«“Quale storia, mi chiedo” disse Gandalf»

Tolkien è il vero ladro dell’Anello?


di Michael Scott Rohan




Devo confessare che questo intervento è nato da uno scoppio d’irritazione, un inizio tra i meno promettenti forse, e se avrete un attimo di pazienza capirete perché. Riguarda Il Signore degli Anelli e un’altra grande opera epica e, soprattutto, inizia e finisce con degli idioti.

Sicuramente avete fin troppa familiarità con questo genere di persone, quegli auto-proclamati letterati che coltivano l’abitudine di congedare Tolkien con comode frasi incisive ma senza avere un argomento ponderato, solamente una riga usa e getta concepita per far riconoscere il loro status di “ben pensanti”. Raramente risultano essere originali e spesso sembrano seguire delle mode: infatti, non appena Robert Giddings e Howard Jacobson hanno dichiarato che tutti i personaggi di Tolkien sono come scolari pubblici tutti lo hanno ripetuto. Si può quindi pensare che abbiano un sito web, o forse c’è un servizio come il club della Mortificazione del Mese.

C’è però una vecchia e fedele idiozia che sembra sia stata riscoperta ultimamente. L’ho sentita quest’anno sotto varie forme da molti “chiacchieroni” letterari, tra cui l’incessante denigratore di Tolkien, Philip Pullman, e più recentemente dall’archetipico “giovane conservatore”, A.N. Wilson.1 In breve, essa afferma che Tolkien ha semplicemente rubato in blocco Il Signore degli Anelli dall’opera L’Anello dei Nibelunghi di Wagner. A ciò Wilson ha aggiunto il suo particolare commento, ossia che Tolkien «è terribilmente derivativo […] prendendo semplicemente la storia dell’Anello da Wagner e cogliendo da essa il suo interesse religioso e sessuale».

Be’… l’Anello di Wagner, eh? L’idea è in parte plausibile e i lettori più colti hanno una conoscenza sufficientemente superficiale di entrambe le opere da trovarla credibile. Entrambe le opere, infatti, sono grandi e vasti racconti epici, entrambe affondano le radici nella mitologia nordeuropea (ciò che era chiamato “la materia del Nord” così come Artù era “la materia d’Inghilterra”), entrambe hanno a che fare con grandi lassi di tempo e forze naturali e soprannaturali. E, cosa più significativa, entrambe sono incentrate sulla creazione e distruzione di un Anello che incarna il potere di dominare il mondo. Per molte persone l’accusa si baserà così solo su questi punti e non guarderanno oltre. Ovviamente tale accusa fu lanciata per la prima volta quando Tolkien era ancora in vita ed egli, com’è ben noto, la rifiutò: «Entrambi gli anelli erano rotondi, ma qui la somiglianza finisce».2 Non è però necessario guardare troppo a fondo per capire che tutto ciò è semplicemente falso. Nel suo volume La via per la Terra di Mezzo3 Tom Shippey ha sottolineato alcune corrispondenze generalmente percepite: gli indovinelli, le immagini del fuoco purificatore, la spada in frantumi conservata per un erede e il tema dell’Anello che rende schiavo chi lo indossa. Egli ritiene che il rifiuto di Tolkien fosse una reazione alla conoscenza di seconda mano che Wagner aveva di queste fonti mentre la sua, al contrario, era diretta e dettagliata, così che ai suoi occhi tali somiglianze superficiali apparivano come profonde differenze.

Ciò è indubbiamente vero e ben argomentato, fin dove può esserlo, tuttavia l’accusa persiste. Alcune persone profondono grandi sforzi nel compilare liste di corrispondenze, altre nel giustificarle. Il problema, però, è che le persone che gridano al plagio generalmente non conosco molto bene Tolkien, se lo hanno mai effettivamente letto (non sempre è così, come uno o due casi hanno dimostrato in modo imbarazzante), e pochi tolkieniani conoscono altrettanto bene Wagner. Eppure, sia la creazione del compositore sia quella dell’autore hanno ampie dimensioni della cultura, quasi insondabilmente profonde: in Wagner la sua importantissima musica, in Tolkien la prospettiva temporale del mito, della storia e del linguaggio, ugualmente intrecciata ed evolutiva. Per poter fare un qualsiasi ragionevole confronto bisogna conoscere ed apprezzare entrambi almeno in parte.

Troppo spesso entrambe le parti del contenzioso sono come due litiganti in una cantina buia che si sferrano l’un l’altro violenti colpi ma senza mai comunicare in modo veramente decisivo. Sono un lettore di Tolkien fin dall’adolescenza, e il mio rispetto nei suoi confronti è aumentato da quando ho iniziato a scrivere opere dello stesso genere, ma nell’altra mia professione si suppone che io sia una specie di autorità su Wagner. Di conseguenza, vista l’irritazione che Wilson mi ha provocato, ho deciso di affrontare nuovamente la questione e vedere se sono in grado di raggiungere qualche ragionevole valutazione. Ovviamente un breve intervento come questo non esaurirà l’argomento, ma ha comunque fornito alcuni risultati che mi hanno sorpreso non poco.

Le accuse secondarie di Wilson non sono così difficili da liquidare. Interesse sessuale? Ma cosa c’è nell’Anello di Wagner da cui attingere? Benché vi siano abbondanti elementi sessuali, vi è relativamente poco di puramente o specificamente relativo all’interesse sessuale poiché nell’opera l’enfasi è sull’amore: in Wagner, infatti, il peggior peccato è comprare o vendere amore. L’episodio più straordinariamente orientato al sesso è il breve amore incestuoso dei gemelli volsunghi, separati durante l’infanzia, il cui frutto è la nascita dell’eroe Sigfrido, anche se di fatto ciò non ha origine con Wagner ma con la Volsungasaga norrena che fu la fonte primaria di Wagner per l’Anello. Ma, cosa piuttosto divertente, si dà il caso che anche Tolkien abbia utilizzato esattamente questo episodio, anche se in modo molto differente, non però nel Signore degli Anelli bensì nel ben anteriore Narn i Hîn Hurin. Essendo così ben lontano dall’attingere da Wagner, Tolkien lavora parallelamente e in modo completamente indipendente.

In merito al significato religioso, ancora una volta sembra che Wilson sia piuttosto confuso. Wagner è, per inciso, antireligioso e anticlericale: ciò può essere visto come una sorta di significato religioso, ma difficilmente è fondamentale nell’Anello. L’intero tema dell’opera, infatti, è che l’uomo deve evolvere da solo per vivere pienamente gettando via datate e rigide idee disumane di moralità per consultare solamente la bontà del suo cuore. Mentre penso non sia necessario qui ricordare quanto profondamente la religione cristiana permeasse l’universo di Tolkien sotto ogni aspetto, creando una moralità tollerante di tipo cristiano in un era precristiana. Se Tolkien ha aggiunto qualcosa, è certo l’interesse religioso.

Ma aggiunto a cosa? Perché quando si arriva all’accusa maggiore, le cose sembrano diverse. Sono giunto a pensare che essa persista perché, in effetti, vi sono molte più profonde similitudini tra i due grandi Anelli rispetto a quelle che sono solitamente considerate, e la relazione tra Tolkien e Wagner è molto più profonda. Abbastanza profonda da giustificare Wilson e Pullman? Lo vedremo.

Come ho sottolineato, diverse persone nel corso degli anni hanno compilato laboriosamente elenchi di corrispondenze tra i due Anelli, così ho deciso di provare a valutare le migliori e aggiungerne molte altre trovate da me. Ho riscontrato che parecchie apparenti corrispondenze sono del tutto prive di significato essendo basate sull’ignoranza, solitamente dell’opera di Tolkien. Ad esempio, un’ipotetica corrispondenza paragona gli dei di Wagner che assoldano i giganti per costruire il Valhalla agli Elfi che “utilizzano” Sauron come aiuto per forgiare i loro Anelli, cosa che certamente non hanno fatto; e i giganti, benché ostili, non sono naturalmente malvagi, al contrario di Sauron. Altri parallelismi sono semplicemente troppo remoti per essere altro che semplici coincidenze: Éowyn, la fanciulla d’arme che sfida il padre, paragonata a Brunilde, la Valchiria che sfida il padre, senza tenere conto della natura molto differente dei padri e delle disobbedienze, per non citare quella delle stesse Éowyn e Brunilde.

Ma anche dopo aver sfrondato questo genere di cose e avendo lasciato solo le somiglianze che hanno una qualche sostanza, mi sono trovato davanti una lista di parallelismi piuttosto interessante. Eccola qui di seguito:







L’Anello di Wagner



  1. Ambientato nella ricreazione di un leggendario mondo nordico.

  2. Un grande fiume come elemento centrale.

  3. Alberich forgia l’Anello di potere per scopi malvagi.

  4. L’Anello conferisce la potenzialità di dominare il mondo.

  5. L’Anello è maledetto e tradisce il portatore.

  6. Il potere maligno è chiamato Signore dell’Anello.

  7. Fafner uccide il fratello Fasolt per ottenere l’Anello.

  8. Fafner, trasformato, si nasconde poi in una caverna per secoli.

  9. Nibelheim, regno dei Nani.

  10. Gioco degli indovinelli tra Odino e il piccolo e malvagio Mime.

  11. Un drago veglia un importante tesoro.

  12. Ed è ucciso da un eroe.

  13. L’eroe è aiutato da un uccello parlante.

  14. Sigfrido eredita i frammenti della spada del padre e la riforgia per far riconoscere la sua identità e liberare il mondo.

  15. Brunilde rinuncia all’immortalità per amore dell’eroe Sigfrido.

  16. Gli dei rinunciano al mondo e aspettano la fine.

  17. Brunilde si immola con l’Anello mettendo fine al suo potere.

  18. L’omicida Hagen cade nel fiume Reno e muore mentre cerca di recuperare l’Anello.

  19. L’Anello e la sua corruzione sono distrutti in un cataclisma catartico.

  20. Il lungo regno degli dei è finito.

  21. Il mondo è lasciato agli uomini per intraprendere un nuovo inizio.



L’Anello di Tolkien



  1. Ambientato nella ricreazione di un mondo essenzialmente nordico

  2. Un grande fiume come elemento piuttosto centrale.

  3. Sauron forgia gli Anelli di Potere per scopi malvagi.

  4. L’Anello conferisce la potenzialità di dominare il mondo.

  5. L’Anello è malvagio e tradisce il portatore.

  6. Il potere maligno è chiamato Signore degli Anelli.

  7. Sméagol uccide il cugino Déagol per ottenere l’Anello.

  8. Sméagol, trasformato, si nasconde poi in una caverna per secoli.

  9. Moria, regno dei Nani.

  10. Gioco degli indovinelli tra Bilbo e il piccolo e malvagio Gollum.

  11. Un drago veglia un importante tesoro.

  12. Ed è ucciso da un eroe.

  13. L’eroe è aiutato da un uccello parlante.

  14. Aragorn eredita i frammenti della spada del padre e la fa riforgiare, analogamente.



  1. Arwen rinuncia all’immortalità per amore dell’eroe Aragorn.

  2. Gli Elfi si ritirano dal mondo e aspettano la fine.

  3. Gollum si immola con l’Anello mettendo fine al suo potere.

  4. L’omicida Gollum cade in un fiume di fuoco e muore cercando di ottenere l’Anello.

  5. L’Anello e la sua corruzione sono distrutti in un cataclisma catartico.

  6. Il lungo regno degli Elfi è finito.

  7. Il mondo è lasciato agli uomini per intraprendere un nuovo inizio.



Una ventina di punti: alcuni specifici, alcuni generali, alcuni riguardo avvenimenti, alcuni riguardo luoghi.4 Non così tanti, certamente, ed è comunque possibile attaccarne alcuni sui dettagli. Ad esempio, si potrebbe osservare che, al contrario di Arwen, la perdita dell’immortalità di Brunilde è inizialmente una punizione, solo successivamente lei ne ribalta il significato; oppure che Moria è principalmente un luogo buio e morto, così silenzioso che si può udire l’eco di un colpo di martello a grandi distanze, mentre Nibelheim è un inferno industriale rumoroso colmo di oppressione e urla;5 infine si può certamente affermare che gli Elfi non sono così simili agli dei, benché Wagner li chiami più di una volta Licht-alben, “Elfi della luce”.

Per tutti questi punti rimane però un’innegabile fondamento: molte di queste somiglianze sono estese e cruciali, e le possibili difese non sono sempre coerenti. Il parallelismo Moria/Nibelheim ha più importanza delle differenze e il tema della spada rotta può essere stato scritto a partire da fonti comuni ma è la sua nuova forgiatura ad essere cruciale per entrambe le narrazioni. In Wagner ad essa è dato il suo giusto peso, e forse anche di più, con un’affermazione incredibilmente potente nel momento in cui Sigfrido la riporta sull’autentico metallo dell’incudine su cui l’aveva forgiata; nel Signore degli Anelli, invece, la nuova forgiatura di Andúril è minimizzata da Tolkien fin quasi all’errore, così tanto che egli sembra veramente rendersi conto della somiglianza e quindi fare marcia indietro.

Questi parallelismi non si applicano però solo separatamente, in modo isolato: io credo che il loro effetto complessivo, l’impressione che essi creano, non sia affatto piccolo. Alcuni dei parallelismi sono assolutamente completi, elementi fondamentali di entrambi i mondi sub-creati. Sommando tutto questo si ottiene una linea della trama molto simile in entrambi: la scomparsa di un’antica razza immortale, moralmente compromessa dalla sua stessa hybris, e la consegna del mondo agli uomini per il meglio o il peggio. Ed essa è ancora più simile nei dettagli. Gli dei di Wagner cercano il potere per motivi idealistici e nel farlo si mettono nei guai: essi si gettano sull’Anello, creazione dell’ambizioso e malvagio Alberich, prima per togliersi da questi guai e poi come arma in sé. Così facendo essi corrompono il loro potere e attirano su di essi la maledizione, il che conduce alla loro impotenza e distruzione finale insieme all’Anello abbandonando il loro mondo. Gli Elfi di Tolkien, cercando il potere per motivi idealistici, creano gli Anelli con l’aiuto dell’ambizioso e malvagio Sauron per poi scoprire che il loro potere è incatenato e corrotto, il che conduce alla loro impotenza e abbandono finale di tutto ciò che cercavano di salvare, ossia il loro mondo, quando l’Anello è distrutto. Trama comune, fulcro comune: l’Anello.

In nessuno dei due casi è possibile che questo elemento comune sia derivato da fonti comuni. Gli dei della mitologia norrena, infatti, non sono moralmente compromessi: la loro natura aggressiva e la facilità con cui si comportano da irresponsabili coi giganti, e con cui tradiscono gli eroi umani che li servono, è il loro dovere; essi sono infatti costretti a radunare le forze di cui avranno bisogno per sconfiggere le forze del caos nell’Ultima Battaglia per il bene di tutti. Molti commentatori hanno visto l’effettiva idea dell’Anello come originaria di Wagner, ma in effetti l’intera storia dell’Anello è sua, una sintesi profondamente personale dei miti norreni che aveva letto ed amato nei libri dei Grimm6 e di altri autori, una cerca letteraria, filosofica, politica e musicale per il “mito dietro ai miti”, la storia originale che le Edda norrene e il loro corpus di miti contenevano. Ma egli rimodellò la sua nuova narrazione di questo mito ancestrale secondo i suoi ideali romantico-socialisti: Wagner pose l’accento sulla caduta degli antichi poteri, originariamente regali, arbitrari e idealistici ma infine egoisti e corrotti, inserendola nelle leggende effettivamente indipendenti dell’eroe Sigfrido e degli dei norreni ed unendole, assai cambiate, in una favola che tratta solo tale caduta e distruzione.

Questo processo lo portò a creare il punto centrale della storia, l’Anello, come strumento mortale di questa caduta. Le fonti della saga che lo condussero ad esso sono identificabili e limitate.7 Nel Lai di Regin dell’Edda in prosa, vi sono alcuni accenni ad uno straordinario anello che crea ricchezza facente parte del tesoro dei Nibelunghi mentre nel Lai di Fafnir si parla di una “verga” in grado di conferire grande potere. Ma questi sono solo accenni: fu Wagner, alla ricerca di un simbolo in cui incarnare le sue idee di ricchezza e potere che corrompono, che inventò l’Anello e la storia attorno ad esso. La storia non è nelle fonti, non vi è nient’altro da cui Tolkien può aver attinto, nessun passaggio oscuro in cui la sua mano si è posata su un enigmatico Anello. È molto difficile negare il collegamento e, inoltre, se lo si ammette tutti gli altri parallelismi diventano immensamente più significativi.

Tuttavia possiamo chiederci: Tolkien conosceva così bene l’Anello di Wagner da ispirarvisi così tanto? Se non lo conosceva allora le somiglianze devono essere semplicemente delle coincidenze, oppure si basano sulle fonti. Apparentemente non si può pensare che egli lo conoscesse: i suoi pochi commenti noti su Wagner sono concisi e suggeriscono che egli condividesse la reazione comune a molti suoi colleghi studiosi, seccati sia dal rimodellare di Wagner, tendenzioso e di seconda mano, della mitologia norrena, sia dal fatto che molte persone supponevano che tale rimodellamento fosse autentico. Analogamente, A.T. Hatto, nell’introduzione alla sua traduzione del Nibelungenlied,8 si duole del fatto che «con il suo enorme dramma musicale [Wagner] ha danneggiato definitivamente la causa della poesia medievale tedesca imponendo sconsiderate storture tra noi e un antico capolavoro». Ma la relazione non risulta essere così semplice: vi sono abbastanza prove per supportare alcune ragionevoli congetture.

Tolkien incontrò sicuramente Wagner quando era molto piccolo, e questo non è sorprendente: Wagner era il gigante intellettuale del periodo e chiunque avesse aspirazioni culturali solitamente lo incrociava molto presto, specialmente un amante della musica. Wagner fu una pesante influenza iniziale per Joyce, D.H. Lawrence, T.S. Eliot e molti altri. C.S. Lewis incontrò l’Anello quando era un ragazzo e rimase un wagneriano per tutta la vita. Tolkien era un intenso amante della musica (proveniva da due famiglie musicali di cui la sua adorata madre era un esempio) e come tale si descrive in una lettera indirizzata al compositore Carey Blyton. Prima del 1914 non era semplicemente possibile essere amanti della musica senza almeno conoscere Wagner.

Come prova, durante gli anni della scuola troviamo Tolkien che racconta dettagliatamente ai suoi compagni del T.C.B.S. episodi della Volsungasaga con brusche frecciate alla versione della storia scritta dal compositore. In altre parole, all’epoca egli conosceva la versione di Wagner già abbastanza bene per apprezzarne le differenze prima che, in effetti, egli diventasse un vero esperto, ossia quando egli aveva solamente nozioni fondamentali di anglosassone e non conosceva il norreno. Probabilmente usava la traduzione di William Morris.9

Successivamente, durante i suoi primi anni ad Oxford egli ovviamente incontrò C.S. Lewis, e sembra che, malgrado tutte le sue frecciate, Tolkien fosse ancora abbastanza interessato a Wagner per condividere l’entusiasmo di Lewis. Warnie Lewis, fratello di C.S., annotò un’occasione in cui lui, suo fratello e Tolkien iniziarono a leggere il libretto dell’Anello in tedesco, ma Warnie non ce la faceva a seguire, per cui usarono una traduzione e poi sedettero per ore a discuterne. Inoltre, Tolkien e Lewis andarono insieme ad assistere a rappresentazioni dell’Anello a Covent Garden e Priscilla ricorda una di queste occasioni in cui i due si trovarono ad essere gli unici a non indossare un abito da sera.10

Secondo la mia esperienza personale, non si viaggia fino a Londra per assistere all’opera fino alla fine dell’Anello (con atti che durano fino a due ore consecutive) e non si legge l’intero libretto d’un fiato se tutto ciò che si ha intenzione di ottenere da ciò è un sedere intorpidito e rinnovato disprezzo per il suo autore. Suggerirei invece che tutto ciò indica in Tolkien un profondo interesse nell’Anello, negativo sotto molti aspetti forse, ma anche il rifiuto può avere un’influenza. Sicuramente Tolkien non ha mai indicato Wagner tra i compositori che gli piacevano, ma ne ha indicato un altro come suo preferito,11 e anche questo risulta essere altamente significativo. Costui era Carl Maria von Weber, ai tempi di Tolkien una preferenza piuttosto ricercata ed un autore eseguito assai più raramente di Beethoven o Schumann, tanto per dire. Weber era di poco precedente a Wagner, la sua breve vita è contenuta in quella di Beethoven ma la sua musica era sotto molti aspetti più progressista, lontana dall’età della Ragione, verso il selvaggio e chimerico Romanticismo. In effetti Weber era il grande eroe di Wagner, suo precursore e modello: Wagner ricoprì addirittura il vecchio ruolo di Weber come direttore a Dresda e pronunciò il suo elogio funebre quando il corpo di Weber fu riportato lì per la sepoltura. Weber scrisse della magia delle scure foreste e di romanzi cavallereschi, di Re degli Elfi e spiriti della montagna.12 Egli è sicuramente il compositore più vicino a Wagner nel suo uso del mito e dell’immaginario naturale e nel suo stile musicale: molte delle prime opere di Wagner possono essere scambiate per quelle di Weber e anche la sua prima opera matura, L’olandese volante, è stata descritta come un rifacimento della famosa opera di Weber Der Freischütz. Ciò significa che, musicalmente parlando, è molto difficile apprezzare uno dei due compositori senza che l’altro susciti almeno una reazione.

Chi vuole obiettare è però autorizzato a sottolineare che Tolkien era sotto molti aspetti un uomo insolitamente onesto: se vi è un collegamento così forte con Wagner, perché si è dato tanta pena per negarlo? Probabilmente vi erano diverse ragioni, personali e generali, strettamente intrecciate. Ci sarebbe, come argomenta Tom Shippey, quel disprezzo per il modo in cui Wagner ha trattato le fonti che Tolkien conosceva così bene. A questo aggiungerei, in particolare all’inizio della vita di Tolkien, un sentimento familiare a molti autori, ossia il desiderio di fare meglio a partire dallo stesso materiale. Posso facilmente immaginare Tolkien mentre pensa: «Se dovessi comporre una mia epica dalla “materia del Nord” non lo farei così, farei…». Ma egli aveva anche altri motivi per diffidare di Wagner: l’allusione socialista dell’Anello non gli sarebbe certamente piaciuta. In gioventù Tolkien era più liberale di quanto generalmente si crede e leggeva felicemente autori di sinistra come Sinclair Lewis (molto di sinistra per quel periodo) e fantascienza. Inoltre egli fece giocare un grande ruolo al potere corruttivo dell’oro sui Nani, sul Governatore degli Uomini del Lago e così via. Ma il radicalismo rivoluzionario dell’Anello sarebbe stato troppo estremo per lui, e non gli sarebbe piaciuto nemmeno il suo messaggio anticlericale secondo cui l’umanità non ha bisogno di dei. Inoltre, vi è ciò che potrebbe essere riassunto come il culto della “Germania”: l’esagerata e generalmente falsa adorazione, specialmente in Germania e in Scandinavia, del passato nordico e della “razza nordica”, che si spinge spesso fino al violento nazionalismo e all’esplicita supremazia razziale. Ciò stava già infettando lo studio della “materia del Nord” durante l’infanzia di Tolkien ed egli deve esservi incappato durante i suoi primi studi. Nel momento in cui iniziò a scrivere Il Signore degli Anelli essa si stava spargendo come la peste in tutta la Germania accompagnando, e alcune volte ispirando, l’ideologia nazista. Wagner, un eccentrico ma relativamente moderato antisemita (molto meno virulento, ad esempio, di G.K. Chesterton, W.B. Yeats e Maud Gonne) non credeva nella purezza della razza germanica, o di qualsiasi altra, e certamente non nella violenza contro gli Ebrei: egli aveva infatti colleghi ed assistenti ebrei che vivevano come membri della sua famiglia. Tuttavia i nazisti mascherarono (o piuttosto mistificarono) ciò in modo vantaggioso, così come molto altro, e si agganciarono a Wagner così come fecero con altre personalità culturali, benché segretamente misero al bando le rappresentazioni di almeno una sua opera.13 Lungo buona parte della vita di Tolkien Wagner fu così inevitabilmente identificato con la loro ignorante e spropositata “germanicità”. Come mostrano le sue lettere,14 Tolkien, umano e tollerante, odiava questa assurdità e pensava che il suo amato campo di studio ne fosse contaminato; indubbiamente aveva inoltre paura di essere collegato per associazione a Wagner e ai fascisti come, ahimè, è poi accaduto, in particolare in Italia.

Nella sua prospettiva Tolkien era però soprattutto un Inglese, insistentemente inglese come può esserlo solo chi ha un aspetto leggermente straniero. Infatti i suoi antenati erano sicuramente tedeschi e i suoi primi anni di vita li trascorse in Africa (ricordava qualcosa del paese arido che egli mise poi in contrasto con il lussureggiante paesaggio inglese) ma fu poi trasformato in un Inglese, e ciò era come egli tendeva a considerare la sua lingua e la sua mitologia, preferendo sempre gli Anglosassoni ai veementi Germani. Wagner lo avrebbe sicuramente irritato come usurpatore anche su questi argomenti, tentando di assegnare ai Teutoni ciò che era un’eredità comune: era un fraintendimento, ma nello spirito del tempo era comprensibile.

Ciononostante, senza correre rischi possiamo dire che, in qualsiasi modo egli mischiò i suoi sentimenti, Tolkien conosceva bene Wagner, così bene da rendere almeno possibili alcune influenze. Ma avrebbe approvato una cosa del genere? Si può rispondere meglio dalla direzione opposta: abbiamo un autentico motivo per credere che egli avrebbe escluso ogni più lieve somiglianza?

Francamente no, e in effetti è il contrario. Sappiamo che Tolkien non aveva nulla contro il riutilizzare interamente altro materiale, infatti egli prese interi episodi dalle fonti: la coppa del tesoro del drago dello Hobbit presa dal Beowulf, gli incestuosi Figli di Húrin estratti direttamente dalla leggenda di Kullervo del Kalevala e meno direttamente dalla Volsungasaga. In effetti l’intero racconto dei Figli somiglia al racconto della Volsungasaga. L’attacco dei warg nello Hobbit e nel Signore degli Anelli furono particolarmente ispirati da un romanzo della sua infanzia, The Black Douglas di S.R. Crockett.15 Possiamo così ragionevolmente assumere che egli possa almeno essere stato influenzato da elementi dell’Anello, anche se la maggior parte di esso non gli piaceva.

Affermerei quindi che precipitarsi a negare che Wagner abbia avuto qualsiasi influenza su Tolkien è pericoloso e quasi sicuramente scorretto, e che molte delle somiglianze non sono accidentali. Ma da ciò segue quindi che Pullman e Wilson sono giustificati? Dobbiamo veramente immaginare Wagner (che sarebbe stato un Gollum niente male!) che grida nelle gallerie della montagna «Ladro di un Tolkien! Ti odiamo per ssssempre!»?

Le influenze lavorano in tutti i modi e angolazioni possibili. L’identificarle è solo un preliminare, dopodiché si fronteggia la ben più significativa domanda: quanto realmente conta questa influenza? Le persone che hanno compilato questi elenchi di somiglianze, incluso me stesso, stavano cercando unicamente queste e, come sa ogni bravo studioso o poliziotto, in questo metodo vi sono enormi trappole. L’evidenza è selettiva, si tende a trovare ciò che si cerca, e il grande pericolo è ignorare il resto che ci circonda ed ottenere dei risultati fuori dal contesto. Per mettere Wilson e soci al loro posto dobbiamo prendere una strada completamente differente. Le somiglianze sono lì, in se stesse, ma bisogna vederle in prospettiva: nel momento in cui smettiamo di analizzare il bosco per identificare degli alberi particolari e facciamo mentalmente un passo indietro e guardiamo invece all’esterno, allora si presentano due immagini molto differenti.

Il paesaggio di Wagner prende il vasto e disordinato mondo del mito e lo spoglia fino al mero essenziale. Non vi è quasi altra storia oltre a quella che vediamo svolgersi, non vi è quasi geografia oltre alle spoglie descrizioni delle messe in scena sul palcoscenico e alla loro rappresentazione musicale. Non si ha alcuna idea delle distanze, non si ha un’idea precisa dello scorrere del tempo oltre all’immediata azione sul palco. E, soprattutto, mentre sentiamo parlare di tutte le razze che abitano il mondo del suo Anello, non abbiamo quasi alcuna idea di esse: vediamo solamente un paio di giganti, solo due nani protagonisti e una fugace apparizione dei loro parenti schiavizzati e urlanti, e benché il mondo dell’umanità sia cruciale per l’azione, di esso non vediamo quasi nulla. Dalle poche occhiate che si danno di sfuggita si deve dedurre che esso è la primitiva cultura germanica della Volsungasaga, un impreciso groviglio di piccoli regni e parentele con poca o nessuna autorità centrale oltre alle leggi imposte dagli dei. E riguardo ai singoli, oltre al coro dei Ghibicunghi nel Crepuscolo degli dei, in tutto l’Anello vi sono precisamente sette personaggi umani. Se da questi togliamo quelli superumani aventi sangue divino (Sigfrido e i suoi genitori, Siegmund e Sieglinde, e la loro antitesi, il mezzo-nano Hagen), restiamo precisamente con tre persone normali: Hunding, il marito di Sieglinde, e il principe e la principessa dei Ghibicunghi, Gunther e Gutrune, tutti modelli piuttosto sgradevoli. Questo è funzione dello scopo di Wagner: egli stava deliberatamente riducendo il canovaccio del mito a un dramma forte e intenso, ciò che noi oggi chiameremmo uno psicodramma, agendo su un livello cosmico riflesso sul mondo degli uomini solamente come campo di battaglia tra due forze: il dio Odino che raduna gli eroi umani morti per difendere il Valhalla e Alberich che, se dovesse recuperare l’Anello, progetta di utilizzare gli altri morti del reame di Hella per assaltare le alture di Odino. Nelle creazioni di Wagner sono i personaggi sovrannaturali ad essere i più profondamente umani.

Guardiamo ora il canovaccio di Tolkien. Egli sta facendo visibilmente la stessa cosa: prendere il mondo del mito nordico e sintetizzarlo secondo la sua interpretazione. Ma ciò che egli sta facendo può non essere così intenso ma è molto, molto più ampio: laddove in Wagner vediamo solamente la capanna di Hunding e la sala dei Ghibicunghi come abitazioni umane, Tolkien ci mostra Gondor e Rohan; dove vediamo tre esseri umani, egli ce ne fornisce in gran numero, oltre ai fin troppo identificabili Hobbit. Laddove vediamo solo Alberich, Mime e pochi indistinti seguaci, Tolkien ci mostra le sale dei Nani, canzoni e credenze, e soprattutto la lingua dei Nani, un’intera cultura; e dove vediamo gli dei, a parte Odino e Brunilde, come vanitose e tiranniche caricature, vediamo gli Elfi in tutte le loro varietà e con la loro immensa storia che risale indietro nel tempo. Laddove Wagner descrive solo sommariamente pochi personaggi secondari, Tolkien ci da un’abbondanza di strane creature (benigne o spaventose, e occasionalmente entrambe le cose) ricche nella loro varietà come l’assurdo per cui Dickens è così spesso elogiato. Tolkien si estende, nel senso migliore, allo stesso modo di culture e paesi reali, e in molte dimensioni.

Questo contrasto deve ovviamente qualcosa al mezzo di comunicazione che loro hanno scelto, in particolare ai limiti di un dramma cantato su un palcoscenico rispetto alla libertà del narratore. Ma Wagner avrebbe potuto scegliere la prosa narrativa se l’avesse voluto: egli era un potente scrittore, anche se prolisso, che in alcuni casi si diede alla narrativa. La musica però era il suo mezzo espressivo, la sua dimensione ulteriore. Era sua intenzione semplificare e concentrare la storia perché la vera ricchezza del suo Anello, la sua grande dimensione epica, è effettivamente nell’orchestra, nella musica che, con tutti i suoi ampi e spesso magnifici passaggi descrittivi, le sue vivide e stupende raffigurazioni della natura, incarna una forza nascosta contemporaneamente psicologica ed emozionale straordinariamente complessa ed in evoluzione. Qui giace l’immensità del dramma di Wagner, intimo e intenso, mentre il pensiero di Tolkien raggiunge all’esterno infiniti paesaggi nel tempo e nello spazio. Vi sono infinite complessità negli spartiti di Wagner, strato dopo strato di temi intrecciati e sviluppati: si può apprezzare la sua musica senza rintracciarli (in effetti è quasi impossibile) ma più spesso si ascolta l’opera e meglio la si conosce, più si diventa consci della loro presenza e di ciò che ancora vi è da scoprire.

Questo è esattamente ciò che io provo riguardo alla dimensione ulteriore della creazione di Tolkien: i linguaggi, la storia, il senso della vastità del tempo come se si guardasse il presente sopra a un grande crogiuolo di destini intrecciati in fermento, intravisto in allusioni casuali, nei luoghi e, soprattutto, nelle parole. Il dramma di Wagner, d’altra parte, fornisce solo frammenti limitati di tempo, spezzoni della tela delle Norne, barlumi di avvenimenti cruciali incoerenti come la sua geografia. Vi sono pochi dubbi che migliaia di anni siano passati tra L’oro del Reno e La valchiria, settimane o mesi tra il Prologo al Crepuscolo degli dei e l’Atto I, ma di questo ci viene detto poco o niente, è lasciato alla nostra immaginazione attraverso il potere della musica. L’Anello di Wagner esiste quasi in solitudine, mentre quello di Tolkien è il perno di un mondo ampiamente dettagliato.

Contro tali differenze le somiglianze che abbiamo precedentemente notato incominciano a sembrare davvero trascurabili e le apparenti parziali distinzioni, tra Moria e Nibelheim ad esempio, diventano molto più importanti perché sono proprio i sintomi di questi differenti approcci. Queste “somiglianze” sono solamente i pochi vaghi punti in cui le due opere corrono l’una a fianco dell’altra, il momentaneo contatto di due cammini altrimenti divergenti. Si prenda, ad esempio, i due cataclismi finali: quello di Tolkien è eucatastroficamente cristiano con il male che cade in rovina e il demone incarnato abbattuto, mentre in quello di Wagner, significativamente, è il bene corrotto che perisce nel fuoco, il dominio di Odino e degli dei inizialmente idealistico ma poi terribilmente compromesso, e la sorgente del suo male, il nano Alberich, è l’unico personaggio che alla fine sopravvive. Il finale di Wagner non è eucatastrofico, ma classicamente tragico.

E questo ci riporta verso la somiglianza più evidente di tutte, quell’argomento apparentemente decisivo per Wilson e soci: gli Anelli. Sì, in definitiva Tolkien acquisì l’idea di Wagner ma, ancora una volta, non è così semplice come sembra.

Apparentemente Wagner concepì il suo Anello in un singolo lampo di genio mentre Tolkien scovò il suo con mezzi completamente differenti. Dobbiamo infatti ricordare che nella versione originale dello Hobbit l’Anello era semplicemente il più tradizionale elemento delle fiabe, una delle più comuni immagini del potere nei racconti popolari di ogni cultura. Questo anello particolare era infido e rendeva invisibili le persone, forse (ma non necessariamente) è collegato al Tarnhelm di Wagner, ma era completamente neutrale e convenzionale nel fare ciò. Solo successivamente, quando Tolkien cercò cosa egli intendesse originariamente per il “nuovo Hobbit”, esso assunse maggiore importanza. In qualità di souvenir più straordinario di Bilbo dal primo libro esso fu l’ovvio punto di partenza per il nuovo racconto, tanto più che si collegava così naturalmente e facilmente alla sinistra figura del Negromante, da cui si sviluppò Sauron. È comunque una sorpresa vedere che nelle bozze di Tolkien piuttosto tarde, malgrado l’origine maligna dell’Anello, egli non lo consideri ancora malvagio in se stesso scrivendo che esso era «poco pericoloso quando era utilizzato con buone intenzioni».16 Solo quando la stesura era piuttosto progredita il suo Anello divenne, principalmente a causa delle esigenze della storia,17 un’entità malevola con una sua volontà autonoma. Anche allora, esso non divenne tale attraverso una maledizione come in Wagner, esso semplicemente era malvagio attraverso il suo creatore.

I processi creativi di Tolkien avevano quindi già percorso molta strada da soli prima di raggiungere qualche modello come quello di Wagner. Egli aveva sviluppato l’idea dell’Anello da un cammino completamente distinto al punto che le somiglianze con quello di Wagner, apparentemente cruciali nella definizione di Wilson, erano effettivamente diventate quasi inevitabili. Tolkien non aveva quindi “attinto” l’idea: al massimo si può dire che egli accettò, probabilmente con un sorriso ironico, la coincidenza come la logica conseguenza della sua stessa idea ma, come ho suggerito prima, a lui sarebbe sembrato di fare la stessa cosa, però nel modo corretto.

Di conseguenza, anche gli stessi Anelli non sono così definitivamente simili come sembrano, sono solo altri due punti di contatto di due narrazioni distinte. Non ho abbastanza tempo per analizzarle qui, ma molte delle altre somiglianze, o la maggior parte, ammettono spiegazioni con argomenti simili. Partendo dalle stesse fonti, manipolando le idee, sintetizzandole e seguendo il percorso di Wagner senza alcuna intenzione originaria di imitarlo, questi punti di similitudine sono arrivati a coincidere. Come sa chiunque ha scritto della prosa narrativa, ciò può succedere: l’ho fatto io stesso, in diversi modi. Talvolta, come autore si riecheggia consapevolmente qualcosa, ma in modo così differente da renderlo proprio, o almeno si tenta. Talvolta, di solito molto raramente, si può inserire qualcosa come una sfacciata citazione, una battuta per quei lettori ben informati che la riconosceranno. Ma molto, molto più spesso, guardando poi indietro agli anni di attività letteraria, si vedono i libri letti, gli autori amati (o semplicemente quelli che ci hanno colpito) che ci fissano intensamente in un modo di cui prima eravamo piuttosto inconsapevoli. Ad esempio, in Tolkien si possono osservare le tracce dell’operato di tutti questi processi nei riferimenti all’Oxford English Dictionary contenuti nel Cacciatore di draghi, per cui perché non dovrebbero manifestarsi anche in altre sue opere?

Vorrei quindi concludere con fiducia affermando che qualsiasi elemento Tolkien ha preso da Wagner, esso non è così cruciale o centrale come può apparire. Ciò significa che esso deve semplicemente prendere il suo posto a fianco di tutte le altre influenze che si possono liberamente scoprire in Tolkien, da William Morris e Rider Haggard alle anonime voci del Beowulf, del Sir Gawain e del Navigatore, decisamente troppe da elencare e analizzare in un breve intervento come questo. E nessuno pensi di accusare Tolkien di “aver preso l’essenziale” da una qualsiasi di queste fonti! Il plagiario quindi svanisce e al suo posto troviamo il talentuoso scrittore intento nel normale processo di trasformare ciò che ha letto e che lo ha formato in qualcosa di interamente proprio. Credo che Tolkien avrebbe confessato ciò felicemente. Le osservazioni sarcastiche dell’asse Pullman-Wilson sono superficiali, interpretazioni selettive di una funzione creativa di cui entrambi, e certamente più Pullman, sono colpevoli come chiunque altro. Insistere diversamente è chiaramente e semplicemente sintomo di ignoranza, senza contare che è dannatamente irritante!



[traduzione italiana di Alberto Ladavas]

1 A.N. Wilson, “Why I believe in Harry Potter”, Daily Telegraph, 18 luglio 2005.

2 La realtà in trasparenza. Lettere 1914-1973, a c. di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien, Bompiani, Milano 2004, lettere n. 229. Vale però la pena notare che il contesto in cui si inserisce l’affermazione è una provocazione insolitamente estrema.

3 T.A. Shippey, La via per la Terra di Mezzo, Marietti, Milano-Genova, 2004, Appendice A.

4 Quando fu tenuto questo intervento un membro dell’uditorio suggerì anche il personaggio Mîm il Nanerottolo dal Narn i Hîn Húrin del Silmarillion. Egli è certamente ispirato al nano Mime di Wagner, più che ai suoi antenati delle fonti, ma non ho incluso Mîm nell’elenco perché la similitudine non è in effetti relativa ad azioni o situazioni, anche il suo carattere generale è differente. Mîm, infatti, è molto più indulgente e maltrattato del suo megalomane originale, ed è un traditore solamente suo malgrado. E, ovviamente, questo confronto riguarda principalmente il mondo del Signore degli Anelli e dello Hobbit.

5 Un esempio di come il considerare anche la musica può sminuire un’apparente somiglianza.

6 Jakob Grimm, Deutsche Mythologie (1835-44) e Wilhelm Grimm, Die Deutsche Heldensage (1829).

7 E molto ben discusse dal grande wagneriano Deryck Cooke nel volume I Saw the World End, Oxford University Press, Oxford 1979.

8 The Nibelungenlied: Prose Translation, a c. di A.T. Hatto, Penguin Classic, Londra 1965.

9 Humphrey Carpernter, La vita di J.R.R. Tolkien, Edizioni Ares, Milano 1991, p. 125,

10 Humphrey Carpernter, Gli Inklings, Marietti, Genova-Milano 2011, p. 81.

11 Tolkien in Oxford, BBC TV, 1968.

12 La sua overture Der Beherrscher der Geister (“Il sovrano degli spiriti”, op. 27: 1811) era per una rappresentazione dello spirito della montagna Rübezahl che, fra l’altro, è rappresentato sulla cartolina che, secondo lo stesso Tolkien, ispirò il personaggio di Gandalf.

13 Parsifal, perché «ideologicamente fallace», e l’ideologo nazista Alfred Rosenberg condannò l’Anello come «né eroico, né germanico»!

14 La realtà in trasparenza. Lettere 1914-1973, a c. di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien, Bompiani, Milano 2004, lettere n. 30 e 55.

15 La realtà in trasparenza. Lettere 1914-1973, a c. di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien, Bompiani, Milano 2004, lettera n. 306.

16 The Return of the Shadow, a cura di Christopher Tolkien, HarperCollins, London 2002, p. 42.

17 Cfr. ivi pp. 226-227.