Patrick Curry, Tolkien, Mito e Modernita’. In difesa della Terra di Mezzo, (trad . Paolo Palmieri; intr. Roberto Arduini), Bompiani, Milano, 2018



di Franco Manni

Questo libro e’ il famoso ed apprezzato libro che Curry ha scritto nel 1998, Defending Middle-earth, ora, dopo 20 anni, tradotto in Italiano. Il titolo originale e’ stato conservato solo nel sottotitolo, non nel titolo in se’ stesso. Perche’? Perche’ nel 2013 Federico Guglielmi (non de plume, Wu Ming 4) ha pubblicato una raccolta di suoi saggi riuniti in un libro intitolato Difendere la Terra di Mezzo. E allora, secondo me giustamente, i curatori di questa edizione italiana (credo , in pratica. Roberto Arduini) hanno cambiato il titolo onde evitare confusioni sul mercato.

Ho usato lo aggettivo “famoso” perche’ questo e’ quello che in effetti a me risulta, avendo io bazzicato lo ambiente tolkieniano internazionale sin dal 1994 (un po’ di annetti fa, indeed!), ho visto che questo libro di Curry e’ uno di quei 4-5 libri di critica tolkieniana che sempre compaiono nelle bibliografie e nei banchetti di vendita delle convention.

Il primo capitolo e’ la Introduzione. Qui Curry comincia con un efficace sommario della trama de Il signore degli anelli e poi inquadra il fenomeno culturale “Tolkien”. Non e’ solo un best seller, ma e’ anche un long-seller, diversamente da bestseller come quelli di Jackie Collins, che oramai sono dimenticati. Poi fa una ragionata panoramica dei critici ostili a Tolkien e sottolinea la loro impotenza: nonostante le loro predizioni infauste Tolkien non e’ stato dimenticato affatto e , invece, dopo 60 anni ha accresciuto di molto il suo pubblico. .

Curry poi critica il modernismo letterario ed elogia il post-modernismo, che, secondo lui, porta avanti tematiche che erano gia’ care al ‘pre-moderno’ Tolkien. Ricordiamoci che questo libro e’ stato scritto 20 anni fa. Se non mi sbaglio, per quello che conosco di Patrick Curry, egli oggi non elogierebbe il cosidetto ‘postmodernismo’ di Michel Foucault, Roland Barthes, Jean Baudrillard, Gilles Deleuze, Jacques Derrida, Pierre Bourdieu, Jean-François Lyotard, Julia Kristeva, Hélène Cixous, Luce Irigaray. Judith Butler, John Fiske, Rosalind Krauss, Avital Ronell and Hayden White. Dico questo perche’ il postmodernismo si e’ rivelato solo una nuova (e piu’ confusa) versione del modernismo e, come questo, rimane pieno di cinismo e disprezzo per gli ideali morali ed eroici cari a Tolkien.

Osserviamo inoltre che Curry non e’ un nostalgico reazionario, e riconosce le tante cose buone della modernita’. Ma egli denuncia la “hubris” del modernismo, delle sue pretese di dare felicita’ alla umanita’, quando, invece, nella realta’ le paure degli esseri umani oggi sono ancora piu’ profonde di quelle del passato. Il “disincanto” del mondo di oggi e’ principalmente dovuto a una razionalita’ ristretta e asfittica che non puo’ soddisfare gli uomini. Concordo pienemente con questa osservazione, lo ho sperimentato tutta la mia vita: quando agli uomini si propone un modello di razionalita’ arida, materialistica, neopositivistica, puramente quantitativa, superficiale e relativistica, gli uomini si volgono alla irrazionalita’ e alle passioni sfrenate. Per questo non concordo con quello che Curry dice poco dopo e cioe’ che le tragedie del XX secolo non vengono dal sonno della ragione , ma da una ragione che non dorme mai.

Al contrario ! quella ragione ‘che non dorme mai’ non e’ la ragione profonda ed ardita e sistematica di Tommaso d’Aquino, Sigmund Freud e Benedetto Croce, ma e’ la ragione automutilata che descrivevo prima.

Concordo, invece, con due altre osservazioni che Curry fa nella sua introduzione:

1) la prima osservazione e’ che Tolkien non si piange addosso e non vuole tornare al passato, la bella campagna della Contea e’ per lui solamente un simbolo per metterci in guardia contro i mali della meccanizzazione, dello inquinamento e del totalitarismo. Non perche’ Tolkien voglia tornare a una arretrata e chiusa comunita’ pastorale ed idilliaca. Egli invece esplicitamente descrive la miope, provinciale ed antipatica xenophobia degli hobbit (a parte i nostri quattro eroi) e la assoluta non sicurezza della Contea in una Terra di Mezzo minacciata da Sauron. Curry a questo proposito cita una bella frase del romanziere inglese Fraser Harrison: “la nostalgia non deve portarci alla ripetizione del passato. Al contrario essa e’ il sintomo del nostro desiderio di riprendere e ridare vita a relazioni fallimentari del passato”.

E dunque commento io – ci permette di poterle risolverle finalmente nel presente o prossimo futuro.

2) la seconda osservazione e’ che il mondo di Tolkien e’ sincretistico e tollerante, contiene sia aspetti di cristianesimo cattolico come l’etica della umilta’ e della compassione , sia vari aspetti di paganesimo quali lo animismo e il politeismo

Il secondo capitolo parla della Contea. Lo amore di Tolkien per gli hobbit rurali non e’ “atemporale”: essa deriva dalle circostanze storiche di allora, cioe’ del periodo edoardiano in cui i Britannici di quei tempi stavano inconsciamente preparandosi alla loro “finest hour”, quando, baluardo della civilta’ Cristiana occidentale, si ersero da soli contro la barbarie del nazismo.

Ma cosa direbbe Tolkien oggi nel vedere lo egoismo miope, xenofobo e rimbambito dei brexiteers razzisti di adesso? Forse si iscriverebbe alla UKIP? Giustamente Curry ha questa percezione storica delle circostanze concrete e non generalizza. Infatti cita una bella descrizione del popolo inglese fatta da George Orwell in cui le qualita’ morali sono di gran lunga positive, e’ vero, ma che riguarda un particolare periodo storico, che e’ precisamente lo stesso vissuto e descritto da Tolkien. E cioe’ la gloriosa “finest hour”.

Se storicizziamo, dunque seguiamo lo invito che Tolkien stesso ha fatto in favore della “applicabilita’” delle sue storie e potremmo per esempio applicare le figure dei nove Nazgul a nove grandi cattive organizzazioni economiche e politiche di oggi. Lo Unico Anello, poi, e’ il piu’ forte potere economico e politico che minaccia di dominare il pianeta.

Il terzo capitolo e’ dedicato alla natura e alla ecologia. Curry osserva che la cosa che ci colpisce di piu’ nella natura descritta da Tolkien e’ la varieta’: tantissime specie animali e vegetali, e panorami montuosi, boscosi, marini, sotterranei, etc. Curry ama la natura e ci fa sentire il suo e nostro dispiacere per il nostro mondo reale, per lo sradicamento - per esempio - delle bellissime foreste costiere dell’Oregon che sono distrutte a un ritmo ancora piu’ veloce di quelle della Amazzonia.

Diversamente dai luoghi comuni sugli ecologisti, leggendo questo capitolo vediamo lo ecologista Curry molto equilibrato e razionale, assai distante dallo stereotipo dello hippie imbambolato.

Il lettore di Curry alla fine non si trova di fronte un hippie or un severo moralistico ecologista tutto dogmi e tweets sempre pronto a condannare questo o quello e ricattare il lettore se non fa dieta vegana etc etc. No, trova una persona come noi che pero’ ci “sveglia” e indica con la sua mano le reali sofferenze, vicine e lontane, che la natura patisce a cause degli uomini.

Un altro messaggio interessante e’ la distinzione tra lo ‘incanto’ naturale , quale si puo’ trovare a Lothlorien, dalla ‘magia’ tecnologica di Saruman. ‘Incanto’ significa la meraviglia e il rispetto per la bellezza e il mistero della natura; ‘magia’ significa avidita’ di potere attraverso la manipolazione della natura.

Il quarto capitolo e’ dedicato al Mare, cioe’ alla spiritualita’ e all’etica.

Contro capziosi critici marxisti Curry difende Tolkien dalla accusa di non tematizzare il tema della giustizia sociale. E mostra che nel romanzo ci sono lotte per la giustizia tra vari gruppi e razze. Inoltre giustamente Curry critica la marxista Marina Werner la quale parla “della gente che e’ stata raggirata ed ingannata da Mao, Hitler e Stalin”. Infatti, presumere che la “gente” sia buona ed essa sia solamente stata “raggirata” da pochi loschi figuri, indica una distorsione della natura umana, per la quale la dimensione morale non esiste e “il popolo” non deve mai prendere consapevolezza delle proprie responsabilita.

Per quanto riguarda la religione, Curry dice che Tolkien e’ sia pagano sia Cristiano. La sua spiritualita’ e’ eclettica: per esempio Tolkien con forza rivendica che la reincarnazione non e’ anticristiana e cosi anche la divinazione e lo animismo e la magia. Tra l’altro un personaggio-chiave e buono, Gandalf, e’ direttamente ricalcato sul nordico Odino e sul celtico Merlino. Secondo Curry, Tolkien fa molto bene a non nominare alcuna religione storica nel romanzo (nomi di dei, ordini clericali, templi, liturgie, preghiere) , e in questo segue il suo amato modello, lo scrittore anonimo del Beowulf: ecco perche entrambe le opere sono cosi’ ben riuscite, e Beowulf si adatta al mondo pre-cristiano , mentre Il signore degli annelli al mondo post-cristiano (come gia’ aveva notato Shippey).

Il quinto capitolo e’ dedicato al fantasy letterario ed alla immaginazione mitopietica. Curry racconta la propria esperienza di adolescente (simile a quella di milioni di altri lettori), e cioe’ il senso di perdita che il lettore prova quando il romanzo finisce : quel mondo pieno di grandi ideali sembra racchiuso solamente nel libro e, invece, mancante nella vita reale. Quindi il lettore si sente come costretto a ricominciare a leggere il libro dallo inizio.

Curry combatte la artificiale opposizione che la critica letteraria ha creato tra romanzo moderno e romanzo fantasy. In realta’, entrambi rispondono legittimamente a domande diverse. Citando Karol Kereny, Curry dice che il mito, diversamente dalle scienze naturali e sociali e dal romanzo realistico, non cerca di rispondere alla domanda “Perche’?”, ma alle domande “Da dove? “ (veniamo) e “Dove?” (andiamo).

Diversamente da Curry (e da Calasso, che lui ammira) io non penso che la psicanalisi di Freud e Jung non sia stato un progresso rispetto alla mitologia antico-Greca. Al contrario credo che la psicanalisi abbia usato il materiale mitologico per costruire nuove e potenti teorie sui profondi meccanismi della mente umana.

Invece concordo con Curry (e con Max Weber che Curry cita) nella critica alla superba arroganza della maggior parte degli scienziati naturali e sociali di oggi, essi sono “specialisti senza anima, edonisti senza cuore: e queste nullita’ credono di avere raggiunto un livello di civilta’ mai raggiunto prima”.

Il sesto capitolo e’ la Conclusione, intitolato “Speranza senza garanzie”. Esso presenta uno schema interpretativo : la Contea e’ la umanita’, circondata dalla Terra di Mezzo, che e’ la natura, la quale a sua volta e’ circondata dal Mare che rappresenta la spiritualita’. E, infine, Curry riporta il cuore spirituale de Il signore degli anelli: mai disperare, mai!

Certamente il libro e’ datato, essendo stato scritto venti anni fa. Eppure lo raccomando come una possible lettura introduttiva al mondo di Tolkien perche’, diversamente dalla grande maggior parte dei libri di critica tolkieniana usciti successivamente, esso ha una qualita’ rara: e’ scritto bene! La prosa di Curry e’ bella , le parole sono vive e ricche. Si vede che lo autore e’ un lettore sia di classici letterari sia di scienze sociali. Inoltre egli ama comunicare (e non nascondersi dietro arcani velari di astrusa “scientificita’”).

Se questo libro (improbabile esperimento mentale, lo riconosco!) fosse stato scritto da un ecologista italiano, esso sarebbe stato scritto certamente da un marxista di stampo sessantottino. Non e’ il caso del canadese Curry. Anzi, egli riporta molti dati su come sia Marx personalmente, sia i suoi eredi comunisti Lenin e la URSS hanno disprezzato la natura e il mondo contadino, ed hanno fatto disastri ecologici.

Invece di inveire contro il bieco capitalismo americano e fare il rivoluzionario da salotto, Curry fornisce a spezzoni lungo tutto il libro molti dati e informazioni sulla diminuzione della bioversita’e delle foreste, sul degrado dei fiumi e sullo inquinamento. Giustamente Curry sostiene che la varieta’ e la biodiversita’ nelle altra specie viventi sono anche valori morali per gli uomini. Sauron infatti , che produce disastri ecologici a Mordor, non ama la varieta’ in generale, ma aspira a un totalitarismo monolitico e al pensiero unico.

Curry finisce il suo libro con una bella frase riassuntiva: “La Terra di Mezzo di Tolkien risplende della luce di una antica Speranza: pace tra i popoli e con la natura, davanti allo ignoto”.