Oronzo Cilli, Tolkien l’Esperantista, Cafagna Editore, Barletta, 2015, pp. 139



di Claudio Antonio Testi




CONTENUTO E COMMENTO GENERALE.


La prima parte del testo è introduttiva e si compone di:

- una breve prefazione di John Garth

- il contributo di Tim Owen che mostra l’interesse mondiale per l’Esperanto ai tempi di Tolkien

- il saggio “Intanto in Italia: la comunità esperantista italiana adesso e al tempo del primo Tolkien” ad opera dell’esperantista italiano Renato Corsetti

Seguono poi due saggi centrali:

- la traduzione dell’articolo “Tolkien e l’esperanto” di A. Smith e P. Wynne

- il contributo originale di Cilli su “Tolkien e il movimento esperantista inglese”



PREGI


Questo volume risulta fondamentale per capire i nessi tra Tolkiene e l’esperanto. In poche pagine raccoglie tutto quanto serve per addentrarsi in questa materia, dalla contestualizzazione dell’esperanto ai tempi di Tolkien fino alla raccolta documentale imponente che lega Tolkien a questa sua esperienza, cui aderì con entusiasmo da quando era scout fino agli anni ’30.

Il volume riporta anche una scoperta originalissima fatta da Cilli e di una certa importanza: si tratta della firma da parte di Tolkien del documento “Il valore educativo dell’Esperanto”, che è valsa a Cilli anche una prestigiosa citazione da parte di Fimi e Higgins nella loro edizione estesa di A Secret Vice. Tale scoperta ha a mio avviso anche sul piano critico (e non solo biografico) ha una sua importanza, considerando che Tolkien non era avvezzo a firmare manifesti di alcun tipo. Peraltro il documento contiene anche contenuti rilevanti visto che si afferma, ad esempio che “la conoscenza dell’esperanto non solo agisce come stimolo per l’apprendimento delle altre lingue ma porta anche a uno studio più efficace della geografia […] e verso la vita degli altri paesi” (p. 106).


LIMITI


L’unico limite che mi sento di segnalare al volume è una non adeguato esame dei motivi che portarono Tolkien ad abbandonare la causa esperantista, preferendo costruire un Legendarium in cui le lingue avessero anche dei miti e dei racconti in cui poter essere ospitate. Magari una seconda edizione potrà provvedere a colmare questo aspetto (che peraltro non viene “nascosto” ma, appunto, solo ricordato (p. 60)).