Vita di Elrond

parte terza e ultima


di Lyn Ritchie



Capitolo dieci: I Dúnedain


Elrond non era andato con Gandalf all’attacco contro Dol Guldur. Aveva, come al solito, ospiti nella sua Casa. Il giovane Capitano dei Dúnedain era un bimbo a balia nella sua casa, che portava tale titolo sin da quando suo padre era caduto, quando lui era ancora in neonato in fasce. Sua madre, Gilraen, era una donna saggia ma nervosa che passava un po’ del suo tempo col figlio, ma per la maggior parte della sua vita stava ad Hindolen occupandosi della propria gente. Fu per suo desiderio che a suo figlio non fu raccontato alcunché del proprio lignaggio, neppure il proprio nome. Egli fu chiamato Estel da tutti quelli che lo conoscevano e il suo nome, che significava Speranza, parve adatto a lui. Fin dall’inizio fu diverso dagli altri bambini che crescevano da Elrond. Aveva una vista acuta e poteva scrutare a fondo nel cuore degli uomini. Egli vide l’arrivo dei membri del Bianco Consiglio quando aveva dieci anni e più tardi divertì Elrond facendo il verso a tutti coloro che vi avevano partecipato. Omise solo Saruman e, quando gli fu chiesto il perché, spiegò che Saruman era come Gandalf, simile a lui; ma benché amasse e credesse in Gandalf e spesso mimasse i suoi toni burberi e il suo fiero passo, non riusciva a trovare simili manierismi negli altri Stregoni. Fu soltanto molto dopo, quando il giudizio dell’uomo fu dimostrato essere aderente al vero, che l’istinto del ragazzo venne ricordato.

Nell’anno 2951 una notizia terribile raggiunse Elrond. Sauron aveva ricostruito la sua fortezza di Barad-dûr e proclamato sé stesso Signore di Mordor. Tre dei suoi servitori più temuti, i Nazgûl, avevano sottratto Dol Guldur ad una piccola compagnia di Elfi Silvani a guardia delle rovine, ed ancora una volta una densa coltre di fumo scese sul lato meridionale di Bosco Atro, celandolo alla vista di Galadriel. Ad Imladris Elrond chiamò Estel dai suoi allenamenti con la spada in compagnia di Elladan ed Elrohir, e gli chiese di passeggiare con lui nei Giardini. In poche parole Elrond disse ad Estel il suo vero nome e il suo lignaggio. Il giovane uomo rimase sbalordito per qualche istante e poi afferrò la mano di Elrond. «Sapevo di essere destinato a ciò, tu che sei a me più caro del mio stesso padre, e ti ringrazio di aver infine sgombrato la mia mente da ogni dubbio». Turbinando via iniziò a percorrere il giardino gridando a voce alta di come sarebbe partito immediatamente per Hindolen e avrebbe guidato il suo popolo nella battaglia contro il Nemico. Avrebbe cavalcato subito verso Gondor. Sarebbe stato proclamato Re a Minas Tirith ed assieme Elfi e Dúnedain avrebbero cacciato il Male dalla Terra di Mezzo. Improvvisamente l’Eroe fermò la sua invettiva e andò da Elrond. Si gettò a terra ai piedi di questi e, alzando gli occhi verso quel volto saggio che amava così tanto, gli parlò delle sue paure. Con voce calma raccontò di aver sognato la grandezza, ma di essersi svegliato nel terrore. «Sarei in grado di guidare in modo saggio il mio popolo? Sono la guida di cui hanno bisogno?». Mentre riversava i suoi pensieri su Elrond questi ascoltava, così come aveva fatto con gli arroganti proclami di poco prima. Come risposta Elrond diede ad Aragorn i frammenti di Narsil, la spada di Elendil e gli raccontò la vecchia leggenda che diceva che quando l’Unico Anello sarebbe stato ritrovato, allora Narsil sarebbe stata riforgiata. «Inizio a sentire che quel tempo è ora vicino e come ogni azione che intraprendiamo abbia un nuovo significato». Aragorn restituì la spada spezzata ad Elrond. Con un sorriso torvo ricordò al suo maestro che aveva ancora molto da imparare, e che una spada spezzata non sarebbe stata l’arma di cui avrebbe avuto bisogno nei giorni venturi. Elrond lasciò Aragorn ai suoi pensieri. Quella sera non fu visto alla Sala del Fuoco, ma Elrond non permise a nessuno di andare a cercarlo. Verso il crepuscolo del giorno seguente Aragorn lasciò la sua stanza per godersi l’ultimo giorno nei Giardini dove gli uccelli cantavano.

A passeggiare tra gli alberi e a cantare con gli uccelli c’era Arwen, figlia di Elrond e Celebrian, la più splendida delle fanciulle elfiche dai tempi di Lúthien Tinúviel. Inizialmente Aragorn pensò di aver avuto una visione di quella fanciulla, e così la chiamò Tinúviel; ma quando la visione si voltò per rispondergli egli per ultima cosa e per la prima volta posò gli occhi su quella faccia che aveva visto anche l’ultima volta . Perciò in soli due giorni la sua vita futura gli si presentò davanti. Un grande compito, il più grande di tutti, da adempiere e, se così doveva essere, un rapido scorcio della ricompensa che avrebbe potuto reclamare. L’autunno seguente lasciò Imladris coi fratelli di Arwen, muovendo i suoi passi sulla lunga strada che conduceva alla Torre Bianca, e all’Alto Trono.



Capitolo undici: Aragorn ed Arwen



Elrond pose un veto al fidanzamento di sua figlia. Era profondamente sconvolto dal fatto che la sua scelta fosse caduta su un mortale, conoscendo egli fin troppo bene il dolore della separazione. Aveva deciso tempo prima che non vi fosse, nell’intera Terra di Mezzo, un partito abbastanza buono per la sua unica figlia e da quando Arwen era parsa contenta della sua vita aveva messo da parte le sue reticenze di perderla per darla in sposa. Persino quando ella aveva improvvisamente dato voce al desiderio di visitare a lungo Lothlórien, egli non aveva percepito nulla di sbagliato. Lei era rimasta là per circa trent’anni e grandemente gli era mancata, specialmente nel suo compito di educatrice dei suoi figli adottivi, compito che aveva svolto per generazioni.

Successivamente, nell’anno in cui Aragorn lasciò Imladris, Elrond scorse Arwen che leggeva nella Sala del Fuoco. Per la prima volta le raccontò della sua discussione con Aragorn e delle condizioni che gli aveva posto riguardo al corteggiare una qualsiasi ragazza, di qualunque stirpe fosse. Con sua sorpresa Arwen alzò su di lui occhi pieni di lacrime. «Che hai fatto, padre? Aragorn non mi ha rivolto alcuna parola d’amore, eppure tu poni veti ai suoi sentimenti prima che lui stesso sappia quali sono. Non t’importa nulla della sua timidezza, della sua esitazione nel cercare la mia compagnia, tu che gli hai detto che il suo desiderio era irraggiungibile? Egli ha una lunga e difficile strada da seguire; deve per forza attraversala tutta da solo?». Elrond rimase in silenzio al suo fianco per un po’ mentre lei piangeva. Abbassando lo sguardo non vide più la figlia devota e la compagna leale. Vide invece una donna, desiderosa di una propria dimora, che sognava un sogno che lui aveva brutalmente distrutto. Prendendo una sedia sul lato opposto, le sollevò il mento finché i loro occhi non si incontrarono. «Mi dispiace, Arwen, se sono stato maldestro. Penso di aver dimenticato che tua madre lasciò qui ben più di un marito solitario, quando se ne andò». Comprendendo che suo padre aveva iniziato a capire, Arwen gli sorrise. «Questa è la casa di Sire Aragorn, padre, e dovrebbe essere il benvenuto qui senza veto alcuno. Non parleremo più di lui fra di noi ma, padre, se al termine del suo cammino dovesse vincere la sua guerra e lo desiderasse ancora, io siederò di fianco al Re nella Torre Bianca e ad Annúminas». Come lei desiderava, non parlarono più di lui, ma mentre gli anni passavano e Aragorn si dimostrava un uomo degno di rispetto, Elrond iniziò a credere che il cuore di sua figlia fosse più saggio del suo.

Nel 2953 il Bianco Consiglio si riunì per l’ultima volta. Gandalf ed Elrond erano determinati a spingere Saruman a raccontare tutto ciò che sapeva riguardo gli Anelli del Potere, ma lui insistette nell’affermare che l’Unico era andato perduto molto tempo addietro e che non era parte del pericolo che dovevano affrontare. Non spiegò il perché di tanta sicurezza e amare parole furono scambiate. Saruman si disse offeso da ogni piccolo dettaglio, persino dall’erba pipa di Gandalf, e lasciò Imladris bruscamente, prima che tutti gli affari fossero sbrigati. Il resto del Consiglio fu piuttosto sollevato e si decise di definire i piani per i quali si era lavorato così a lungo. I fili, anche i più piccoli, cominciarono ad intrecciarsi assieme ed una figura cominciò ad emergere. L’Erede di Isildur era un giovane eccezionale, dicevano addirittura che ricordava Elendil quando volgeva i suoi occhi grigi su di loro. Il nord era pronto ad organizzare una difesa nel caso in Gondor fosse caduto, sebbene Echtelion, il Sovrintendente, fosse stato il primo in molti anni a pensare alla difesa di Gondor e molto duro lavoro era stato fatto. Se suo figlio, Denethor, avesse dimostrato di essere l’uomo che suo padre era, Gondor avrebbe avuto una chance di sopravvivere all’assalto furioso.

Nel 2956 Aragorn visitò Imladris per una prima lunga visita dal tempo della sua partenza, cinque anni prima. Era cambiato, non era più così impetuoso, e con una lunga chiacchierata col suo insegnante lo convinse che in alcune aree l’aveva superato. Raccontandogli di quando aveva posato la mano sul cervo che stava cacciando prima che fuggisse via, Aragorn impressionò Elrond con questa semplice esposizione dei fatti, senza vanteria alcuna, di cui non sarebbe stato capace cinque anni prima. Aragorn trascorse molto tempo nella Sala del Fuoco con Arwen, leggendo assieme o ascoltando vecchi racconti, ma non le parlò del futuro e lei fu contenta di obbedire alla volontà di suo padre. Gandalf era ad Imladris in quei giorni e, per la prima volta da quand’era un ragazzo, Aragorn incontrò la sua vecchia vittima. All’inizio fu un po’ imbarazzato: fare il verso al vecchio stregone sembrava un terribile affronto, ora; ma il luccichio negli occhi di Gandalf nel momento in cui egli esagerava volutamente i propri manierismi lo fece ridere, e il ghiaccio fu rotto. Mentre i giorni passavano ed Elrond, Gandalf ed Aragorn trascorrevano molte ore immersi in conversazioni, tra loro crebbe un mutuale rispetto. I due più vecchi ascoltavano mentre il più giovane descriveva i propri piani, e lui ascoltava attentamente mentre loro davano suggerimenti. Fu Elrond che parlò dei diversi personaggi che avrebbero dovuto lavorare assieme negli anni a venire. Sapeva ben poco di Théoden di Rohan ma, da tutti i resoconti, Denethor risultava di carattere ostico. Aragorn disse di ritenere saggio conoscere bene tanto i propri nemici quanto i propri amici. Pareva probabile che Sauron avrebbe continuato ad usare gli uomini di Harad nel suo esercito e infatti, prima che gli ultimi Elfi lasciassero l’Ithilien quando Monte Fato eruttò di nuovo nel 2951, essi riferirono di uomini dalla carnagione scura in arrivo dalla Strada Meridionale. Quando Aragorn propose un viaggio attraverso Rohan e Gondor, verso Harad, camuffato, gli altri due furono pieni di dubbi. Sentivano che il pericolo nelle Terre Meridionali era troppo grande e qualcun altro avrebbe dovuto essere mandato là. Aragorn rimase disgustato dall’idea di mandare qualcuno a svolgere un compito considerato troppo pericoloso per sé. Insistette che, se davvero volevano evitare rischi, avrebbero potuto benissimo rimanere ad Imladris e attendere la fine. Gli altri acconsentirono con riluttanza e nel 2957 Aragorn prese congedo dalla sua gente ad Hildolen e partì per il suo viaggio più lungo. Per diversi anni giunsero regolarmente sue notizie e poi più nulla per tanto tempo.

Nel 2981 Aragorn tornò ad Imladris, riaccompagnando Arwen a casa da Lothlórien. Cercò immediatamente Elrond per parlargli in privato e, parlando arditamente, gli disse che sua figlia aveva acconsentito ad essere la sua promessa sposa. Elrond aveva già ricevuto la notizia da Galadriel ed aveva avuto tempo per preparare una risposta. Elrond ripeté la sua condizione: Arwen non avrebbe potuto andare in sposa ad altri che al Re del Regno Riunificato; ma questa volta andò oltre. Ora più che mai l’unità era vitale alla loro causa. Nessun dubbio o menzogna tra i leader dei popoli liberi sarebbe stato sopportato. Eppure proprio in quel momento Aragorn aveva scelto di sollevare una nube tra di loro. Non capiva che in tal modo persino la vittoria più raffinata sarebbe parsa come una sconfitta per Elrond? Aragorn cercò di comprendere, ma era giovane e pieno d’amore e speranza, e non riusciva a sopportare di sentirsi sminuito. Elrond se ne accorse e cercò una volta ancora di aprire gli occhi del giovane uomo alle implicazioni della strada che aveva preso. Elrond gli parlò del giorno, che sarebbe venuto, in cui Aragorn sarebbe morto. Alla fine Arwen non avrebbe potuto rimpiangere tutti quei giorni della loro vita trascorsi assieme, e desiderare di ricongiungersi con sua madre e suo padre, a Valinor? Aragorn fissò Elrond col suo sguardo e parlò: «Una morte improvvisa pare essere la fine migliore per me, dato che lascerebbe Arwen libera di partire con voi. Se questa è la vostra speranza, ditelo ora e ci comprenderemo l’un l’altro». Elrond rimase inorridito da quelle parole crudeli. «Ti amo come un figlio, Dúnedain, e riconosco in te tutta la nostra speranza. Se la tua vittoria significherà la mia sconfitta, così saia, giacché vedo che nessuna mia parola può farti deviare dal tuo proposito. Il tuo amore per Arwen soppianterà il mio, ma il mio amore per lei non potrà mai rimpiazzare il tuo. È la fine di tutte le cose quello che io temo di più». I due non parlarono più dell’ombra che giaceva tra loro.



Capitolo dodici: Gli Hobbit



Alcuni anni più tardi Gandalf fece ritorno a Imladris dopo una visita a Bilbo nella Contea, portando con sé nuove paure. Sapeva da molto tempo che Bilbo era tornato dalla sua avventura con un anello magico, ma aveva sempre creduto che non fosse di alcuna importanza, non avendo esso altro potere magico se non quello dell’invisibilità. Ora, avendo ascoltato le inquietanti parole pronunciate da Bilbo mentre si apprestava a lasciare la Contea, e sull’anello, si era davvero interessato alla cosa. Egli riferì ad Elrond di come lo Hobbit avesse cercato di affermare la sua proprietà sull’oggetto oltre ogni dubbio e di come avesse chiamato l’anello il suo “tesoro”. Elrond fu grandemente sorpreso al sentir pronunciare queste parole e disse a Gandalf che quelle erano state anche le parole che Isildur aveva pronunciato nel momento in cui aveva reclamato l’Anello del Potere per sé. Bilbo ora si trovava sulla strada per la Montagna Solitaria in compagnia dei Nani e Frodo, il suo erede, non sarebbe stato in pericolo se avesse obbedito alle istruzioni di Gandalf sul non utilizzare l’Anello.

Gandalf ed Elrond decisero di scoprire di più riguardo alla Storia di questo Anello. Per fare ciò avrebbero dovuto rintracciare la creatura che l’aveva perso per permettere a Bilbo di trovarlo, lì nei profondi tunnel delle Montagne Nebbiose. Senza invisibilità Gollum sarebbe stato incapace di cacciare gli orchi e certamente la fame l’avrebbe spinto all’aria aperta. Convocando Aragorn dall’Hildolen per aiutare Gandalf e i figli di Elrond nella cerca, essi iniziarono a perlustrare le montagne sulle tracce di Gollum. C’erano poche uscite da scovare e ben presto si imbatterono nelle tracce di piccole bestie mangiate crude, ma non da denti animali. Man mano si avvicinavano a degli insediamenti umani iniziarono ad udire terribili racconti di un animale temerario che strisciava di notte attraverso le finestre per rapire i bambini addormentati. Elladan ed Elrohir tornarono ad Imladris, mentre gli altri due seguirono la pista attraverso Bosco Atro, fino alle strade di Dale e poi di nuovo indietro. La creatura pareva essere andata a sud nei pressi del fiume Anduin, ma in quelle terre amorfe persero le trecce.

L’autunno seguente Bilbo giunse ad Imladris ed Elrond gli mise a disposizione una stanza accogliente sul pianterreno che egli fece sua in poco tempo. Dedicò il suo tempo a scrivere poesie ed occasionalmente le leggeva ad alta voce nella Sala del Fuoco, per il piacere o il dolore degli Elfi a seconda del soggetto. Se qualcuno dei presenti pensò che fosse fuori luogo per un Hobbit cantare dei Giorni Beati a Valinor, non lo disse comunque per il troppo amore che aveva nei confronti del vecchio Hobbit. Elrond trovò Bilbo estremamente di compagnia e spesso vide in lui un calmante nei momenti in cui gli pareva che le preoccupazioni l’avrebbero sopraffatto. Lo Hobbit dalla parlata schietta conosceva poco di diplomazia e presto o tardi tutti seppero che se gli si chiedeva un’opinione, lui la dava – diretta. Dato che raramente pensava male di qualcuno (non ebbe mai modo di pensare ai Sackville-Baggins) non si fece mai nemici, come invece capita alle persone franche, ma divenne assai rispettato, persino amato, sebbene egli non lo sapesse.

Nel corso dei successivi anni la ricerca di Gollum fu ripresa a intervalli e nel 3017 Aragorn lo trovò nelle Paludi Morte. Un lungo e miserabile viaggio lo condusse a Bosco Atro, dove lasciò il miserabile Gollum quale prigioniero di Re Thranduil. Sulla via di casa lasciò un messaggio ad Imladris per Elrond: aveva bisogno di Gandalf. Questi si affrettò lì e ciò che apprese, dopo lunghe e dolorose ore di conversazione con Gollum, lo spinse con urgenza a sud, all’archivio dei Re. Lì scoprì di alcune prove che avrebbero permesso di scoprire se l’Anello di Frodo fosse o meno l’Unico Anello, ma apprese anche che Saruman aveva già letto quei rotoli che parlavano di quelle prove.

Colmo di paura, egli cavalcò a gran velocità verso la Contea e sorprese Frodo con la sua prima visita in molti anni. L’Anello di Frodo fu provato essere l’Anello di Sauron, che Gandalf aveva cercato nei Campi Iridati per molto tempo dopo che esso era già stato trovato e portato via. Gandalf si risparmiò quella piccola ironia per condividerla poi con Elrond. Allertando i coraggiosi Hobbit affinché fuggissero dalla Contea e andassero a Granburrone, Gandalf partì per altri affari e prontamente svanì.

Elrond incontrò Frodo in circostanze inaspettate. Lo Hobbit fu condotto da lui privo di coscienza e vicino alla morte, ferito da un’arma del Nemico. Furono necessarie tutte le notevoli abilità di Elrond per far tornare Frodo dall’orlo del baratro e successivamente egli si ritirò nelle sue stanze, esausto dopo tre giorni e quattro notti di lotta contro l’oscurità. In seguito ebbe l’occasione di conoscere l’Erede di Bilbo molto meglio e di vedere in lui le stesse qualità del vecchio Hobbit. Nelle settimane che trascorsero riposandosi prima di continuare la loro missione, egli osservò da vicino Frodo e i suoi compagni, accertandosi del loro valore e trovando piacere in tutto ciò che vedeva. Al Consiglio di Elrond, dove vi furono molte sorprese, il coraggio di Frodo nell’accettare il compito che era stato designato per lui non fu una sorpresa per Mastro Elrond. Si sentiva pieno d’amore per il galante Mezzuomo e fece voto di aiutarli in ogni modo possibile nei difficili giorni che sarebbero venuti. Discusse persino con Gandalf ed Aragorn se mandare o meno una guarnigione di Elfi a difendere la Contea. Gli altri due lo dissuasero: Gandalf gli disse che ora che l’Anello se n’era andato gli Hobbit non erano più in pericolo, Aragorn gli ricordò che la Contea era già ben difesa dai Ranger, i quali non avrebbero lasciato le loro postazioni finché tutti i pericoli non fossero passati.

Dopo tali discussioni Elrond ebbe una lunga chiacchierata con Arwen. Le parlò di come avesse iniziato a sentire che la sua parte nelle guerre della Terra di Mezzo non fosse più necessaria. L’immagine era quasi completa e il suo contributo ad essa finito; se il suo filo fosse stato tagliato ora, la trama non avrebbe risentito. Arwen si sforzò di rassicurare suo padre, ma lui sorrise e le accarezzò la mano. «Tu mi fraintendi, Arwen. A lungo ho atteso questo giorno. È giusto che altri portino il mantello che io ho indossato troppo a lungo. Sono stanco, Arwen, stanco fin dentro le ossa, in un modo che non puoi neppure iniziare a comprendere. Se la tua vita potrà volgere nella direzione che desideri, forse non dovrai mai fare i conti con questa sensazione. Voglio smettere di preoccuparmi». Arwen si sporse e lo baciò sulle guance. «Quel che state dicendo, padre, è che la mia scelta è già stata fatta per me. Non provo alcun desiderio di abbandonare queste terre. Ancora le amo, sebbene non sia la loro Regina. Il giorno del mio matrimonio sarà il più lieto e il più triste della mia vita. Ma forse, se anche non mi dovessi sposare, dovremmo comunque affrontare una lunga separazione, quando voi partirete ed io rimarrò». I due rimasero in silenzio per qualche tempo, stringendosi le mani, finché Aragorn non giunse per accomiatarsi da loro prima di uscire in cerca di notizie riguardo i loro nemici.

Elladan ed Elrohir si unirono al loro padre mentre questi osservava Aragorn ed Arwen camminare nei giardini, ed egli parlò loro del suo desiderio di ricongiungersi alla loro madre. Anche loro progettavano di rimanere ad Imladris e di occuparsi della Casa per gli Elfi ancora in esilio e di star vicini alla loro sorella. Senza dubbio ella avrebbe avuto talvolta necessità di parlare dei giorni andati e chi altro se non loro avrebbe potuto ricordare? Elrond improvvisamente rise e batté la mano sulle schiene dei suoi alti figli. «Parliamo come se già la vittoria fosse nostra. Abbiamo a mala pena iniziato la campagna, e sembra probabile che tutto possa finire nelle tenebre». Elladan guardò fuori: sua sorella stava sotto il chiaro di luna assieme al suo amante. «Quella è una luce troppo grande perché venga oscurata, padre. Arwen sarà Regina e noi rimarremo qui con lei. Partite pure con la mente tranquilla e noi infine vi raggiungeremo quando i giorni del regno di Aragorn saranno finiti. Magari Arwen sarà con noi». Ma Elrond scosse il capo, sapendo che la scelta che ella aveva fatto non le avrebbe concesso la grazia all’ultimo minuto. Mentre i due tornavano dai giardini i tre uomini si allontanarono dalla finestra e assieme la famiglia si unì alla compagnia nella Sala del Fuoco.



Capitolo tredici: In viaggio per un matrimonio



Elrond sbagliava a pensare di non essere più utile alla Terra di Mezzo. Dopo la sconfitta di Saruman, un gran numero di uomini delle colline fuggirono al nord. Mentre Elladan ed Elrohir e parte dei domestici combattevano con l’esercito di Galadhrim nel Bosco Atro, Glorfindel condusse fuori una piccola truppa e li guidò verso le colline e le amorevoli cure dei Troll. Egli intercettò anche un’enorme armata di orchi venuti da ovest, dalle Montagne Nebbiose, determinati a trucidare chiunque riuscissero a trovare. Desolata sarebbe stata la terra che avrebbe dato il benvenuto al Re che tornava ad Arnor, se Elrond non si fosse ricordato delle sue vecchie abilità e non avesse diretto le campagne militari.

Un’Aquila portò la lieta notizia della Vittoria nel nord ed Elrond conobbe la verità di quanto il suo cuore aveva già sentito: l’Unico Anello era stato distrutto, infine. Quando andò nella camera di Arwen per dirle che i suoi sogni stavano per diventare realtà, la trovò che cuciva. Quand’ebbe finito di parlarle, lei si alzò in piedi e lui poté vedere che le sue dita avevano intessuto l’ultimo dettaglio di un abito da sposa. Recandosi davanti ad un grosso baule, Arwen ne sollevò il coperchio e mostrò a suo padre i risultati di mesi di duro lavoro. «Vedete, padre? Non ho mai dubitato che avrei preso la strada per Minas Tirith, ed ora sono preparata e pronta per partire. Voi potrete avere un Anello e parlare nel pensiero con mia nonna e Gandalf, ma io ho visto con gli occhi dell’amore e sapevo della nostra vittoria prima che le Aquile lasciassero il loro nido». Elrond strinse a sé sua figlia, schiacciando il sottile tessuto del vestito tra loro. I due rimasero abbracciati per molti minuti prima che Elrond si staccasse e lasciasse la camera, già pretendendo che cavalli e muli venissero preparati.

Arwen si sbagliava riguardo all’Anello che suo padre indossava. Gandal era stato troppo distante perché qualcosa più di una flebile eco dei suoi pensieri potesse essere sentita, e da quando l’Unico Anello era stato distrutto, persino quella era andata perduta. Galadriel era sempre stata la più forte quando si trattava di comunicare, ma anche lei era silente ora. Ciò confermava quel che Elrond sapeva, ma temeva; ora che l’Unico Anello era andato, il potere dei Tre stava tramontando. Per il momento avrebbero continuato a rinforzare il lavoro dei loro Portatori, ma col tempo anche quel potere sarebbe svanito e i Tre sarebbero stati ridimensionati. Elrond sentiva già la propria stanchezza raddoppiare e desiderava partire per l’Ovest subito, persino senza vedere il matrimonio di sua figlia, ma c’erano ancora compiti da portare a termine prima che potesse prendere la strada.

Il gruppo che lasciò Imladris fu uno di quelli che sarebbe stato impossibile vedere pochi mesi prima. Un forte presidio andò comunque con loro, ma non vi fu alcun bisogno di procedere in segreto. Viaggiavano lentamente, ma con grande sfarzo, con un grande bagaglio trasportato da muli. Nel nord non si vedeva una tale processione dai primi giorni dell’Era, con musici che suonavano per loro e frequenti riposi con piacevoli pic-nic. Si riposarono per qualche giorno nei pressi di Rivo Confinario per prepararsi all’ultima tappa prima per Minas Tirith, e lì furono raggiunti da un gruppo ugualmente festoso proveniente da Lothlórien. Celeborn e Galadriel avevano portato Elladan ed Elrohir con loro e, assieme, conclusero il viaggio.

Nel giorno di mezza estate Aragorn si ricongiunse con loro davanti al cancello sfondato della sua città e attese in silenzio che Elrond smontasse da cavallo. Sulle mura della città stavano, allineati, i cittadini, tutti meravigliati dalla bellezza che vedevano davanti a sé. Quando Elrond si fece avanti tenendo per mano sua figlia, l’applauso che si levò alto coprì definitivamente gli ultimi tristi echi della Battaglia lì combattuta recentemente. Aragorn non si mosse, attendendo che Elrond ed Arwen lo raggiungessero prima di alzare la mano in segno di saluto. I tre rimasero lì, l’uno di fronte all’altro, senza muoversi per lunghi istanti e, osservando la scena dal portale, Frodo udì Gandalf prendere un brusco respiro, che rilasciò con un lungo sospiro quando Elrond sorrise, salutò il Re e mise con forza la mano della propria figlia in quella del suo promesso sposo. Arwen tenne comunque l’altra mano in quella di suo padre mentre camminavano assieme per le strade di Minas Tirith fino a giungere al loro matrimonio nell’Alta Torre. Elrond rimase al suo fianco tutto il giorno finché, dopo il banchetto e la baldoria, disse di essere stanco e si ritirò nella sua camera. Quando Elrond si risvegliò al mattino, si trovò dinanzi al magnifico spettacolo di sua figlia, vestita con una semplice tunica, che apriva le tende ad un nuovo giorno. La rimproverò duramente: «Dovresti essere con tuo marito, stamani, non con tuo padre». Ma la voce di Aragorn rispose dall’altro capo del letto. Recava un pesante vassoio e, poggiandolo delicatamente sul letto, rassicurò Elrond: «Ho pensato che, dato che da questa mattina voi sarete davvero mio padre così come lo siete già stato per il mio cuore, avremmo dovuto fare colazione assieme per la prima volta». I tre si goderono una piacevole colazione prima che Aragorn fosse chiamato ad affari urgenti ed Arwen andasse nella propria camera per vestirsi in modo più consono ad una Regina di Gondor. Elrond si stiracchiò nell’alba, pensando a quando diverse sarebbero state le cose se Aragorn non fosse stato l’uomo che era.



Capitolo quattordici: Halifirien



Dopo diverse settimane felici giunse il tempo per i funerali di Re Théoden. Éomer giunse da Rohan e tutti gli invitati del matrimonio venuti dal nord cavalcarono con lui, mentre questi riportava il suo congiunto a casa. Elrond apprezzò molto la solenne cerimonia dell’innalzamento del tumulo di Re Théoden e l’allegra celebrazione di una vita ben vissuta che seguì nel Palazzo d’Oro. Non aveva mai pensato, prima d’allora, che la perdita di una persona amata potesse essere un evento da celebrare e non solo da piangere. Scoprì persino che piangere non era sbagliato, che le lacrime potevano curare le ferite, e provò grande ammirazione per i mortali che riuscivano a strappare una vittoria da un’apparente sconfitta.

Non fu comunque facile per lui quando, con sua figlia, andò ad Halifirien per porgere i suoi saluti. Le mostrò la tomba di Elendil e di Gil-galad e l’albero di sorbo che aveva piantato quando Celebrian se n’era andato. Le raccontò la storia per metà dimenticata dei primi Elfi che avevano visitato quel luogo, sulla lunga strada da Cuiviénen. Forse addirittura Elwë era stato lì, prima che fosse chiamato Thingol e che, più avanti, sposasse Melian la Maia. Egli era stato il padre di Lúthien Tinúviel ed aveva dovuto affrontare la stessa difficile separazione che ora toccava a loro due. Era morto nel Doriath molto tempo prima, ma Elrond non sarebbe sfuggito al suo destino in quel modo. Arwen asciugò le lacrime di suo padre, vedendo le sue guance umide per la prima volta nella sua lunga vita. «Non fu forse detto che la discendenza di Lúthien non sarebbe mai scomparsa dal mondo? Probabilmente anche adesso il futuro discendente cresce in me, padre. Come posso provare il tuo dolore, quando sono così colma di gioia? Non rimpiango la scelta che il mio cuore ha fatto, e non lo farò mai». Molte altre parole furono dette tra loro prima che lasciassero quel luogo consacrato e tornassero ad Edoras. Arwen non visitò mai più Halifirien, ma sentì sempre che sua madre e suo padre erano assieme, in pace.



Capitolo quindici: I Porti



Al suo ritorno ad Imladris, Elrond ebbe molte cose da mettere in odine prima di partire. La primavera seguente Celeborn e Galadriel vennero a fargli visita e assieme gli Alti Elfi trascorsero molte ore ricordando i giorni da tempo andati. Bilbo spesso sedeva a queste lunghe conversazioni e, per riguardo nei suoi confronti, essi conversarono a parole, ritornando al loro linguaggio silenzioso solo dopo che il mento dello Hobbit si era piegato sul petto e il suo russare aveva colmato la stanza. Fu un tempo pacifico per Elrond, pieno di memorie di un passato che difficilmente sembrava appartenere al loro presente. Per lunghi intervalli pensava che Arwen fosse a Lothlórien, poi si ricordava che Galadriel era lì con lui e che si era accomiatato da sua figlia ad Halirifien. Elladan ed Elrohir viaggiarono di nuovo a Minas Tirith e ritornarono con la notizia della nascita di Celebrian, la figlia di Arwen. Dissero a loro padre che Arwen era più felice di chiunque altro avessero mai visto, e che li aveva baciati e rimandati a casa con un solo messaggio per suo padre: «Avete lasciato mia madre ad attendere a lungo, perché indugiate ora? Vostra nipote vi assomiglia molto, come potrei mai dimenticarmi di voi quando vi posso vedere anche in lei?»

L’autunno seguente Elrond prese la Strada Occidentale con tutti quelli che andavano a salpare con le navi. Galadriel si era separata da Celeborn, che doveva rimanere, ed Elrond lasciò i suoi figli. Essi promisero di non attendere troppo prima di seguirlo ed egli non si addolorò nel lasciarli. Anche Bilbo viaggiò con la compagnia e, nella Contea, anche Frodo e Sam si aggregarono a loro. Frodo indossava sul petto la gemma bianca di Arwen. Sarebbe stata la più grande compagnia a lasciare i Porti dopo tanti, tanti anni, e Bilbo chiese a gran voce a Frodo se presto non sarebbero rimasti più Elfi nella Terra di Mezzo. Elrond origliò la conversazione e rispose, serio: «Ci saranno sempre Elfi nel mondo, amico mio, come ci saranno sempre Hobbit, ma questo è il Tempo degli Uomini. Noi diverremo il popolo segreto, che può essere visto solo da coloro che possiedono quel tipo di cuore in cui possiamo credere. I Dúnedain sono Alti Uomini, ma molti non lo sono, ed io temo per coloro che sono rimasti». Bilbo annuì e s’addormentò, ma Frodo pensò a lungo alle parole di Elrond. Vedendo la sua espressione solenne, Elrond parlò solo con lui, silenziosamente. «Qualunque cosa accadrà, Frodo, non ci deve preoccupare. Abbiamo giocato la nostra parte nella storia ed ora dobbiamo lasciare la storia ad altri. Tu stesso hai portato questo messaggio a me, quando ho visto il dono di mia figlia attorno al tuo collo ed ho capito che non avrebbe mai preso la nave, come il mio cuore segretamente desiderava. Lei rimarrà e giocherà la sua parte nella grande storia che si rivelerà fino a quando Eru suonerà la sua ultima melodia». Frodo vide il senso di ciò che Elrond stava dicendo e smise di preoccuparsi per il futuro che attendeva Sam e tutti coloro che amava. Quando infine raggiunsero i Porti comprese di aver fatto tutto il possibile per offrire un futuro sicuro e felice, ed impose alla sua mente di non intrattenersi ancora con la malinconia. Elrond riconobbe quel peso sulle spalle di Frodo e d’improvviso gli sorrise e annuì, felice che avesse vinto la sua battaglia coi rimorsi. Elrond stesso non era così sicuro e permise alla sua mente di vagare per un momento su sua figlia, seduta nella sua stanza a Minas Tirith, col viso piegato su quel che stava cucendo. Poi, con gli occhi della mente, vide Aragorn entrare con un fagotto piangente avvolto in soffice lana, e quindi chiuse la mente a quel quadretto felice mentre Arwen raggiungeva sua figlia.

Galadriel portò la propria cavalcatura vicino alla sua ed iniziò a raccontargli una storia divertente su uno dei suoi Elfi Silvani che aveva insegnato a Gandalf a camminare sulla corda. Sebbene stesse ridendo, Elrond ricordò che non era il solo a lasciarsi dietro le persone che amava e, con uno sforzo, narrò una storia simile su Gandalf che cercava di catturare un pesce senza lenza o amo. Non era stato in grado neppure di solleticare il più pigro pesce dello stagno e alla fine lo aveva dovuto tramortire, facendo finta che fosse caduto tranquillamente nelle sue mani. La compagnia stava ancora ridendo quando raggiunsero il porto e trovarono Gandalf ad attenderli.

La compagnia si radunò nel porto e le loro risa si acquietarono. Il momento fu pieno di commuoventi memorie e partire sembrò difficile da sopportare. Poco dopo due grandi pony sferragliarono sul molo di legno e, tra le lacrime, Pipino spiegò che Gandalf gli aveva scritto di venire. Lo Stregone spiegò che era preoccupato dal fatto che Sam facesse tutta quella lunga strada da casa sua da solo ed aveva provveduto a fornirgli compagnia per il viaggio. Al momento della separazione egli benedì i tre addolorati Hobbit: «Andate in pace! Non vi dirò “non piangete”, perché non tutte le lacrime sono un male». Le lacrime scintillavano come stelle sulla sua barba, mentre conduceva Ombromanto sulla plancia. Il nobile animale esitava, ma Gandalf cantò un canto privo di parole per lui da dove si trovava, sull’alta prua della nave, e lui salì a bordo, come tirato da un filo invisibile. Una volta a bordo, Ombromanto si tenne lontano dalla battagliola della nave quanto poteva, con gli occhi fissi sul ponte dell’imbarcazione, e la sua postura ‘da Hobbit’ fece sorride chi lo stava osservando.

Frodo baciò i suoi amici in lacrime e, ultimo tra tutti, salì sulla nave. Mentre scivolavano fuori dal porto, Elrond smise di guardare le sponde che si allontanavano e attraversò il ponte per poter osservare il mare aperto. Alla fine, dopo tutte quelle lunghe ere, Elrond avrebbe potuto raggiungere la terra promessa di Valinor e lentamente il pensiero degli amati che avrebbe rivisto là divenne più reale del ricordo di coloro che si era lasciato alle spalle.




[ traduzione autorizzata di Adriano Bernasconi di Life of Elrond  in “Nigglings”, special issue, volume 2, December 1993 ]