Mellon


di Franco Manni


Il tema dell'amicizia sembra essere rilevante nel mondo creativo tolkieniano. Una prova esterna è il desiderio di comunità che si sperimenta nelle riunioni di appassionati di Tolkien, come ha fatto una volta notare Paul Bibire (1). Ma una dimostrazione convincente deve scaturire da prove interne, che qui ora provo a dare.


Turin versus Frodo

"Ma nell'orgoglio del suo cuore Turin rifiutò

il perdono del Re, né valsero le parole di Beleg

a fargli cambiare parere."

dal Silmarillion


"E' vero che desidero tornare nella Contea - disse Frodo -

Ma prima mi devo recare a Gran Burrone. Perché,

se è possibile sentire la mancanza di qualcosa in

questi giorni pieni di ogni benedizione, io ho sentito

la mancanza di Bilbo."

dal Signore degli Anelli


Tom Shippey (filologo, successore di Tolkien all'università di Leeds) ha notato come nel Silmarillion, diversamente che nel Signore degli Anelli (SdA), i personaggi sono "fixed, static, even diagramatic", guidati nelle loro azioni non tanto dalle esperienze individuali quanto - come nella tradizione nordica - da un destino di stirpe: "people are their heredity". (2) Inoltre, il Silmarillion è un "romance", mentre L'Hobbit e il SdA sono "novels", e solo nel "novel" l'Autore, mantenendo l'onniscienza, può spiegare cosa sta realmente accadendo, al di là delle limitate percezioni del personaggio. Così che l'Autore può descrivere la complessità del cuore di un personaggio - con i suoi conflitti e le dubbiose potenzialità delle sue scelte - meglio di quanto lo possano le azioni, le parole e i pensieri di questi. (3)

Questo fenomeno letterario, secondo me, può essere visto anche nel particolare tema dell'amicizia. Confrontiamo un personaggio del Silmarillion, Turin, e uno del SdA, Frodo. Per Turin l'"heredity" sono i caratteri dei suoi genitori e, al di là di essi, delle rispettive loro stirpi, la Casa di Hador e la Casa di Beor. Come la madre egli "non era allegro, era laconico...lento era Turin a dimenticare ingiustizie o le beffe; ma in lui era anche il fuoco del padre, ed egli poteva mostrarsi impetuoso e feroce,...". (4) Gli amici - che più dei genitori sono parte dell'esperienza libera dell'individuo - non sembrano incidere nel carattere di Turin, che in realtà non si sviluppa dalle premesse iniziali. L'unica eccezione è Sador (il vecchio famiglio zoppo di quando Turin è bambino): "a un unico amico si rivolgeva in quel periodo, a lui parlando del suo dolore e di quanto vuota fosse la casa". (5) Ma Sador è una di quelle cose che - per volere della madre di Turin, Morwen, e, al di là di lei, di Morgoth - la fine dell'infanzia porta via per sempre. Gli altri amici di Turin - Beleg, Mablung, Gwindor, Brandir - sono una serie di persone più anziane e più sagge che cercano di proteggerlo dai pericoli e soprattutto da se stesso, ma non riescono a farsi ascoltare né a suscitare in lui - se non quando è troppo tardi - una gratitudine consapevole.

In particolare, l'elfo Beleg Arcoforte lo introduce a re Thingol, gli insegna l'arte della guerriglia nei boschi, testimonia a suo favore contro gli accusatori, lo cerca dopo l'allontanamento dal Doriath, e infine lo salva dagli Orchi. Ma non riesce a far nascere in Turin la riconoscenza verso gli Elfi e a distoglierlo dalla vita di fuori legge e infine viene da lui addirittura ucciso, per quanto per errore. Beleg è figura del biblico Gionata verso il suo amico Davide, ma con una mancanza rispetto al personaggio della Sacra Scrittura: Beleg è attratto da Turin solo per le qualità "pagane" di questi (bellezza, lealtà, orgoglio, coraggio, sobrietà, indipendenza) (6), mentre Gionata in Davide vede, oltre a queste qualità, anche umiltà, generosità, pazienza, capacità di perdono, gratitudine, sensibilità. (7)

Molto diversamente vanno le cose per Frodo (pur essendo come Turin un eroe del sacrificio (8) ). Turin ha vivi entrambi i genitori, anche se essi sono divergenti nella mente e poi separati di fatto tra loro e dal figlio (9), e sotto la loro ombra si compie il suo fato (il legame tra stirpe e fato notato da Shippey (10) ). Frodo invece rimane orfano da bambino, la primitiva idea che Tolkien aveva di farne un figlio di Bilbo viene presto abbandonata (11), e così viene creata la discontinuità dalla "stirpe" (e dunque dal "fato"). Bilbo non è il padre di Frodo, ma è un amico, oggetto di una libera scelta. (12)

Entrambi celibi, entrambi "diversi", cosa sono l'uno per l'altro Frodo e Bilbo? Ciascuno per l'altro rappresenta l'incarnazione dell'hobbit lontano dalle strettezze dei luoghi comuni ( ma anche "segnato" da tale lontananza), che scopre in sé e attorno a sé potenzialità misteriose e ampie, a volte sconcertanti a volte invitanti. Quando Bilbo lascia la Contea, Frodo lo rimpiange e sogna "montagne sconosciute" (13); "segretamente" (compatibilmente ma indipendentemente dai consigli di Gandalf) vuole lasciare a sua volta la Contea proprio nella data del comune compleanno, sapendo che avrebbe avuto cinquanta anni proprio come Bilbo quando partì per la prima volta con Thorin (14); nel momento della partenza la paura è forte ma il desiderio di raggiungere Bilbo è più forte (15). Però, una volta ritrovatolo a Gran Burrone, vede che Bilbo "non aveva un granché da raccontare sul proprio conto" e che non avrebbe più "vagabondato per il mondo" (16): come se avesse già concluso il suo personale processo di "nobilitazione" (17), processo che è il simbolo ma non duplicazione di quello di Frodo.

A Gran Burrone Frodo e Bilbo, dopo aver parlato dei pericoli e dopo aver chiacchierato sugli avvenimenti minuti della Contea, si mettono a parlare "di tutte le cose meravigliose che avevano visto vagabondando assieme: degli Elfi, delle stelle, degli alberi, ecc.", e poi Bilbo legge le sue poesie e ascolta le avventure di Frodo per completare il suo libro (18). I due sentono di fare parte di una storia unica, anche se in fasi diverse: Bilbo depreca che "le avventure non finiscono mai", ma si consola pensando che "qualcun altro prosegue la storia"; davanti a Frodo si domanda "vivrò abbastanza a lungo per vedere i tuoi capitoli della nostra storia?" e, quando Frodo alfine ritorna, a lui Bilbo affida l'incarico di scrivere la Storia, ripromettendosi appena di correggerlo senza severità (19).

Se Frodo si sente amico per alcuni motivi (la confidenza, l'imitatio vitae) a un Hobbit più anziano di lui, per altri motivi si sente amico di hobbit più giovani e "vagabondava con loro nella Contea" (20). Si tratta di Fredegario, Folco, e soprattutto Merry e Pipino. Sono gli "amici" nel significato "adolescenziale" della parola: le persone con cui ci si diverte; e infatti oltre a girare assieme fanno cene e feste, scherzano scambiandosi battute (come al risveglio dopo l'incontro con gli Elfi), o anche proprio giocando (come nel bagno a Crifosso). Ma anche questo tipo di relazione ha i suoi sviluppi: Merry e Pipino non sono solo compagnoni, ma si accorgono degli stati d'animo di Frodo, si preoccupano per lui e vogliono aiutarlo, e ordiscono una amichevole "congiura" (21) che li porterà a condividere gran parte della lunga e pericolosa avventura di Frodo, per il quale, dunque, sono disposti a rischiare la vita (22). Agente principale di tale "congiura" è Sam.

Anche Sam Gamgee è un giovane hobbit, ma è un "servitore" e non è un parente. Egli sospira mentre origlia la conversazione tra Gandalf e Frodo e apprende che il suo padrone deve partire, ma non è solo dolore per i pericoli che attendono Frodo, è anche dolore perché lui, Sam, non potrà seguirlo a vedere le immancabili cose meravigliose che attendono lontano. Si era infatti messo a origliare proprio perché aveva sentito parlare di Elfi, e quando Gandalf gli permette di accompagnare Frodo, egli è "felice come un cane per la passeggiata" e si mette a piangere pensando che potrà finalmente vedere gli Elfi. Frodo riveste dunque per Sam il ruolo di tramite per la propria "nobilitazione", come in una lettera nota Tolkien stesso: immaginate che hobbit ordinario sarebbe rimasto Sam senza l'educazione di Bilbo e il fascino per gli Elfi! Basta guardare il Gaffiere. Egli era troppo sicuro e un po' presuntuoso, ma tale presunzione fu trasformata dalla sua devozione per Frodo. (23)

Una devozione, a me sembra, "materna": si arrabbia con Maggot perché tanti anni prima questi aveva preso a scappellotti Frodo; veglia il coma di Frodo a Gran Burrone; gli prepara da mangiare nell'Ithilien così come faceva nella Contea. E a Mordor prende la mano del suo padrone e la bagna con le lacrime, lo fa dormire sulle sue ginocchia con una mano sulla fronte e, nella torretta di Cirith Ungol, lo tiene in braccio "felice" e lo bacia sulla fronte (24). Sam è un po' come quelle madri con poca cultura che vedono nel figlio che "studia" una via per aprirsi esse stesse ad orizzonti più vasti, mai dimenticandosi del bisogno di protezione del figlio e donandoglielo con estrema generosità, e ugualmente non dimenticandosi di avere il proprio baricentro affettivo nel coniuge e non nel figlio (proprio come Sam che ha fermo il suo progetto di vita con Rosie e non diventa un Frodo-dipendente).

La famiglia elettiva di Frodo comunque (Bilbo-padre, Sam-madre, Merry e Pipino-fratelli), assieme agli Amici Grandi (Gandalf, Aragorn, gli Elfi) che fungono da maestri, diventa essenziale per ciò che Frodo fa. Mentre Turin agisce nonostante la presenza e il consiglio degli amici, Frodo è un hobbit orfano senza particolari intelligenza o coraggio o forza, il quale senza i suoi amici non riuscirebbe a fare niente di ciò che via via invece riesce a fare. Questo fino alla paradossale trasformazione di Gollum nell'ultimo amico di Frodo e in quello determinante per la riuscita finale dell'impresa: in una lettera lo stesso Tolkien nota che Gollum, per quanto inciampi e dunque involontariamente distrugga l'Anello, lo avrebbe distrutto anche se non fosse inciampato, e l'avrebbe fatto per amicizia verso Frodo (25). Invece, la grande impresa di Turin, l'uccisione del drago Glaurung, è compiuta da solo, a nulla servendogli Dorlas e Hunthor, i due compagni che avevano osato seguirlo almeno fino a un certo punto.

Ma se pure le due imprese - quella dell'Uomo Solo e quella dell'Hobbit della Compagnia - hanno entrambe un successo esterno, i loro esiti per la felicità o l'infelicità dei protagonisti sono molto diversi.



Il primato dell'amicizia



"Pido mellon a minno"

dal Signore degli Anelli



Nella storia del pensiero occidentale il tema dell'amicizia è stato soprattutto analizzato dagli Antichi Greci e Romani, e questo o quell'aspetto di tale analisi sono stati poi ripresi, sottolineati e anteposti agli altri dagli autori medievali e moderni. Dalle trattazioni di Socrate, Platone, Aristotele, Epicuro, Cicerone, Seneca corroborate e propagandate dai molti exempla dei poeti e degli storiografi, l'amicizia è stata via via collegata alla conoscenza di se stessi, alla saggezza, alla sapienza, alle virtù etiche (giustizia, fortezza, temperanza, liberalità), all'utilità, al piacere, alla salute, alla benevolenza, alla reciprocità, al bene comune della società e dello stato. Tolkien nel SdA non lascia fuori nessuno di questi aspetti tradizionali, ma, essendo un uomo del Ventesimo Secolo, tende a dare all'amicizia nel suo complesso un primato rispetto agli altri valori della vita.

L'Antichità aveva notato il rapporto essenziale dell'amicizia con la virtù, la sapienza e il bene dello stato, e a questi valori l'aveva subordinata. Il Medio Evo aveva mantenuto la subordinazione, pur trasformando - a causa soprattutto del cristianesimo - i valori subordinanti: tra le virtù cominciano a comparire l'umiltà, la compassione, il perdono; la sapienza si estende dalla conoscenza del mondo e delle idee alla notitia Dei e all'experientia crucis; il bene dello stato (polis, res publica, imperium) viene relativizzato rispetto a quello della più vasta comunità ecclesiale da difendere dai musulmani e dagli eretici. L'Età Moderna mantiene la subordinazione, ma tra i valori subordinanti accentua il peso del bene comune: la lealtà verso la propria chiesa (cattolica, anglicana, luterana, calvinista, ecc.), il proprio partito, la propria nazione, la propria classe sociale diventa più importante dei valori "individualistici" della sapienza e della virtù. Il Ventesimo secolo, e cioè l'Età Contemporanea, è stato il secolo dei nazionalismi, della lotta di classe, dei totalitarismi politici, degli integralismi religiosi. In questo secolo, cioè, l'Età Moderna giunge al suo epilogo, e, attraverso la sofferente difesa dalle devastanti conseguenze di questi fenomeni, almeno in Occidente si è sviluppata una nuova e diversa coscienza.

Per il mondo laico la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo dell'ONU (1948) e per il mondo religioso la dichiarazione Dignitatis humanae del Concilio Vaticano II (1965) hanno affermato che la vita della persona è più importante della prosperità (vera o presunta) di qualsiasi stato, chiesa o classe sociale, è più importante del bene (vero o presunto) di qualsiasi tavola etica o progetto educativo, è più importante della verità (vera o presunta) di qualsiasi fede, ideologia o scienza. Naturalmente poeti e filosofi hanno precorso e accompagnato lo sviluppo di tale coscienza; e tra loro Tolkien.

Se la vita della persona è al centro, allora lo è anche l'amicizia: nell'amicizia la cosa più importante è l'individualità (unicità, irripetibilità) dell'amico, e che dunque l'amico viva e stia bene. Virtù, sapienza, bene comune sono importanti ed è impossibile dimenticarli; ma non sono il centro.

Tolkien si allinea alla tradizione, certamente, nel mostrare l'amicizia più importante dei beni esteriori : del potere (Faramir, Aragorn, Galadriel non prendono l'Anello a Frodo), della ricchezza (Bilbo per il bene degli amici rinuncia alla sua parte di tesoro), degli onori (Frodo, nella gloria di Minas Tirith liberata, desidera andarsene per rivedere Bilbo), del piacere e della tranquillità (Sam lascia il giardino e Rosie Cotton per sbrigare quel "lavoretto" col suo padrone). E alla tradizione Tolkien si allinea privilegiando l'amicizia contro i pregiudizi sociali: di classe (Sam e Frodo, Merry e Theoden), di razza (Legolas e Gimli (26) ), di età (Bilbo e Frodo, Frodo e i giovani hobbit, Pipino e Bergil), di livello culturale (Gandalf e Frodo, Aragorn e Eomer).

Tolkien va, però, più in là della tradizione nel privilegiare l'amicizia rispetto al bene dello Stato (Aragorn non va a Minas Tirith, ma s'imbarca nell'incerta ricerca di Merry e Pipino), rispetto alla sapienza (mentre Saruman usa il suo tempo tra le rune degli archivi per indottrinarsi sulla "tradizione degli anelli" Gandalf va in giro e si fa coinvolgere nelle vicende di Thorin, Bilbo, Frodo, Beorn, Grampasso, di sui diventa amico), e rispetto alla stessa virtù: Frodo stringe un'alleanza con Gollum - pur conoscendone lo spessore etico - spinto a ciò non solo da motivi utilitaristici, ma anche da sincera compassione. E gli atti di fiducia (e di salvezza, come nello "stagno proibito" di Faramir) di Frodo per Gollum non passano senza effetto: Tolkien stesso in una lettera parla di "completo cambiamento" in Gollum, purtroppo involontariamente interrotto da Sam. (27)

Una delle virtù è la saggezza (phronesis, prudenza). C'è un passo del SdA in cui essa è esplicitamente subordinata all'amicizia: quando, contro il parere di Elrond, Merry e Pipino si offrono di far parte della Compagnia dell'Anello per non lasciare Frodo, Gandalf dice: "Credo, Elrond, credo che in questo caso sarebbe bene fidarsi piuttosto della loro amicizia anziché della grande saggezza di un altro" (28) . Allora anche Elrond dà il suo consenso, e da questa decisione nascono eventi benefici ed essenziali che effettivamente nessun saggio avrebbe mai potuto prevedere: Faramir rimane in vita perchè Pipino è a Minas Tirith e avverte Gandalf; Eowyn rimane in vita e il Signore dei Nazgul muore perchè Merry è sui Campi del Pelennor; Barbalbero convoca l'Entaconsulta e tempestivamente interviene al Fosso di Helm e a Isengard perchè i racconti di Merry e Pipino gli chiariscono i piani di Saruman; i Nazgul e gli orchetti di Sauron avrebbero cercato Frodo e Sam se non avessero creduto che l'Anello fosse nelle mani di Merry e Pipino.

Come si vede eventi piuttosto importanti. (29)





I limiti dell'amicizia

"Ebbene cari amici, qui sulle rive del Mare

finisce la nostra compagnia nella Terra di Mezzo"

Gandalf nel Signore degli Anelli



L'amicizia ha il primato, ma non viene assolutizzata, o, come anche si dice "idealizzata". Contro l'idealizzazione romantica e decadente dell'amicizia Tolkien era vaccinato dal suo cristianesimo. L'uomo, qualsiasi uomo, è imperfetto e, se non vizioso (o non troppo vizioso), egli è comunque debole, incerto, ignorante, mortale. E dunque nessuna amicizia verso un uomo deve essere idealizzata, perchè l'idealizzazione ottunde la facoltà critica e promuove una fiducia cieca.

Spesso è il potere (della forza, della sapienza, della bellezza) a indurre amicizie idealizzate. E Tolkien mette molta cura nel mostrare il rifiuto dell'idealizzazione da parte dei personaggi positivi. Bilbo potrebbe essere abbagliato dalla maestà di Thorin, diventato Re sotto la Montagna, e dalle sue promesse di riconoscenza, ma a conti fatti non lo è e porta l'Archepietra a Bard e Thranduil. Aragorn potrebbe subito rivelarsi nella sua regalità agli hobbit nella locanda di Brea, ma preferisce mantenere tutte le caratteristiche umili da "Grampasso"; e quando sul prato di Parth Galen si accorge che gli hobbit non ci sono più, accetta la fine del suo ruolo di guida della Compagnia e di protettore di Frodo: "il destino del Portatore, non è più nelle mie mani. La Compagnia ha recitato la sua parte" (30) . Gandalf per lungo tempo non si presenta quale "membro di un Antico Ordine" e anche a Pipino , che lo conosce da tempo, nei confronti di Denethor - se osservato superficialmente - sembra meno bello, meno regale, meno potente, anziano; e Gandalf puntualizza rivolto a Denethor: "io non comando in nessun reame, nè a Gondor nè in altri ... Ma di tutte le cose di valore che in un momento come questo si trovano in pericolo, io mi preoccupo". Galadriel rifiuta il ruolo di regina "bella e terribile" che "tutti ameranno disperandosi", e preferisce "rimpicciolire", essere "un'esile donna elfica, vestita di semplice bianco, dalla voce morbida e triste".

Ancora: Pipino, fronteggiando la morte davanti al Cancello Nero, pensa: "se almeno Merry fosse qui... potremmo morire insieme Merry e io... ma poiché non è qui, spero che la sua fine sia più facile"; Pipino cioè accetta la separazione dei destini e non idealizza l'amicizia fino al punto di trasformarla in un legame fusionale (31) (diversamente da quello che aveva pensato Denethor per Faramir). Frodo non idealizza Bilbo, che pur tanto ama, e, realisticamente accorgendosi della sua senescenza, non insiste affinchè anche egli faccia parte della Compagnia. Frodo trova gioia nell'amicizia con i giovani hobbit, ma non dimentica la differenza di età e di aspirazioni, e, pur "vagabondando con loro", la maggior parte delle volte "vagabonda da solo" (32).

E Sam, quando crede che Frodo sia morto punto da Shelob, è tentato di rimanere a difenderne il cadavere (con il quale intesse una conversazione) e di morire insieme a lui, in un'idealizzazione (e autoidealizzazione) di fedeltà all'amico. Ma poi buon senso e ragione prevalgono. Nel capitolo Messer Samvise e le sue decisioni egli via via scarta - per quanto lacerato nel cuore - le varie alternative (rimanere con Frodo, cercare Gollum per vendicarsi, suicidarsi) e poi sceglie di proseguire la missione, giustamente interpretando la Compagnia (l'amicizia) nei limiti ad essa imposti dalla realtà: "Come? Io solo andare alla Voragine del Fato e tutto il resto?...Come? Io togliere l'Anello dalla sua mano? Il Consiglio lo affidò a lui." Ma la risposta giunse immediata: "E il Consiglio gli diede dei compagni affinchè la missione non fallisse. E tu sei l'ultimo della Compagnia: la missione non deve fallire!". (33)

L'amicizia vista come "compagnia" esclude che essa, pur se riconosciuta come il migliore dei mezzi, possa essere considerata come un fine. Essa è sostegno esterno per l'azione (la Compagnia dell'Anello), ma anche è sostegno interno nonostante la lontananza materiale: a Mordor Sam dice: "Mi domando se [i nostri amici] pensano a noi di tanto in tanto"; e in effetti "in mezzo alle loro preoccupazioni e paure, il pensiero degli amici si dirigeva costantemente verso Frodo e Sam" (34). La compagnia allevia ma non cancella il peso della vita: Merry, Pipino e Sam tornano insieme verso la Contea dai Rifugi Oscuri e "ognuno trovava molto conforto dalla presenza degli amici sulla lunga strada grigia"; ma poco prima Gandalf li aveva invitati a non trattenere le inevitabili lacrime.

Come si vede un'amicizia vista come compagnia che conforta gli esseri umani "gementes et flentes in hac lacrymarum valle", è molto diversa dall'idealizzazione antica (greco-romana) e moderna (romantica) dell'amicizia.

Però un cristiano - e Tolkien lo era - dovrebbe credere che la "Carità" non è solo la virtù massima ma è anche l'essenza stessa di Dio e scopo della vita. Opportunamente Tommaso d'Aquino, chiedendosi "se la carità sia una specie di amicizia", rispondeva di sì, perché sulla scorta del suo maestro Aristotele, riconosceva nella carità tutte le caratteristiche generiche dell'amicizia: utilità, piacere, autosufficienza, benevolenza, reciprocità, legame con la virtù, convivenza. Però, per il dottore medievale, la carità è una specie del genere "amicizia", perché è quella specifica amicizia che Dio ha per l'uomo e che l'uomo ha per Dio e per gli altri uomini a causa del fatto che Dio è amico di loro (35).

Se dunque l'amicizia non è solo un mezzo, ma, in quanto carità, è anche un fine, essa è collegata a Dio ed è collegata al mistero della morte e della risurrezione, mistero che permette la "clara notitia Dei" (la chiara conoscenza di Dio). Ma, mentre il Vangelo usa come metafora di questo mistero immagini esplicite di rapporto interpersonale e cioè di amicizia (il "seno di Abramo"; il "banchetto nuziale"; la "casa del padre"; l'"oggi sarai con me in Paradiso" di Gesù in croce al buon ladrone), Tolkien invece non lo fa e preferisce altre immagini: le Montagne (36) , il Mare (37) , il lago Tasarinan (38), un prato all'alba (39) .

E questo fatto per me indica l'onesto riconoscimento della difficoltà di rappresentare - se mai è possibile farlo - l'amicizia finale, quella senza limiti, al di fuori di un "libro sacro" – come la Bibbia - che si appella alla fede del lettore , in ciò che alla fin fine non è altro che un romanzo – come il Signore degli Anelli - che si appella alla sensibilità estetica del lettore.









Note


(1) nella sua conferenza a Tolmezzo (UD) il 25.04.95

(2) Tom Shippey, The Road to Middle Earth, Grafton of Harper Collins, London, 1992, pp. 220-221.

(3) Ibidem, pp. 238-239.

(4) JRRT, Racconti incompiuti (1980), Rusconi, Milano, 1988, p. 87.

(5) Ibidem, p. 88.

(6) Ibidem, pp. 107, 111, 122.

(7) Il modello biblico - finora forse non notato - è certo: Davide e Turin si allontanano da un re (Saul, Thingol) e vivono tra i "fuorilegge"; l'amicizia sia della copia biblica sia di quella tolkieniana nasce quando i protagonisti sono celibi; sempre Beleg di discolpare Turin agli occhi del re così come fa Gionata per Davide; aala morte di Beleg Turin intona il Canto dell'Arcoforte (JRRT, Il Silmarillion, Rusconi, Milano, 1988, p. 262) così come alla morte di Gionata Davide canta:" l'arco di Gionata non si ritrasse mai" (2 Samuele: 1,23).

(8) Entrambi figure "sacrificali": con fatiche e sofferenze salvano i popoli della Terra di Mezzo (uccidendo Glaurung, distruggendo l'Anello), ma dalla Terra di Mezzo devono allontanarsi, Turin subito col suicidio, Frodo dopo poco tempo ai Rifugi Oscuri.

(9) Come, anche se in maniera meno estrema, nella storia di Aldarion e Erendis e loro figlia Ancalime (JRRT, Racconti incompiuti, cit., pp. 240-294).

(10) T. Shippey, The Road, cit., pp.221-225.

(11) JRRT, The return of the Shadow, Harper Collins, London, 1993, pp. 28-35.

(12) JRRT, IL Signore degli Anelli, Rusconi, Milano, 1978, p.47:"[Bilbo] non ebbe amici intimi fino a quando alcuni suoi cugini non cominciarono a diventare grandi. Il maggiore e il preferito era Frodo Baggins."

(13) Ibidem, p. 73.

(14) Ibidem, p. 101.

(15) Ibidem, p. 98.

(16) Ibidem, p. 295.

(17) "Processo di nobilitazione" che era per JRRT uno dei due temi principali (l'altro essendo la morte) del SdA, ma che era presente anche nello Hobbit (cfr. la lettera a Milton Waldman n° 131 in JRRT, Letters, George Allen & Unwin, London, 1981, p. 159). E in effetti Bilbo da quando era solo superficialmente socievole con Gandalf (fumiamo! c'è il sole e niente da fare!) ma rifiutava ogni offerta di "avventure" con fastidio e paura, aveva poi evoluto il suo carattere, si era messo a salvare i Nani (dagli Orchi, dai Ragni, dagli Elfi) e quando infine Thorin è morente a lui dice: “Addio, Re sotto la Montagna!....Amara è stata la nostra avventura, se doveva finire così.....Tuttavia sono felice di avere condiviso i tuoi pericoli: questo è stato più di quanto un Baggins possa meritare." (JRRT, L'Hobbit, Milano, Adelphi, 1989, p. 324).

(18) JRRT, SdA, cit., pp. 303, 349.

(19) Ibidem, pp. 296, 303, 1177.

(20) Ibidem, p. 73.

(21) Ibidem, pp. 146-149.

(22) A testimonianza del valore umano di questa amicizia "adolescenziale", "di gruppo" e - bisogna aggiungere - di gruppo maschile. Questo tipo di amicizia fa la sua comparsa anche nella storia di Aldarion e Erendis ambientata nella Seconda Era a Nùmenor (Racconti incompiuti). Il gruppo maschile è quello dei marinai con cui Aldarion passa la maggior parte della sua vita mentre il matrimonio con sua moglie va in rovina. Nel SdA invece Frodo "vive solo", come nota JRRT appena prima di parlare del suo gruppo di amici, e in ciò (nel celibato di Frodo) si può vedere forse l'autocritica di JRRT il quale, per la maggior parte della sua vita, aveva vissuto una situazione con qualche somiglianza con quella di Aldarion. A proposito della (almeno) tendenziale autosufficienza non solo intellettuale ma anche affettiva del gruppo maschile di amici, Humphrey Carpenter (JRRT: a Biography, Grafton, London, 1992, p. 148) scrive:" it is the great mistery of Tolkien 's life", e aggiunge "we can find something of it expressed in The Lord of the Rings"

(23) Lettera a Eileen Elgar n° 246, cit., p. 330: se non fosse inciampato Gollum avrebbe capito che Sauron si sarebbe impossessato dell'anello, e avrebbe allora deciso di buttarsi volontariamente nella Voragine:"possession satisfied, I think he would then have sacrificed himself for Frodo 's sake....he may have seen that this would also be the greatest service to Frodo".

(26) Nelle opere di JRRT continui e multiformi sono i rapporti amichevoli "interraziali": Uomini e Elfi e Maiar e Elfi arrivano addirittura a sposarsi, e poi vediamo amicizie tra Hobbit e Istari, Hobbit e Nani, Hobbit e Uomini, Hobbit e Ent, ecc.. Ad essere esatti bisognerebbe chiamare "interspecifiche" tali amicizie perchè fatte da "specie" biologiche diverse, e riservare il nome di "interrazziali" alle amicizie tra gli Elfi Vanyar e gli Elfi Noldor (Indis e Finwe) o tra Uomini Rohirrim e Uomini Numenorean (Eorl e Cirion, Aragorn e Eomer, Faramir e Eowyn). Ma questa distinzione non mi sembra avere conseguenze pratiche.

L'amicizia tra Legolas e Gimli, comunque, assurge a simbolo dell'amicizia possibile tra due individui appartenenti a gruppi con tradizioni e aspirazioni notevolmente diverse. Cosa unisce i due? Subito (dalla convocazione di Elrond in poi) li unisce la comune opposizione al Male che minaccia i "popoli liberi della Terra di Mezzo". Solo dopo un certo tempo di convivenza e mutua conoscenza emerge un secondo fattore di unione. Essi scoprono nell'"altro" un simile amore per le proprie origini e per le cose belle: origini e cose belle sono diverse, ma l'amore è lo stesso. Alla fine essi partono insieme per l'Occidente, poichè scoprono che ciò che hanno in comune (la missione di aprire il proprio gruppo culturale verso quello dell'altro) era più proprio e importante per entrambi di quanto lo fossero le specifiche qualità culturali derivate dai rispettivi gruppi.

(27) Lettera a Eileen Elgar n° 246, cit., p. 330.

(28) JRRT, SdA,cit., p. 348.

(29) Cfr. T. Shippey, The Road, cit., pp. 148-149.

(30) JRRT, SdA, cit., p. 514.

(31) Ibidem, p. 1069.

(32) Ibidem, p. 73.

(33) Ibidem, pp. 881-882.

(34) Ibidem, pp. 1073-1074.

(35) Tommaso d'Aquino, "Utrum caritas sit amicitia", articulus 1, quaestio XXIII, pars secunda secundae partis, Summa Theologiae, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1988.

(36) JRRT, Albero e foglia, Rusconi, Milano, 1988, p. 133.

(37) JRRT, SdA, cit., p.1175.

(38) Ibidem, p. 1169.

(39) Ibidem, p. 1226.