di Enrico Imperatori
La compagnia volger deve ora il passo
verso l’avito reame dei nani.
Nessun può dir lo che cela l’abisso,
ma in ogn’altra via gli sforzi son vani.
Giunti che furon dov’era l’ingresso,
entro una gola tra passi montani,
gl’occhi non poteron scorger l’accesso
ma solo acque e vapori malsani,
oltre, celate da incanti, le porte,
parean sfidare i savi e gli capaci,
e solo il fato consentì la schiusa.
Ma ecco emerger dalle acque gelate
l’ultim periglio per i nostri audaci,
che duro colpo per la speme illusa.
di Enrico Imperatori
Fu per ardor e comunion d’intenti
che’l gruppo mosse compatto alla pugna,
contro il guardiano dai vitrei occhi spenti
fino a sottrarr dal tentacol che impugna
il portator, che ormai tra pene e stenti,
vinto parea dall’esser che ripugna.
Le porte oltre i compagni fuggenti
serrò per sempre l’orrenda carogna,
e del portal fece scempio e ruine.
I nove prodi dal passo ora incerto
avvolse l’oscurità con greve manto.
Solo il baglior dal mirabil bordone
donò la vista ma ruppe l’incanto,
e delle stelle rimase il rimpianto.
di Enrico Imperatori
Nulla di ciò che fu un tempo sontuoso
potea trapelare dagli antri sfatti,
il gruppo unito incedea silenzioso,
tra labirinti e cunicoli sciatti.
Condotti innanzi sul suolo petroso
dal canuto duce tra cupi anfratti,
tra tutti loro, il pensiero pietoso,
a chi abitò quei bei luoghi siffatti.
Finché dopo lungo peregrinare,
quand’anche la presenza fu palesata
giunser al cuor del reame obliato.
Finito è tempo di vagheggiare,
nel miser vano giace abbandonata
l’insigne tomba del sire amato.