includono ad esempio tutta la History of Middle- earth (HoMe). Questi testi, pur fondamentali per lo studioso, sono narrativamente “poveri” come testo unitario mentre un certo valore letterario lo hanno soprattutto i singoli brani più lunghi e completi;

c) testi autonomi e presentati come opera unitaria senza interruzioni critiche: sono Il Silmarillion del 1977 e I Figli di Hurin del 2007.


Ora, Beren e Lúthien sembra appartenere a una quarta tipologia, dato che Christopher afferma:


con questo libro il mio scopo è duplice. Da un lato ho cercato di separare la storia di Beren e Tinúviel (Lúthien) in modo da renderla autonoma, almeno finché ciò è possibile (a mio giudizio) senza distorsioni. Dall’altro ho voluto mostrare l’evoluzione di questa storia fondamentale nel corso degli anni” (B-LU 10)


Siamo quindi in presenza di una raccolta parziale di brani già pubblicati (e questa è una novità), che dovrebbero illustrare meglio sia il contenuto della storia (come c) ) sia la sua genesi nel tempo (come b) ), ma con la differenza che qui non vengono nemmeno riportati per intero gli scritti originali di Tolkien (quindi siamo ancor più lontani da a-).



VALUTAZIONE DI «Beren e Lúthien»


Se questi erano gli intenti del curatore, il risultato è purtroppo deludente perché:

- la storia così presentata non ha nessuna autonomia, ed è illeggibile su un piano narrativo date le molteplici interruzioni e l’assenza di continuità dei capitoli. Il primo capitolo riporta l’intera vicenda (così come è scritta nel Book of Lost Tales), dopo di che i brani seguenti narrano aspetti parziali della storia. Christopher addirittura presenta le parti non in ordine cronologico (dal terzo capitolo vengono continuamente alternati brani appartenenti a periodi diversi: Quenta, Lay, Quenta Silmarillion), creando una enorme confusione nel lettore che, a un certo punto, non solo perde il filo della storia, ma anche quello della sua genesi nel tempo.

- risulta inutile per lo studioso, il quale ha già letto tutto nella HoMe, con un commento critico di Christopher Tolkien ben superiore a quello qui presente. Leggendo di seguito la HoMe si ha, a mio avviso, una ben maggiore comprensione dello sviluppo completo della vicenda (che in B-LU viene invece presentata parzialmente) ed è possibile, per chi voglia approfondire, ricavarne le costanti e le differenze.

- infine, alcuni brani riportati in B-LU sono leggermente diversi da quelli riportati nella HoME, il che porta a chiedersi quale dei due sia correttamente riportato da Christopher rispetto agli originali: il rischio è di iniziare a ipotizzare (come da altri è stato fatto) di dover fare una History of the «History of Middle-earth».



CONCLUSIONE: IL “CASO TOLKIEN” E IL SENSO DELLA NARRATIVA


Non finirò mai di ringraziare Christopher Tolkien per quello che ha fatto negli ultimi quarant’anni; questa volta, però, il suo lavoro mi ha lasciato perplesso. Speravo che ci “regalasse” un volume simile a I Figli di Hurin, in cui offriva una narrazione unitaria della splendida vicenda di Beren e Lúthien, utilizzando il materiale del padre anche se modificato e adattato: del resto la storia di Beren e Luthien è narrata da J.R.R.Tolkien in 14 (quattordici!!) documenti diversi che coprono un arco temporale di circa 35 anni, e quindi sarebbero stati per forza necessari interventi pesanti. Inoltre, avrebbe dovuto avere il coraggio di pubblicare finalmente il testo indicando come autore “Christopher Tolkien”, aggiungendo “basato sugli scritti di J.R.R.Tolkien”. Ne avrebbe avuto tutto il diritto (che gli deriva tra l’altro anche dal testamento del padre), ma soprattutto avrebbe offerto un’opera letteraria leggibile anche dai posteri. In questo senso devo dire che, alla luce di questo volume, ho rivalutato Il Silmarillion del 1977: quello è certamente (alla luce della HoMe poi pubblicata) un libro “di Christopher Tolkien, basato sui documenti del padre” ma, nonostante questo, è un testo che di fatto ancor oggi leggiamo con piacere perché ha una sua bellezza intrinseca la quale non dipende dal “marchio di garanzia” dell’autore.


J.R.R. Tolkien, nel saggio Sulle Fiabe, ha colto che il vero narratore non scrive libri, ma con la Fantasia sub-crea mondi in cui la mente del lettore può entrare: se è così, un “vero” mondo secondariamente credibile non è statico, ma può e deve espandersi e crescere, e questo in tutti i media comunicativi (su questo tema il volume di Mark Wolf Building Secondary Worlds, che in sostanza opera una sintesi tra idee tolkieniane sulla sub-creazione e la cultura convergente così ben colta da Jenkins, risulta davvero fondamentale). Da questo punto di vista George Lucas, che ha lasciato aperto anche ad altre menti la possibilità di espandere l’universo di Star Wars, ha capito Tolkien forse meglio di Tolkien stesso. Del resto che il mito sia un racconto sempre e sempre rivisitato, in varie epoche e da diversi sub-creatori, senza scrupoli riguardanti l’autenticità originaria, è una costate della letteratura almeno fino alla modernità più recente: si pensi solo a Virgilio che fa voltare Orfeo uccidendo Euridice, o a Dante che termina l’Odissea portando Ulisse oltre le colonne d’Ercole. E del resto J.R.R.Tolkien non ha fatto lo stesso con Artù (The Fall of Arthur), Kullervo (Kullervo) e Beowulf (Sellic Spell), storie antiche da lui riprese e modificate anche pesantemente?


Ora, per tornare a B-LU, Christopher non solo non ha “completato”, ma non ha nemmeno dato una veste unitaria a una delle storie più commoventi di tutta l’umanità: a mio parere, non solo poteva, ma doveva proprio farlo. Mi auguro che i suoi eredi, per riprendere il titolo del Lay of Leithian, “liberino dalla schiavitù” il mondo che J.R.R. Tolkien ha sub-creato, e comincino a ripresentare i suoi miti in modo da produrre volumi che abbiamo una loro autonomia reale sul piano letterario, a prescindere dal fatto che siano stati scritti da “questo” o “quel” Tolkien. Se ancora oggi le vicende di Troia ci infiammano, non è certo perché stiamo leggendo il (non esistente) testo originale di Omero, ma perché il contenuto del mito ci mostra, tramite i suoi personaggi e le sue vicende, chi veramente siamo nel nostro profondo: in questo (e non nel “bollino di autenticità”) risiede la grandezza di ogni narrazione, quella tolkieniana inclusa.