Il problema del Male nella sub-creazione tolkieniana - Parte Settima



di Alberto Quagliaroli

  1. Il male negli Uomini e la Akallabêth ("La caduta di Nùmenor")

Il racconto della fondazione di Nùmenor e della sua caduta ne Il Silmarillion è piuttosto compresso, mentre, nelle raccolte degli scritti tolkieniani successivamente pubblicate, le informazioni sono più ricche, ma risentono di una certa frammentarietà oltre che di elementi di incoerenza con Il Silmarillion. Per quanto riguarda il presente lavoro ritengo che possa essere sufficiente il testo de Il Silmarillion, ciò non toglie che possa essere opportuno qualche accenno, come ho già fatto per la parte precedente de Il Silmarillion, a fonti di più recente pubblicazione.

La Akallabêth inizia con la narrazione del dono agli Uomini, fedeli ai Valar e a Eru, di Numenor, una isola nel mare (chiamata dai Valar: Andor, Terra del Dono), che divide Aman (detta anche Terre Imperiture, Reame Beato, terra dei Valar) dalla Terra-di-mezzo, e di altre importanti concessioni quali una vita molto più lunga e senza malattie e profonde conoscenze su natura, scienza e tecnologia. Con la fondazione di Numenor inizia la Seconda Età del Sole, che segue la Prima conclusasi con la Guerra d'Ira.

Alcuni elementi caratterizzanti i costumi e la cultura dei Numenoreani (gli abitanti di Nùmenor) sono:

- la presenza di una alta montagna detta Meneltarma la cui cima è dedicata a Eru (riconosciuto Padre e Creatore degli Uomini e di tutte le creature esistenti) da cui è possibile, per chi ha la vista più acuta, vedere Avallonë (città elfica situata sulla costa orientale di Tol Eressëa, l'isola da cui gli Elfi Teleri possono navigare verso Aman, la terra dei Valar), sotto questa montagna vengono seppelliti i re di Numenor e si svolgono cerimonie silenziose in onore di Eru-Ilùvatar;

- una grande cultura arricchita dagli insegnamenti degli Elfi e di Valar;

- una capacità tecnica superiore a gran parte dei Popoli della Terra-di-mezzo;

- doti di grandi navigatori che permettono loro di sbarcare e fare porti commerciali in tutte le terre conosciute e sconosciute;

- la convinzione che le Terre Beate, Aman, le terre cioè dove vivono i Valar e gli Elfi Vanyar (chiamati altresì Elfi chiari) non sono fatte per gli Uomini e che quindi è giusto che essi non vi si avventurino;

- ottimi rapporti culturali e commerciali con gli Elfi Teleri e con gli Elfi che ancora dimorano nella Terra-di-mezzo.


La storia di Numenor e dei suoi abitanti si rifà ai canoni delle parabole di molte civiltà nel Mondo: un grande sviluppo, un apogeo e la decadenza. Ne 'La caduta di Numenor' c'è però una sorta di teologia della storia che viene presentata come a tutti gli effetti attendibile: la decadenza inizia quando i Numenoreani abbandonano il culto silenzioso a Eru e si fanno orgogliosi, prepotenti con i popoli che hanno civilizzato e rinnegano i doni a loro fatti dai Valar e da Eru.

I Numenoreani, con la grande e progredita forza militare di cui dispongono, sostituiscono gli approdi commerciali, mediante i quali promuovevano la cultura degli Uomini culturalmente meno evoluti, con dei protettorati e dei governi dispotici che schiavizzano gli abitanti delle coste della Terra-di-mezzo. Cominciano a rimanere attaccati oltremisura alla loro vita e a invidiare la vita immortale degli Elfi; i re e i principi si costruiscono tombe sempre più sontuose e cominciano a desiderare il Reame Beato dei Valar convincendosi che il Divieto di sbarcarvi sia un modo per impedire loro di goderne le bellezza e l'incorruttibilità; il desiderio di ricchezza si impadronisce dei re che trascurano il culto di Eru dandosi ai piaceri e alla gozzoviglia.

Nonostante gli avvertimenti dei Valar che ripetono ai Numeneoreani1, a proposito di Aman, che:


non è infatti la terra di Manwë a renderne le genti immortali, ma sono gli Immortali che vi dimorano ad avere santificato la terra; in essa voialtri decadreste e vi sfinireste ancor prima, quali farfalle a una luce troppo forte e cruda


gli orgogliosi e presuntuosi Uomini di Numenor insistono nella loro condotta. Molti altri avvertimenti sia dei Valar che degli Elfi cadono nel vuoto.


Nel frattempo sulla Terra-di-mezzo torna a farsi vedere Sauron, il potente servitore di Melkor che era sfuggito ai Valar nella Guerra d'Ira, e di lui si dice che fabbrica degli Anelli del Potere per legare a sé potenti Uomini, Nani ed Elfi e per accrescere la proprio supremazia.

I Numenoreani finiscono con l'ignorare completamente Valar ed Elfi e si sentono talmente forti da sfidare anche Sauron nella Terra di Mordor che egli ha eletto a sua dimora. Sauron per quanto potente, non ha la forza sufficiente per contrastare gli Uomini di Numenor e ne ha paura, ma fa una mossa scaltra: si umilia di fronte al re di Numenor Ar-Pharazôn e si lascia catturare e portare a Numenor.

Dopo la cattura le sorti di Numenor volgono decisamente al peggio. Sauron, come a suo tempo aveva fatto il suo Padrone e Maestro Melkor, usa in modo esemplare la maldicenza e l'adulazione, spingendo gran parte dei Numenoreani e dei loro capi a rinnegare del tutto Eru, i Valar e la loro amicizia con gli Elfi, ed infine a volgersi ad adorare Melkor.

Pochi Numenoreani restano fedeli a Eru e vengono sempre più emarginati, ma riescono ad evitare di partecipare alla rovina definitiva di Numenor rifugiandosi sulla Terra-di-mezzo.

L'ultimo atto della storia di Numenor è il tentativo di invasione, da parte dei sui abitanti, della Terra di Aman; la gloriosa e possente flotta di Numenor viene completamente distrutta dallo sconvolgimento voluto da Ilùvatar in persona con il quale muta la faccia del mondo2:


e un grande abisso si spalancò nel mare tra Numenor e le Terre Imperiture (altro nome del Reame Beato), e le acque vi si precipitarono, e il frastuono e il fumo delle cateratte salì al cielo, e il mondo ne fu scosso.


È interessante il brano successivo a quello appena citato3:


E tutte le flotte di Númenórean furono trascinate nell'abisso, dove si sprofondarono e vennero per sempre inghiottite. Invece Ar-Pharazôn il Re e i guerrieri mortali che avevano messo piede sulla terra di Aman furono sepolti sotto le colline crollanti; si dice che lì giacciono, imprigionati nelle Grotte degli Obliati, in attesa dell'Ultima Battaglia e del Giorno della Sorte.


Il capitolo termina con un chiaro riferimento al mito di Atlantide a cui Tolkien era particolarmente affezionato4:


ma gli esuli delle rive del mare, quando si volgevano all'Ovest, indottivi dal desiderio dei loro cuori, parlavano di Mar-nu-Falmar inghiottita dalle onde, di Akallabêth la Caduta, Atlantë in lingua Eldarin.


Come appendice al capitolo viene descritta la nuova forma della Terra, che ora è rotonda; dalla Terra, ormai, è possibile andare nel Reame Beato solo tramite un invisibile passaggio che attraversa l'aria 'fatta per il vento e per il volo' e che permette di sbarcare a Tol Eressëa, la prima isola di Aman in cui dimorano ancora molti Elfi Teleri; tale via è preclusa a tutti gli Uomini, ma è la strada che permette agli Elfi di lasciare definitivamente la Terra per riunirsi con i loro fratelli di razza e ai Valar.


    1. La retribuzione della fedeltà e dei peccati

Questo titolo sembra uscire fuori da un vecchio Catechismo di una Chiesa Cristiana. Ho già ribadito che il Legendarium Tolkieniano, pur possedendo elementi che richiamano il cristianesimo, non vuole essere un modo di esprimere esplicitamente la religione cristiana, anzi Tolkien ha ripetuto in più occasioni che questo lo voleva assolutamente evitare. Tuttavia la retribuzione dei peccati di cui voglio parlare è affine alla risposta alla questione della Teodicea della Sofferenza come Pena per il Peccato e si può porre a confronto con la storia del Popolo Eletto di biblica memoria.

I Numenoreani sono premiati per la loro fedeltà dai Valar, o meglio, da Eru in persona tramite i Valar, con dei doni magnifici: vita lunga senza malattie, una terra libera fertile e ricca, grande sapere culturale e tecnico, possibilità di progredire con il minor numero di ostacoli possibile; tra queste concessioni il dono di una terra nuova richiama la Terra Promessa di Israele nell'Antico Testamento. Tutto questo rappresenta un certo grado di novità rispetto al resto della Storia di Arda che conosciamo finora: gli Elfi sono invitati ad Aman come ospiti e fratelli dai Valar e vivono con essi collaborando a mantenerne ed accrescerne la bellezza, non ricevono quindi un dono esclusivo, ma condividono una Territorio con altri; neppure la Terra-di-mezzo può considerarsi un dono a tutti gli effetti dal momento che essa è un luogo bello pieno di ricchezze, ma anche pieno di pericoli, per cui, per lo meno, è un dono in parte guastato; gli Elfi e gli Uomini della Terra-di-mezzo ricevono come dono l'aiuto solo nel pericolo più estremo, un dono di conservazione dato all'ultimo momento che non arricchisce chi lo riceve e ne evita solo la completa distruzione; gli Uomini che sono accolti nelle terre elfiche della Terra-di-mezzo sono ospitati e accolti come fratelli e collaboratori, occasione di arricchimento che rientra però piuttosto in una forma di scambio culturale, commerciale e militare. Numenor è invece un dono direi affine a quelli specifici e orientati ai singoli ricevuti da Beren (una specie di resurrezione) e da Eärendil (una vita immortale alla guida di un vascello che attraversa tutti i cieli e resa più piena dalla presenza di una sposa), forse non a caso entrambi sono in stretta relazione con gli Uomini, ma quelle erano concessioni che riguardavano singoli individui; il dono di Numenor è un dono collettivo pieno di positività, di occasioni di crescita, di opportunità di sviluppo culturale, economico, tecnico, che sembra quasi del tutto privo di elementi che ne sminuiscano il valore; una vera Terra Promessa arricchita da sapienza e ricchezze che potrebbero fare eco a quelle celebrate in Salomone.

I Numenoreani con il tempo tornano però a sentirsi a disagio, cominciano ad affiorare in loro l'orgoglio, la presunzione, il desiderio di vivere per sempre. Come per il dono della Terra di Numenor, così anche nel progressivo abbandono tra i Numenoreani della devozione a Eru, nell'aggressività nei confronti degli altri popoli, seguita dalla caduta definitiva dell'adorazione a Melkor, viene spontaneo richiamare il Popolo Ebraico che ricevuta la Terra Promessa si allontana progressivamente dal culto a Jahve e si rivolge a più riprese alle divinità straniere; le punizioni che Jahve ha comminato al Popolo Eletto registrate nella Bibbia si possono vedere in un certo senso rappresentate nella Caduta di Numenor.


      1. Analogie tra i Numenoreani e il Popolo Eletto della Bibbia

La connessione che ho richiamato tra Ebrei e Numenoreani consiste quindi nel meccanismo della retribuzione richiamato specialmente nel Pentateuco, ma poi ripetuto in molti altri libri dell'Antico Testamento, secondo la cosiddetta Tesi del Deuteronomio: il Creatore premia chi gli è fedele e castiga chi gli è infedele. All'analogia si può aggiungere anche l'epilogo della Storia di Numenor: una piccola parte di Numenoreani, un 'Resto', rimane fedele agli Elfi e ai Valar; gli Ebrei a più riprese, nella loro storia, si riducono a un 'Resto' fedele.

Tuttavia permangono rilevanti differenze di impostazione che separano l'Antico Testamento dal Mito Tolkieniano di Numenor: ne elenco alcune.

Non esiste nella Bibbia, tra il Creatore e le Creature un piano intermedio come quello rappresentato da Aman e dai suoi fondatori e abitanti, piano che ha un ruolo fondamentale nel progetto e nello svolgimento del Mondo Secondario di Tolkien.

La caduta di Adamo ed Eva, con la conseguente punizione divina, della Bibbia, non ha riscontri nel Corpus tolkieniano, quantunque si possa rintracciare qualcosa di simile nella convinzione dei Numenoreani, promossa da Sauron, che le Terre Imperiture vengano negate per impedire loro di goderne la bellezza e la incorruttibilità che distinguono i loro abitanti (l'albero del Paradiso Terrestre viene indicato dal serpente come fonte della uguaglianza con Dio).

L'Alleanza tra Creatore ed Ebrei, che nella Bibbia è richiamata continuamente, nel mito Tolkieniano non è esplicita ed è limitata al concetto di fedeltà degli Uomini al Creatore, ai suoi Emissari e, se si vuole, alla imitazione dell'atteggiamento donativo del Creatore.

Nella Sub-creazione di Tolkien la retribuzione della fedeltà e dell'infedeltà assume rilevo molto avanti nella Storia del Mondo (appunto nella Seconda Era del Sole con il sorgere di Numenor), quanto accade prima, soprattutto con gli Elfi, sembra rispondere ad un tipo diverso di relazione tra Creatore e Creature rispetto a quello che accade in Numenor: ad esempio, il Creatore, nelle Ere precedenti alla Seconda Età del Sole, in particolare con Elfi e Ainur, sembra essere più neutro nel giudicare le sue Creature, infatti, quanto accade agli Elfi che si volgono al male sembra essere una auto-condanna piuttosto che una pena comminata dal Creatore o dai suoi emissari; anche gli Ainur ribelli (Melkor e Sauron sopra tutti) godono di dilazioni della loro punizione che permettono ad alcuni di loro di esercitare la malvagità in tutta la Storia; se vogliamo, in questi casi, vi è più analogia con i demòni e Satana il loro capo, che però sono molto meno attivi in modo diretto nella creazione di quanto non siano Melkor, Sauron o i Balrogs.

La inadeguatezza degli Uomini a vivere nelle Terre Imperiture del Corpus Tolkieniano, indicata come strutturale della natura dei Secondogeniti e, similmente, la mortalità degli Uomini come dono del Creatore, non hanno nulla a che vedere con episodi biblici; il Paradiso Terrestre biblico è fatto per l'Uomo e la stessa definizione della morte come dono del Creatore è estranea a letterali interpretazioni della Bibbia.

Quindi le somiglianze tra Bibbia e mito Tolkieniano, esistono, ma sono controbilanciate da molte divergenze importanti.

      1. Il destino di Numenor e la Sofferenza come Pena per il Peccato

Tornando al problema specifico del male, la storia di Numenor ritengo possa riferirsi a due principali aspetti che ho già elencato nella risposta alla Teodicea della Sofferenza come Pena per il Peccato.

Nella prima fase della storia di Numenor il progressivo allontanamento dei Numenoreani dal rispetto per Elfi, Valar ed Eru nasce dal popolo Numenoreano stesso, che si ribella al destino mortale e si inorgoglisce per la propria ricchezza e saggezza. Il risultato di questo atteggiamento è l'Auto-condanna di questi Uomini ad una spirale di ribellione e malvagità sempre più profonde che finiscono con il coinvolgere tutta la società di Numenor, creando, nei singoli, sempre maggiore difficoltà a distinguere ciò che è bene da ciò che è male.

La seconda fase della storia comincia con la resa di Sauron ad Ar-Pharazôn. Sauron a poco a poco diventa agente catalizzatore della malvagità già presente in Numenor, e ne riesce a spingere gli abitanti agli atti abietti definitivi: l'adorazione di Melkor e il tentato assalto alle Terre Imperiture. Questa seconda fase, che si conclude con la disfatta della flotta Numenoreana nel vano tentativo di sbarcare sulle Terre Imperiture e con l'inabissamento della Terra di Numenor stessa, mostra una vera e propria Punizione del Peccato; i Valar non si limitano a sconfiggere la flotta, come avrebbero fatto se si fossero comportati da semplici nemici dei Numenoreani, ma, a quanto sembra incaricati da Eru in persona, distruggono completamente la Terra del Dono.

La seconda fase di cui ho parlato è l'esempio più chiaro di Sofferenza come Pena per il Peccato visto finora ne Il Silmarillion. Ancora più esattamente ritengo si possa usare l'espressione: Punizione Diretta, da parte di Eru, del Peccato, fenomeno nuovo nella Storia della Terra-di-mezzo, se si eccettuano gli incatenamenti di Melkor, che tuttavia presentano alcune differenze rimarchevoli rispetto alla 'Punizione' di Numenor. Per il primo incatenamento Manwë dice di agire contro Melkor secondo il consiglio di Ilùvatar nel suo cuore (v. pag. 56, de Il Silmarillion), ma in quel caso sembra più una misura preventiva che una punizione. La caduta di Numenor è assimilabile anche al secondo e definitivo incatenamento di Melkor; tuttavia il secondo incatenamento si può ascrivere all'esito della guerra tra Melkor e i Valar più che a una decisione punitiva di Ilùvatar, infatti nel capitolo sulla Guerra d'Ira non compaiono indicazioni o ordini precisi di Eru ai Valar, né si parla di un coinvolgimento diretto di Eru che invece viene dichiarato nella caduta di Numenor5:


Ilùvatar però sfoderò il proprio potere, mutando la faccia del mondo; e un grande abisso si spalancò nel mare tra Numenor e le Terre Imperiture...


    1. Peculiari problematiche che emergono da alcuni brani

Intendo far riferimento in particolare al destino strano di Ar-Pharazôn e di coloro che sono riusciti a sbarcare con lui in Aman: "si dice che lì giacciono, imprigionati nelle Grotte degli Obliati, in attesa dell'Ultima Battaglia e del Giorno della Sorte".

In questa frase sono contenuti due elementi che val la pena di prendere in considerazione. Ar-Pharazôn e i suoi sono imprigionati, quindi non hanno lasciato Arda come è destino che accada agli Uomini che muoiono, e sono in attesa di una Ultima Battaglia e di un giorno della Sorte.

Chi seguiva il re ed è rimasto in mare è annegato, ma il re e i suoi più stretti collaboratori sono imprigionati in una specie di limbo. Questa situazione non è chiarita ulteriormente da Tolkien; quel che è certo e che Ar-Pharazôn e compagni non sono in una situazione positiva, l'attendere imprigionati nelle Grotte degli Obliati in una forma di vita per lo meno larvale o spettrale è assimilabile ad una carcerazione della durata di innumerevoli ergastoli, è una punizione certamente singolare e senza dubbio è peggiore dell'annegamento del resto della flotta di Numenor; gli affogati, o hanno obbedito ad ordini, o erano quasi costretti dalla condizione della loro società a credere veramente nella convenienza dell'invasione di Aman, con la morte sono ormai fuori dai destini di Arda, oltre i quali pare che solo Ilùvatar abbia l'ultima parola e si può presumere, forzando però indebitamente la natura del Mondo Secondario di Tolkien, che li sottoporrà a giudizio; Ar-Pharazôn è ancora parte di Arda e delle sue sorti, forse ha ancora un ruolo da compiere, forse subirà una purificazione terrena per avere un'altra occasione di riparare al male compiuto o forse per qualche nuova direttiva dei Valar o di Eru essendo il re ormai sul suolo di Aman non vi poteva più morire ..., siamo nel campo di ipotesi che non competono alla presente ricerca, per cui mi astengo dall'approfondire la questione e mi limito ad inserire l'episodio nella categoria della Sofferenza come Pena per il Peccato.

Il secondo elemento ha attinenza con il problema del destino; infatti nel brano si afferma (con la riserva che l'affermazione è introdotta da un 'si dice') che ci saranno un'Ultima Battaglia e un giorno della Sorte. Si potrebbe quindi mettere in dubbio il risalto che a più riprese ho dato al Libero Arbitrio ne Il Silmarillion, in generale infatti il destino si contrappone al Libero Arbitrio. Ciò nonostante in questo caso, poiché i due eventi vengono solo citati in una forma, per così dire, profetica ed non essendo la Storia di Arda predestinata in tutti i particolari dalla Musica degli Ainur, essi non influenzano in modo sostanziale il Libero Arbitrio.

  1. Gli anelli del Potere e la Terza Età

Il racconto si sovrappone, in parte, agli avvenimenti riguardanti Numenor, poiché inizia prima della fondazione di Numenor e finisce con la Guerra dell'Anello, raccontata ne Il Signore degli Anelli.

Gli eventi sono incentrati sulla figura di Sauron, vengono ricordate la sua natura di Maia (gli Ainur sottoposti ai Valar) e la sua adesione iniziale a Morgoth nella ribellione a Eru.

Sauron, dopo la Guerra d'Ira è chiamato a rispondere ai Valar del male compiuto, ma si nasconde. Mentre sulla Terra-di-mezzo torna la pace e si stabilizzano le modifiche geografiche seguite agli sconvolgimenti della Guerra d'Ira, Sauron comincia a riprendersi ed erige a sua dimora la terra di Mordor, circondata da catene montuose invalicabili e dominata dal Vulcano Orodruin che ne rende sterile e pericoloso il territorio, ivi edifica la Torre di Barad-Dur.

Sauron non si limita a costruirsi un regno, ma, sotto il sembiante di un saggio bello e potente e attribuendosi il nome di Annatar, il Signore dei Doni, fa amicizia con i Gwaith-i-Mírdain, Elfi Noldor maestri nell'arte dell'oreficeria, guidati da Celebrimbor nipote di Fëanor (cioè figlio di Curufin uno dei sette figli di Fëanor). Gli altri Elfi governati da Gil-galad ed Elrond (dei due figli di Eärendil, quello che ha scelto il destino degli Elfi, ove Elros aveva scelto quello degli Uomini ed era stato il primo re di Numenor) sono invece molto sospettosi di Annatar, ma non vengono ascoltati. Sauron comunicando segreti dell'arte della lavorazione dei metalli si fa amico e collaboratore dei Gwaith-i-Mírdain; ma mentre li aiuta nelle loro fatiche ne carpisce i segreti, insinua con maldicenze l'antipatia verso i Valar, e soprattutto, di nascosto, forgia l'Unico Anello utilizzando il fuoco dell'Orodruin; aiuta gli Elfi a forgiare sette anelli per i Nani, nove Anelli per gli Uomini, ma riesce a fare in modo che tutti gli Anelli siano sottoposti al suo Unico Anello. Purtroppo per Sauron Celebrimbor aveva anche forgiato tre Anelli per gli Elfi e si accorge di quello che Annatar ha fatto appena questi infila l'Unico, Celebrimbor riesce così a nascondere le sue opere, ma non può usarle. Sauron grazie al suo Anello accresce di molto il suo potere, uccide tutti i Gwaith-i-Mírdain compreso Celebrimbor, recupera tutti gli altri anelli esclusi quelli degli Elfi, fortifica Mordor e dona i sette anelli ai Nani e i nove agli Uomini.

I nove anelli degli Uomini trasformano i loro possessori in potenti stregoni che però, in tempi più o meno lunghi, cadono sotto il potere di Sauron e diventano spettri al suo servizio: i Nazgûl. I Nani che ricevono gli anelli invece, pur non venendo schiavizzati da Sauron, sono divorati da una irrefrenabile brama d'oro e sono derubati dai draghi e Sauron recupera tre dei loro anelli.

Sauron procede con il pervertimento e l'assoggettamento di molti popoli di Umani e torna a raccogliere attorno a sé tutti i servitori di Morgoth dispersi sulla Terra, in particolare gli Orchi, che ricominciano a moltiplicarsi. In questo periodo i Numenoreani sfidano Sauron e lo costringono alla resa, che Sauron, portato in catene a Numenor, trasforma nell'occasione per distruggere definitivamente Numenor spingendo Ar-Pharazôn ad assalire la terra dei Valar e a provocare la Akallabêth. Anche Sauron però, che si godeva la distruzione della flotta di Ar-Pharazôn dal tempio dedicato a Melkor in Numenor, viene travolto dallo sprofondamento dell'isola e deve abbandonare per sempre la capacità di apparire bello e saggio agli occhi di Uomini ed Elfi.

La speranza per i popoli liberi della Terra-di-mezzo viene dai Numenoreani fedeli a Eru, ai Valar e agli Elfi che alleandosi con Gil-galad ed Elendil riescono a riportare la pace e l'ordine sulla Terra-di-mezzo arrivando perfino a chiudere Mordor in un assedio per mezzo di fortezze e torri di guardia.

Nonostante l'assedio, Sauron a poco a poco si riprende e conquista numerose fortezze nemiche tornando ad essere una grave minaccia per Elfi e Uomini. Gil-galad ed Elendil, il capo dei Numenoreani fedeli, fanno una grande alleanza e si scontrano con le armate di Sauron alle porte di Mordor, le sconfiggono e stringono d'assedio Barad-Dur. Davanti alla sua fortezza Sauron in persona esce in battaglia e uccide sia Gil-galad che Elendil, ma Isildur figlio di Elendil con un mozzicone di Narsil, la spada di suo padre, taglia a Sauron il dito in cui era infilato l'Anello del Potere; Sauron, privato dell'Anello, perde gran parte del suo potere, deve fuggire in forma incorporea in luoghi deserti. Barad-Dur è rasa al suolo. Finisce così la Seconda Era della Terra-di-mezzo

L'Unico Anello è ora in mano a Isildur che, pur sollecitato da Elrond e Círdan, decide di non distruggere l'Anello del Potere gettandolo nell'Orodruin. Deciso a tenerlo come guidrigildo della morte di suo padre diventa sempre più geloso di esso e non se ne separa mai. Ma l'Anello, in un viaggio verso nord, lo tradisce; Isildur, con piccola scorta, perché convinto della scomparsa totale dei servitori di Sauron, costeggia il fiume Anduin ed è assalito da una banda di Orchi sbandati che uccidono la scorta e i famigliari che lo accompagnano; rimasto solo, si infila l'Anello per diventare invisibile e si tuffa nel fiume, l'Anello però gli si sfila dal dito e, reso di nuovo visibile agli Orchi, viene ucciso dalle loro frecce; l'Anello si perde nel fiume.

Torna di nuovo la pace sulla Terra-di-mezzo, ma ancora una volta Sauron si leva a ricostruire il suo potere e il suo regno. In questo periodo vengono dall'Ovest gli Istari, emissari dei Valar in incognito, mandati per contrastare il potere di Sauron. Di essi i più importanti sono Curunír e Mithrandir, chiamati anche Saruman e Gandalf. Dei due, il primo è eletto capo del Bianco Consiglio che si deve occupare di controllare e di contenere l'attività di Sauron; del Consiglio fanno parte anche Elrond, Galadriel (elfa Noldor nipote acquisita di Fëanor, perché figlia di Finarfin, il terzo figlio di Finwë e fratellastro di Fëanor, v. par. 3.18.1 - riferimento a Galadriel -) e Círdan (capo degli Elfi Teleri della Terra-di-mezzo). Saruman a poco a poco viene conquistato dall'orgoglio e dal desiderio di dominio, e si mette a studiare da solo la storia degli Anelli del Potere senza informare debitamente gli altri componenti del Consiglio.

La maggior parte dei membri del Consiglio è convinta che Sauron si stia rafforzando troppo, ma Saruman tende a trattenere gli altri dall'agire, perché in cuor suo comincia a desiderare per sé l'Anello. Troppo tardi Saruman dà il suo assenso a sloggiare Sauron da una fortezza nei pressi del fiume Anduin ove, come crede di sapere solo Curunír, l'Anello era stato perduto, e Sauron fa in tempo a rifugiarsi a Barad-Dur e a cominciare a ricostruirla. Dopo la cacciata di Sauron dalla fortezza vicino all'Anduin, Saruman si estrania dal Bianco Consiglio.

In realtà l'Anello era stato trovato molto tempo prima da un Hobbit, una creatura di una razza poco diffusa chiamata anche Mezziuomini. Mithrandir/Gandalf è il primo ad avere notizia di questo fatto. Questa parte della storia che ne Il Silmarillion è riassunta molto brevemente in realtà è raccontata prima ne Lo Hobbit il primo libro pubblicato da Tolkien legato al suo Corpus Mitologico e poi ne Il Signore degli Anelli. Poiché Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli sono gli unici libri del Mondo Secondario di Tolkien pubblicati con l'autore vivente, ritengo sia indispensabile analizzare il problema del male e della Teodicea nella fase finale della Storia della Terra-di-mezzo su tali testi.

    1. Gli attributi del male e i suoi nuovi interpreti

La conclusione de Il Silmarillion nella sua quinta parte, 'gli Anelli del Potere e la Terza Età', introduce numerose novità. Il tempo mitico della Storia della Terra-di-mezzo subisce una serie di svolte importanti:

- Sorge Numenor, il regno esclusivo degli Uomini che diventa il più potente della Terra-di-mezzo

- Sauron prende degnamente il posto di Morgoth come rappresentante per antonomasia del male

- L'Impresa di maggior rilievo del nuovo rappresentante del male è la fabbricazione degli Anelli del Potere tra cui il pernicioso Unico Anello e i nove Anelli degli Uomini

- Sauron cade nella sconfitta di Numenor, si riprende, ma poi viene sconfitto da Gil-galad ed Elendil e perde l'Anello del Potere

- Sulla Terra-di-mezzo arrivano gli Istari, inviati dai Valar, ma Saruman, il loro capo, non rimane fedele all'incarico assegnato e altri si perdono in attività non attinenti allo scopo del loro intervento

- Inizia un lungo e logorante confronto tra i Popoli Liberi con gli Istari e Sauron, che termina con la Guerra dell'Anello che segnerà l'inizio della Quarta Età del sole.

      1. Sauron

        1. Origine, Natura e Scopi

Al primo posto ovviamente va messo Sauron; in lui Origine, Natura e Scopi del male dovrebbero concordare a grandi linee con quelli di Morgoth: Sauron è infatti un Maia servitore di Morgoth dalle prime battute della Musica dei Valar e ne segue l'esempio. Non bisogna però dimenticare alcune importanti differenze tra i due descritte, in modo coerente con i testi de Il Silmarillion e piuttosto approfonditamente, in Morgoth's Ring 6(si veda anche il par. 3.21.4 La distribuzione e la diffusione del male):

Non ha un vero piano: a meno che la distruzione e la riduzione a nil di un mondo che egli condivide soltanto, possa essere chiamato un 'piano'.


Non ha mai raggiunto questo stadio di pazzia nichilistica. Non obietta all'esistenza del mondo, finché può fare quello che gli piace con esso.

Egli probabilmente si ingannò credendo che i Valar (incluso Melkor) avessero fallito, Eru avesse semplicemente abbandonato Eä, o per lo meno Arda

        1. Azioni, gli Anelli del Potere

Le Azioni di Sauron degne di maggior nota sono le seguenti:

E ritengono certuni che non l'abbia fatto, in un primo momento, per doppiezza, ma che Sauron si fosse davvero pentito, sia pure solo per paura


Riformulando le malefatte di Sauron:

In questo elenco delle Azioni di Sauron si ritrova una sola particolare novità rispetto a quanto fece Morgoth: la creazione di Anelli del Potere. Anche Morgoth aveva creato manufatti, ma li aveva tenuti per sé, il resto delle sue Azioni verteva per lo più sulla sua signoria originaria sulla materia di Arda; Sauron, di gran lunga meno potente, oltre a sfruttare l'opera del suo capo, deve fare ancora più attenzione agli atteggiamenti egoistici delle creature e deve sfruttarli a dovere per averne il massimo guadagno, nel fare questo alla fine escogita una scorciatoia molto fruttuosa: creare degli oggetti che possono accrescere i poteri di chi li indossa, ma che abbiano in sé anche la capacità di rafforzare le intenzioni malvagie e di legare i loro possessori a lui. Se la creazione degli Anelli del Potere è stata certamente un grande sforzo anche per un Maia, assicura però a Sauron, o risparmio di energie o più ampio raggio d'azione una volta che gli Anelli siano in mano ai loro possessori e che questi possessori siano definitivamente a lui sottomessi.

Una più approfondita analisi delle caratteristiche dell'Unico Anello credo possa essere rimandata all'analisi de Il Signore degli Anelli, in cui i suoi effetti sono particolarmente messi in risalto.

        1. Utilità

L'Utilità del male di Sauron è in continuità con quella del suo capo-predecessore; Sauron ha solo un raggio d'azione meno ampio, e si deve limitare in molti casi a coordinare e riorganizzare i frutti del male provocato da Morgoth. L'adesione di Sauron all'oppositore di Eru per eccellenza in sostanza si traduce in una partecipazione allo stesso ruolo di Melkor ripetuta più volte da Ilùvatar (si veda a pag. 3): "Poiché colui che vi provi non farà che comprovare di essere mio strumento nell'immaginare cose più meravigliose di quante egli abbia potuto immaginare".


      1. Saruman

Per l'Istaro Saruman, sarà possibile avere un quadro completo ne Il Signore degli Anelli. Dal testo de Il Silmarillion risalta il tradimento dell'incarico di emissario dei Valar avvenuto a causa dell'orgoglio e del desiderio di dominio di Saruman. L'infedeltà alla missione si traduce nel tradimento degli alleati che cercano di arginare Sauron.

Quindi si possono cominciare a definire l'Origine del male compiuto da Saruman e le Azioni malvagie che egli compie: orgoglio e prepotenza sono le molle che lo hanno spinto a compiere il male, ma non è estranea alle scelte di Saruman la sua sete di conoscenza verso tutte le caratteristiche e gli effetti del manufatto di Sauron e la sua mentalità 'tecnologica', mentre la mancata collaborazione e il tradimento aperto sono i primi strumenti di cui Saruman si serve nelle sue Azioni.


      1. I Nazgûl

Anche per gli Schiavi dell'Anello devo rimandare l'analisi più completa alla parte relativa a Il Signore degli Anelli. Per ora mi limito a fare alcune brevi considerazioni.

Pur provenendo dai ranghi delle creature mortali, gli Spettri a servizio di Sauron, grazie agli anelli di cui sono muniti, ottengono una lunghezza indefinita della vita; dal punto di vista meramente umano hanno sconfitto la mortalità che tanto angustia gli Uomini; questa supposta sconfitta della mortalità ha almeno due controindicazioni sostanziali: la perdita del Libero Arbitrio (la loro volontà è quella del loro padrone), e una vita dimezzata vissuta in una forma semi-corporea che li separa dall'essenziale componente di Arda rappresentato dalla materia.

Gli attributi del male in questi spettri si potranno vedere meglio analizzando Il Signore degli Anelli. L'Origine e le Azioni del male nei Nazgûl sono strettamente legati a Sauron, che ha sfruttato magistralmente l'aspirazione all'immortalità di questi uomini facendo leva certamente anche sul loro desiderio di potere e riuscendo a divenire il loro padrone assoluto.


      1. Isildur

Isildur è un campione dell'Alleanza anti-Sauron, ma dopo aver sconfitto Sauron tagliandogli il dito con l'Anello, entra in possesso dell'Unico.

Il possesso dell'Unico Anello per la prima volta passa a qualcuno che non sia il suo forgiatore, ma l'Anello, vuoi perché legato in modo esclusivo a Sauron e alla sua malizia o vuoi perché dotato di sortilegi che potenziano gli atteggiamenti cattivi di chi lo indossa o vuoi anche solo per la sua apparentemente perfetta bellezza, spinge Isildur a tenerlo per sé. Isildur non accetta il consiglio di Gil-galad e di Elrond di gettare l'Anello nell'Orodruin e ne diviene geloso.

Nel testo, dopo l'agguato a Isildur, si dice che l'Anello lo tradisce vendicando il suo artefice e gli scivola dalla mano mentre egli nuota nell'Anduin cercando di sfuggire agli Orchi; questa espressione, pur potendo ancora essere interpretata in modo figurato, nel prosieguo della storia dell'Anello assume una valenza di realtà effettiva, infatti a più riprese ne Il Signore degli Anelli viene attribuita all'Unico una volontà propria che lo spinge a tradire chi se ne impadronisce e a ritornare a Sauron, suo creatore e padrone.

Sulla base di queste considerazioni non mi sembra sia possibile attribuire a Isildur colpe troppo gravi, fu il primo mortale che ebbe a che fare direttamente con il Potere dell'Anello, ancora non era chiaro quali caratteristiche avesse precisamente l'Anello del Potere, i suggerimenti di Gil-galad e di Elrond erano basati su una chiara coscienza del pericolo, ma essi probabilmente non possedevano dati oggettivi su cui basare le loro argomentazioni; comunque ci sarà tempo di approfondire questo e altri aspetti nelle altre parti del presente lavoro.


    1. Lo schieramento del Creato

Una considerazione conclusiva la merita il brano in cui si descrive la Battaglia di Dagorlad (Piana della Battaglia) e la sua fase finale quasi fin sotto le mura di Barad-dur, in cui Sauron perde l'Anello10:


Tutte le creature viventi quel giorno presero partito, e in entrambi gli schieramenti ve ne erano di ogni genere, sia quadrupedi che pennuti, l'unica eccezione essendo costituita dagli Elfi, i soli che non si fossero divisi e che seguirono Gil-galad. Pochi dei Nani combatterono dall'una e dall'altra parte; comunque, la stirpe di Durin di Moria si batté contro Sauron.


La partecipazione di tutto il Creato allo scontro, ritengo che ne elevi l'importanza ad una lotta tra il bene e il male su scala globale; naturalmente questa descrizione si può considerare un espediente del 'genere letterario' del racconto epico, tipico ad esempio anche nella Bibbia, in cui si dice che vengono sterminati tutti gli uomini, le donne, i bambini e gli animali delle città sconfitte dal popolo ebraico, cosa che in realtà storicamente difficilmente può essere avvenuta. In effetti però quando analizzeremo Il Signore degli Anelli troveremo che Tolkien probabilmente intendeva proprio dire che ogni creatura vivente si schierò con il bene o con il male. Questo tuttavia non autorizza a ridurre a semplice lotta tra buoni e cattivi tutta la mitologia Tolkieniana, come dimostrano chiaramente le situazioni intermedie e ambigue di cui il Mondo Secondario di Tolkien è molto più ricco di quanto molti critici letterari credano.

  1. Le soluzioni della teodicea e Il Silmarilion

Al termine di questa seconda parte è possibile riassumere le risposte ai problemi della teodicea che vengono date nel Legendarium Tolkieniano.

    1. Reductio in Mysterium

La Reductio in Mysterium è forse la meno presente nel mito Tolkieniano. Come ho già detto tutto il Mondo Secondario di Tolkien ha tra le sue prerogative di trattare estesamente il problema del male; questo significa che il 'mysterium' viene indagato a fondo da Tolkien. In effetti il male viene spiegato ampiamente con la ribellione di Melkor e con la sua capacità di macchiare con questa ribellione l'intima costituzione della materia di Arda, il resto del male compiuto su Arda è comunque legato abbastanza strettamente al Libero Arbitrio delle Creature.

La necessità di una risposta di questo tipo però sembra essere in qualche modo presente negli eventi legati a Fëanor; il fuoco interiore che, quasi, lo obbliga ad essere un creatore insuperabile di manufatti splendidi e potentissimi è un forte condizionamento alla sua Libertà, infatti questa sua capacità supera talmente quella di tutte le alte creature da spingere i lettori e Tolkien stesso, forse, ad essere indulgenti per lo meno verso il suo atteggiamento egoistico nei confronti di opere che le sue mani hanno contribuito in maniera determinante a rendere meravigliose. Di una natura più chiara sono la presunzione e la prepotenza che lo pervadono, atteggiamenti malvagi ben poco scusabili perché rivolti direttamente contro altre Creature della sua stessa razza che nulla gli avevano fatto.

    1. Dualismo

Il Dualismo relativo tra bene e male, come ho avuto modo di rimarcare, emerge a più riprese da tutta la Storia di Arda, è escluso invece quello assoluto. La contrapposizione tra bene e male risponde ad un certo equilibrio, il male non scompare mai del tutto e ciò non accade neppure per il bene, allo stesso modo il male non arriva mai a soverchiare completamente il bene; ma questo equilibrio non è tra due forze in assoluto di pari potere, Eru ripete diverse volte che il male sarà ricondotto al progetto complessivo del Creato e contribuirà alla sua bellezza. Anche per il futuro terreno (non per quello escatologico), e questo verrà detto più chiaramente ne Il Signore degli Anelli, non è previsto che prevalga definitivamente il male o il bene vinca completamente, ma si afferma che fino alle ultime battute della Storia di Arda chi opera il bene dovrà lottare con il male.

    1. Privatio Boni

Per quanto riguarda la Privatio Boni, la "Caduta di Numenor" e la "Terza Età" non aggiungono nulla a quanto ho già detto alla fine del "Quenta Silmarillion": il Creatore è giudicato buono a tutti gli effetti e il male viene considerato incapace di creare dal nulla, ma solo capace di corrompere ciò che già esiste (v. par. “Applicazione delle soluzioni alla questione Dio/Male del Quenta Silmarillion”)

    1. Sofferenza come Pena per il Peccato

La Sofferenza come Pena per il Peccato, riceve una conferma nel senso dell'Auto-condanna, e un rafforzamento nel suo senso più ristretto (chi fa il male viene punito fin da ora sulla Terra) specialmente dalla vicenda della "Caduta di Numenor", ove lo sprofondamento dell'isola e soprattutto l'imprigionamento di Ar-Pharazôn e dei suoi fedeli lungo le sponde della terra di Aman sembrano vere e proprie punizioni per il peccato. Le vicende di Sauron e di Saruman in riferimento a questa soluzione richiedono il supporto del testo del Il Signore degli Anelli.

    1. Libero Arbitrio

Il Libero Arbitrio emerge quasi da ogni vicenda narrata nel Mondo Secondario di Tolkien e non fanno eccezione neppure le ultime due parti de Il Silmarillion. Perdurano anche le limitazioni alla Libertà, pur non soffocandone del tutto l'esistenza.

    1. La Creazione come Processo in Evoluzione

La Creazione come Processo in Evoluzione verso una sorta di Auto-liberazione dalla schiavitù del male rimane solo, per ora, in Morgoth's Ring, si veda il par. “Applicazione delle soluzioni alla questione Dio/Male al Quenta Silmarillion”.


  1. . La questione del male i suoi attributi ne Lo Hobbit

    1. Cenni alle fonti, allo stile e alle vicende editoriali de Lo Hobbit

È il primo libro pubblicato da Tolkien ambientato nel suo Mondo Secondario, la data di pubblicazione è il 1937, quindi risale a quasi 70 anni fa. L'ottimo successo di questo libro è stato il motivo che ha spinto prima il suo editore Unwin a chiedergliene una continuazione e poi lo stesso Tolkien a scrivere Il Signore degli Anelli.

Lo stile nei primi tre quarti del libro, è quello di un racconto per ragazzi o bambini11; tuttavia lo schema del racconto, o per lo meno molti elementi che lo costituiscono, è, a giudizio dei critici, strettamente connesso con la storia narrata nel Beowulf, poema medievale in lingua Inglese Antica12, di cui Tolkien era grande conoscitore e su cui aveva anche pubblicato nel 1936 un saggio che introduceva importanti novità nell'analisi critica; inoltre molti nomi e alcune caratteristiche dei personaggi de Lo Hobbit derivano dalle saghe nordiche.

Gli ultimi capitoli si distaccano gradualmente dal racconto per ragazzi e assumono uno stile più mitologico e meno fiabesco13, il passaggio definitivo al racconto mitologico avverrà però ne Il Signore degli Anelli.

La prima edizione de Lo Hobbit presenta alcune importanti incongruenze14 rispetto sia a Il Signore degli Anelli, che fu scritto dopo e pubblicato a partire dal 1954, sia a Il Silmarillion come lo vediamo nell'edizione pubblicata nel 1977, quattro anni dopo la morte di Tolkien, ma che all'epoca de Lo Hobbit presentava già alcune vicende abbastanza consolidate; questo perché inizialmente Tolkien intendeva con Lo Hobbit fare un racconto per il proprio divertimento personale15 indipendente dalla mitologia che aveva elaborato, solo che, già durante la stesura, introdusse tanti e tali riferimenti al suo mondo secondario da rendere Lo Hobbit un racconto della Terra-di-mezzo che si svolge nella Terza Era della Storia di Arda. Tolkien in seguito provvide ovviamente ad armonizzare l'edizione riveduta con ciò che aveva pubblicato del suo Legendarium; appunto nell'edizione definitiva, che è poi quella disponibile nella traduzione italiana, analizzerò il problema del male.

    1. Il problema del male e lo stile de Lo Hobbit

Lo Hobbit è in linea di massima un racconto che segue il modello tradizionale16 che si può riassumere in modo esauriente con le seguenti fasi:

Questo intreccio in lingua inglese si definisce con la parola Quest, che in italiano può essere reso con la parola Cerca.

I motivi per cui l'ha scritto, e lo stile che Tolkien ha usato, ne fanno un opera che si presta poco a descrivere il problema dal male nel Mondo Secondario di Tolkien.

In effetti Lo Hobbit avendo tendenzialmente il carattere di una fiaba per bambini non si presta ad indagare a fondo il male, la sua Natura, la sua Origine e il suo Destino. È invece possibile riscontrare in essa riferimenti all'Azione e, in un certo grado, all'Utilità del male.

    1. Riassunto

17In una caverna sotto terra viveva uno Hobbit.


Introdotta la razza del personaggio principale, Tolkien ne descrive l'abitazione, la famiglia di origine e le abitudini. L'elemento di perturbazione iniziale è l'arrivo di uno stregone, Gandalf, che forza con grande astuzia Bilbo Baggins, il personaggio principale, ad imbarcarsi in una avventura insieme a tredici nani alla ricerca di un tesoro custodito dal drago Smog, tesoro che in buona parte apparteneva al popolo dei Nani.

Inizia così la ricerca per la quale l'elemento che dovrebbe fare la differenza, l''eroe' dovrebbe proprio essere Bilbo, lo Scassinatore, a più riprese additato come tutt'altro che eroico.

Il primo incontro pericoloso è con gli Uomini Neri (che ne Il Signore degli Anelli saranno chiamati Troll), contro i quali avrebbero la peggio, nonostante, e quasi a causa di Bilbo, se non fosse per Gandalf che salva Nani ed Hobbit. Dal tesoro degli Uomini Neri la compagnia trae delle armi che verranno poi identificate come famose armi del passato.

Segue il riposo in un luogo (Forraspaccata, che sarà tradotta ne Il Signore degli Anelli come Gran Burrone) protetto in cui vivono gli Elfi di Elrond.

Dopo la permanenza a Forraspaccata, durante l'attraversamento di un valico montano, i poveri avventurieri cadono nelle mani degli Orchi (Orchetti ne Il Signore degli Anelli) che abitano sotto le montagne, anche in questo caso li salva Gandalf, il quale però non riesce a salvare Bilbo che grazie ad una buona dose di fortuna e anche grazie ad alcune sue abilità personali riesce a salvarsi da solo ed entra in possesso di un anello magico che rende invisibili; l'anello, che Bilbo trova incustodito in una galleria sotto la montagna, apparteneva a Gollum, una strana creatura feroce e solitaria che lo aveva posseduto per lungo tempo e che grazie ad esso tendeva agguati alle creature che riusciva a sorprendere nel buio.

Agli Orchi segue un attacco di Lupi Mannari ai margini di Bosco Atro, una foresta quasi impenetrabile, in questo caso la salvezza viene dal cielo, cioè dalle Aquile Giganti nemiche di Lupi e Orchi.

Le aquile una volta che gli avventurieri si sono rifocillati, li riportano ai margini di Bosco Atro, lì trovano ospitalità, propiziata dalla furbizia di Gandalf, presso Beorn, un Uomo-Orso. Beorn dà loro la possibilità di entrare in Bosco Atro da un sentiero abbastanza sicuro che lo attraversa situato nel margine nord-occidentale della foresta, ma poi li lascia, così fa anche Gandalf che ha degli importanti impegni al sud di Bosco Atro.

Nella foresta, nonostante gli avvertimenti ripetuti da Gandalf di non lascire il sentiero, Nani ed Hobbit si perdono e sono assaliti da Ragni Giganti. In questo caso è determinante l'aiuto di Bilbo che con l'anello magico dell'invisibilità salva tutti.

Sfortunatamente i Nani si fanno poi imprigionare dagli Elfi della foresta, di razza e di modi diversi rispetto a Elrond. Anche questa volta Bilbo riesce a salvarli e, bisogna dire, con la sua sola intelligenza e con le sue sole forze, ma sempre con l'aiuto indispensabile dell'anello.

La fuga dal palazzo di Tharanduil, re degli Elfi della foresta, avviene per mezzo di barili di provviste vuoti che gli Elfi sogliono spingere in un fiume per rimandarli alla città di Pontelagolungo (Esgaroth) da cui traggono le loro provviste, una città abbastanza ricca situata su Lago Lungo, molto vicino alla Montagna Solitaria ove alligna il drago Smog con il suo tesoro. Per la fuga dagli Elfi i Nani sono messi in barili sigillati da Bilbo che invece ne cavalca uno protetto dall'invisibilità che gli conferisce l'anello e 'sovrintende' alla discesa al lago.

A Esgaroth i Nani sono ben accolti per via di antiche profezie che il loro ritorno avrebbe permesso di scacciare il drago dalla Montagna Solitaria.

L'ultima tappa dell'avventura consisterebbe nell'arrivo alla Montagna e nello scacciare, o meglio, uccidere il drago e recuperare il tesoro; problema che i Nani e Bilbo incredibilmente non si erano preoccupati di risolvere in anticipo con un piano.

I Nani, sempre con l'aiuto di Bilbo, scoprono una porta segreta che il drago non conosce e Bilbo da essa scende nella grotta più grande dove si trovano drago e tesoro, lo deruba di una coppa del tesoro, mentre è ancora addormentato; Smog si sveglia, si accorge di uno strano spiffero che esce da qualche parte nella montagna, ma soprattutto si accorge che manca una coppa dal tesoro; questo lo fa infuriare ed uscire a perlustrare i dintorni e distruggere tutto ciò che vi trova. Stanco, torna a riposarsi nella sua tana e Bilbo va a parlare con lui, protetto dall'invisibilità, ha una conversazione con il drago e scopre che ha un punto del ventre che non è protetto dal tesoro su cui per tanto tempo è rimasto adagiato e che gli fa da corazza ventrale.

Smog, riposatosi, torna a perlustrare i fianchi della montagna alla ricerca del passaggio da cui sono entrati i suoi nemici, non lo trova, ma in una delle sue sfuriate contro i fianchi della montagna distrugge anche la porta segreta imprigionando Nani ed Hobbit dentro la montagna, ma non può raggiungerli dal di dentro a causa delle dimensioni troppo strette e della lunghezza del passaggio in cui si nascondono.

Sospettando degli Uomini del Lago, Smog decide di andare a distruggere la loro città, intanto Bilbo racconta ai Nani del punto debole del drago, ma lo ascolta anche un tordo la cui razza è sempre stata al servizio degli Uomini di Esgaroth. Mentre Smog sta distruggendo la città il tordo della Montagna avverte un arciere di nome Bard del punto debole del drago, gli dà quindi la possibilità di ucciderlo e Bard non sbaglia mira.

Frattanto Bilbo e i Nani esplorano la caverna escono dalla uscita principale e vengono a sapere da un altro uccello, un corvo imperiale questa volta, i cui antenati erano al servizio dei Nani della Montagna che il drago è stato ucciso, ma anche che dal Lago stanno arrivando due eserciti, quello degli Elfi della foresta e quello di Esgaroth. Gli avvenimenti precipitano, Thorin, il capo dei Nani non vuole spartire che con i suoi compagni e Bilbo il tesoro, gli uomini di Esgaroth vogliono ricevere l'indennizzo per i disastri che ha fatto il drago, gli Elfi intendono essere in qualche modo ripagati dell'aiuto prestato agli Uomini; Thorin, tramite i corvi, manda a chiamare i Nani di Dain suo cugino che vivono sui Monti Ferrosi.

Bilbo vede che i nani fortificano l'ingresso della Montagna Solitaria e capisce che si prospetta una grave situazione in cui Uomini ed Elfi finirebbero per combattere con i quattordici Nani barricatisi nella Montagna. Allora porta di nascosto l'Archepietra, una gemma a cui Thorin teneva più che a tutto il resto del tesoro e che Bilbo aveva preso prima che i Nani scendessero nella tana del drago, a Bard e al re degli Elfi che sono affiancati da Gandalf. Quindi ritorna dai Nani è ammette quanto ha fatto, naturalmente Thorin lo prende in odio e lo scaccia.

Quando arrivano i Nani di Dain sta per iniziare la battaglia, ma il cielo si oscura di un volo di pipistrelli e innumerevoli Orchi e Lupi sopraggiungono ai piedi della Montagna Solitaria; Gandalf riesce a convincere Uomini, Nani ed Elfi a fronteggiare uniti l'esercito degli Orchi e dei Lupi Mannari, così inizia la Battaglia dei Cinque Eserciti.

La vittoria va a Uomini, Nani ed Elfi, ma solo grazie all'arrivo della Grandi Aquile; purtroppo Thorin e altri del suo gruppo, trovano la morte in battaglia, ma prima di morire Thorin riesce a parlare a Bilbo e a chiedergli scusa.

Il tesoro viene quindi diviso in modo da soddisfare le richieste di tutti e Bilbo se ne torna a casa con un bel gruzzoletto insieme a Gandalf.

A casa, Bilbo Baggins scopre di essere stato "oggetto di una dichiarazione di morte presunta" e i suoi beni sono stati messi all'asta. Pur con conseguenze legali che si trascineranno per anni Bilbo riesce a far valere almeno in parte i suoi diritti, anche se molte sue cose preferisce riacquistarle senza aspettare i tempi giudiziari.

    1. Buoni e cattivi

Ci si potrebbe aspettare che questa fiaba, essendo raccontata secondo uno schema classico, presenti una chiara e netta distinzione tra buoni e cattivi. Se questo vale per Uomini Neri, Orchi, Lupi Mannari, Ragni Giganti e il drago, tutti invariabilmente cattivi, non vale forse completamente per Gollum, né tanto meno vale per i Nani, per gli Elfi, per gli Uomini e gli Hobbit; a quanto pare schierato totalmente dalla parte del bene c'è forse il solo Gandalf. Ora spiego in che termini ho inteso distinguere i buoni dai cattivi.

      1. I cattivi

Per prima cosa il gruppo degli invariabilmente cattivi nel modo di comportarsi, in quello che dicono e in quello che vogliono fare, ha in comune le seguenti caratteristiche: vivere alle spese di altre creature, mangiandosele dopo averle possibilmente torturate; derubare, o meglio, razziare chi gli capita a tiro e impadronirsi della maggior quantità possibile di cose che le loro vittime possiedono; odio verso tutte le creature diverse da loro, in particolare verso le creature meno cattive di loro; dominio della legge del più forte tra loro. Vi è l'eccezione della collaborazione tra Orchi e Lupi18:

I Mannari e gli Orchi si aiutavano spesso nelle loro azioni malvagie. [...] e talvolta (n.d.r. gli Orchi) cavalcavano i Mannari


che però in situazioni sfavorevoli può interrompersi19:

Già molti Orchi fuggivano giù per il fiume per sfuggire alla trappola; e molti dei lupi gli si rivoltavano contro e squarciavano morti e feriti


In secondo luogo i cattivi non hanno nessun tipo di cedimento a comportamenti positivi, afferrare, distruggere, ammazzare, mangiare sono i verbi che li caratterizzano; il drago aggiunge a queste belle qualità anche lo smisurato orgoglio e la inesauribile brama di ricchezze fine a se stessa.

La loro Natura sembra proprio essere malvagia nel profondo e le Azioni che compiono sono esclusive espressioni della loro Natura.

Dell'Utilità per Arda dell'esistenza di queste razze non si fa cenno diretto ne Lo Hobbit; quello che si ricava dalla lettura degli avvenimenti narrati è che in qualche modo tutti i danni e gli attacchi che i cattivi hanno fatto a Gandalf e compagni non li hanno fermati e in qualche caso sono stati loro propizi.

L'avventura con gli Uomini Neri una volta risoltasi ha permesso a Gandalf di mettere le mani su Glamdring e a Thorin su Orcrist, a Bilbo su Pungolo, armi molto potenti di cui Pungolo aveva addirittura il dono di illuminarsi all'avvicinarsi degli Orchi.

L'attacco degli Orchi al passo e l'imprigionamento dei Nani hanno permesso a Bilbo di trovare l'Anello e a Gandalf di uccidere il Grande Orco; l'attacco dei Lupi Mannari ha permesso alle aquile di trovare la compagnia rifugiatasi sugli alberi vicino al Grande Fiume; il fatto che Gandalf e compagni avessero sconfitto gli Orchi li fece entrare nelle grazie di Beorn, l'Uomo Orso. L'odio del drago che si è trasformato in frenesia di distruzione, ha permesso ai Nani di entrare nella sala del tesoro e soprattutto lo ha portato alla morte.

Ma forse la cosa più positiva che è nata dall'azioni dei cattivi è stato il sopraggiungere del grande esercito degli Orchi alla Montagna Solitaria, quando Nani, Elfi e Uomini di Pontelagolungo stavano per combattersi tra loro, l'arrivo di Orchi, Mannari e Animali malvagi ha contribuito in modo decisivo a compattare Nani, Elfi e Uomini contro il nemico comune.

Sul Senso del male che compiono i cattivi, non vi sono particolari indicazioni ne Lo Hobbit, i cattivi ci sono come in ogni fiaba che si rispetti e fanno i cattivi.

Gli Scopi del male dei cattivi è il puro soddisfacimento della loro Natura malvagia.

Il Destino dei cattivi è la sconfitta, però a breve scadenza nel tempo, o meglio, entro i limiti temporali in cui è raccontata la storia de la Riconquista del Tesoro, come recita il titolo alternativo che affianca Lo Hobbit.


      1. Gollum

La descrizione di Gollum, "un essere piccolo e viscido" che il narratore non sa da dove venga, né chi e cosa è, è ancora abbozzata, ma ha già alcune caratteristiche distintive: vive dentro la montagna uccidendo altre creature per mangiarsele (compresi gli Orchi) e presenta una personalità scissa in due, che si esprime in un continuo dialogo tra sé e il suo 'tesssoro mio' che è l'Anello, è certamente molto poco raccomandabile, è "ansioso di mostrarsi amichevole" solo perché ha poca fame e ha di fronte un estraneo con una spada, ma pone gli indovinelli, ha desiderio di giocare20:


e talvolta risolverli, era stato l'unico gioco cui avesse mai giocato con altre buffe creature che sedevano nelle loro caverne in un passato lontano lontano, prima di perdere tutti i suoi amici e di essere scacciato via, solo, e di scendere furtivamente nelle tenebre, sotto le montagne.


La narrazione degli indovinelli e l'accenno al ricordo di buffe creature simili a lui con cui viveva, se non cambia il giudizio del lettore sulla malvagità di Gollum, lo umanizza un po' differenziandolo sicuramente dagli Orchi, dai Mannari e dai Ragni Giganti. Anche per altri motivi, Gollum non è assimilabile neppure a Smog, il drago, per il quale Tolkien si preoccupa di fare un sommario approfondimento psicologico che tuttavia lo delinea come la personificazione dell'orgoglio, della presunzione e dell'animo vendicativo, devastatore e saccheggiatore. Le due voci di Gollum e il fatto che non muoia e maledica 'quel Baggins' lascia aperti gli sviluppi decisivi della storia de Il Signore degli Anelli, Gollum non è il classico cattivo sconfitto che scompare dal Mondo Secondario; un'altra particolarità di rilievo è l'atteggiamento di Bilbo verso Gollum appena prima del balzo con cui l'hobbit trova il coraggio di superare il suo nemico e di dirigersi verso l'uscita secondaria delle grotte degli Orchi21:


(n.d.r. Bilbo) Doveva combattere. Doveva pugnalare quel pazzo, cavargli gli occhi, ucciderlo. Voleva ucciderlo. No, non era un combattimento leale. Egli era invisibile adesso. Gollum non aveva una spada. Gollum non aveva ancora realmente minacciato di ucciderlo, o cercato di farlo. Ed era infelice, solo e perduto. Una improvvisa comprensione, una pietà mista ad orrore, sgorgò nel cuore di Bilbo: rapida come un baleno gli si levò davanti la visione di infiniti, identici giorni, senza una luce o una speranza di miglioramento: pietra dura, pesce freddo, strisciare e sussurrare.

Anche l'atteggiamento di Bilbo esula dai normali comportamenti dei buoni con i cattivi nelle fiabe e questo credo che, insieme alle altre peculiarità che ho ricordato, sia un elemento che contribuisce a differenziare Lo Hobbit dalle fiabe classiche e a suscitare in Tolkien il clima creativo grazie al quale poi nascerà Il Signore degli Anelli.

Per quanto riguarda il tema che sto trattando si può dire che in Gollum il male, seppure predominante, non sopprime del tutto la personalità di creatura libera di fare qualcosa di differente da azioni esclusivamente cattive, inoltre non riceve la punizione da cattivo che tante volte anche ne Il Silmarillion è accolta con sollievo dal lettore. Per rifarmi agli attributi del male, ne Lo Hobbit la posizione di Gollum si può riassumere così: l'Origine del male che compie, come nei cattivi integrali, qui non è spiegata (lo sarà ne Il Signore degli Anelli), a parte una oscura allusione al fatto di essere stato scacciato dalle 'buffe creature' con cui viveva; la Natura per ora non è chiaramente individuabile anche se a prima vista potrebbe sembrare caratterizzata da deformazioni fisiche e psicologiche di una creatura disgraziata, ma anche pericolosa; le Azioni sono riassunte nel modo in cui il mostriciattolo sopravvive nutrendosi di creature colte di sorpresa, uccise a mani nude e mangiate crude; relativamente all'Utilità di un simile individuo dal punto di vista del bene, si possono a buon diritto richiamare il fatto che uccida di tanto in tanto qualche Orco, ma soprattutto il fatto che, credendo di inseguire Bilbo per vendicarsi, gli indica la strada per uscire dalle grotte, il secondo effetto del male di Gollum si noti che è fondamentale per la riuscita di tutta l'avventura; Gollum all'inizio non ha altri Scopi che uccidere e nutrirsi, dopo, il nutrirsi diventa secondario rispetto al recuperare il 'suo tesssoro'; del Destino di Gollum ne Lo Hobbit non si dice nulla, Il Signore degli Anelli sarà la stupefacente risposta a questa domanda.


      1. I Nani

Sono l'esempio più interessante dell'esistenza di una certa gradazione nella rappresentazione di male e bene ne Lo Hobbit. I Nani ne Lo Hobbit corrispondono più o meno ai giudizi dati su di essi ne Il Silmarillion, la differenza rilevante è che ne Lo Hobbit c'è maggiore approfondimento anche delle loro caratteristiche positive e vengono descritti ad una scala per così dire individuale (cosa che ne Il Silmarillion accade solo per Mîm che tra l'altro è un nano un po' atipico): onestà, rispetto degli accordi, generosità nell'aiutare gli amici; a questo proposito è bene ricordare le parole di Thorin morente dopo la Battaglia, quando riconosce di essersi comportato male pretendendo di tenere per sé e per i suoi il tesoro del drago e cacciando Bilbo come traditore, nonostante fosse suo dovere ricompensare equamente tutti coloro che avevano contribuito a sconfiggere il drago e gli orchi.

Ma poiché l'argomento di cui sto trattando è il male o gli atteggiamenti malvagi, devo cercare di individuare questi.

Già al primo incontro con Bilbo i Nani lasciano intravedere un temperamento orgoglioso e presuntuoso che si può notare ad esempio in come trattano lo scassinatore Bilbo proposto da Gandalf e come non valutano in modo sufficientemente prudente il pericolo del drago. Più avanti nel racconto anche la loro brama di possesso viene disapprovata da Elrond quando si fa mostrare la mappa della montagna22:

La prese e la fissò a lungo, e scosse la testa; poiché se non approvava interamente i nani e il loro amore per l'oro...


I Nani sono tentati di tenersi i ponies di Beorn e di non mantenere la promessa di restituirli al loro proprietario e rinunciano al progetto solo perché Gandalf li avverte che Beorn li ha seguiti e che può essere molto pericoloso se viene imbrogliato (lungi dall'essere scusabile, questo atteggiamento disonesto è forse in qualche modo comprensibile dato che la compagnia sta effettivamente entrando in una situazione in cui i ponies potrebbero fare la differenza tra la vita e la morte).

Quando la compagnia è alla Montagna Solitaria vi sono alcune descrizioni succinte, ma interessanti del carattere dei Nani. Appena dopo l'apertura della porta segreta della Montagna23:

Questo è il punto: i Nani non sono eroi, bensì una razza calcolatrice con un gran concetto del valore del denaro; alcuni sono una massa infida, scaltra, e pessima da cui tenersi alla larga; altri non lo sono, anzi sono tipi abbastanza per bene come Thorin e Compagnia, sempre però che non vi aspettiate troppo da loro.


E poi quando i Nani si trovano in presenza del tesoro24:

Una semplice occhiata lanciata di sfuggita al tesoro mentre avanzavano aveva riacceso tutta la brama dei loro cuori naneschi; e quando il cuore di un nano, anche il più rispettabile, è risvegliato da oro e gioielli, diventa improvvisamente ardito e può diventare feroce.


Si potrebbero rinvenire altri avvenimenti in cui risaltano gli atteggiamenti negativi dei Nani e tutta la vicenda della Battaglia dei Cinque Eserciti dà l'idea soprattutto dell'orgoglio e della brama di possesso della loro razza.

Concludendo, i Nani ne Lo Hobbit risultano corrispondere al ritratto che già ne Il Silmarillion ne era stato fatto, ma con una maggior sottolineatura di una certa onestà e generosità di fondo che permettono loro, o almeno ai loro rappresentanti di cui ci sono narrate le gesta, di essere annoverati tra i buoni e quindi contro tutte le creature al servizio del male e contro il rappresentante più esimio di esso, il Negromante (che, come sappiamo da Il Signore degli Anelli, è Sauron)

Per tornare allo schema degli attributi del male si può dire che:

«Io vado nelle sale di attesa a sedermi accanto ai miei padri, finché il mondo non sia rinnovato. Poiché l'oro e l'argento abbandono, e mi reco là dove essi non hanno valore, desidero separarmi da te in amicizia, e ritrattare quello che ho detto e fatto alla Porta» [...]

«[...]Se un maggior numero di noi stimasse cibo, allegria e canzoni al di sopra dei tesori d'oro, questo sarebbe un mondo più lieto[...]»


      1. Bilbo

Il fatto che sia il personaggio principale permette di analizzare abbastanza bene il suo comportamento, per quanto, a proposito del male, non ci sia molto da dire. È senza dubbio un eroe positivo, o è forse possibile anche dire che sia un anti-eroe positivo; le sue caratteristiche di creatura di piccole dimensioni piuttosto debole, non abituata alle avventure pericolose e amante del quieto vivere, almeno nella sua parte 'Baggins' (rispettabile famiglia secondo il metro di misura Hobbit, una famiglia cioè che non contava, tra i suoi membri, 'strani' personaggi amanti delle avventure), ne farebbero una persona inadatta a lavorare come 'scassinatore' o guerriero. Tuttavia vive o almeno si fa trascinare in un mondo in cui bisogna fare i conti con nemici e con difficoltà che obbligano a fare scelte.

Le scelte che si trova a fare implicano il rischio di errori di valutazione, ma anche di colpe vere e proprie, cioè di comportamenti malvagi. Vediamo dove si può porre il problema del male, nei comportamenti di Bilbo.

Non ci sono molti punti del racconto che richiedono spiegazioni sul male se si esclude a priori l'uccisione dei Ragni Giganti che avviene in una vera e propria battaglia.

L'orgoglio 'Tuc' e la conseguente avventatezza che prendono Bilbo quando si sente sbeffeggiato dai Nani e che gli fa decidere di partire per l'avventura è poco più che senso di dignità, il risultato di questo atteggiamento è l'ingresso nel mondo dei pericoli e dell'avventura, disprezzabile per gli Hobbit che si autodefiniscono di buon senso, ma premessa indispensabile per gli eventi de Lo Hobbit e per la crescita di Bilbo come persona. Sempre questo orgoglio è all'origine del comportamento temerario, che Bilbo mette in atto per essere riconosciuto veramente come scassinatore, di tentare il furto ai danni degli Uomini Neri, l'effetto di questo atteggiamento è disastroso, si può riferire, molto alla lontana e in senso analogico, alla Sofferenza come Pena per il Peccato, ma l'arrivo provvidenziale dell''angelo custode' Gandalf, riduce i danni, anzi, contribuisce a trasformare il pericolo degli Uomini Neri nell'occasione di mettere le mani su armi che saranno molto utili nel prosieguo dell'avventura (v. 7.4.1I cattivi, nel passo sugli Uomini Neri).

L'episodio di Gollum visto alla luce del comportamento di Bilbo evidenzia: l'impossessamento di un oggetto trovato per caso, lo stratagemma dell'indovinello improprio: "Cosa ho in tasca?" e la coscienza della slealtà nella risposta non resa nota a Gollum. Il primo e il secondo comportamento rientrano nella logica dei rapporti umani ed è difficile sostenere che siano malvagi. In questa fase del racconto non siamo in una città della Contea o in Esgaroth, in cui tutti si conoscono e potrebbe vigere la consuetudine di ridare gli oggetti a chi li ha perduti, ammesso che siano riconoscibili; Bilbo si trova solo in un luogo selvaggio in cui chiunque può essere un nemico e in cui sopravvivere è l'obiettivo principale, trovare un oggetto è una occasione da cogliere al volo. La domanda "Cosa ho in tasca?" è giustificata dal fatto che Gollum alla fine l'aveva accettata come indovinello26:

«Non vale! Non vale!» sibilò «Non vale tessoro mio, non vale chiederci cos'ha nelle sssue brutte tassscacce!».

Rendendosi conto di quanto era successo e non avendo niente di meglio da chiedere, Bilbo insistette nella sua domanda: «Che cosa ho in tasca?» disse a voce più alta.

«Sss!» sibilò Gollum. «Deve farci dare tre risssposte, tesssoro mio, tre risssposte!»


Un po' diverso potrebbe sembrare il rifiuto di Bilbo di rendere nota la risposta alla domanda su cosa aveva in tasca, il non mostrare cosa ha in tasca è una slealtà, ma ormai l'incontro tra Gollum e Bilbo sta trasformandosi in scontro e Bilbo intuisce che qualunque cosa decida di fare, fargli vedere cosa ha in tasca o non farglielo vedere, Gollum ha ormai deciso di ucciderlo27

Ma Bilbo era seccato del ritardo. Dopo tutto il gioco lo aveva vinto lui, abbastanza correttamente del resto, correndo un rischio orrendo. «Le risposte andavano indovinate, non date». Disse. [...]

Bilbo non poteva indovinare che cosa avesse sconvolto quell'essere miserabile, ma vide che il gioco era finito e che Gollum aveva intenzione di ucciderlo a tutti i costi.


Tutto sommato quindi fino a questo punto il male compiuto da Bilbo è giustificabile, il discorso vale anche per la già citata battaglia con i Ragni Giganti, come per l'aiuto portato ai Nani prigionieri del re degli Elfi e i furti compiuti per sfamarsi nelle grotte degli Elfi.

L'ultimo episodio di cui credo sia necessario occuparsi è l'appropriazione dell'Archepietra e il tradimento, per lo meno dell'etica professionale di scassinatore, che tale appropriazione rappresenta28:

La grossa gemma sfolgorava ai suoi piedi di luce propria e tuttavia, tagliata e polita dai Nani, che l'avevano estratta tanto tempo prima, assorbiva tutta la luce che vi cadeva sopra e la trasformava in migliaia di scintille di bianco fulgore screziato di riflessi iridescenti.

Improvvisamente il braccio di Bilbo si protese verso di essa attratto dal suo incanto. La sua piccola mano non riusciva a contenerla, perché era una gemma grossa e pesante; ma egli la raccolse, chiuse gli occhi e la mise nella più profonda delle sue tasche.

«Adesso si che sono uno scassinatore!» pensò. «Ma suppongo che dovrò informare i nani – una volta o l'altra. Dopo tutto hanno detto che potevo prendere e scegliere la mia parte; e penso che prenderei questa lasciandogli tutto il resto!» Ciò nonostante aveva la sgradevole impressione che il prendere e lo scegliere non avessero incluso questa meravigliosa gemma, e che in seguito ne sarebbero nati guai.


Bilbo stesso si rende conto che la sua appropriazione è, almeno in parte, indebita. Il possesso dell'Archepietra fa poi fare a Bilbo la scelta di metterla nelle mani di Uomini, Elfi e Gandalf, tradendo la fiducia dei Nani.

I due comportamenti sotto accusa questa volta sono il furto e il tradimento, il primo ha poche scusanti, a parte la giustificazione che ne dà Bilbo con il diritto al suo quattordicesimo del tesoro, a cui non crede neppure lui, il secondo invece è tutto tranne che vero tradimento, primo perché è fatto senza alcun fine egoistico e secondo perché comprende il ritorno dai Nani e la confessione della 'malefatta' con l'accettazione di tutte le conseguenze che ne derivano.

Concludendo l'unica Azione che può essere chiamata cattiva in senso pieno è il furto, le cui conseguenze però, in special modo proprio grazie al comportamento altruista di spossessamento e di sacrificio (che compensa ampiamente la colpevole Azione del furto), sono del tutto positive e fanno sì che l'avventura si concluda con la sconfitta del male, sia quello delle creature malvagie che quello degli atteggiamenti cattivi di chi è annoverato tra i buoni.

Di Origine e Natura del male in Bilbo è molto difficile parlare, la sua Libertà (condizionata ovviamente dalle circostanze in cui è esercitata) di creatura intelligente è l'unico motore delle sue scelte.

Delle Azioni ho ampiamente parlato e rimando alle considerazioni di cui sopra.

Un'Utilità del male, se ci limitiamo a quello che ho ritenuto male senza scusanti, e cioè il furto dell'Archepietra, si può ricavare l'indicazione che quando il male viene compensato dalla ammissione della colpa può addirittura essere fonte di bene maggiore, questa riflessione non è discordante rispetto alle parole di Ilúvatar che ho riportato all'inizio del lavoro: "E tu Melkor t'avvedrai che nessun tema può essere eseguito, che non abbia la sua più remota fonte in me, e che nessuno può alterare la musica a mio dispetto. Poiché colui che vi provi non farà che comprovare di essere mio strumento nell'immaginare cose più meravigliose di quante egli abbia potuto immaginare". Se Bilbo non avesse rubato la Archepietra (e poi non avesse avuto il comportamento altruistico e di sacrificio che ha avuto), si possono immaginare conseguenze gravi a tal punto da compromettere la vittoria del bene nel racconto, se non addirittura la prosecuzione della storia ne Il Signore degli Anelli.

Lo Scopo del furto nel momento in cui viene eseguito non è molto chiaro, ma sembra che Bilbo sia semplicemente conquistato dalla bellezza dell'Archepietra.

Il Destino del male direi che viene deciso dalla successiva azione di rinuncia e sacrificio che decide di fare Bilbo: il male è in un certo senso annullato.

      1. Gandalf e la Provvidenza ne Lo Hobbit

A Gandalf è difficile imputare qualche azione malvagia o intento malevolo, i combattimenti con Orchi e Lupi Mannari sono vere e proprie battaglie contro il male e quindi giustificabilissimi. Gli stratagemmi messi in atto nei confronti di Bilbo (lo spacciarlo per scassinatore e il far arrivare i Nani a piccoli gruppi per volta a casa sua) e quello nei confronti di Beorn (ancora il metodo dell'arrivo degli ospiti indesiderati a piccoli gruppi) sono fatti a ragion veduta e a esclusivo fin di bene.

In pratica Gandalf è stato indispensabile per portare a buon fine quasi tutti gli eventi de Lo Hobbit: ha fatto buon uso della sua conoscenza di fatti, della sua intuizione e di quella capacità di inquadrare gli avvenimenti e stabilirne gli esiti che si vedrà meglio ne Il Signore degli Anelli e che si può anche apprezzare ad esempio nei Racconti Incompiuti (una delle numerose raccolte dei testi di Tolkien fatte da suo figlio Christopher). Tuttavia ritengo che già ne Lo Hobbit, ci si possa domandare dell'esistenza di una qualche forma di guida benigna degli eventi; come nel descrivere Morgoth all'apice del suo dominio sulla Terra-di-mezzo ho usato il termine Anti-Provvidenza, non credo che sia improprio porsi una corrispondente domanda sulla Provvidenza ne Lo Hobbit e poi, in modo ancora più appropriato ne Il Signore degli Anelli. Per quanto riguarda Lo Hobbit, Gandalf dà l'impressione di conoscere molte linee degli avvenimenti che si stanno verificando nel mondo e anche molte dinamiche di comportamento nei fatti a cui sta assistendo e un'analisi del suo ruolo potrebbe essere la chiave per rispondere alla domanda. La sua stranissima scelta di Bilbo come scassinatore, quel suo assentarsi inspiegabilmente più volte, il comparire inaspettato, fanno di Gandalf un personaggio misterioso, che però nel momento del bisogno, se presente, dimostra di essere degno di grandissima fiducia e capace di individuare con chiarezza nel dipanarsi delle vicende della Terra-di-mezzo le mosse da compiere per risolvere le situazioni contingenti. In particolare la sua azione degna di maggior nota è la scelta e la difesa strenua di Bilbo come scassinatore, il fatto che Bilbo nel corso dell'avventura diventi sempre più affidabile nel suo ruolo e specialmente il suo casuale ritrovamento dell'Anello lasciano aperta la porta a una interpretazione provvidenziale degli avvenimenti che Gandalf dimostrerebbe di essere stato in grado di cogliere, tuttavia, forse, il testo de Lo Hobbit non fornisce sufficienti indizi per dire che la Provvidenza possa essere considerata il motore degli eventi.


      1. Altri personaggi

I personaggi, non annoverabili tra i completamente cattivi, che si possono considerare minori non sono pochi, ma non credo che sia essenziale analizzarli uno per uno; ne Lo Hobbit risultano avere in comune quasi tutti (eccettuato il sindaco di Esgaroth con la sua passione per i propri affari e i Sackville-Baggins, parenti poco raccomandabili di Bilbo che cercano di sfruttare una dichiarazione di morte presunta di Bilbo per appropriarsi dei beni dal loro 'congiunto') il senso della proprietà e dell'equità, nessuno, tranne Thingol e forse Bard, appare privo di un certo interesse personale in quello che fa, ma in generale questo interesse non ha il carattere di atteggiamento pienamente o invariabilmente malvagio, il re degli Elfi si preoccupa in primo luogo della sicurezza del suo popolo, pur non disdegnando di accarezzare l'idea di trar profitto dal tesoro del drago, sempre però intendendo questo profitto come una giusta ricompensa per l'aiuto prestato agli Uomini del Lago; per fare qualche riferimento a figure trascurabili del racconto, le guardie degli elfi si dimostrano piuttosto sensibili al piacere del bere, se anche questo non lo si volesse chiamare un male, è per lo meno un atteggiamento pericoloso per chi ha il dovere di proteggere dagli intrusi il suo territorio; Beorn vive in una zona di frontiera e la sua casa è esposta a gravi rischi di saccheggio da parte di Orchi e Lupi, per cui è ben comprensibile la diffidenza verso qualsiasi straniero che bussi alla sua porta. Si può presumere che tutti i parenti vicini e lontani di Bilbo in occasione della dichiarazione di morte presunta abbiano colto l'occasione per aggiungere oggetti alla loro dotazione famigliare, ma Tolkien si premura di osservare29:

In breve, Bilbo era stato oggetto di una dichiarazione di morte presunta, e non tutti quelli che lo avevano dichiarato furono spiacenti di scoprire che la presunzione era illegittima.


Questo credo sia un palese riconoscimento che, accanto al senso della proprietà personale, nelle creature senzienti che non hanno avuto contatti troppo stretti o coercitivi col male viene esercitato liberamente anche il rispetto della giustizia.

Data la scarsità e la frammentarietà della informazioni sui personaggi minori credo sia superfluo richiamare gli attributi del male in riferimento a essi.

    1. Le soluzioni della teodicea ne Lo Hobbit

Ho voluto aggiungere questo paragrafo per completezza anche se ritengo che un analisi di questo tipo sia applicabile con qualche riserva ad una fiaba, per quanto essa sia fantasiosa, di grande qualità e di contenuto significativo.

La Reductio in Mysterium, ammesso che la si possa considerare una soluzione consciamente introdotta da Tolkien ne Lo Hobbit, è presente, almeno nel senso che nel racconto non si spiega l'origine del male negli esseri malvagi.

Il Dualismo, se è presente, è certamente non ontologico, cioè lo si può vedere come uno scontro tra poteri buoni e cattivi che sono però circoscritti a luoghi e tempi finiti e il cui massimo livello risulta essere lo scontro politico-militare tra Gandalf con il Bianco Consiglio, rappresentanti dei buoni, e il Negromante, rappresentante dei cattivi.

Il male come Privatio Boni, non sembra essere in alcun modo richiamato.

La Sofferenza come Pena per il Peccato l'ho richiamata un paio di volte, ma in occasione di situazioni e personaggi per i quali è risultata fuori luogo. Se proprio si vuole cercare qualcosa di simile, la sconfitta dei cattivi, ingrediente di ogni fiaba che si rispetti, e anche de Lo Hobbit, è una Punizione meritata; tuttavia il richiamo al Peccato non è appropriato perché presuppone la Libera decisione di fare il male, che, come vedremo di seguito a proposito del Libero Arbitrio, per le creature malvagie non è contemplata ne Lo Hobbit.

Il Libero Arbitrio ritengo si possa considerare una dotazione di tutti i personaggi non completamente malvagi; senza dubbio, tuttavia, è una Libertà che può subire condizionamenti, l'esempio dei Nani da questo punto di vista è illuminante, vengono definiti almeno due volte una razza che ha tra le proprie caratteristiche intrinseche il fatto di lasciarsi prendere dalla brama della ricchezza; anche in Gollum la scelta di mettersi a giocare agli indovinelli lo fa sembrare per lo meno dotato della Libertà di un ragazzino. Al contrario, tra i malvagi, ne Lo Hobbit sembra non albergare alcuna Libertà che non sia quella di scegliere che tipo di atti malvagi compiere.

La creazione come processo in evoluzione verso il libero esercizio della bontà è una soluzione applicabile a scala cosmogonica, mentre alla specifica scala del racconto di singoli fatti e comportamenti a cui viene narrato Lo Hobbit, non parrebbe avere significato. Se però esaminiamo attentamente il cammino, per così dire spirituale, di Bilbo, si nota che: dal primo contatto con i Nani a casa sua, quando è combattuto tra il desiderio di avventura e quello del quieto vivere (atteggiamento in fin dei conti puramente auto-centrato, egoistico), passa a timidi e goffi comportamenti avventurosi, e gradualmente ad azioni di notevole eroismo e di altruismo (ad esempio con i Ragni Giganti, nel palazzo del re degli Elfi o con il Drago), per concludere le sue vicissitudini con la disponibilità, per amore della pace, alla compromissione dell'amicizia con i suoi compagni di avventura e al sacrificio, forse anche della vita, quando ritorna tra i Nani asserragliati dentro la Montagna Solitaria dopo aver consegnato l'Archepietra a Uomini, Elfi e Gandalf. Bilbo, così facendo, dimostra di essere cresciuto spiritualmente a tal punto da essere capace di donarsi totalmente alla causa della pace tra tre popoli che, se si scontrassero, sarebbero sopraffatti dagli Orchi e dai Lupi (cioè, in un certo senso dal male) fino a scomparire completamente e questo, se non è un esempio di evoluzione della creazione verso il libero esercizio della bontà, ne è per lo meno un significativo modello a scala individuale.

    1. Conclusione

Mi pare che anche l'analisi de Lo Hobbit, nonostante il particolare stile narrativo, sia stata proficua e abbia permesso di individuare soddisfacenti e significative linee di approfondimento della tematica del male anche in un'opera certamente meno densa di contenuti sia de Il Silmarillion che de Il Signore degli Anelli.

Non mi resta che intraprendere l'ultima tappa dell'esplorazione delle questioni connesse con la teodicea nel Mondo Secondario di Tolkien, il problema del male ne Il Signore degli Anelli.

1 pag. 332, Il Silmarillion

2 pag. 351, Il Silmarillion

3 pag. 351, Il Silmarillion

4 pag. 353, Il Silmarillion

5 pag. 351, Il Silmarillion

6 pag. 394-398 J.R.R. Tolkien, Morgoth's Ring; Part Five, Myths Transformed, Text VII (i)(ii)(iii), London, 1994, Harper Collins

7 pag. 397 J.R.R. Tolkien, Morgoth's Ring; Part Five, Myths Transformed, Text VII (i)(ii)(iii), London, 1994, Harper Collins

8 pag. 396 e pag. 397, J.R.R. Tolkien, Morgoth's Ring; Part Five, Myths Transformed, Text VII (i)(ii)(iii), London, 1994, Harper Collins

9 pag. 359, Il Silmarillion

10 pag. 370, Il Silmarillion

11 Humphrey Carpenter (pag. 231 J.R.R. Tolkien - la biografia, Roma, 2002, Fanucci Editore) a questo proposito dice: 'Perché di una storia per bambini si tratta. Al di là del fatto che è stata inglobata nella sua mitologia, Tolkien non le permise di diventare troppo seria e di assumere tono da adulti, [...]. ...la prima stesura... contiene un gran numero di interventi del tipo: 'ora ne sai abbastanza per andare avanti' o 'come vedremo alla fine'. In seguito rimosse buona parte di queste intromissioni... " .

12 pag. 12-17, Tom Shippey, J.R.R. Tolkien Author of the Century, London, 2000, HarperCollinsPublishers.

13Ancora Humphrey Carpenter (pag. 239, Humphrey Carpenter, J.R.R. Tolkien - la biografia, Roma, 2002, Fanucci Editore) richiama una lettera di Tolkien all'editore de Lo Hobbit, Unwin, in cui l'autore dice: "Quella di Mr Baggins è iniziata come una storia comica fra convenzionali e inconsistenti gnomi usciti dalle fiabe dei fratelli Grimm, e poi è arrivata ai limiti estremi della fiaba..."

14 per trovare riscontri a questa considerazione si legga: pag. 112-113, J.R.R. Tolkien Author of the Century, London, 2000, HarperCollinsPublishers

15 pag. 230, Humphrey Carpenter, J.R.R. Tolkien - la biografia, Roma, 2002, Fanucci Editore

16 pag. 65, Emilia Lodigiani, Invito alla lettura di Tolkien, Milano, 1982, Mursia editore S.p.A.

17 pag. 13, J.R.R. Tolkien, Lo Hobbit, Milano, 1973, Adelphi Edizioni S.p.A.

18 pag. 121, Lo Hobbit

19 pag. 318, Lo Hobbit

20 pag. 92, Lo Hobbit

21 pag. 106, Lo Hobbit

22 pag. 69, Lo Hobbit

23 pag. 243, Lo Hobbit

24 pag. 271, Lo Hobbit

25 pag. 324, Lo Hobbit

26 pag pag. 271, Lo Hobbit. 98-99, Lo Hobbit

27 pag. 102, Lo Hobbit

28 pag. 270, Lo Hobbit

29 pag. 338, Lo Hobbit