Bilbo Baggins e la Contea: una carriera deviante



di Elisabetta Marchi



Questa è la storia di come un Baggins ebbe un’avventura e si trovò a fare e dire cose del tutto imprevedibili. Può anche aver perso il rispetto del vicinato, ma guadagnò… be’ vedrete voi stessi se alla fine guadagnò qualcosa.” (1)

Quando si pensa alla Contea emerge subito dalla nostra memoria un’immagine bucolica, quasi da cartolina: un ridente borgo immerso nella natura in cui un popolo felice si dedica con trasporto all’arte del mangiare, bene e spesso, e del fumare erba-pipa sulla porta di casa. In realtà la Contea è un sistema sociale, diviso in classi, in cui non mancano gli attriti. (2) Tra le famiglie più rinomate troviamo i Tuc (per la ricchezza) e i Baggins (per la rispettabilità). Sul crinale, tra questi due versanti famigliari, si staglia la figura di Bilbo: il figlio di Bungo Baggins e Belladonna Tuc. Quando incontriamo Bilbo Baggins per la prima volta lo vediamo descritto come un vero gentilhobbit, vale a dire un hobbit della classe media, finanziariamente solido e moralmente rispettabile. Vive in una bella casa e, ormai vicino ai cinquant’anni, sembra aver ereditato dal padre una delle qualità più apprezzate dagli hobbit: la prevedibilità. Alla fine de Lo Hobbit, però, Bilbo, pur avendo acquisito grande prestigio nella Terra di Mezzo, perde, agli occhi della Contea, la sua rispettabilità. L’avventura insieme ai Nani, infatti, non lo porta solo fisicamente lontano dalla propria casa, ma lo trascina via dal tessuto culturale in cui aveva vissuto fino a quel momento, generando una frattura che si rivelerà insanabile. Se quindi dovessimo interrogarci su che tipo di rapporto intercorre tra Bilbo Baggins e la Contea, considerandolo semplicemente come rapporto individuo–società, potremmo sicuramente definire Bilbo un deviante. Il termine deviante, nelle teorie sociali, non è connesso ad episodi di violazione di codici in ambito legale, ma viene invece applicato ad individui che violano i criteri di giudizio della società su ciò che è considerato normale e socialmente accettabile. I devianti non sono delinquenti, ma attori sociali e registi di un’interpretazione di se stessi che li porta a seguire un itinerario diverso da quello dell’agire considerato normale dalla società. (3) Definire Bilbo Baggins un deviante non vuol dire, perciò, sminuire (o aumentare) la sua caratura morale, ma semplicemente inquadrarlo in quanto fenomeno estraneo alla normalità sociale, “normalità” hobbit, s’intende.

Quello che cercherò di fare nelle prossime pagine sarà quindi un esercizio di lettura mirato ad approfondire in che modo cambia il rapporto tra l’identità di Bilbo, definita dagli altri e da lui stesso, e la Contea. Dalle prime pagine de Lo Hobbit, infatti, fino al momento della sua partenza all’inizio de Il Signore degli Anelli, Bilbo ripercorre in maniera costante, lucida e consapevole, i passi che, a partire dalla normalità sociale, lo condurranno alla costruzione di una carriera deviante (4).

Lo hobbit sin dall’inizio sembra avere un desiderio di avventura assai poco consono a un Baggins e invece molto più riconducibile al ramo Tuc della famiglia. Bilbo all’inizio gestisce questa sua caratteristica (assolutamente deprecabile per gli hobbit) sia attraverso la continua ricerca di rispettabilità che la negazione del desiderio stesso, entrambe ben presenti nel suo primo incontro con Gandalf. In quella pigra mattinata di sole, nonostante i suoi continui rifiuti, l’ignaro Bilbo viene trasformato da borghese a scassinatore. (5) L’avventura arriva e si impone così nella sua vita con la prima partenza dalla Contea insieme a Thorin, mentre le sue vecchie abitudini sembrano sparire sopra la Collina come un grigio anello di fumo. All’interno dell’esperienza di viaggio coi Nani Bilbo assume via via, nell’idea che ha di sé e che gli altri gli rimandano, la capacità di autodefinirsi, in qualche modo, come Scassinatore. Ciononostante è nel momento in cui ritorna a casa che intraprende il vero cammino che lo devia dalla norma. A partire da quella circostanza Bilbo, infatti, continua a ridefinire quotidianamente la propria identità in base all’episodio deviante (l’avventura e la sparizione improvvisa) per poi riproporlo, in maniera ancora più plateale, con la seconda partenza dalla Contea. (6) Un passo alla volta cercherò di ripercorrere tutti quegli incroci che lo portano a diventare più di ciò che era perdendo qualcosa che aveva.



E’ tuttavia probabile che Bilbo, che era il loro unico figlio, pur avendo aspetto e modi identici a una seconda edizione del solido e tranquillo genitore, avesse ereditato dalla parte Tuc qualcosa di strano nella sua natura, qualcosa che aspettava solo l’occasione buona per manifestarsi.”(7)

All’interno della complessità sociale gli individui possiedono differenze proprie, non riconducibili alla socializzazione, per cui le aspettative che vengono fissate dalla società non coincidono mai in maniera perfetta con le caratteristiche che l’individuo può dimostrare di avere. (8) Le aspettative della Contea nei confronti dei Baggins sono legate alla rispettabilità, intesa soprattutto come prevedibilità di comportamento, ecco perché Bilbo, a causa della sua avventura inaspettata, perde il rispetto del vicinato. La frattura tra ciò che la Contea si aspetta da Bilbo e ciò che invece lo hobbit decide di fare (distacco improvviso, avventura, compagnie discutibili e ricchezze) diventa uno stigma, un marchio che lo estranea da quella che viene percepita come normalità sociale. Di qui l’inizio del processo di costruzione della carriera deviante in cui Bilbo ridefinisce la propria identità (9), arriva ad agire secondo una forma comportamentale propria (10), e alla fine ottiene uno status sociale deviante. (11) il punto fondamentale risiede nell’assunzione del processo storico, in quanto sequenza di azioni e reazioni organizzata nel tempo, come chiave interpretativa. La riflessione sul sé da parte del soggetto, e quindi la riconsiderazione della propria esperienza, è infatti un processo continuo. Lo hobbit alla fine sceglie di non ordinare in una scala gerarchica le proprie doti personali, minimizzando le caratteristiche escludenti, ma di stabilizzare nel tempo la manifestazione deviante. Bilbo, infatti, ritorna alla sua bella caverna hobbit, ma non ai giorni quieti prima della Riunione Inaspettata. Ora il fischio della cuccuma lo trova intento a scrivere poesie, mentre continua a frequentare Elfi, Nani e Stregoni. L’iniziale stigma, il marchio distintivo della sua avventura, gli ha portato il materiale, con cui poi ha deciso di costruire, giorno dopo giorno, in maniera stabile, la propria identità. Bilbo non è più lo hobbit di un tempo. A partire dalla sua avventura coi Nani, ripercorre le modalità legate alla deviazione secondaria, acquisendone le caratteristiche fondanti:

  1. ha uno status moralmente inferiore, così come più volte sottolineato da Ted, e come in generale percepito anche da altri abitanti della Contea;

  2. ha specifiche conoscenze ed abilità, così come evidenziato sia dai Nani che da Gandalf;

  3. ha un atteggiamento generale ovvero una visione del mondo. A dire il vero sembra mancare in Bilbo il senso di ingiustizia percepito dal soggetto che si manifesta poi in ostilità verso chi commina le sanzioni. Ci sono però alcuni indizi che potrebbero mostrare il contrario. Gli esempi di sottile risentimento tra Bilbo e la Contea si possono ritrovare, ad esempio, nell’aver equiparato gli invitati a merce in una cassetta, nella platealità della sua improvvisa sparizione, così come nei regali che Bilbo lascia ai diversi hobbit;

  4. infine possiede una particolare immagine di sé, che si basa sull’immagine che gli viene rimandata dagli altri con i quali interagisce, ma non è necessariamente coincidente con essa. Bilbo, infatti, sapeva di essere considerato uno “stravagante”, ma la cosa non lo disturbava affatto.

Bilbo, perciò, prende spunto da elementi della propria biografia individuale (ad esempio il proprio lato Tuc o le “cattive compagnie” che frequenta, come Gandalf o i Nani) per diventare alla fine regista del proprio comportamento “anormale” e del ruolo sociale basato su di esso. Ciò che rende Bilbo un deviante non dipende quindi solo dal fatto di avere uno stigma, una caratteristica percepita negativamente dalla società, ma dal suo farne un vessillo, al contrario di quanto accade ai Tuc e al loro spirito di avventura. La più grande differenza tra Bilbo e i membri di questa famiglia, infatti, sta proprio nel controllo dell’informazione: se da una parte nella Contea era risaputo che, di tanto in tanto, i Tuc si mettevano in cammino in cerca di avventure, dall’altra veniva comunque apprezzato il fatto che lo facessero con discrezione, “mettendo tutto quanto a tacere”. In questo modo veniva preservato il modello di integrazione sociale a cui i Tuc sentivano comunque di appartenere (durante la festa, infatti, sono inorriditi dal comportamento di Bilbo tanto quanto le altre famiglie). Bilbo Baggins, invece, è riuscito a stabilizzare nel tempo la propria devianza, facendone il perno della propria identità, sovvertendo così ogni qualità o caratteristica percepita come tale dagli hobbit: prevedibilità, discrezione, modestia, calma. (12)



Com’è bello! Come è bello essere di nuovo in viaggio per la Via con i Nani! Era ciò che rimpiangevo da anni! Addio! (…) Non ci tengo ad essere prudente. Non stare in pensiero per me! Non sono mai stato così felice, ed è tutto dire.” (13)

La chiave di lettura del comportamento di Bilbo, nel suo rapporto con la Contea, si trova, perciò, nel concetto di deviazione secondaria, vale a dire il processo sociale per cui l’attore finisce per costruirsi un’identità che lui, come gli altri, percepisce deviante. (14) In questo senso la progettualità di Bilbo, il suo rimanere fedele nel tempo a ciò che sente di essere diventato, emerge in maniera chiara anche nel dialogo che ha con Gandalf, poco prima della festa, in cui ribadisce con fermezza di avere deciso ogni cosa con mesi di anticipo.

Bilbo Baggins ha quindi iniziato come perfetto modello dell’integrazione, vale a dire dedito ad acquisire e mantenere il legame con la società/Contea attraverso requisiti di rispettabilità. E’ portatore di una caratteristica negativa, come altri Tuc prima di lui, ma, a differenza loro, nel tempo ha deciso di non metterla a tacere. Alla fine Gandalf lo vede cambiato, l’intero circondario non lo considera più secondo parametri di rispettabilità, lo stesso hobbit si percepisce diverso. Guardare a Bilbo come a un deviante può sembrare azzardato, ma non arbitrario. Se fossimo quel lucido pomello d’ottone di casa Baggins vedremmo un Bilbo sempre più cambiato varcare man mano la porta rotonda. Dall’immagine speculare del padre che fuma la pipa davanti a casa, prevedibile e rassicurante, Bilbo prende via via sempre più le distanze. E lo fa prima quasi con rammarico, poi con gioia mista ad indifferenza, e infine con grande consapevolezza. Al ritorno dalla sua rischiosa impresa coi Nani, Bilbo riorganizza il ruolo e gli atteggiamenti nei confronti della propria identità facendo di quell’episodio il punto focale intorno a cui far ruotare ogni sua esperienza, spezzando così l’integrazione con la “normalità” della Contea. (15) Bilbo, infatti, rimane legato alla sua avventura in maniera sconveniente, continuando, ad esempio, ad accogliere gente da fuori, considerata poco raccomandabile, senza alcuna discrezione. Anche la festa, meticolosamente progettata, finisce per riproporre in modo magistrale una devianza simile e connessa con quella che in origine aveva dato luogo alla stigmatizzazione (la sua sparizione improvvisa).

Bilbo parte per l’ultima volta dalla Contea in maniera certamente più consapevole della prima, staccandosi volontariamente, senza più alcuna nostalgia per un modello sociale che percepisce distante da lui e allo stesso tempo sgradevolmente troppo vicino. Il distacco avviene con progettualità, attraverso un’organizzazione razionale del lavoro non volta a nascondere o mimetizzare lo stigma, ma ad evidenziarlo nella maniera più appariscente possibile. Se nella prima partenza Bilbo aveva dimenticato, con grande rammarico, persino il fazzoletto, ora, al contrario, tutto viene pianificato in ogni minimo dettaglio. Questa volta non ci sarà ritorno ed è come se ogni preparativo facesse parte di un lungo testamento sociale. Ed è forse in quest’ottica che Bilbo, mandando all’aria ogni forma di discrezione, alla fine regala a ciascun hobbit il giusto sassolino, che, se solo avesse avuto le scarpe, si sarebbe tolto prima di partire.

La grandezza di Tolkien deriva, a mio avviso, dalla complessità di questo autore, che dietro una trama in apparenza semplice, nasconde livelli di riflessione molto profondi e tematiche adulte, dandoci così la possibilità di guardare alla Terra di Mezzo attraverso occhi sempre diversi.







Note

(1) J .R. R. Tolkien, Lo Hobbit, Milano, Bompiani, 2014, p. 2

(2) “Tolkien si guarda bene dal dipingere la società degli Hobbit come un luogo ideale. Oltre ai tanti pregi ce ne mostra, infatti, anche gli aspetti negativi: una certa ristrettezza di vedute, la diffidenza per l’altro, il conformismo, la sprovvedutezza. Queste caratteristiche sono ben evidenziate nell’attrito tra Bilbo Baggins e i suoi vicini di casa, i suoi parenti, nella perdita della rispettabilità borghese che Bilbo subisce in cambio dell’esperienza acquisita nei suoi viaggi e della crescita personale.” Wu Ming 4, Difendere la Terra di Mezzo, Bologna, Odoya, 2013, pp.165-166

(3) Il rapporto individuo-società strutturato attraverso l’articolazione di tre concetti collegati tra loro (individuo, norma, società) è un paradigma utilizzato da diverse teorie sociologiche in cui il binomio normalità-devianza diventa uno strumento di definizione del grado di integrazione dell’individuo alla società: normali e devianti non sono che due facce della stessa medaglia.

(4) “La conclusione è, pertanto che divenire devianti non è una questione che dipende da una patologia personale, dalla disorganizzazione sociale, dalla privazione, dai conflitti familiari, da una malvagità innata, dalle cattive compagnie o dalla sorte, ma da un passaggio negoziato verso l’acquisizione di una possibile identità, da una sequenza di azione e reazione, di etichettamento e di apprendimento in un quadro dominato tanto dal potere organizzato, quanto da opportunità organizzate, da probabili costrizioni e da probabili contingenze.” P. Abrams, Sociologia storica, Bologna, Il Mulino, 1983, p.157

(5) “Egli è decisamente un borghese (bourgeois) a tutti gli effetti e per questo Gandalf lo trasforma in uno scassinatore (burglar): entrambi i termini derivano dalla stessa radice (burh = “rocca”, “edificio fortificato”) e benché siano eterni opposti lo sono sullo stesso livello.” Tom Shippey, J.R.R Tolkien: la via per la Terra di Mezzo, Milano, Marietti 1820, 2005, p. 117

6) Il cardine dell’analisi sta nell’interpretazione della deviazione secondaria data da E. M. Lemert, primo teorico della labelling theory, vale a dire la corrente sociologica che ha centrato la propria analisi sul processo di etichettamento che colpisce la condotta deviante spostando l’attenzione dal fenomeno alla reazione sociale, ponendo quindi al centro del suo interesse i meccanismi del controllo sociale. L’autore, in breve, focalizza l’attenzione sui processi attraverso cui il deviante arriva a percepire se stesso come tale, ridefinendo il sé e quindi stabilizzando nel tempo la manifestazione deviante.

(7) J .R. R. Tolkien, Hobbit, cit., p. 4

(8) “La più fortunata delle persone normali ha la sua pecca mezzo nascosta: per ogni piccola manchevolezza esiste una occasione sociale che la fa apparire enorme, creando una frattura, che suscita vergogna, tra l’identità sociale virtuale e quella attuale.” E. Goffmann, Stigma, Milano. Giuffrè, 1983, p. 2

(9) “Di fatto veniva considerato dagli hobbit del circondario come uno “stravagante” (…) Mi spiace dirlo, ma Bilbo non se ne fece un cruccio. Era di ottimo umore.” J .R. R. Tolkien, Hobbit, cit., p. 408

(10) “Ho preso questa decisione alcuni mesi fa, e non ho cambiato idea.J. R. R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, Bompiani, Milano, 2003, p. 26

(11) E’ pazzo. L’ho sempre detto”, si sentiva dire da tutti a più riprese” J. R. R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, cit. p. 54

(12) E.M. Lemert rielabora il concetto di devianza per meglio indagare “i processi che creano, mantengono o intensificano lo stigma; ciò implica che il tentativo di attenuare lo stigma possa fallire, conducendo al ripetersi di una devianza simile o connessa con quella che in origine aveva dato luogo alla stigmatizzazione.” E. M. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, Milano, Giuffrè, 1981, p. 89. Se all’inizio perciò con il concetto di devianza ci si interroga sul processo in cui gli individui vengono pubblicamente etichettati come “moralmente inferiori” ciò che adesso diviene ancora più interessante investigare è come si percepisce il deviante in questa interazione. La stigmatizzazione in questo caso non si riferisce solo all’azione formale che la comunità adotta nei confronti di un individuo la cui condotta è giudicata riprovevole, ma anche al passaggio dalla devianza primaria a quella secondaria.

(13) J. R. R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, cit. p. 58

(14) La costruzione della devianza prevede che anche il deviante partecipi al processo definitorio. Da uno stigma, quindi una frattura fra ciò che ci si aspetta e ciò che è, parte un’interazione collettiva in cui il deviante accetta il ruolo e facendolo proprio collabora alla preservazione dell’universo simbolico di riferimento. Da qui la prospettiva della carriera deviante come processo del divenire più che come categoria dell’essere, poiché ognuno può avere uno stigma, ma il solo averlo non comporta l’immediata ridefinizione dell’identità attraverso il parametro della devianza. Diciamo che è soltanto il principio di un procedimento più complesso tra società e individuo. E’ importante sottolineare il continuo processo interattivo individuo-società per evitare la “romanticheria esagerata per la quale i soggetti diventano devianti perché viene loro conferito un tale status” D. Matza, Come si diventa devianti, Bologna, Il Mulino, p. 44

(15) “Il deviante secondario, a prescindere dalle sue azioni, è una persona la cui vita e identità sono organizzate attorno ai fatti della devianza”. E. M. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, Milano, Giuffrè, 1981, p.88



Opere citate

P. Abrams, Sociologia storica, Bologna, Il Mulino, 1983

E. Goffmann, Stigma, Milano, Giuffrè, 1983

E. M. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, Milano, Giuffrè, 1981

D. Matza, Come si diventa devianti, Bologna, Il Mulino, 1981

T. Shippey, J. R. R. Tolkien: la via per la terra di mezzo , Milano, Marietti 1820, 2005

J. R. R. Tolkien, Lo Hobbit, Milano, Bompiani, 2014

J. R. R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, Bompiani, Milano, 2003,

Wu Ming 4, Difendere la Terra di Mezzo, Bologna, Odoya, 2013