CRONACHE DELL’UNIVERSITA’ DI UMBAR

 

 

di Ruth Lacon

 

 

 

I - UNA LETTERA DA FORNOST

 

Fornost Erain,

al Rettore dell’Università di Umbar,

da Gauhar Shad, Preside della Facoltà di Storia,

Salute!

 

Stimatissimo Rettore,

              prestate ascolto al lamento di una miserevole esiliata!

Come vostra Eccellenza forse sa, mi sono recentemente avventurata fino a Gondor. Stavo compiendo una ricerca molto approfondita sulla storia dei cosiddetti “Orientali”, e cercando ulteriori informazioni provai ad addentrarmi nei misteri degli Archivi di Minas Tirith, il cui patrimonio non è conosciuto completamente neppure dai loro stessi custodi. Nel corso delle mie indagini, la mia assiduità e i miei metodi inusuali mi procurarono l’ostilità dell’Archivista Capo, che sollecitò il Re a negarmi l’ulteriore accesso ai loro tesori. Essendo questi un uomo giusto nei propri giudizi, volle stabilire la verità in questa faccenda, e così io divenni oggetto della sua attenzione. O Rettore, davvero a ragione hanno scritto i poeti che il favore di un re è più pericoloso della ferocia di un leone! Mi fu ordinato di illustrare i miei metodi: non potevo più tirarmi indietro. Mi fu comandato di presentare i miei scritti: la distanza non era un problema, i corrieri reali portarono a corte copie dei miei lavori più insignificanti nel giro di pochi giorni. Il Re mi giudicò favorevolmente: e fui subito spedita in questo luogo desolato. Mi è stato chiesto di scrivere la storia del  popolo del Re e del Regno del Nord, e di collaborare all’istituzione di scuole nella regione.

Che storia può avere un popolo barbaro e per lungo tempo spodestato, le cui guerre non erano altro che scaramucce fra briganti, i cui re erano semplicemente capitani di piccoli clan, e la cui cultura era soffocata nel suo sviluppo da condizioni climatiche proibitive? Mi promettono i migliori scrivani e copisti; che si vantino pure delle loro lettere fëanoriane! Il mio cuore rimpiange le scritture della mia patria, la delicata naksh e l’austera tuluth. Mi promettono artisti per abbellire il mio lavoro; o mio Rettore, ciò che qui passa per “arte” è una vera offesa per gli occhi, contraria ai più elementari canoni della religione! Inoltre, come posso anche solo iniziare ad istruire i fanciulli di questa terra, dove la sensibilità e l’intelletto sono intorpiditi dal freddo, e dove la superstizione e le tradizioni elfiche sono ancora diffuse?

Benché desideri profondamente tornare presso di voi, non c’è speranza che questo felice avvenimento possa verificarsi prima di molti mesi a venire. Dato che non posso più tenere lezione, non posso neppure a buon diritto mantenere il mio incarico, ed è con la morte nel cuore che mi vedo costretta a rassegnare le mie dimissioni. Quando finalmente potrò lasciare questa landa desolata dove piove in continuazione spero di poter essere in qualche modo reintegrata nella Facoltà. A garanzia del mio ancor vivo desiderio di portare avanti la ricerca, accludo quel poco che fui in grado di racimolare a Gondor sulla storia degli Orientali, e le mie conclusioni al riguardo: non è il lavoro che avrebbe potuto essere, perché sono impossibilitata, qui dove mi trovo, a consultare le biblioteche di Umbar e del Khand, eppure spero che possa essere di qualche utilità a chi si trovi in una situazione più favorevole della mia. Benché così com’è sia piuttosto inadatto ad essere pubblicato dalla nostra gloriosa casa editrice dell’Università, con il vostro permesso intenderei proporlo agli Acta Academica Gondoriana, volgarmente noti come Mallorn, o l’Albero della Conoscenza. In quella sede potrà forse servire da esempio e ispirazione per gli studiosi fossilizzati di quel paese arretrato.

Mi sarebbe di grande conforto se potessi godere dell’ausilio della vostra profonda saggezza a proposito di questi argomenti. So bene che non sarà facile trovare un corriere per una vostra eventuale risposta, ma vi prego, scrivete! Una vostra lettera mi sarebbe gradita come dell’acqua nel deserto - o come un raggio di sole in questa grigia desolazione!

Possano gli dei della nostra gente proteggervi da ogni male, mio Rettore.

Addio,

 

Gauhar Shad, figlia di Amir Ruhollah l’Ingegnere, del Porto delle Rose.

 

 

II - UN APPELLO

 

Dipartimento di Studi Internazionali Applicati, Università di Umbar.

 

Anno 120 della Quarta Era (Computo di Gondor)

 

Rivolgo questo appello a Voi, mio Re e Signore, conoscendo l’interesse che nutrite nei confronti del mio caso. In occasione della vostra prima visita ufficiale come Re nella nostra bella città, vi porgo i più sinceri rallegramenti da parte di tutti gli abitanti del Vicino e del Lontano Harad per la Vostra ascesa al trono, e le più sentite condoglianze per la perdita del Vostro stimatissimo padre. Questo dovrà necessariamente essere un tempo di grandi cambiamenti per entrambe le nostre nazioni, poiché ci lasciamo alle spalle l’Era di Sauron e guardiamo fiduciosi alla futura Era della Luce. Ritengo che sia mio dovere, come direttore di questo dipartimento, presentarvi i miei colleghi insieme a un progetto per le nostre future relazioni con Gondor e i suoi Alleati, così come con i nostri vicini a Sud e ad Est.

La gente di Harad è fiera delle sue origini, che risalgono a Númenor più direttamente di quanto chiunque altro in quest’Era possa vantare. E’ ormai giunto il momento che l’occupazione della nostra terra da parte delle armate di Gondor abbia termine, e che sia finalmente un nostro esercito a sostituirle. Siamo tuttora minacciati dai selvaggi del Khand, e i tumulti a Nurn mettono in pericolo le nostre frontiere settentrionali, perciò una forza militare è essenziale per la nostra sopravvivenza. Naturalmente daremo il benvenuto a tutte le visite dei nostri cugini occidentali, e accetteremo scambi regolari di osservatori a garanzia e dimostrazione delle nostre riforme. Mai più in futuro lo Harad muoverà contro Gondor.

Il rovesciamento dell’ultima delle Antiche Casate, circa 110 anni fa, ha posto fine per sempre al dominio dei cosiddetti Numenoreani Neri sulla nostra gente. La nostra attuale Casa Reale, la famiglia di mia madre, ora invia i propri figli ad istruirsi a Minas Tirith, ea dire il vero mio cugino, l’Erede del Re, ha chiesto la mano di una nobile fanciulla dell’Ithilien. I legami tra i nostri due popoli divengono ogni anno più saldi.

Benché ancora pochi fra la gente comune adorino apertamente i Valar, la Preghiera Silenziosa è ormai una consuetudine diffusa nelle nostre Grandi Casate e nessuno segue più le antiche credenze. Da tempo non vi sono più altari sacrificali in città. In effetti al loro posto sorgono ora dei giardini, una mia idea vigorosamente messa in pratica dal Re. Ho recentemente proposto la consacrazione di una Via Silente, e credo che egli la giudichi un’idea interessante.

Un’altra seria questione da considerare è la nostra dipendenza economica da Gondor. Eravamo sempre stati una nazione ricca, ma ora il pesante fardello di tributi impostoci da Minas Tirith è troppo oneroso da sopportare. Gondor non ci fa mancare rifornimenti di viveri nelle annate di carestia, ma se una quota maggiore del reddito dei nostri agricoltori potesse essere reinvestita nell’agricoltura, tali aiuti non si renderebbero necessari. Noi produciamo numerose colture pregiate, molto richieste a Minas Tirith, ma il defunto Re ne proibì l’importazione. Se potessimo semplicemente commerciare i nostri fichi, olî e spezie con Gondor, potremmo mantenerci come suoi alleati indipendenti, come fanno Arnor e Rohan.

Le terre attorno al mare di Nurnen furono assegnate agli ex-schiavi di Sauron, ma ora quelle terre stanno andando in rovina. I loro abitanti preferiscono continuare a combattersi fra loro e morire di fame piuttosto che vivere in modo più pacifico e produttivo. Solo un governo più severo li potrebbe condurre ad uno stile di vita civile. Lo Harad si assumerà questo difficile compito, a dimostrazione della sincerità delle nostre riforme. In cambio chiediamo soltanto di avere mano libera per dieci anni. Dopo di che la regione potrà tornare ad essere retta da governatori propri, adeguatamente istruiti.

Ora desidero parlare dell’Università stessa. E’ consuetudine, come ho già detto, che i nostri nobili figli vadano a completare la loro educazione a Minas Tirith, e più recentemente, anche a Fornost. Questa tendenza si sta ora rovesciando e quest’anno, per il nostro nuovo corso di Fisica Strutturale, abbiamo numerosi studenti di Minas Tirith. Tre nostri professori stanno attualmente insegnando a Fornost, e noi ospitiamo le loro controparti. Mentre ci sono ancora dei tradizionalisti nella Facoltà che deprecano l’allontanamento dalle tradizioni, molti ora guardano con fiducia, insieme a me, alla visione di un nuovo Harad.

 

In conclusione:

Lo Harad può tornare nuovamente ad essere una nazione indipendente. I nostri legami con Gondor non saranno spezzati, essi diventano ogni giorno più stretti, ma devono essere i legami che intercorrono fra due alleati, non fra padrone e schiavo. Abbiamo rinunciato per sempre all’Oscurità e non ci allontaneremo più dalla Luce. Il nostro Re dovrebbe entrare a far parte del Consiglio della Corona di Gondor a fianco dei capi degli altri alleati. Questa è la mia umile proposta a Voi in questo giorno di gloria.

Lunga vita al Re!

 

Anto-eva-Lhach

che fu Tutore del Principe Eldarion, ora nostro Re.

 

 

III - TEOLOGIA E REGATE

 

Facoltà di Teologia dell’Università di Umbar: anno 2080 della Seconda Era.

Teologia, Morale e l’influsso che possono esercitare sullo sviluppo delle giovani menti, ovvero: il rapporto della Facoltà di Teologia sulla Regata Universitaria.

 

E’ sempre stata fondata opinione degli accademici e delle persone con una mentalità teologica che l’insegnamento della morale, della religione etc. non possa che avere effetti benefici sulla mente di chi le studi. Ma è proprio vero? (Era sufficiente esaminare il senso dell’umorismo del Preside della Facoltà di Teologia per cominciare a sospettare il contrario!).

Cosa dunque distoglie dalla retta via gli studenti di Teologia, solitamente così seri, e spinge quelle giovani menti in via di sviluppo ad esplorare oggetti di studio molto meno raccomandabili? E’ stato recentemente osservato che gli studenti della Facoltà di Teologia passano più del tempo loro assegnato nella sala del Palantír (e sappiamo bene a chi toccherà pagare la bolletta del Vardafono...). Può essere che con una maggiore conoscenza e comprensione dei profondi segreti dell’Universo cresca anche la tentazione di farne un cattivo uso. Cosa può attrarre la loro attenzione a questo punto?

La cortesia e l’educazione non sembrano certo migliorare nel corpo studentesco, con il passare degli anni. Considerando che fondamento della Facoltà di Teologia è il tentativo di comprendere la venerazione e la reverenza per le Potenze e le Autorità supreme di questo mondo, così come il rendere costante testimonianza a quelle mostrate dai Fedeli, che salvarono i Numenoreani disposti a seguirne la guida e le convinzioni, è davvero sconsolante notare la decadenza dei valori fra i nostri giovani.

Una deplorevole tendenza che ho personalmente notato è che alcuni studenti hanno sviluppato una predilezione per uno stile di scrittura legato delle tengwar. Questa moda (perché io spero che sia solo una moda), non solo ricorda fin troppo quello delle Terre Nere, ma oltretutto è praticamente illeggibile! Come questi studenti possano sperare di superare gli esami quando risulta impossibile leggere i lavori che presentano, e tanto meno valutarli, va al di là delle capacità di comprensione di quelli di noi il cui solenne impegno è la diffusione della conoscenza in tutto il paese.

E’ comprensibile che gli studenti manifestino occasionalmente una certa propensione per lo spirito (alcoolico) o possano avere crisi di nervi. Conosciamo bene la forte pressione cui sono sottoposti dallo studio. Però, se essi pianificassero razionalmente il loro lavoro, cominciandolo non appena gli viene assegnato, e cercassero di andare a dormire prima e di alzarsi prima, potrebbero ottenere maggiori successi! O, ancora, capita che gli atti di goliardia si spingano troppo oltre.

Prendiamo il caso della Regata Universitaria alla fine del semestre primaverile. E’ un’antica tradizione dell’Università per onorare i nostri antenati navigatori, come Eärendil. A questo scopo ogni Facoltà equipaggia una barca per ciascuna delle seguenti categorie: un rematore, due rematori, quattro rematori, otto rematori e galeone. Quest’anno è andato tutto benissimo nelle prime quattro categorie, con le vittorie delle facoltà di Ingegneria, di Studi Internazionali e di Scienze della Terra e Archeologia Applicata. Questo è del tutto comprensibile - tendono a vincere ogni anno, avendo studenti che sono mediamente più robusti e allenati di quelli di altre facoltà.

Il problema si è verificato nella gara della categoria galeone. Tutte le competizioni sono governate da regole molto severe, dal Codice Cavalleresco del Mare e cose del genere. Una certa lealtà deve sempre essere rispettata. Ma quest’anno non è andata così... La Facoltà di Teologia, tradizionalmente una piccola facoltà, popolata di individui tendenzialmente ascetici e monastici e molti altri che non sarebbero mai considerati il materiale più adatto per l’equipaggio di una barca, non aveva quasi mai vinto. In effetti erano così demotivati che pareva che si sarebbero rifiutati di partecipare, se non alle loro condizioni.

Poi nessuno ci aveva più pensato fino al giorno della gara. Parve che le grandi vele nere e le tuniche nere dell’equipaggio dovessero camuffare il galeone della facoltà, celandolo alla vista degli altri galeoni, per lo più a vele bianche, tranne quello della Facoltà di Studi Teatrali, con velatura rossa.

Come al solito pioveva a dirotto e soffiava un vento di tempesta, ma gli studenti erano determinati a non lasciarsi scoraggiare. Se sia stato questo a causare poi l’affondamento e il danneggiamento di alcune barche, o piuttosto la mancanza di scrupoli del galeone nero, che costringeva gli altri equipaggi a virare molto largo o troppo stretto in corrispondenza delle boe, non lo potremo mai sapere con certezza. Comunque tutti sono rimasti profondamente colpiti dall’apparente mancanza di rispetto per le più elementari regole di sicurezza e di lealtà, e ha destato scandalo quando il galeone della Facoltà di Teologia è arrivato primo, con alcune ore di vantaggio su tutti gli altri, con la prua che mostrava chiari segni di essere stata usata per speronare altre barche; con il timoniere che batteva su un tamburo da schiavi ad un ritmo spietato, cosicché i membri dell’equipaggio non solo avevano issato tutte le vele, ma remavano come forsennati. Ma l’affronto peggiore, non solo per il pubblico comune, ma in particolare nei miei confronti, è stato il fatto che avessero rimosso ogni simbolo dalle tuniche e dalle vele. Sostenevano che l’argento fosse troppo visibile e avrebbe rivelato la loro posizione agli avversari! Inutile dire che la gara è stata invalidata...

Lascio al Preside della Facoltà di Studi Storici il compito di valutare le conseguenze di questo fatto.

 

Il Preside della Facoltà di Teologia.

 

 

IV - IL DOCUMENTO DEL KOLOIK

 

Ho chiamato il seguente brano “Documento del Koloik” perché era parte del titolo dell’antico libro in cui l’ho ritrovato. Nell’antica Umbar un koloik era una sorta di libro mastro tenuto dai servitori di una casa per rendere conto delle spese al loro padrone. Poiché erano notoriamente facili da falsificare, venivano generalmente ignorati, e gradualmente si smise di usarli. Senza dubbio è questo il motivo per cui l’autore scrisse il suo brano in quelle pagine, dove rimase dimenticato fino a poco tempo fa, quando lo scovai per puro caso ad una svendita per lo sgombro di una vecchia casa appena fuori dalla città. L’ho tradotto in haradaico moderno e poi, rendendomi conto della sua grande importanza, in lingua comune.

 

“L’anno in cui giunsero le prime navi da oltre il mare dovrà sempre essere ricordato con infamia negli annali di Umbar. Fino a quando non giunsero quei maledetti stranieri avevamo condotto una vita pacifica e senza regole. Alcuni forse avrebbero potuto definirla una vita oziosa, o addirittura improduttiva, ma passare le mattine a pesca sul mare o al lavoro nelle campagne, in particolare nei vigneti, e i pomeriggi a godere dei frutti del nostro lavoro, era uno stile di vita che ci aveva soddisfatti per secoli. A volte alcune teste calde rubavano una barca da pesca e si dirigevano verso nord per calmare i loro bollenti spiriti attaccando qualche insediamento in una terra lontana, ma tornavano a casa notevolmente calmati dal freddo e dagli spaventi subiti, e finivano col diventare cittadini responsabili.”

 

“La nostra patria era la città, Umbar, e i pochi campi al di fuori delle mura cittadine. Le terre selvagge al di là di questi erano abitate da tribù bellicose, che ci avrebbero buttato a mare se non avessimo sorvegliato assiduamente le nostre mura. Fortunatamente passavano la maggior parte del loro tempo a combattersi fra loro piuttosto che ad attaccare Umbar, essendo per lo più governate da piccoli capi locali. Umbar era allora governata dai capi elettivi delle Corporazioni Cittadine. Questo sistema in generale non funzionava molto bene, dato che i mercanti e gli uomini d’affari più ricchi si compravano le cariche corrompendo a destra e a manca, ma l’indifferenza dei cittadini tollerava l’inefficienza, almeno finché c’era abbondanza di cibo e di vino. Nei rari casi di carestia il consiglio trovava generalmente un capro espiatorio e lo consegnava alla folla inferocita. Una volta placati si rimboccavano le maniche per qualche mese, a razioni ridotte finché la vita non ritornava ai ritmi normali.”

 

“Tutto questo cambiò quando giunsero i Numenoreani. Per una malaugurata coincidenza era allora capo della Corporazione dei Vinai un uomo eccezionalmente ambizioso. Prima ancora che quelle prime navi lasciassero il nostro porto, Kaluk era diventato Re di Umbar. Seguì un breve periodo di terrore, durante il quale Kaluk si sbarazzò di tutti i potenziali rivali, inclusi tutti coloro che fossero mai stati clienti di sua madre, la più rinomata baldracca di Umbar. Kaluk fu incoronato re quasi cent’anni or sono, e la nostra città da allora è molto cambiata. La nostra gente, un tempo pacifica e felice, è ormai divenuta un’orda di briganti assetati di sangue, pronti ad attaccare chiunque e dovunque per espandere i propri confini. I capi locali delle tribù sono tutti morti, con le loro famiglie, e la loro gente si è unita alla nostra. Inizialmente erano riluttanti, ma alcuni anni come schiavi a dissodare campi e costruire strade sono stati sufficienti a fargli cambiare idea. Mio padre ricordava di averli visti attraversare la città in ginocchio, trascinandosi dietro le loro catene, per implorare Kaluk di restituirgli la libertà. Lui li accolse all’ingresso della cittadella appena costruita, attorniato dalle mogli e dai figli. La più giovane delle sue mogli era figlia di un capo di cui molti che ora erano inginocchiati davanti a lei erano stati sudditi. La visione di lei, fiera madre di un figlio dell’usurpatore e carica di gioielli rubati alla sua gente, contribuì ad abbattere quel poco che restava del loro orgoglio, ed essi si umiliarono di fronte a Kaluk.”

 

“Da allora le cose sono andate di male in peggio per i poveri viticultori amanti della pace, come me. Vivo piuttosto lontano dalla città, ma ormai qualche spia ha riferito del mio stile di vita tradizionale alle autorità, e un amico coraggioso mi ha avvertito che presto verranno a prendermi. Questa sera, mentre guardavo il sole tramontare, ho notato un uomo che mi spiava dalla strada, dove essa curva verso le montagne allontanandosi da casa mia. Avevo intenzione di scrivere un resoconto completo di questi ultimi cento anni, ma come al solito ho iniziato troppo tardi. Forse i giorni più gloriosi della mia amata Umbar devono ancora venire, ma nel mio cuore ho la certezza che i suoi giorni più felici siano ormai passati.

Stanno picchiando violentemente alla porta, e il mio fedele servo, che si è rifiutato di andarsene insieme agli altri, è andato ad aprire. E’ ormai troppo tardi, e questo deve bastare...”

 

Il documento non è firmato, così non ho la possibilità di conoscere la sorte di quell’uomo coraggioso che osò vivere come riteneva che fosse giusto vivere. I giorni di re Kaluk sono così remoti nella storia che il suo nome è quasi tutto ciò che sappiamo di lui, ma ricordo che la mia balia mi minacciava che, se non avessi fatto il bravo, Kaluk sarebbe venuto a prendermi”. Questo documento mi pervade di una grande tristezza, per quei giorni ormai tanto lontani. Davvero Umbar ha conosciuto giorni di grande gloria, ma ancor oggi, come parte del Regno Riunito, non riusciamo a trovare la vera felicità.

 

Tradotto da Anto-eva-Lhach all’Università di Umbar, nell’anno 133 della Quarta Era.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Traduzione autorizzata di Paolo Barbiano di Matters of the University of Umbar, in “Nigglings”, vol. 9, april 1995, pp. 12-18]