La reputazione accademica di Tolkien oggi.1





di Tom Shippey



(tradotto da Simone Bonechi)







È prassi commune, in questi giorni degenerati, che i docenti universitari debbano scrivere resoconti per giustificare la propria esistenza in termini di produttività di ricerca.2 L’idea era nell’aria, ritengo, sin dagli anni Trenta e Quaranta, e si cela dietro le velate minacce rivolte a Niggle (In “Foglia” di Niggle) che potesse aspettarsi la “visita di un ispettore”.3 Ma le esortazioni ad andare avanti con le proprie ricerche sono una cosa; dover quantificare l’intera propria carriera è un’altra. Come se la caverebbe Tolkien con i sistemi moderni, verrebbe da chiedersi?

C’è un modo molto semplice di rispondere a questa domanda, ovvero usare il metodo dello “Humanities Citations Index”.4 Questo corposo e alquanto deprimente volume attribuisce un punteggio agli accademici sulla base di due sezioni: Citazioni Primarie e Citazioni Secondarie. Sotto “Primarie” elenca cose che tu stesso hai scritto. Sotto “Secondarie” conta il numero di volte in cui vieni citato da altri in una serie di pubblicazioni standard. Sotto molti aspetti è un sistema ancora troppo grezzo: non è chiaro cosa conti come una unità nella sezione “Primarie” - libri, articoli, brevi recensioni potrebbero contare ognuno come una (o nessuna, se le recensioni non sono contate come “articoli di recensione”); non vengono conteggiate nella sezione “Secondarie” le citazioni contenute nei libri altrui (troppo disturbo sarebbe raccoglierle); ed è stato notato che persino una citazione che sottolinea come il lavoro del Professor X sia totalmente privo di valore conta per la sezione “Secondarie” tanto quanto una di profonda e convinta approvazione. Ciò nonostante, l’Index viene utilizzato, e dice comunque qualcosa a chi lo legge. Come, per ripetere la domanda di poco fa, se la caverebbe il Professor Tolkien con questo sistema di punteggio?

Sotto la categoria “Citazioni Primarie”, si può constatare che raggiungerebbe alla meglio un punteggio bassino, se si considera che rappresenta l’accumulo di una vita. Risulterebbe, infatti, una somma di circa 25 Citazioni Primarie. Ovvero -le elenco per potervi far riferimento più avanti, ma dò solo titoli abbreviati – (1) Middle English Vocabulary, (2) un capitolo in Year’s Work, 1923, (3) ‘M.E. Lexicography’, (4) ‘The Devil’s Coach Horses’, (5) edizione di Sir Gawain con E.V. Gordon, (6) un capitolo in Years’s Work, 1924, (7) idem, 1925, (8) ‘Prefazione’ a Huddersfield Glossary di Haig, (9) articolo sulla Ancrene Wisse in Essays and Studies, (10) breve appendice su ‘the name Nodens’, (11) e (12) due articoli su Sigelwara Land, (13) ‘Chaucer as a Philologist’ in Transactions of the Philological Society, (14) ‘Beowulf: the Monsters and the Critics’ in Proceedings of the British Academy, (15)’Prefazione’ alla traduzione del Beowulf di Clark Hall e Wrenn, (16) e (17) due articoli in collaborazione con Simone D’Ardenne, (18) ‘On Fairy-Stories’, (19) ‘The Homecoming of Beorhtnoth’ di nuovo in Essays and studies, (20) articolo su ‘M.E. Losenger’, (21) l’edizione della Early English Text Society di un manoscritto della Ancrene Riwle, (22) il pezzo su ‘English and Welsh’. A questa lista, su tutte le voci della quale si possono trovare ampi dettagli nella biografia scritta da Humphrey Carpenter, vanno aggiunti tre lavori postumi: (23) l’edizione del Finn and Hengest, curata da A.J. Bliss, (24) l’edizione dell’Exodus curata da Joan Turville-Petre, (25) il volume collettaneo del 1983 intitolato Monsters and the Critics, che ristampa i numeri 14, 15, 18 e 22 di cui sopra, aggiunge due altri pezzi che potrebbero venir considerati come pienamente accademici o anche no – ‘A Secret Vice’ e ‘Valedictory Address’ – e l’importante conferenza di W.P. Ker su Sir Gawain. Venticinque, o ventisette se si contano separatamente i tre nuovi pezzi in Monsters and Critics: un buon punteggio, ma, per quarant’anni di carriera, non certo alto. (En passant, si può notare che Tolkien non scrisse quasi mai recensioni: mi chiedo perché).

Non considerare il numero, guarda alla qualità: un’osservazione fatta spesso al giorno d’oggi dai disperati, i sotto-pubblicati e i non-pubblicizzati. E per quanto riguarda le Citazioni Secondarie? Quale effetto hanno avuto i lavori di Tolkien sulla sua materia di studio? I risultati qui, ne sono sicuro, sarebbero estremamente bizzarri. Da un lato, una gran parte dei lavori dell’elenco di cui sopra non vengono sostanzialmente mai citati – alcuni di loro sono naturalmente molto difficili da trovare, o sono stati concepiti unicamente per un uso immediato e non come un contributo a lungo termine. Sotto questa categoria di “mai citati” si potrebbero raggruppare le voci da 2 a 4, da 6 a 8, da 10 a 13, la 16, la 17 e la 20, e probabilmente la 21 e la 22 – quindici dei lavori pubblicati durante la vita di Tolkien. La ragione perché i lavori delle voci 2, 6 e 7 sono ormai negletti è ovvia: erano stati concepiti per essere utili solo per pochi anni, come rassegna di scritti recenti. 16, 17 e 20 sono sostanzialmente delle ampie note di commento (e la n. 20 è assai difficilmente reperibile). Ciò che può invece essere visto con maggior disappunto è il quasi totale disinteresse per 11, 12 e 13. Una ragione per questo disinteresse verrà discussa più avanti, quando affronterò anche le due edizioni postume.

Rimangono, comunque, circa sette pezzi, che hanno avuto differenti fortune, ma che includono alcuni dei lavori più ampiamente citati di tutti i tempi. La voce 1, ovvero il Middle English Vocabulary, è stato parte di un comune libro di esercizi studenteschi, l’antologia di Kenenth Sisam Fourteenth-Century Verse and Prose, per più di sessant’anni. Suppongo che si possa dire che non è spesso citato esplicitamente, solo utilizzato; in ogni modo, io lo usavo per le mie lezioni all’Università del Texas nel 1988, richiamando decisamente l’attenzione degli studenti sulle forme delle varianti accuratamente elencate da Tolkien prima ancora che i loro genitori, o forse anche i loro nonni, fossero nati.5 Il testo e il vocabolario non sono stati ancora rimpiazzati – Tolkien probabilmente avrebbe ritenuto che sarebbe stato meglio farlo. Grosso modo alla stessa maniera, la voce 5, il Gawain edito in collaborazione, rimase un classico libro di testo fino al 1967, quando fu sostituito, - e questo è già un complimento di per sé – da una seconda edizione, aggiornata (ma non fondamentalmente alterata) da Norman Davis. Quest’opera deve aver raccolto migliaia di citazioni, negli ultimi sessant’anni circa. Si potrebbe dire che una vecchia edizione che rimane in stampa è destinata a ricevere un simile punteggio; e si potrebbe notare il quasi totale disinteresse per la voce 21, l’edizione del più importante manoscritto della Ancrene Wisse, atteso per tutta la vita accademica di Tolkien. Atteso, tuttavia, a causa dell’immenso effetto creato dallo studio numero 9. Per dirla in breve, se si può spiegare la gran parte del punteggio delle Citazioni Secondarie di Tolkien con altri fattori – l’essere un libro di testo, avere una diretta rilevanza con il successo della narrativa di Tolkien (questo specialmente per il 18 ‘On Fairy-Stories’) – non c’è dubbio che tre degli articoli di Tolkien fecero rimanere a bocca aperta gli accademici, e lo avrebbero fatto anche se non avesse pubblicato una riga di narrativa. Questi articoli sono il 9, il 14 e il 19.

Quale fu la ragione del loro successo e quel successo ha perdurato? Le risposte sono interessanti e curiosamente differenti. Comincerei dicendo che 9 convinse tutti sin dal momento in cui apparve, e in un modo che ebbe come effetto quello di bloccare sul nascere ampie possibilità di ricerca; solo molto di recente qualcuno ha osato affermare (ritengo in maniera corretta) che vi è la possibilità che si sia tratto dalle osservazioni di Tolkien, tuttora fondamentalmente corrette e dettagliate, la conclusione sbagliata. Per quanto riguarda 14, per decenni ha tenuto campo, inaugurando, a detta di tutti, la nuova era degli studi sul Beowulf. Messe in discussione ed interpretazioni discordanti, tuttavia, cominciarono a diffondersi qualche tempo dopo la morte dell’autore e l’attuale opinione comune (stavolta, ritengo, sbagliando) è che anche qui Tolkien fosse in errore, per lo meno nella sua opinione sulla origine del poema. Il lavoro della voce 19, nel frattempo, capovolse totalmente le precedenti opinioni su The Battle of Maldon, specialmente quella del precedente collaboratore di Tolkien, E.V. Gordon, ed è stata accettata da allora senza riserva alcuna, - vedi, per esempio, l’edizione del Maldon di D.G. Scragg del 1981, stampata per rimpiazzare quella di Gordon, dove l’opinione di Tolkien è del tutto prevalente. Ma ancora una volta penso che Tolkien fosse in errore.6

Il risultato di quanto precede, per coloro che non sono riusciti a seguire i miei dubbi e le mie parentesi, somiglia a quanto segue:

Tolkien sulla Ancrene W. Tolkien sul Beowulf Tolkien su Maldon

OPINIONE ACCADEMICA GENERALE

HA RAGIONE (o forse, ehm) HA TORTO HA RAGIONE

HA TORTO



MIA OPINIONE PERSONALE (T.A.S.)

HA TORTO HA RAGIONE HA TORTO

C’è un elemento coerente in quanto precede, che possiamo ignorare, ma che dire degli elementi incoerenti? Che dire degli importanti articoli che vennero ignorati, come 11, 12 e 13? E che dire di come 23 e 24 sono stati accolti? Ci sono, ritengo, due fili che si dipanano per questo labirinto.

Uno è che Tolkien era un filologo. Ce ne sono rimasti veramente pochi, per lo meno nel mondo anglofono. Sono stati rimpiazzati dai moderni linguisti, che sono bravi sul linguaggio, ma hanno poco interesse per la letteratura e usualmente nessun interesse per la storia del linguaggio; o dai critici letterari, che possono nutrire un interesse per la letteratura antica, ma, come spesso dicono, citando Tolkien 14 a supporto, solo in quanto letteratura, non per il linguaggio. La maggior parte delle persone non sa cosa sia la filologia e non se ne fiderebbe se lo sapesse. Questo basta da solo a spiegare il disinteresse per 11, 12 e 13: perché in ognuno di questi articoli Tolkien provava a trarre conclusioni di vasta portata dalle minuzie di parole, frasi o (vedi ancora il Vocabulary) le particolari forme di parole e frasi. Il pezzo su ‘Chaucer as a Philologist’ è affascinante nel suo dettaglio, e tuttora del tutto convincente nel dimostrare che Chaucer stava cercando di fare uno scherzo attraverso la minuziosa, attenta imitazione del dialetto di Durham: ma è uno scherzo che riguarda il linguaggio, e questo oggidì non ha mercato.7

L’ “inibitore di Tolkien”, come potremmo chiamarlo, per quanto concerne l’Ancrene Wisse e l’Hali Meiðhad è parimenti di natura filologica. Egli affermava quanto segue:

  1. l’Antico Inglese (Old English) distingueva accuratamente, anche se inutilmente, tra due tipi di verbi deboli: dicevi he leornaÞ, “egli impara”, ma he læreÞ, “egli insegna”, per esempio, -ath o -eth. Ci sono altre differenze in declinazione, ma queste portano unicamente a concludere che declinare l’Antico Inglese era troppo difficile per essere gran ché divertente. Per cui

  2. coloro che parlavano Antico Inglese dopo la Conquista normanna lasciarono cadere del tutto tale distinzione. Dicevano leorneÞ, læreÞ, allo stesso modo, e noi, loro degenerati discendenti, semplicemente aggiungiamo una -s nella stessa circostanza (che è quello che gli studenti di Chaucer a Durham avrebbero detto sin dal principio). Ma – e questa è la scoperta di Tolkien –

  3. nella contea di Hereford, situata all’estremo Occidente, non solo conservavano separati i loro -eths e -aths, ma separavano le -aths in due nuove e differenti sotto-classi, e,

  4. lo facevano così accuratamente che persino persone con differenti grafie scrivevano esattamente alla stessa maniera.

Abbiamo un Inglese standard oggi, e ce n’era uno prima della Conquista; ma fra questi due periodi, se volevi un Inglese standard, dovevi andare ad Hereford. Tolkien corroborò questa affermazione contando le migliaia di esempi dei verbi pertinenti nei suoi testi, e rimarcando che c’erano solo tre errori e che (tocco caratteristico) se tu avessi richiamato gli scribi dalla tomba e silenziosamente indicato loro i brani, essi altrettanto silenziosamente avrebbero cancellato gli errori e riscritto al loro posto le forme “corrette”.

In che modo questo inibisce la ricerca? Perché Tolkien dimostrò la speciale, accurata, filologica qualità dei suoi testi in maniera così potente che tutti gli altri testi in Medio Inglese ne uscirono sminuiti! Gli scribi del professor Tolkien erano affidabili, accurati, puntigliosi. I rimanenti – beh (così sembrava), scrivevano come sentivano, e ogni volta che arrivava un nuovo copista, copiava ciò che era di fronte a lui, imitava un pochettino, trascriveva qualche parola a modo suo, produceva un travisamento, e passava il tutto al successivo travisatore. Se avevi un testo dell’Hereford copiato da un londinese copiato da un tizio che veniva da Norwich, che cosa ti ritrovavi in mano? Meglio lasciar perdere. Ed è quello che fecero tutti. Lo studio dei dialetti del Medio Inglese si bloccò per una generazione.

Ma cosa succedeva se il tizio di Norwich decideva di tradurre tutto quanto nel suo dialetto? Non hai forse allora un testo di Norwich? I “normalizzatori” producono testimonianze storiche altrettanto buone degli “originali”. E se ci sono abbastanza “normalizzatori” in giro, prima o poi ogni testo ne incontrerà uno e verrà “normalizzato”! E allora avrai di nuovo testimonianze storiche sui dialetti. Questo punto è stato solo recentemente affermato con insistenza, da Angus McIntosh e i suoi collaboratori, nei quattro volumi del Linguistic Atlas of Late Medieval English (1986); ma quella insistenza ha in un certo modo risollevato il morale della Dialettologia del Medio Inglese.

Tolkien possedeva, bisogna riconoscerlo, una “lingua d’argento”. Anche quando era nel torto sapeva presentare le cose in maniera così potente che nessuno osava contestarlo. Questo è ciò che è avvenuto con il suo pezzo su Maldon in Essays and Studies, che ritengo abbia indirizzato i critici successivi verso un approccio (sostanzialmente fasullo) “ironico/cristianizzante” al poema, la dubbia natura del quale è messa in luce a sufficienza dalla metà poetica del pezzo di Tolkien, che non viene mai citata in contesti accademici. Allo stesso modo, la sua insistenza sul Beowulf come poema si guadagnò un immediato e durevole consenso; oggi contestato, in verità, su di un solo punto: la datazione dell’opera. Tolkien disse che accettava senza discussione l’idea della sua provenienza dall’ “età di Beda” (cioè approssimativamente dal periodo compreso fra il 670 e il 735 d.C.)8 . Non specificò perché la pensasse così, ma per inferenza si può dire che egli pensava che fosse post-Cristiana, ma non troppo (perché mostrava ancora interesse per il pre-Cristiano). Recenti ricerche tendono a collocare il poema tre secoli più tardi, sottolineando il fatto che vi furono due conversioni nel Nord, una degli Angli pagani (settimo secolo) e una dei pagani Danesi (decimo secolo); e il poema riguarda principalmente i Danesi. Perché, allora, non scegliere la seconda piuttosto che la prima?

Se Tolkien fosse ancora in cattedra, sarebbe, ritengo, l’uomo migliore per costruire un’argomentazione filologica per non credere a quest’ipotesi e per ritenere che il poema (nonostante non menzioni mai l’Inghilterra) è inglese e non (sebbene parli di loro tutto il tempo) danese. Ma lui non c’è più e l’interpretazione generale del poema che promosse sta venendo progressivamente superata, principalmente per mancanza di difensori e per la pressione del consenso accademico organizzato. Questo accade almeno in parte per colpa sua: non si è mai espresso chiaramente sulle ragioni che lo portavano a preferire una datazione precoce. Fu ancora più vago nelle sue affermazioni circa Sigelwara Land, almeno per quanto riguarda la datazione e la provenienza del poema Exodus, al quale egli riteneva che il Beowulf fosse collegato. Quando la sua edizione dell’Exodus uscì, era ormai così lontana dal centro della scena accademica da venire virtualmente ignorata. Se avesse “difeso il suo angolo” sul piano filologico negli anni Quaranta e Cinquanta, si può ritenere, lo studio dell’Exodus, del Beowulf e dell’Antico Inglese in generale avrebbe potuto facilmente assumere un aspetto assai differente!

Puoi collezionare facilmente migliaia di Citazioni Secondarie e tuttavia non vedere affermarsi il tuo punto di vista. Ma se non affermi il tuo punto di vista, alla fin fine, nel lungo periodo, geara hwyrftum, col passare degli anni, l’ovvio – come Tolkien non ha detto - può ben scivolare via del tutto dalla vista, in un modo che spiega il disinteresse per le due edizioni postume di Tolkien, il Finn and Hengest e l’Exodus. Ho già detto ciò che penso di questi testi altrove (vedi i miei articoli in questo stesso volume) e non mi ripeterò. Ma il fatto è che queste edizioni, con i loro assunti (a) che i poemi in Antico Inglese sono sostanzialmente veri sotto il profilo storico, persino nei dettagli minori e (b) che sono stati copiati così tanto che un curatore moderno dotato dell’opportuna sensibilità dovrebbe sentirsi libero di ricreare forme e dizioni “corrette”, non hanno fatto, né farebbero ora, un grande impressione. Avrebbero potuto farla trent’anni prima – quando si tennero le lezioni su cui tali lavori si sono poi basati. Allo stesso modo, una vera e propria edizione, di Tolkien, della Ancrene Wisse Corpus Christi 402, con introduzione, note e appendici filologiche, sarebbe stata letta avidamente. Ma quello che uscì alla fine fu una sorta di trascrizione a stampa, che non conteneva alcuna opinione.9 Tutte queste cose lasciarono la filologia, e gli studi, più poveri.

Verdetto sul Professor Tolkien, in quanto accademico? Citazioni primarie: basso. Citazioni Secondarie: incredibilmente alto. A causa del suo successo come scrittore? No. Fu solo per meriti accademici. Se, dunque, qualche moderno “ispettore” esaminasse il Professor Tolkien per stabilire se si debba chiedergli di andare in pensionamento anticipato all’età di 55 anni (50? 45?), come è ora costume, avrebbe sicuramente da leccarsi i baffi, per poi sgattaiolare via ringhiando e cercarsi una preda più facile. Tolkien di sicuro ha avuto una grande influenza.

Fu una buona influenza? Le cose si fanno più dubbie.10 Io la metterei in questo modo: Tolkien fu il più talentuoso filologo della sua generazione, ma come altri talentuosi filologi, non si preoccupava di consolidare la sicurezza della propria professione nelle istituzioni educative, con il risultato che oggi è del tutto morto – non sconfitto nella discussione, ma sorpassato e lasciato ad “appassire sulla vite”. È vero che in alcune occasioni egli portò avanti poderose argomentazioni, che avrebbero dovuto avere poderose controdeduzioni, così che lo studio scientifico avrebbe potuto progredire nel dibattito. Ne ebbe invece pochissime. Questo per lo meno non fu colpa sua, ma non fu nemmeno una fortuna.

[Traduzione autorizzata dello articolo di Tom Shippey, “Tolkien’s Academic Reputation Now”, tratto da Roots and Branches. Selected Papers on Tolkien , Zollikofen, Walking Tree Publishers, 2007; pp. 202-211]

1Questo saggio è apparso per la prima volta in “Amon Hen” 100 (1989); pp. 18-22. Ringrazio la Tolkien Society per il permesso qua in forma leggermente ampliata.

2Oggigiorno, nel Regno Unito, esiste un Esercizio di Valutazione di Ricerca (Research Assessment Exercise) quinquennale, dalle risultanze del quale dipendono i fondi dipartimentali. Alcuni dicono che abbia avuto effetti benefici in generale, sebbene altri dicano che tenda a ricompensare i progetti dall’esito prevedibile e a scoraggiare quelli a più lunga scadenza o a più alto rischio. Tolkien certamente non avrebbe raccolto gran che da uno schema del genere, nella maggior parte dei quinquenni della sua carriera.

3Vedi The Tolkien Reader; New York, Ballantine, 1966; pg. 102.

4Traducibile come “Indice delle Citazioni degli Studi Umanistici”, registra il numero di citazioni di un dato autore fatte nelle pubblicazioni specializzate (riviste, libri, atti di convegni ecc.) così da fornire uno strumento per valutarne la produttività e l’impatto sulla comunità accademico-scientifica, secondo i principi della “bibliometria”. N.d.t.

5Peter Gilliver, Jeremy Marshall e Edmund Weiner, nel loro The Ring of Worlds: Tolkien and the Oxofrd English Dictionary; Londra, Oxford University Press, 2009 discutono della formazione del Glossary (pp. 32-37) e sottolineano (pg. 37) come rimanga “ineguagliato per la sua concisione, completezza e accuratezza.”

6Ulteriori mie commenti sulle opere oggetto di questi tre articoli, e sull’attitudine di Tolkien verso di esse, si possono trovare in questo stesso volume, nei saggi su (rispettivamente) “Tolkien and the West Midlands”, “Tolkien and the Beowulf-Poet” e “The Homecoming of Beorthnoth”.

7È corretto dire che l’opinione di Tolkien su Chaucer è stata ora messa in discussione in Simon Horobin, ‘J.R.R. Tolkien as a Philologist: A Reconsideration of the Northernisms in Chaucer’s Reeve’s Tale’ in English Studies 82.2 (2001), pp. 97-105. A parer mio Chaucer creò un altro scherzo sul linguaggio che non è mai stato notato, vedi Tom Shippey, ‘Bilingualism and Betrayal in Chaucer’s Summoner’s Tale’ in Speaking in the Medieval World; a cura di Jean Godsall-Myers; Leida e Boston, Brill, 2003; pp. 125-144.Vorrei che avessi avuto modo di mostrare questo a Tolkien. È a suo modo una coda a 13 di cui sopra.

8Vedi J.R.R. Tolkien; The Monsters and the Critics and other Essays; a cura di Christopher Tolkien; London, George Allen & Unwin, 1982; pg. 20

9Si potrebbe dire, tuttavia, a difesa di Tolkien, che egli permise alla sua laureanda Simone D’Ardenne di sviluppare alcune delle proprie idee nel suo dettagliatissimo e influente resoconto del “Liguaggio AB”, il linguaggio della scuola di Hereford, contenuto nella sua edizione della Seinte Iuliene (Simone D’Ardenne, Þe Liflade ant te Passiun Seinte Iuliene, Early English Text Society Original Series 248, London, Oxford University Press, 1961). Vedi anche Arne Zettersten, “The AB Language Lives” in The Lord of the Rings 1954-2004: Scholaship in Honor of Richard E. Blackwelder; a cura di Christina Scull e Wayne G. Hammond; Milwaukee, WI, Marquette University press, 2006; pp.13-24

10Per una valutazione informata vedi Bruce Mitchell, “J.R.R. Tolkien and Old English Studies: An Appreciation”, in 206-Proceedings of the J.R.R. Tolkien Centenary Conference; a cura di Patricia Reynolds e Glen H. GoodKnight; Milton Keynes: Tolkien Society Publications, 1995; 212