Aa. Vv. (a cura di Roberto Arduini, Alberto Ladavas e Saverio Simonelli),

C'era una volta... Lo Hobbit.

Alle origini de Il Signore degli Anelli,

Marietti 1820, Genova-Milano, 2012, pp. 310



di Franco Manni




Molti Autori in questo libro della Marietti si cimentano coi loro saggi critici nel commentare Lo Hobbit, il primo romanzo di Tolkien, pubblicato nel 1937, da allora sempre popolare, e questo anno oggetto di un supplemento di attenzione a causa dell'uscita del primo dei tre film di Peter Jackson tratti dal romanzo.

Nella Prefazione dei Curatori viene sottolineato come questo sia l'unico studio interamente dedicato a Lo Hobbit finora uscito in Italia, e come ne sia valsa la pena data l'importanza letteraria di questo romanzo sì “per ragazzi” ma che ha una “complessità che molti libri 'per adulti' non hanno”. Romanzo che – per i tolkieniani esperti è una banalità ma certamente non lo è per il grande pubblico - un “prequel” (nel senso che oggi viene e dato a questa parola) de Il Signore degli Anelli. E che si può definire senza esagerazione un “classico” :

Lo Hobbit è un classico della letteratura per ragazzi e fa parte di quel genere di libri che vengono spesso accostati pur non avendo nulla in comune, a parte il fatto di introdurci in un mondo immaginario. È un mondo così concreto, così “reale”, che sembra esistere di per sé, anche se non avessimo aperto le pagine del libro. Lo Hobbit siede a fianco ad Alice nel Paese delle Meraviglie, al Vento tra i salici, al Giardino segreto, a Peter Pan e al Mago di Oz. Proprio da qui vogliamo partire, e l’elemento iniziale del titolo vuole essere un esplicito riferimento ai legami (e ai debiti) che il debutto letterario di Tolkien ha con le fiabe e con tutta la letteratura inglese per ragazzi.



Lorenzo Gammarelli in La storia dello Hobbit racconta con chiarezza, efficacia e utilità (per chi legge) la storia della composizione, pubblicazione, revisione, e ricezione critica del romanzo; in specifico sulla più recente edizione della traduzione italiana apprendiamo quanto segue:



Ci rammarichiamo infine che la traduttrice o i curatori non abbiano posto la necessaria attenzione alle rune, che pure rivestono una notevole importanza nel racconto: la scritta nella nota iniziale, che nelle edizioni precedenti era correttamente tradotta in italiano (compreso il sottotitolo, di volta in volta diverso), in questa è rimasta in inglese. Stessa cosa è successa alle rune lunari della Mappa di Thrór, con l’inconveniente addizionale che la loro trascrizione nella nota iniziale è invece in italiano, rendendo di fatto impossibile seguire le indicazioni della nota stessa per traslitterarle. Unica recensione a questa “nuova edizione”, quella di Dario Fertilio pubblicata sul Corriere della Sera, in cui l’autore loda la nuova edizione confrontandola con la precedente, ma fa confusione tra l’edizione Adelphi, la revisione Bompiani del 2004 e Il Signore degli Anelli.”


Verlyn Flieger in Ci sarà sempre una fiaba analizza la conferenza di Tolkien Sulle Fiabe e osserva come egli criticò a fondo le teorie degli studiosi di miti e fiabe del XIX, : di Max Müller la “mitologia solare” e la “mitologia come patologia del linguaggio”; di Andrew Lang l'analogia tra l'infanzia del singolo e la primitività della civiltà umana. Per Tolkien la fiaba non deriva dai fenomeni naturali ma dal mondo morale dell'uomo, e inoltre non è indirizzata specificamente ai bambini. Per lui:

così come sempre vi sarà la guerra, così ci saranno sempre le fiabe, persino se egli dovesse scriversele da solo. Se abbiamo l’una, di sicuro abbiamo bisogno delle altre. Ne abbiamo bisogno per darci proprio quello che così attentamente egli elencava: recupero di una realtà più aperta alla speranza, evasione dall’incombente ombra della morte, consolazione dal dolore attraverso l’eucatastrofe che muta la catastrofe in gioia. Senza la fiaba ci sarà soltanto il tuono, che nessun orecchio umano più udrà.


Dimitra Fimi in Cantate danzando fatine leggere mostra come per i suoi Elfi Tolkien inizialmente prese ispirazione dalle fatine tardo-vittoriane ed edoardiane:


Sembra, in definitiva, che nei primi stadi della sua produzione letteraria Tolkien abbia seguito la pervasiva moda delle fate della sua epoca cercando ancora un proprio stile e una tematica personale, ma che una volta divenuto fiducioso nelle proprie idee e creazioni sia stato in grado di rifiutare consciamente tutto quel bagaglio di immagini e costruire quelli che poi divennero gli Elfi dei suoi lavori più classici.

Cecilia Barella in Una fiaba per l'Inghilterra mostra alcune analogie tra Lo Hobbit e Il vento nei salici di Kenneth Grahame, e osserva come nel romanzo di Tolkien vi sia uno spiccato impianto morale, come richiedeva in sede critica Chesterton:


Alcune persone superficiali e pompose (quasi tutte le persone superficiali sono pompose) hanno dichiarato che le fiabe sono immorali [...] Le fiabe sono alla radice non solo morali nel senso che sono innocenti, ma morali nel senso che sono didattiche, morali

nel senso che trasmettono una morale [...] Se si legge davvero una fiaba, ci si può rendere conto che un’idea la percorre dall’inizio

alla fine: l’idea che la pace e la felicità possono esistere solo a una certa condizione. Questa idea, che è il nucleo dell’etica, è anche il

nucleo delle storie per l’infanzia. Cenerentola può avere un abito tessuto su telai soprannaturali, sfavillante di una luce ultraterrena,

ma deve essere di nuovo a casa quando l’orologio batte le dodici. Il re può invitare le fate al battesimo, ma deve invitare tutte le fate

o le conseguenze saranno terribili.


Saverio Simonelli in Lo Hobbit e le fiabe dei Grimm mostra i debiti ideologici di Tolkien verso i celebri filologi e raccoglitori di fiabe tedeschi del XIX secolo:


[c'è un] rapporto di strettissima osmosi tra i due ambiti della creatività dei Grimm, una relazione forte che muove dallo stesso principio culturale: l’idea che al fondo delle storie, al nocciolo di ogni narrazione, esista un patrimonio condiviso che va nel profondo della parola, che rimanda a un tempo remotissimo (oppure l’Aldilà del tempo, secondo la definizione che Tolkien ha dato come detto del Ginepro) e che lo scrittore deve cercare di conservare e restituire al lettore moderno. Esattamente lo stesso modo di porsi di Tolkien nei confronti della sua materia, solo che lui voleva dare una mitologia

al suo Paese che ne era privo, mentre i Grimm cercavano di filtrare la propria mitologia anche con un intento didattico e

di formazione delle giovani generazioni.


E inoltre:



Se Tolkien tanto studio ha dedicato agli Elfi e ha fatto dei Nani gli eroi della sua prima opera narrativa rivolta ai più piccoli, così anche Grimm nella sua Deutsche Mythologie ha affrontato il problema delle diverse attestazioni della figura del Nano. E anche in questo caso vicinanza alla terra, alla radice, alla sorgente, vuol dire vicinanza agli elementi minimi, più piccoli e vitali della realtà e delle storie.


Guido Mastroianni in Bilbo, Edmund, Harry, Eragon confronta l'eroe de Lo Hobbit con quelli dei romanzi di Lewis (Narnia) , Rowling (Harry Potter) e Paolini (Eragon) . Il fatto che Bilbo parta inesperto e arrivi invece maturato alla fine della storia si inserisce in uno schema comune di “formazione” che hanno anche gli altri romanzi fantasy citati. Specificamente nella confessione di Edmund ad Aslan e nei sacrifico dei genitori di Harry Mastroianni trova accenti di ispirazione cristiana. Invece:


Quello di Eragon si rivela un percorso di formazione più superficiale rispetto a quelli presentati in precedenza: il protagonista si trasforma da campagnolo impacciato in una specie di supereroe. Ciò avviene perché l’autore non lascia molto spazio all’introspezione psicologica dei personaggi.


Giampaolo Canzonieri in In principio erat Hobbit ? vengono descritte le traslazioni di personaggi e temi dal primo al secondo romanzo di Tolkien; di solito in una direzione più adulta e drammatica come per il tema dell'Anello per esempio, e più in generale:



Nello Hobbit il Male come entità non esiste affatto, nel senso che non c’è alcun personaggio che incarni un’idea cosmica di Male paragonabile al Sauron del Signore degli Anelli. Le motivazioni dei personaggi negativi dello Hobbit sono del tutto terrene, sempre materiali e per nulla cosmiche.



E Bilbo cambia in primo luogo il ruolo, perchè non è più il protagonista nel secondo romanzo, ma :



Quella meno ovvia è la traslazione da personaggio solare,xpiccolo rustico eroe borghese spesso addirittura comico, a piagato portatore di un lato oscuro, intossicata vittima di una ferita interiore inconfessata che lo porta, seppure nella “festa a lungo attesa” in modo ancora temperato dalla comicità, al distacco dai suoi concittadini ormai non più suoi simili.



In definitiva, dopo una discussione critica dei testi, per Canzonieri entrambi i romanzi sono stati generati da un terzo e più originario scritto tolkieniano, Il Silmarillion.



Claudio Antonio Testi in Processo a Bilbo Baggins analizza le qualità positive di Bilbo (predisposto alle avventure, non è avido, ama la musica, è ottimista, è coraggioso, buono, onesto, leale, misericordioso, saggio), le qualità neutre (non è un eroe, ama il cibo e la casa, è fortunato, è combattivo, non è “rispettabile”, è un leader) e le qualità negative (imprudente, ladro, scassinatore, bugiardo, a volte traditore). Alla poi conclude:



Al termine di questo lungo processo, elencate tutte le prove e soppesati i diversi fattori, ritengo quindi che l’unico giudizio finale davvero adeguato per il nostro imputato è che “Bilbo Baggins è... Bilbo Baggins”: egli è se stesso, con tutti i suoi pregi e limiti, e forse proprio per questo viene tanto amato dai lettori (giovani e meno giovani) che si sorprendono dei suoi comportamenti, dei suoi gesti nobili e delle sue debolezze, che lo rendono così “vero” e così simile a ognuno di noi.



Peter Grybauskas in Vita Reale, ovvero Qualcosa che viene dai Tuc analizza un testo che di solito non si considera e cioè il racconto che Gandalf fa della “cerca di Erebor” nei Racconti Incompiuti e che riesce a dare un contributo interpretativo al romanzo Lo Hobbit senza bisogno di cambiarlo troppo, in quanto usa il trucco narrativo di dare della stessa storia la versione di un'altra persona (Gandalf) che differisce da quella che aveva narrato la prima (Bilbo) :



«La storia apparirebbe piuttosto diversa se a scriverla fossi stato io», ricorda lo stregone ai suoi compagni (RI p. 429), e rafforzando in tal modo l’idea che il racconto dello Hobbit sia il personale (e potenzialmente fuorviato) resoconto di Bilbo, lui «non si rendeva minimamente conto» che i nani lo consideravano «fatuo» (ibid.) e così via, Tolkien mina l’autorevolezza del vecchio hobbit eludendo così giocosamente alcuni degli aspetti più problematici dello Hobbit di cui era giunto a rammaricarsi. Non c’è dubbio che Tolkien trovasse preferibile scrivere una nuova storia per giustificare la prima, piuttosto che introdurre cambiamenti radicali in un lavoro già pubblicato (e molto popolare).



Roberto Arduini in Non farti mai beffe di un drago vivo, pazzo di un Bilbo! Delinea la storia del personaggio “drago” nel fantasy cìdel XX secolo come una sintesi tra il recupero delle tradizioni medievali e il ruolo comico assegnato ai draghi nelle fiabe di età tardo-vittoriana ed edoardiana (infanzia di Tolkien) quando essi erano solo macchiette spiritose e carine. Ma poi il drago de Lo Hobbit e cioè Smaug diventa complesso e drammatico e a tutto tondo, dal drago di Beowulf prende l'aspetti di distruttore dei popoli, da drago Fafnir dell'Edda prende la sua conversazione astuta e malvagia... :



I paradossi, le oscillazioni tra comportamento animale e comportamento intelligente, il contrasto tra la stridente cortesia del linguaggio e l’evidente compiacimento nell’uccidere, concorrono tutti a fornire a Smaug la sua caratteristica dominante, la scaltrezza, che l’autore definisce, con estrema modernità, la sua «schiacciante personalità»



Questo ritratto di Smaug piacque e colpì l'immaginazione di altri scrittori successivi, inclusi quelli presenti nelle opere di Ursula Le Guin, Gordon R. Dickson, Anne McCaffrey, Jane Yolen e Barbara Hambly.



Gianluca Comastri in Un vecchio con un bastone analizza la figura di Gandalf e le sue somiglianze e differenze con quella di Merlino. Specificamente ne Lo Hobbit :



Gandalf non è il deus ex machina in grado di cavare la sua compagnia da ogni impiccio semplicemente dando fondo al suo potere, ma è invece ben conscio dei suoi limiti e addirittura timoroso di non poter affrontare tutte le situazioni, come si evince dalla descrizione dello scontro con i lupi seguito da una nuova minaccia portata dagli orchi.



Bonniejean Christensen in La trasformazione di Gollum ne Lo Hobbit dimostra come nelle tre versioni che Tolkien fece del suo primo romanzo la figura di Gollum cambi molto:



Nella prima edizione Gollum è un’anima persa, capace di uccidere ma non di venire meno a un giuramento; offre spontaneamente un anello a Bilbo come premio nella gara di indovinelli e dopo aver perso, poiché non è in grado di consegnare l’anello, indica educatamente a Bilbo la via per uscire dalla montagna. Nella seconda edizione rilegata, pubblicata prima dell’uscita del Signore degli Anelli in Gran Bretagna ma dopo l’uscita negli Stati Uniti, Gollum è una creatura avvizzita e assolutamente depravata, dominata da un Anello malvagio e capace di qualsiasi crimine. Nell’edizione economica Ballantine del 1965 non sono presenti ulteriori cambiamenti, ma nella revisione del 1966 si notano alcune marginali modifiche che sottolineano la corruzione di Gollum ed eliminano ogni riferimento che possa ancora indicare i punti in cui le due versioni erano state combinate.



Norbert Spina in I Nani nel mito e nel fantastico, dopo avere ricordato le fonti delle letterature tradizionali europee sui Nani, mostra come lungo il tempo negli scritti di Tolkien vi sia una netta evoluzione morale di questi personaggi: nei primi scritti del Silmarillion (i Lost Tales) sono creature malvagie, ne Lo Hobbit sono personaggi tra il comico, l'avido e il calcolatore, ne Il Signore degli Anelli diventano uno degli eroici “popoli liberi della Terra di Mezzo” :



Molto gelosi della propria vita privata, parlano una lingua che non insegnano a nessuno. Nei loro rapporti con le altre razze usano nomi in Ovestron che scrivono persino sulle tombe, mentre i loro veri nomi restano segreti. Riguardo questo aspetto, Tolkien trovò somiglianze fra Nani ed Ebrei, come scrisse infatti in una lettera /.../ Da un punto di vista letterario possiamo notare che i Nani di Tolkien sono degli eroi di tipo antico. Sono dei combattenti temibili, come può testimoniare l’essere riusciti a far fuggire il drago Glaurung dal campo di battaglia. Ottimo esempio può esserne sia l’orgoglioso Thorin dello Hobbit, sia il buon Gimli, ben noto ai lettori del Signore degli Anelli.



Concludono il volume due appendici: una intervista di Lorenzo Gammarelli a Elena Jeronimidis-Conte, la traduttrice italiana de Lo Hobbit; e due poesie di Tolkien in traduzione italiana : La visita del drago , e C'era una volta.



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Questo libro di saggistica critica su Tolkien spicca per la qualità veramente scientifica della sua impostazione: i contributi dei singoli autori sono circoscritti a temi particolari che si inseriscono con coerenza in quello generale di analisi dello Hobbit, e tutti mostrano dottrina ed erudizione nella letteratura critica tolkieniana internazionale e anche nella cultura letteraria e storica più generale. Elenchi di abbreviazioni, note a piè di pagina, bibliografie speciale e generale, indice dei nomi e degli argomenti sono precisi ed esaurienti. A lode dei Curatori devo e voglio dire che il lavoro di editing è encomiabile !

Il gruppo promotore di questo libro è quel “Gruppo di Studio” che già aveva scritto il libro collettivo di critica tolkieniana La falce spezzata (sempre edito da Marietti e recentemente pubblicato in inglese dalla Walking Tree di Zurigo) nel cui solco metodologico anche è stato concepito il presente libro di cui qui ho dato un resoconto. Si tratta di persone di varie parti di Italia, ex-aderenti alla Società Tolkieniana Italiana e poi da essa fuoriuscite, che da anni hanno pensato di collegare gli studi tolkieniani al grande modello della critica estera soprattutto anglosassone al fine di sprovincializzare almeno questa nicchia di dibattito culturale italiano... quella tolkieniana appunto !