La marcia degli elfi (parte seconda)

di Alex Lewis

(traduzione italiana di Adriano Bernasconi)


La grande foresta di Taur-in-Mornie


Oromë tornò al campo a cavallo e il suo volto era triste poiché era scontento di vedere gli Eldar nello stesso luogo in cui li aveva lasciati quand’era partito. Ingwë s’inchinò davanti a lui mentre salutava il Vala. «Benvenuto all’accampamento degli Eldar, mio Signore»

«Non avevamo concordato, prima che io partissi, che avreste attraversato il fiume prima del mio ritorno?» domandò.

Ingwë parve imbarazzato. «La gente di Finwë ha preparato molti piani e ci sono state discussioni su quale di questi fosse il più sicuro. Alberi sono stati abbattuti per realizzare un ponte basato su uno dei tre progetti proposti, ma Lenwë e i suoi seguaci non apprezzano l’idea di tagliare degli alberi vivi per propositi così frivoli, preferendo che siano invece raccolti i rami caduti. Così ci sono stati ben pochi progressi, mio Signore, poiché i rami caduti sono difficili da trovare».

«Vedo, dunque» replicò l’altro smontando «Convoca una riunione dei vostri capi e decideremo alla svolta cosa dev’essere fatto»

Quando i vari capi, col volto pieno di vergogna, si radunarono attorno ad Oromë, egli ricambiò lo sguardo.

«Indugiare in questa pianura apparentemente tranquilla non è la scelta più saggia, o popolo delle stelle» spiegò «I vostri fuochi di bivacco in un luogo così aperto risplendono dall’alto e possono essere visti da molte miglia, conducendo i nemici da voi»

«Ma noi abbiamo acceso i fuochi di bivacco così come tu ci avevi suggerito, signore. Avremmo dovuto disobbedirti su questo?» argomentò Olwë.

«E che mi dite dell’attraversamento del fiume? Vedo dei ceppi tagliati e preparati, ma nessun tentativo di costruire i ponti di cui la vostra gente ha bisogno è stato fatto».

«Ponti?» disse Finwë «Avevamo pensato ad un unico grande ponte»

«Il vostro popolo è abbastanza numeroso da aver bisogno di almeno cinque ponti per poter attraversare le acque senza che si crei confusione» rispose Oromë «Inoltre se voi costruiste un ponte e quello dovesse collassare, molto tempo andrebbe sprecato per ricostruirlo; ma un più alto numero di ponti distribuisce meglio i rischi dell’impresa».

«Se parlerai con loro, scoprirai che alcuni di essi sarebbero disposti ad accettare il sacrificio pur di vedere gli Eldar continuare la loro marcia. Così è la misura delle cose nel mondo, che gli Olvar e i Kelvar debbano interagire e vivere gli uni con gli altri all’interno del cerchio del mondo e che vi siano momenti in cui i propositi degli uni non coincidono con quelli degli altri. Inoltre» aggiunse «Vi sono innumerevoli alberi, ma ben pochi Eldar che combattono per la propria sopravvivenza. Un albero che viene abbattuto è rimpiazzato da altri in poco tempo. Se gli Eldar venissero abbattuti dal maligno non germoglierebbero mai più».


Gli Eldar videro della saggezza in questo, persino Lenwë non questionò e così moltitudini di alberi furono abbattute allo scopo di attraversare l’Eruin, e i ponti che i Noldor costruirono furono eccellenti e resistenti. Così Ingwë lo attaversò coi Vanyar, impazientemente, Finwë lo seguì coi Noldor e finalmente i Solosimpi vennero condotti attraverso i ponti, prima Elwë e poi Olwë ed infine Lenwë, che si lamentò per gli alberi sacrificati per la costruzione dei cinque ponti, sebbene avesse accettato che così dovessero andare le cose.

«Ed ora dobbiamo lasciarceli alle spalle e nessun altro potrà farne uso» disse, tristemente «È un vero spreco per le vite degli alberi che sono state troncate»

Invece i ponti si rivelarono utili per gli altri elfi che fuggivano dalle sponde del Cuiviénen nei tempi che seguirono, mentre l’intero Mare di Helcar iniziava a ribollire e a montare irato, distruggendo le foreste che lo circondavano e respingendo i figli delle stelle con vapori e rumorose esalazioni, gettandoli come semi in lungo e in largo per la Terra di Mezzo.

Ora, al di là dell’Eruin, gli Eldar videro con soggezione la grande pianura che si allungava e vennero preparati a marciare. Oromë raccomandò loro di riempire i recipienti con l’acqua del fiume, poiché non vi sarebbero state altre fonti d’acqua potabile prima di raggiungere l’altro capo della pianura, cosa che avrebbe richiesto molti giorni o persino settimane di duro cammino.


Le praterie erano alte e silenziose. Le mandrie di animali che vi vagabondavano evitavano la processione del popolo delle stelle, con le loro torce alzate, sebbene coloro che avevano la vista più acuta potessero vedere delle forme in lontananza, simili a pesanti massi raggruppati assieme che si allontanavano lentamente, e tutti loro potessero sentire il fragore dei loro zoccoli di tanto in tanto, mentre scappavano distanti. L’alta vegetazione fu chiamata lanna dai Noldor e dalle sue fibre essi furono in grado di intrecciare corde e persino materiali per ceste e cappelli; così le praterie divennero per gli altri note come le Pianure di Lanna, ed i Solosimpi intrecciarono ceste a trama larga coi quali poter pescare nelle acque dei fiumi. Solo i Vanyar non mostrarono molto interesse per la pianura, poiché le loro menti erano completamente prese dal completamento del viaggio; tra di loro serpeggiavano dolore e frustrazione nei confronti dei Noldor, in qualche misura, e soprattutto verso i Solosimpi, e quest’impazienza fu tenuta sotto controllo dal loro signore Ingwë per il bene della sua amicizia con Finwë ed Elwë. Erano stati i Vanyar a soprannominare il gruppo di Elwë ed Olwë, che indugiava più degli altri, ‘Teleri’ fin dal primo mese di viaggio. Di tanto in tanto alcuni di loro parlavano a piccoli gruppi con Lenwë, che consideravano loro signore assai più di Elwë o suo fratello, e volevano andarsene in silenzio, mentre gli altri riposavano, dirigendosi verso sud, lontano dalle infauste nuvole temporalesche delle terre del nord. Ma, nponostante quelli che partivano, gli Elfi dai capelli d’argento erano un popolo numeroso, in confronto ai Noldor e ai Vanyar

Ora gli Eldar iniziavano a scoprire che le loro riserve d’acqua si stavano riducendo poiché, sebbene Oromë li avesse avvertiti di prendersene cura, essi erano abituati alla ricchezza del Lago Cuiviénen, dove l’acqua abbondava. Allora gli elfi erano assetati ed iniziarono ad accusare il Vala.

«Ci hai condotti alla rovina!» disse qualcuno spaventato.

«Per quanto ancora dovremo marciare attraverso queste regioni desolate prima di giungere alle terre occidentali?» domandarono gli altri.

«Non abbiate paura. Avete già percorso più di metà della distanza attraverso le pianure e non c’è ancora molto da marciare prima di raggiungere dei boschi dove trovare pozze d’acqua fresca» rispose Oromë «Conservate le vostre riserve d’acqua rimanenti in modo saggio, condividetele quando è necessario e troverete nuove sorgenti d’acqua nel giro di pochi giorni».


Quando gli Eldar raggiunsero i boschi che chiamarono Este, o speranza, Oromë li lasciò ancora una volta per ritornare dai suoi confratelli, poiché gli erano giunte voci inquietanti dalle terre occidentali, dalle quali intendeva far passare i figli delle stelle; prima di partire li sollecitò a farsi strada verso ovest, dove li avrebbe ritrovati ancora una volta quando sarebbe ritornato. Pertanto i Vanyar esplorarono i boschi per trovare dei sentieri per avanzare nel loro viaggio. Ma quando Ingwë e la sua gente tornarono, furono costernati nello scoprire che i Solosimpi avevano allestito le loro tende e i loro focolari vicino agli alberi, come se dovessero rimanere in quei luoghi per un po’ di tempo.

«Abbiamo stabilito esservi tre vie che conducono ad occidente attraverso questi boschi» disse Ingwë ad Elwë. «Ma ora mi pare che la tua gente si sia stabilita in questo luogo come se intendesse rimanervi a lungo, esortano persino i Noldor a foggiare oggetti permanenti per loro, ritardando la marcia del nostro popolo ancor di più».

Elwë sembrò dispiaciuto di ciò e non rispose alle critiche, ma Olwë fu meno restio a confrontarsi con Ingwë e parlò col cuore al capo dei Vanyar: «Questo ti meraviglia, Ingwë? Dopotutto, sappiamo come ci chiamate alle spalle da quando ai vostri occhi sembriamo quelli che puntano i piedi in questo viaggio. Teleri, gli ultimi arrivati. È questo tutto ciò che siamo per voi? Lenti e pigri ritardatari?»

«Voi siete nostri amici» disse Ingwë con dolore «E vogliamo che veniate con noi a Valinor, dove potremo vivere tutti in sicurezza»

«Ma il viaggio è stato così duro per la nostra gente» disse Elwë «Se li pressiamo troppo, potrebbero fare dietrofront e lasciare questa lunga marcia attraverso queste terre prive di strade, abbandonare la speranza ed ignorare i miei consigli e quelli di mio fratello. Già ora molti hanno abbandonato il viaggio ed hanno scelto di dirigersi a sud, preferendo un percorso più semplice. Vorrei volentieri, come te, condurre la mia gente a Valinor, ma non li porterò là con la forza, né li tartasserò – e se il mio intero popolo dovesse decidere di abbandonare la marcia verso ovest, allora anche io mi volgerò assieme a loro e li condurrò ovunque essi desidereranno».


Tutti questi discorsi incoraggiarono Olwë a parlare senza mezzi termini, così disse: «Senza Elwë ed Olwë i Solosimpi non andrebbero ad ovest. Ma senza i Solosimpi, cosa sono Elwë ed Olwë?»

A tutto ciò Ingwë e Finwë non avevano risposta, poiché non volevano dividere la moltitudine degli Eldar, e al contempo sapevano nei loro cuori che Oromë si sarebbe adirato a ritrovarli nello stesso punto in cui li aveva lasciati, se le cose fossero andate così alla fine. Tra le due opzioni, Finwë era più portato ad imparare altro sui boschi in cui erano giunti, ma Ingwë ed i Vanyar si irritarono, rimanendo nelle loro tende e componendo tristi canzoni sul percorso verso ovest che non stavano seguendo – il che infastidì a loro volta i Solosimpi, che composero le loro canzoni sulla bellezza dei boschi e su come avrebbero voluto rimanere lì più a lungo, in pace e abbondanza, ed ignorare tutti i consigli e le proposte circa il ripartire.


Così i Solosimpi ritardarono nuovamente la marcia degli Eldar ad occidente, e sempre più Eldar li chiamarono Teleri. Molti dei Noldor erano in effetti contenti di rimanere per un po’ in quei piacevoli boschi che avevano chiamato Este e dal cui pregiato legno che ivi cresceva essi ricavavano nuovi strumenti per raccogliere noci, bacche e frutta dei boschi, e Lenwë e i Solosimpi in particolare trovarono quel luogo di loro gradimento.

«Ci sono alberi qui che ascoltano le nostre parole e dopo un po’ – e con un po’ di sforzo da parte nostra – riescono a ripeterle sussurrando!» disse una volta «Magari potessimo rimanere qui qualche anno ed imparare il loro linguaggio ed essi il nostro – potremmo imparare così tanto gli uni dagli altri»

I mesi passavano ed Oromë non faceva ritorno, e quando finalmente egli tornò a trovarli, non parve sorpreso di scoprire che non si erano mossi, ed infatti disse loro che poteva essere stato più saggio, da parte loro, decidere di attenderlo anziché proseguire come egli aveva precedentemente suggerito.

«Davanti a voi vi è una grande foresta attraverso la quale potreste non passare senza il mio aiuto – si estende per molte miglia ed i suoi alberi sono alti e fitti e potreste perdervi nelle sue strane e contorte vie»

Dopodiché portò un po’ di consolazione ad Elwë ed Olwë, che erano profondamente consapevoli che il Vala avrebbe dovuto biasimare loro soltanto per il ritardo – e non resistettero quando egli chiese che l’accampamento venisse smontato e che la marcia verso ovest riprendesse.

Soltanto Lenwë parve meno che contento di lasciare i boschi di Este.

«Avevo appena cominciato a comprendere il linguaggio segreto degli alberi!» protestò tristemente «Essi mi capiscono, ora. Se solo potessi rimanere qui un altro po’ di anni, potrei insegnar loro a rispondermi, ne sono certo». Ma nessuno ascoltò il suo consiglio e fu obbligato ad unirsi alla sua gente e con aria desolata abbandonò quei boschi e gli alberi alle sue spalle parvero sussurrare tristemente per la partenza dell’elfo. Ma parve ad Oromë che gli alberi si passassero anche messaggi, inviando notizie sulla marcia degli Eldar davanti a loro, e di ciò fu al contempo sorpreso e leggermente intimorito, sperando che da ciò non venisse del male.


Il popolo delle stelle si muoveva ora con grandi speranze, poiché si era riposato, e per alcuni mesi si mosse rapidamente. Ma in quel tempo dalle terre meridionali giunsero rumori e tumulti, ed una grande montagna di fuoco fu vista crescere tutta in un giorno, oscura ed alta nelle distanti regioni del sud, ed essa emanava fuochi splendenti, scintille incandescenti e vapori nocivi in grado di sopraffare qualunque fosse rimasta in quel luogo. Ora gli Eldar seppero che coloro che si erano diretti a sud potevano non essere sopravvissuti all’attraversamento di quella terra in cui si ergeva questa montagna di fuoco, e soprattutto i Solosimpi furono in ansia per quelli della loro gente che più recentemente avevano abbandonato la marcia ed erano fuggiti a sud. Oromë li lasciò di nuovo e si diresse a sud, per investigare l’inaspettato caos della montagna di fuoco, e tornò con la preoccupazione scolpita sul suo volto. Scoprì che non vi erano stati ritardi nel progresso della marcia. Persino gli Eldar avevano preferito non tardare in presenza di una simile manifestazione di spaventosa potenza nelle viscere della terra, ma si erano mossi il più velocemente possibile, per quanto la loro stanchezza potesse permetterglielo. Potevano vedere chiaramente pennacchi di fumo e frammenti di scintille di fuoco liquido sgorgare dalle profondità della terra, che persino da quella distanza si stagliavano contro l’oscuro cielo notturno di stelle crescenti, ed erano perlopiù spaventati da quello spettacolo mortale e conobbero abbastanza bene il potere di una montagna di fuoco da tenersene alla larga il più velocemente possibile.

«Qualche nuovo male si agita in quella regione» spiegò il Vala ad Ingwë e Finwë, che l’avevano salutato per primi al momento del suo arrivo in mezzo alla confusione dei loro ranghi in fuga. «La montagna di fuoco scuote e sconvolge talmente quelle terre che un grande lago a sud, ricco di pesce e natura, è già stato rovinato. E grandi montagne si stanno elevando, per circondare come un abbraccio questa montagna di fuoco, recintandola da tutte le terre attorno. È come se un potere malvagio fosse giunto lì per dimorarvi e creare per sé una possente fortezza di cenere e granito; se così fosse, sarebbe una terribile cosa per le Grandi Terre e per coloro che vi abitano. Ecco dunque tutte le ulteriori ragioni per cui gli Eldar dovrebbero marcia ad occidente senza ulteriori ritardi. Solo in Valinor vi sarebbe adesso, io credo, salvezza per i figli di Ilúvatar».

«E che mi dici di coloro che si sono staccati dalla marcia e si sono incamminati verso sud?» domandò Olwë in ansia.

Il Vala scosse la testa. «Non ho visto nessuno in quei luoghi, sebbene Nahar ed io non ci siamo attardati più di tanto, né abbiamo perlustrato in modo approfondito l’area. Persino la vista acuta di un Vala può essere confusa da così tanto fumo e dalla densa nebbia e dai vapori che la montagna di fuoco sta vomitando in questo momento. Eppure ritengo che nessuno possa respirare l’aria entro cinquanta miglia da quel luogo di rovina e rimanere vivo per più di un giorno».


Si spostarono ad occidente con membra e cuori doloranti. I Vanyar erano sempre l’avanguardia degli Eldar, guidati da Oromë ed Ingwë sui loro cavalli. Dietro di loro i Vanyar, che cantavano le loro canzoni dedicate all’ovest, e poi Finwë sul suo cavallo e i Noldor che ora marciavano con nuove proprietà, poiché erano stati occupati a foggiare nuovi oggetti che ora detestavano dover lasciarsi alle spalle, e così marciavano lentamente e con maggiori sforzi. Per ultima giungeva una moltitudine di confratelli, molti dei quali chiamavano ora sé stessi Teleri, facendosi beffe del nomignolo affibbiatogli dai Vanyar. Quel nome rimase loro appiccicato a tal punto che presto smisero di essere conosciuti come Solosimpi tra la loro gente, e divennero silenziosi, mentre pensavano ai loro parenti che erano probabilmente periti a sud, nei pressi delle rovine soffocanti della montagna di fuoco. Presto però gli odori sulfurei vennero lasciati indietro ed i brontolii e gli scricchiolii della terra sotto i loro piedi si calmarono in qualche modo, così che i loro pensieri si volsero al riposo e alla guarigione.

Di volta in volta gli Eldar si fermarono per la stanchezza accanto a qualche sorgente o lago, oppure tra i rapidi ruscelli sulle colline, e riposarono le membra e montarono i loro accampamenti. Se Oromë li lasciava per andare in avanscoperta, era certo che al suo ritorno avrebbe scoperto che non avevano fatto progressi nella marcia ad occidente, come promettevano sempre di fare, ma non fu più impaziente o arrabbiato con loro, poiché vedeva che gli anni di viaggio stavano richiedendo il loro tributo agli Eldar, che man mano procedevano verso ovest diventano sempre più fiacchi – e lui sapeva molto bene che le barriere e le prove più ardue erano ancora davanti a loro. Il popolo delle stelle stava facendo progressi graduali, mentre marciavano compatti verso occidente, ed ogni mese li avvicinava sempre più all’obiettivo che il Vala desiderava raggiungessero, e così egli imparò la pazienza e la longanimità ed invece di biasimarli ogni volta che ritornava, li blandiva e persuadeva a continuare il loro grande viaggio. Gli Eldar si assicurarono sempre di avere piene provviste ed acqua da bere, in modo che nessuno potesse rimproverarli se le risorse di cibo si fossero completamente esaurite, il terreno fosse divenuto arido e loro fossero costretti a sopravvivere con ciò che s’erano portati dietro. Durante la marcia degli Eldar nuovi bambini erano nati e questi vennero chiamati Ranahini, o bambini del viaggio, ed erano preziosi per il popolo delle stelle, poiché sarebbero stati segno della crescita della loro discendenza nelle terre occidentali una volta che fossero stati in grado di raggiungerle.


Così alla fine gli Eldar appresero la lezione sul viaggiare prudentemente ed ammassarono un sacco di provviste e costruirono parecchi recipienti per riempirli di acqua – e ciò si rivelò assai saggio, poiché la foresta che stavano affrontando, dopo anni di viaggio attraverso macchie, paludi, pianure e colline, era fin dal primo sguardo scoraggiante. Gli alberi erano alti e scuri e ammassati assieme, così che Finwë fu portato a chiamarla Taur-in-Mornië e i Noldor la temettero.

Ora, strano a dirsi, una volta che ebbero contemplato quelle file serrate di oscuri tronchi, i Solosimpi furono attirati ad entrare nella grande foresta più degli altri, poiché il ritardatario Lenwë e la sua gente erano impazienti di parlare con gli alberi; così, quando vide quelle fila alte ad ammassate, Lenwë condusse la sua gente alla testa della marcia per la prima volta. Pertanto, mentre Ingwë stava diventando ansioso pensando che i tardivi Teleri – come essi erano divenuti noti – si sarebbero ribellati e staccati dalla grande marcia alla vista di una così scoraggiante barriera naturale, essi invece si misero a cantare a gran voce piacevoli canzoni sulla bellezza degli alberi e sull’amenità della terra in cui erano giunti, e furono trattenuti soltanto dal sonoro comando di Oromë, che li mise in guardia dal buttarsi a capofitto senza far attenzione ai pericoli che potevano nascondersi oltre il margine della foresta.


Il Vala indicò gli alberi ed un piccolo ruscello che scorreva tra i boschi. «Fate attenzione a portare con voi acqua in quantità oculata, o popolo delle stelle» disse «Poiché sebbene possano esserci noci e bacche da mangiare in quei luoghi, l’acqua potrà rimanere una merce rara, e ciò che troveremo potrebbe non essere sicuro da bere».

«Come mai?» domandò Lenwë «Di sicuro la foresta deve avere acqua in abbondanza per sopravvivere. È un luogo sicuro per coloro che possono parlare agli alberi – e potremmo imparare tutti questi segreti ben presto»

«Non tutti gli alberi che ti rivolgono la parola sono affidabili – alcuni sono pericolosi ed hanno cuori oscuri. Potrebbero non dirti tutto quello che avresti bisogno di sapere ed alcuni potrebbero persino dire falsità per intrappolarti. E per quanto riguarda l’acqua, sebbene possano esservi molte sorgenti e ruscelli in quel luogo, molti di questi sono incantati, e c’è un fiume che scorre all’interno della foresta portatore di un grande incantesimo» li mise in guardia Oromë «Queste acque dove li potete trovare sono scure, quasi nere. Non bevetene, per il vostro bene!»

«Che cosa c’è di sbagliato nell’acqua della foresta?» domandò Ingwë curioso.

«Un tempo era benedetta da Irmo ed Estë, durante le antiche guerre, così che i Valar e i loro alleati potessero giungere a quelle sorgenti per berne ed essere curati dalla stanchezza o dalle ferite. Ma i servi di Melkor il malvagio le raggiunsero ed avvelenarono le loro fonti, in modo che il riposo che esse inducevano diventasse invece un oscuro sonno di oblio; così tutte le creature benevole da allora in poi le evitarono. Un’enorme potenza risiede nello stesso fiume oscuro. Se anche dovessi bere un singolo sorso della sua acqua, potrebbe condurti ad un improvviso sonno profondo dal quale potresti non svegliarti più, oppure potresti rialzarti solo dopo molti, molti anni di sonno… e nel frattempo saresti indifeso di fronte ai mali che potrebbero giungere».

La risposta del Vala terrorizzò grandemente i Noldor, così che ora erano loro che si trattenevano dall’entrare nella foresta di Taur-in-Mornië. A quel punto i Vanyar vennero e parlarono loro e persuasero i loro amici ad attraversare la foresta in modo da trovare un sentiero che conducesse ad ovest e quindi a Valinor, e persino Elwë parlò al suo amico Finwë per esortarlo a continuare la marcia. Vergognandosi del fatto che persino i ritardatari Teleri erano disposti ad affrontare le tenebre della fitta foresta, i Noldor acconsentirono a proseguire.

Alla fine, dopo che gli Eldar ebbero riempito tutti i loro recipienti di acqua e si furono saziati coi ruscelli potabili che venivano fuori dalla foresta, il Vala sul suo cavallo Nahar suonò il suo corno e li guidò al margine della foresta, con Ingwë che come sempre lo seguiva con la sua gente, seguito dai Solosimpi con Lenwë fianco a fianco con Elwë ed Olwë, e per ultimi giungevano i riluttanti Noldor guidati da Finwë, ed essi diffidavano grandemente della foresta ed osservavano le oscure ombre attorno a loro con circospezione.


Dopo che ebbero iniziato a marciare sotto le chiome della foresta e che vennero ricoperti dal suo fitto baldacchino, scoprirono che il procedere era eccessivamente difficile – grosse radici crescevano fino a grandi altezze e si attorcigliavano come serpenti congelati, facendoli inciampare; alcune erano così grosse che gli elfi dovettero arrampicarvisi sopra, come se si stessero arrampicando sui rami stessi degli alberi. Dall’alto i rami si curvavano verso il basso, sopra di loro, e di tanto in tanto era come se potessero raggiungere e colpire la testa di coloro che passavano, o cercassero di conficcarsi nei loro occhi ed accecarli per pura malizia.

Persino peggiore degli ostacoli fisici era l’atmosfera ostile della foresta, l’oscurità tra gli alberi lasciava senza fiato e per di più sembrava esserci una vivida calura che imprigionava l’aria, serrata e soffocante, come se gli alberi si risentissero per qualunque animale che violava il loro territorio, e le fanciulle e i bambini tra gli Eldar barcollavano e svenivano esausti mentre cercavano di continuare ad attraversare quell’atmosfera opprimente; attraversando le radici aggrovigliate e il sottobosco della foresta finivano insudiciati dal muschio sui rami e alla fine era come se le loro membra si fossero trasformate in parti degli alberi stessi. I Vanyar furono i più influenzati dall’aria umida e densa, ed iniziarono a trasportare su barelle quelli tra la loro gente che soccombevano; così la marcia si rallentò ed infine si incagliò, e tutti gli Eldar si arrestarono per alcune ore nella grande foresta, esausti e abbattuti.

Poi Lenwë e la sua gente iniziarono a cantare ad alta voce in uno strano linguaggio che era ritmico e lento, profondo come le radici degli alberi nella terra ed elevato come i rami più alti dove gli uccelli nidificavano cinguettando e ciarlando – ed immediatamente i rami degli alberi che erano più bassi ed ostruttivi si sollevarono, le radici parvero schiacciarsi per creare un sentiero attraverso il quale gli Eldar potevano passare e l’aria che era stata così opprimente ora profumava piacevole e fresca, come se venisse direttamente dalle pendici ricoperte di pini delle alte montagne, dove le nuvole fanno nuovo il vento. Questo fu un grande prodigio per i loro amici.


Gli Eldar si riposarono lì dov’erano prima di riprendere il loro viaggio, e mentre procedevano scoprirono che le canzoni cantate da Lenwë e la sua gente avevano agito di meno in alcuni luoghi rispetto ad altri. Alcuni luoghi, infatti, sembravano ancora più oscuri, rinchiusi in sé stessi completamente e gravidi di paura, cosicché nessun elfo avrebbe osato entrarvi anche se avesse dovuto. Simili luoghi oscuri venivano evitati e circuiti, indipendentemente dal tempo che ci avrebbero messo, ed Oromë disse che gli spiriti degli alberi lì erano oscuri e malvagi e che avevano fatto bene a non entrare nei loro antri. Lenwë e il suo popolo individuarono gli alberi a cui cantare ed impararono di più sul loro linguaggio e parlarono loro della lingua degli Eldar.

«Yavanna disse che avrebbe posto tra i suoi amati alberi i pastori dei boschi, che li avrebbero protetti dal male, ma nessuno sapeva quando o come questi pastori sarebbero apparsi nelle Grandi Terre» disse gioioso «Ed ora guarda come i Figli di Ilúvatar, ispirati da Lenwë, hanno risvegliato i pastori ed hanno insegnato ad essi il loro linguaggio, ed hanno conosciuto le loro menti ed anche i loro cuori. Una cosa del genere è davvero una meraviglia a vedersi! E Lenwë concede un grande dono a queste creature che non dovranno dimenticare anche quando le ere livelleranno le montagne in ciottoli levigati. Ci sarà sempre amicizia tra i pastori degli alberi ed i consanguinei di Lenwë.


I mesi passavano macinando strada – le riserve di cibo diminuivano lentamente ma inesorabilmente, e l’acqua, come Oromë aveva previsto, divenne estremamente scarsa. Un giorno un ruscello di acqua scura che scorreva sul loro cammino, ed una fanciulla Vanyar di nome Olorwen si fermò e ne bevve prima che qualcuno potesse fermarla. Cadde al suolo come se fosse morta e non furono in grado di risvegliarla. Fu una duplice tragedia poiché suo marito Randor Piè Veloce l’aveva canzonata per la sua continua sete e l’aveva sfidata a bere se mai avessero trovato un ruscello, ed ora era sconvolto a causa delle sue stolte parole. Prese la sua mano e vi pianse sopra, ma senza alcun risultato. Non si sarebbe svegliata con nessuna supplica.

La trasportarono come meglio poterono, portandola a turno mentre dormiva, con accanto il suo marito addolorato, ma nessuno osò più toccare le acque di quel ruscello in seguito. La rugiada sulle foglie degli alberi e l’acqua piovana canalizzata sul suolo della foresta dagli alberi amichevoli furono tutto ciò che salvò gli Eldar durante il loro lungo ed arduo viaggio attraverso Taur-in-Mornië. Questi stessi alberi raccoglievano per loro noci e bacche nel fitto della foresta e recavano loro cibo tutte le mattine e tutte le sere, per impedire che la fame li soverchiasse.

Lenwë rise: «Mi immaginavo che con qualche insegnamento e qualche persuasione in più si sarebbero potuti muovere come facciamo noi, come se fossero kelvar anziché olvar! Sono creature davvero sbalorditive!».

Poi sbucarono improvvisamente fuori dal fitto del bosco, in una grande radura nel bel mezzo dell’oscurità della foresta, e gli Eldar alzarono lo sguardo e piansero di gioia poiché potevano contemplare nuovamente la luce delle amichevoli stelle per la prima volta in molti mesi, ed essi indicarono le costellazioni che erano loro amiche familiari e che non erano cambiate in tutto quel tempo in cui avevano vagabondato sotto la calotta di Taur-in-Mornië.

«Guardate, Wilwarin e Telumendil!» gridarono gioiosi i Noldor.

«Lì giacciono la grande Soronúmë, la possente Anarríma e Menelmacar, con la sua cintura scintillante!» aggiunse Elwë, abbracciando suo fratello Finwë mentre danzavano di gioia nella radura, coi cuori più leggeri alla vista del cielo aperto.

Lì, tra le cicute e le alte ortiche, il popolo delle stelle fece il proprio accampamento e liberò una parte del terreno ed accese grandi falò e piantò le sue numerose tende per riposare un po’. Il Vala rimase lì, a fianco di Nahar, come una statua scolpita, ed allungò la testa verso le stelle, come in ascolto di qualche suono che gli Eldar non potevano udire.


Oromë attese fino a quando tutte e tre le tribù non si furono riunite al sicuro lì, dentro il cerchio di alberi della grande radura, ed annunciò loro che avrebbe di nuovo lasciato gli Eldar da soli per un po’. A questo annuncio il popolo delle stelle fu costernato, poiché si trovavano nel bel mezzo di una grande foresta con ben poche provviste rimaste.

«Per quanto starai via?» chiese qualcuno.

«Dovremmo viaggiare verso ovest senza la vostra guida, signore?» indagò qualcun altro.

«La foresta è così fitta e oscura – potresti non ritrovarci mai più»

«Ora ascoltate attentamente e comprendete bene le mie parole, figli di Eru!» disse a gran voce «Prima di oggi vi ho supplicati di continuare a spostarvi verso occidente senza di me. Ora non più! Vi raccomando di rimanere qui in questa radura dove siete al sicuro fino a quando non tornerò per unirmi a voi nel viaggio attraverso la foresta. Non avventuratevi oltre il limitare della radura, poiché temo vi siano malvagi cavalieri in cerca degli Eldar, ed essi si avvicinano mentre perlustrano le profondità della grande foresta per trovare quelli che vogliono catturare e schiavizzare».

«Dove andate, Signore? Perché avete scelto di lasciarci se questo è un momento di grande pericolo per i nostri consanguinei?» domandò Ingwë.

«Ci sono novità nell’aria che mi inquietano. Devo scoprire quanto si estende verso ovest la foresta e quali sentieri sono i più sicuri per far sì che ne usciate indenni – poiché sono certo che gli Eldar attraverseranno Taur-in-Mornië fino all’altro lato con la loro ammirevole capacità di sopportare» rispose «Ma non farò nascere false speranze nei vostri cuori – piuttosto tornerò e vi dirò quanto in là bisogna andare, quando lo saprò con certezza. Spero di tornare con buone notizie entro pochi giorni al massimo».

Ingwë chiese se potesse accompagnare il Vala con Rocal, il suo stallone argenteo, ma Oromë disse che si sarebbe spostato molto rapidamente con Nahar e che l’elfo avrebbe potuto non essere in grado di continuare in sicurezza.


Gli Eldar osservarono Oromë montare sul suo grande destriero, che egli aveva condotto attraverso i sentieri della foresta fino ad allora, e Nahar sbuffò ed era impaziente di galoppare rapido, e scintille volarono dai suoi zoccoli quando partì in velocità, coprendo l’intera lunghezza della radura in tre possenti balzi e scomparendo lesto nelle tenebre della foresta, che sembrò divorare la sua forma come un demone delle tenebre. La radura era infatti disseminata di pietre e massi nascosti sotto lo spesso sottobosco che gli zoccoli di Nahar avevano colpito mentre passava, così quando i Noldor tolsero la vegetazione laddove avevano costruito il loro accampamento, trovarono pietre di loro gusto, poiché erano di colore chiaro ed era facile intagliarvi oggetti. Alcuni dei loro migliori artigiani tentarono quindi di intagliare forme e campioni nelle pietre, ed uno di essi, conosciuto come Tengil dalla sua gente, intagliò una sequenza di storie per immagini che mostravano il viaggio che avevano compiuto da Cuiviénen fino a quella radura, che essi chiamavano la Radura delle Stelle, Elenloed.

Essi costruirono inoltre, con molta fatica, un grande muro di cinta con pietre a secco, riuscendo a circondare tutte le dimore delle tre stirpi, e ciò fu cosa buona, come si sarebbe scoperto nei giorni successivi.


I giorni passavano ed Oromë non tornò velocemente come Ingwë aveva sperato, e gli Eldar iniziarono a sentirsi sempre più a disagio nella radura silenziosa; persino Lenwë, che inizialmente aveva disatteso gli avvertimenti di Oromë e si era mosso furtivamente verso gli alberi che li circondavano per parlare con quelli che possedevano uno spirito e desideravano ascoltarlo, ora rimaneva nei confini della radura, poiché c’era una tensione crescente e una presenza malvagia tutt’attorno a loro, e le ombre sotto gli alberi che circondavano la radura crescevano più oscure ed ostili. Occhi parevano osservare ogni movimento degli Eldar dalle profondità della foresta ed una quiete scese su tutta la zona, così che gli elfi potevano udirsi gli uni gli altri persino quando respiravano o si muovevano senza far rumore nel loro accampamento. Il pianto di un bambino avrebbe spezzato il silenzio come il rombo di un lampo, facendo sì che la madre mettesse a tacere il figlio velocemente. I figli degli Eldar non correvano più giocando allegramente come facevano prima, ma si raggruppavano in silenzio vicino alle tende dei più grandi, guardando con grandi occhi verso la strana e minacciosa foresta al di là del loro piccolo mondo, come se potesse morderli. Persino le stelle e le costellazioni parevano tacere furtive nella loro processione e Luinil la blu sembrò più offuscata di prima – ma Carnil ardeva bassa e funesta sul loro accampamento, come se qualche grande tempesta fosse in procinto di discendere su di loro.

Gli uccelli che cantavano da qualche parte in mezzo agli alberi caddero in silenzio e persino gli insetti si erano calmati e stavano rannicchiati in attesa.


Ed ecco che a distanza fu possibile ascoltare ragliare una moltitudine di corni. Non corni come il Valaróma a cui Oromë dava fiato, che era vivo e limpido, ma striduli e aspri rumori dissonanti che esasperavano i nervi di chi li ascoltava. Tutt’attorno c’era anche un calpestio di zoccoli, creature a cavallo passavano per le radure in quello che sembrava un grandissimo numero, ondata dopo ondata di battaglioni ordinati, ma – che fosse per qualche protezione del Vala che impediva loro di giungere alla Radura delle Stelle, o che Eleonloed fosse protetta dai pastori degli alberi in qualche modo, impossibile a dirsi – tutto ciò che Ingwë e Finwë sapevano era che per fato o per fortuna al nemico fu impedito di incappare in loro per tutti giorni che seguirono. Alcuni dissero che un grande signore luminoso sopra una bianca saetta era corso sulla radura in tempo, battagliando coi terribili nemici, ma nessuno ne vide più che una traccia e molti erano scettici su questo pio desiderio che il Signore del Viaggio fosse tornato tra loro e stesse proteggendo gli Eldar. Le volte in cui le stelle erano più fioche al tramonto furono i momenti peggiori: occhi da incubo e raggianti forme grottesche passavano tra gli alberi senza quasi essere visibili, ma mai abbastanza vicine da poter vedere esattamente come fossero i loro nemici, soltanto tracce di spaventosi corpi contorti con zanne e artigli ed enormi mascelle bavose, e l’occasionale ruggito che gelava loro il sangue. Olwë ed Elwë stavano vicini all’orlo della radura, guardando inquieti il costante movimento esterno, e si erano rinchiusi in un silenzio meditabondo che infondeva pensieri spiacevoli nelle loro menti. Lenwë venne a stare accanto a loro e con lui venne il suo giovane figlio Denethor, la cui vista acuta e la cui agile alta corporatura erano assai ammirate dalla sua gente, poiché egli era un Ranahini, nato proprio all’inizio del loro viaggio molti anni prima, proprio mentre la moglie di Lenwë aveva raggiunto il promontorio sopra il Cuiviénen.

«I pastori degli alberi ci nascondono per il momento, mio signore» disse Lenwë «Ma se il Signore del Viaggio ci avesse abbandonati in questo luogo? La protezione speciale delle mandrie d’alberi non potrebbe durare per sempre se così fosse. Una volta, presto o tardi, il maligno potrebbe irrompere e trovarci e a quel punto saremmo messi all’angolo e verremmo catturati tutti»

«Dobbiamo attendere Oromë. Egli tornerà, non temete» replicò Elwë.

«Come puoi esserne certo?» domandò Lenwë.

«Il Signore del Viaggio non fa vuote promesse» rispose Elwë, toccando le pieghe del suo mantello grigio, pensieroso. «Potresti affermare che egli abbia infranto un suo giuramento nei nostri confronti anche solo una volta, Lenwë?»

A queste parole Lenwë si placò, ma in nessuno di loro crebbe maggiore speranza, col male che si cresceva sempre più grande al di là della Radura delle Stelle.


Ad un certo punto, mentre l’accampamento del popolo delle stelle era mortalmente silenzioso, un trambusto improvviso risuonò nell’estremità nord e dalle chiome degli alberi ripugnanti creature volgari e rozze fecero irruzione nella Radura delle Stelle, usando fionde per assalire gli Eldar. Fortunatamente le mura di pietra frustrarono i tentativi dei malvagi di irrompere nell’accampamento degli elfi, e quelle creature – che Finwë nominò troll – furono tenute a bada dalle slanciate frecce degli elfi, e sebbene le frecce non paressero fare loro troppa impressione, servirono a confondere e infastidire i troll abbastanza da farli ritirare fino al bordo della radura, da dove erano emersi, e ad evitare di dover uscire a combatterli corpo a corpo, cosa che avrebbe comportato molte vittime tra gli elfi, poiché essi a quel tempo non possedevano alcuna arma a parte gli esili archi che usavano per andare a caccia nei boschi.

Poi, finalmente, la nemesi di questi troll giunse con le alte figure che emersero dagli alberi alle loro spalle. Gli Eldar smisero di scoccare le loro frecce e guardarono meravigliati i troll che venivano schiacciati o fatti a pezzi dalle strane creature simili ad alberi. Dopo che l’ultimo dei troll fu distrutto, Lenwë balzò giù dalla cerchia di mura e corse a salutare calorosamente questi nuovi arrivati, e la sua gente e gli altri lo seguirono, con maggior cautela.


«Venite, amici miei, venite ad incontrare i pastori della foresta, gli Ent, come ho deciso di chiamarli!» annunciò.

Le creature molto simili ad alberi guardano con occhi verdi scintillanti gli Eldar ed il loro accampamento di tende, nonché i malvagi che avevano distrutto.

Uno di essi parlò. «Siamo venuti per porgervi i nostri ringraziamenti per averci svegliato ed averci insegnato a parlare, curandoci dal nostro mutismo – questo è un grande dono per noi, Primi Nati. Ed ora abbiamo ascoltato anche la vostra saggezza ed abbiamo imparato a muoverci».

Elwë s’inchinò davanti agli Ent, cosa che li stupì grandemente. «Ringraziamo te e il tuo popolo per aver impedito ai malvagi troll di farci del male».

«Che specie di contorte creature sono questi vostri nemici?» chiese l’ent curioso «Tu li hai chiamati troll. È una parola davvero breve e sbrigativa, eppure sentiamo che essi sono, in qualche modo, la nostra controparte malvagia, e meritano un nome più lungo e discordante. Come può essere? Possono forse i Primi Nati spiegarci da dove provengono queste creature malvagie?»

«I cavalieri oscuri hanno preso molti del nostro popolo in passato, nei primissimi giorni in cui ci eravamo risvegliati sotto le stelle» disse Ingwë in risposta «Forse hanno preso alcuni del vostro popolo da boschi e foreste e li hanno volti al male».

«Hroom! Ciò sarebbe una vera stregoneria, se così fosse. Ma forse vi sono semi di male in ogni cosa, poiché abbiamo trovato chiazze oscure nella foresta dove gli alberi hanno pensieri oscuri ben diversi da quelli delle altre mandrie d’alberi».


Gli Ent rimasero per un po’ nella Radura delle Stelle e parlarono coi Solosimpi così come coi Noldor e i Vanyar, e tutti gli Eldar furono appassionati nell’incontrarli e nel parlare con loro, poiché a parte Oromë e i malvagi servi dell’Oscuro non avevano incontrato altre creature nelle Grandi Terre che camminassero e parlassero. Poi, improvvisamente, vi furono grida di sgomento e dalle tende dei Vanyar alcune delle loro donne giunsero correndo dai loro capi.

«Olorwen! È Olorwen!» gemettero.

«Che le accade? Si è svegliata?» domandò Randor pieno di speranza.

«No, ci è stata portata via!»

Poi vi furono sgomento e confusione. Divenne chiaro che l’attacco dei troll era coinciso con un’incursione vigliacca dal lato sud e qualunque creature fossero giunte alle tende, esse avevano trovato soltanto Olorwen stesa e l’avevano portata via.

«Devo trovarla!» esclamò Randor.

«Come? Nelle profondità della foresta vi sono troppe aree in cui cercare e non saranno rimaste tracce» replicò Ingwë.

«Non m’importa, mio signore. Ella è mia moglie e non posso abbandonare Olorwen ad un simile fato! È solo colpa mia se è stata colpita dalla malattia del sonno ed è finita per prima nelle grinfie di queste creature malvagie. Perciò devo trovarla e salvarla!»

«Non posso impiegare una compagnia di elfi per cercare in lungo e in largo nella foresta, Randor. Sarebbe pericoloso per chiunque uscire là fuori con i cattivi sparsi ovunque»

«Allora andrò da solo!» disse Randor Pié Veloce.

«Non da solo!» disse una voce e, voltandosi, essi videro uno degli Ent fare un passo avanti e avvicinarsi all’elfo dai capelli dorati. «Conosco questa foresta bene come chiunque» spiegò «Verrò con te e cercheremo di salvare tua moglie. Se si trova ancora ai margini della foresta la troveremo».


L’ent conosciuto come Veroraggio era alto ed aggraziato, con corteccia liscia ed un colorito grigio, e camminò a grandi passi a fianco di Randor Pié Veloce verso il lato meridionale della grande radura. Randor portò con sé un arco ed alcune frecce, ma nient’altro, neppure del cibo, poiché si proponeva di trovare sua moglie o di morire nel tentativo.

Al di là dei confini della radura la foresta era spessa e aggrovigliata, così alla fine Veroraggio sollevò l’elfo, che si stava rapidamente affaticando, e lo trasportò con sé, mentre faceva fantastici progressi e notevoli passi avanti, trovando un sentiero tra gli alberi, mentre questi si ritiravano per permettere il loro passaggio. Egli parlava agli alberi, mentre procedeva, e agli altri ent vagamente visibili su entrambi i lati, e presto Randor comprese che Veroraggio stava inviando messaggi per cercare di localizzare le creature malvagie che stavano trasportando la giovane elfa addormentata. Il risultato dovette essere positivo, poiché presto Veroraggio emise un richiamo simile al suono di un corno e deviò la sua direzione da sud a nord-est, saltellando sopra i ruscelli come se fossero semplici pozzanghere e prendendo una nuova andatura persino più rapida che sbalordì e meravigliò l’elfo. La foresta appariva sfocata su entrambi i lati a causa della velocità del loro viaggio e Randor rimase sbalordito del fatto che Veroraggio non si fosse schiantato contro alcunché sul suo percorso. Altri distanti richiami simili al suono di un corno giunsero alle loro orecchie, mentre procedevano con la loro nuova precipitosa andatura, e Veroraggio sembrò più speranzoso mentre si avvicinava.

«Ho sentito gli alberi parlare di una fanciulla che è stata catturata dai cattivi, e che possiede capelli dorati» disse infine «Forse questa è tua moglie»

«Lo spero» replicò Randor.


Quando giunsero in una piccola valle fittamente alberata, essi trovarono delle creature tetre e minacciose che fecero rivoltare lo stomaco di Randor e rizzare i peli sul retro del suo collo con un formicolio. Sapeva d’istinto che questi erano malvagi servitori del nemico e, nel suo disgusto, li chiamò ‘Yrch’. Quando arrivarono, essi scagliarono pietre sull’elfo e l’ent con le loro fionde, ma le pietre rimbalzarono sui fianchi di Veroraggio e servirono solo ad accrescere la sua ira, che era sorprendente a vedersi – con un grande suono strombazzante, egli balzò sugli Yrch e cominciò a farli a pezzi.

Randor vide la prigioniera legata e incappucciata ad un albero e due Yrch che stavano dietro di lei con in mano coltelli, pronti a farle del male, quindi si avventò su di loro a mani nude, lottando con le brutte creature pelose finché non spezzò il collo ad una di esse e colpì l’altra così ferocemente che questa si ritirò nei boschi ringhiando piena di sgomento. Poi tolse il cappuccio alla prigioniera ed ansimò per la meraviglia, poiché era proprio Olorwen ed era sveglia – sebbene fosse in lacrime per la paura di trovarsi tra nemici crudeli.

Veroraggio cacciò via l’ultimo Yrch e giunse per trovare Randor che slegava sua moglie e poi la stringeva stretta a sé.

«Hroom! Vedo che sei riuscito a ritrovarla e che è sveglia!»

Randor spiegò a sua moglie chi fosse l’ent e – dopo che ella si fu ripresa dallo shock iniziale di vedere un albero camminante e parlante (come lei lo concepiva) – lei lo ringraziò piena di gioia.

«Ma Oromë aveva detto che chiunque avesse bevuto dalle acque oscure avrebbe dormito per sempre» disse Randor «Come sei riuscita a sormontare l’incantesimo delle tenebre?»

«I cattivi hanno versato un liquore caldo dentro la mia bocca e quello mi restituito i sensi» rispose lei mentre si voltavano per incamminarsi sulla strada di ritorno per la Radura delle Stelle. «Mi domando in quale terribile incubo stavo per finire, poiché essi erano crudeli e mi schernivano perfidamente. Mi pizzicavano e colpivano, e mi avrebbero fatto molto male se non foste venuti a salvarmi in questo momento»

«Forse i cattivi hanno appreso stregonerie capaci di sovrastare gli incantesimi dei loro malvagi padroni» disse Randor pensieroso «Dovremmo parlare di ciò con Ingwë e con Oromë, una volta che saremo ritornati a Elenloed»

«Bene, ora dobbiamo lasciare questa valle il più presto possibile» disse Veroraggio «C’è molta oscurità nei paraggi e volontà malate – persino gli alberi in questa valle mi tollerano ma non amano il fatto che io sia qui tra la loro specie e ci vorrebbero fuori dalle loro terre, come le chiamano loro».


Tornarono ad Elenloed a piedi e fu un lungo e laborioso viaggio, poiché persino Veroraggio non era in grado di trasportare al contempo Randor ed Olorwen mentre avanzava a grandi passi; dunque ci misero molti giorni, durante i quali le creature dell’oscurità li braccarono, ed essi li affrontarono e li combatterono finché quelli non abbandonarono finalmente la caccia. Quando fecero ritorno erano affamati ed assetati, poiché avevano fatto interamente affidamento su ciò che Veroraggio poteva raccogliere per loro. Al momento del loro arrivo alla Radura della Stelle ci fu molta gioia, specialmente tra i Vanyar, poiché in molti avevano sperato nel ritorno di Veroraggio, ma in pochi avevano pensato di rivedere di nuovo Randor Piè Veloce vivo, e ancor meno si aspettavano di vederlo tornare con sua moglie. Nessuno, neppure i più ottimisti degli Eldar, avevano osato sperare che lei potesse tornare da sveglia, e dunque un grande banchetto venne preparato su esortazione di Ingwë nel campo dei Vanyar, per celebrare il suo ritorno sana e salva in più di un senso, e a Veroraggio fu reso molto onore dal signore dei Vanyar per il suo coraggio. Dopo il banchetto, Veroraggio tornò dalla sua gente per un breve periodo, ma una grande amicizia con gli Eldar – e specialmente con i Vanyar – crebbe da quel giorno in poi tra quell’ent e i suoi congiunti.


Da quel momento in avanti Olorwen scoprì che poteva dormire molto profondamente e che i suoi sogni erano reali presagi di quel che sarebbe accaduto; così, dopo che ebbe riposato al termine del banchetto, si svegliò e dichiarò agli Eldar che Oromë sarebbe tornato l’indomani, e questo venne provato quando le sentinelle – che i Noldor avevano posizionato dal momento dell’attacco all’accampamento – udirono il Valaroma e gli inconfondibili nitriti di Nahar, e poi il Vala ritornò alla Radura delle Stelle e si incontrò ancora una volta con gli Eldar.

«C’è stato molto male, là fuori, come temevo, e sono sceso in battaglia con gli altri per sparpagliare i nemici e tutte le loro spie, in modo che il popolo delle stelle possa giungere ai confini della foresta in sicurezza» disse, sebbene non avesse rivelato chi fossero questi alleati da cui era stato aiutato. Ma tutti gli Eldar rievocarono l’elusiva e fugace immagine di un luminoso guerriero che cavalcava un fulmine bianco e si domandarono se avessero contemplato davvero il Vala così come appariva quando combatteva e rivelava la sua ira e il suo potere alle forze del male.

A quel punto s’avviarono ancora una volta, smantellando il loro campo e portando con sé i loro possedimenti; ma le meravigliose pietre intagliate che lasciarono lì mostrarono la storia del loro viaggio e il racconto di Olorwen e di Randor Piè Veloce, e il sottobosco le ricoprì lievemente, e quelle pietre in quella radura si dimostrarono un altro utile segnaposto per quegli elfi che andarono verso occidente sfuggendo al male che crebbe grandemente nei giorni che seguirono, quando il Cuiviénen non era niente più di un ricordo dei loro primi giorni dopo il risveglio.


Gli Eldar si erano infatti già addentrati di molto nella grande foresta di Taur-in-Mornie, ed ora che si erano riposati erano in grado di attraversarne l’ultimo difficile tratto, in mezzo a roventi terre spezzate, in tre giorni di dura marcia. Quelli tra loro con la vista più acuta potevano vedere gli Ent affiancarli su ambo i lati nella loro avanzata, così che nessun male potesse raggiungerli, e quando emersero dal confine della grande foresta, con lacrime di sollievo ed esultanza, anche alcuni dei pastori degli alberi uscirono con loro e abbandonarono in quel momento il luogo in cui erano stati germogli, desiderando di andare ad ovest e vedere le terre di cui gli Eldar parlavano. Tra questi vi erano Veroraggio e la sua gente.

Davanti a loro si allungava una grande prateria, che scintillava sotto il chiarore delle stelle, e dopo due giorni di marcia, gli Eldar coi loro compagni custodi di alberi giunsero ad un grande fiume che scorreva esattamente in mezzo al percorso che desideravano intraprendere, ruzzolando giù da qualche remota e sconosciuta regione del nord. Queste gonfie e possenti acque fecero spaventare gli elfi, ed essi brontolavano tra loro di come avrebbero mai potuto sperare di attraversare quel corso d’acqua.

«Guardate il Grande Fiume delle terre centrali» annunciò Oromë «Questa non è che una delle tante barriere che devono affrontare coloro che desiderano viaggiare verso le coste occidentali e il mare».

«Ma come possiamo attraversare questo possente ostacolo, Signore?» domandò Finwë ansioso «Potremmo anche aver avuto successo nel costruire un ponte sul piccolo fiume Eruin, come avete suggerito anni fa, ma questa è un’impresa assai più grande!»

Ingwë osservò le acque vorticose. «Potremmo attraversarlo a nuoto?» domandò.

«No! Guarda quei mulinelli e quei vortici sulla superficie. Le infide correnti ti trascinerebbero rapidamente verso la morte!» rimarcò fermamente Olwë «Non chiederei ad uno degli Ent di tentare la traversata qui, per non parlare di uno degli Eldar».

«Quanto è lungo questo fiume?» chiese Ingwë «Possiamo forse attraversarlo altrove? Dove finisce? Potremmo forse trovare la sua sorgente?»

«Il fiume si getta nel mare a molte, molte miglia di distanza da qui, diventando nel mentre sempre più ampio e profondo, e la sua sorgente è nelle montagne settentrionali, le quali sono troppo pericolose per gli Eldar, essendo vicine ai luoghi in cui vennero combattute anticamente le battaglie con l’oscuro nemico» rispose il Vala «Poiché questo è probabilmente il più lungo fiume del nord e dell’ovest delle Grandi Terre».

«Allora lo dovremmo chiamare Lungo Fiume» disse Finwë, ed anche in seguito gli elfi chiamarono il Grande Fiume delle Terre Selvagge col nome di Anduin. «Ma davvero abbiamo attraversato questa barriera quando viaggiammo ad occidente assieme a te anni fa?»

«Il luogo in cui l’abbiamo attraversato è assai lontano da qui, a sud, ed in una regione pericolosa, sebbene Nahar fosse in grado di fare un simile balzo, ma suppongo vi sia un’altra soluzione a questo problema». A quel punto Oromë raccontò loro che in effetti c’era un punto in cui le acque scorrevano su massi rocciosi e non scorrevano troppo rapidamente e non erano troppo profonde; in quel punto avrebbero potuto anche trovare un modo per passare sull’altro lato. «Ma c’è un dirupo di venti piedi d’altezza sulla riva occidentale che dovrete scalare se desiderate raggiungere il lato apposto» aggiunse, preoccupando i Solosimpi. «Le correnti ai piedi del dirupo sono molto rapide, sebbene le acque siano poco profonde – ma è forse l’unico posto abbastanza vicino in cui potreste tentare una traversata in gran numero».

Veroraggio ascoltò il Vala, poi parlò: «Un dirupo di venti piedi non è poi tanto un ostacolo, o Signore del Viaggio – la mia gente potrebbe sollevare gli Eldar, trasportarli dall’altro lato, lasciarli in cima al dirupo e, se le acque lo permettono, potremmo guadare ancora più in là, fino a quando non toccheremo terra per conto nostro».


Così avvenne che gli Eldar si diressero a nord ancora una volta per un po’ e percorsero il confine della grande foresta di Taur-in-Mornie, finché non si trovarono su un affioramento scosceso sulla sponda più lontana del fiume. Il Signore del Viaggio li aveva condotti ad un luogo in cui l’attraversamento poteva essere tentato ed egli li avvertì che dovevano guadare fino alla riva occidentale del possente fiume prima possibile.

«Poiché le stagioni fredde inizieranno e piogge pesanti gonfieranno assai le acque del Grande Fiume, e voi potreste non riuscire più a raggiungere l’altro lato per parecchi mesi»

Ingwë disse: «Agiremo come avete detto, signore»

«Dovrò partire di nuovo per il sud prima che voi attraversiate le montagne» disse «Voglio ottenere qualche promessa di aiuto e protezione da parte degli altri miei confratelli per quando ci troveremo in quegli alti luoghi, vulnerabili agli attacchi del male nelle Grandi Terre». Fece una pausa. «Ma non dovremmo tardare troppo in questo attraversamento. Se la stagione fredda incomincia, i passaggi potrebbero essere troncati».

«Non c’è un altro passaggio che potremmo usare, signore?» domandò Ingwë «Potete vedere come i nostri amici Teleri esitino e siano intimiditi da quei picchi che bucano il cielo».

Oromë sorrise. «Quel nome per i Solosimpi ha un alone di verità ed io li ho sentiti usarlo tra la loro stessa gente». Guardò a meridione. «C’è solo un altro passaggio, dove tu e i tuoi due amici avete attraversato con me un tempo, ma in quel luogo ora vi è radunato molto male, poiché i servi del nemico si aspettano che gli Eldar vengano condotti lì da me. Ma oltre a questo, c’è una grande palude che si estende oltre il passaggio, dentro un’intricata foresta, in cui affondereste. Solo Nahar potrebbe trovare, con le sue abilità, quel sentiero privo di tracce. Ma nessuno degli Eldar ci riuscirebbe, così riuniti assieme ed appesantiti da tutti i loro possedimenti».

Così, congedandosi nuovamente da loro, egli montò su Nahar precipitandosi a sud, in direzione di quel luogo in cui avrebbe potuto passare ad ovest, attraverso una pericolosa breccia nella catena montuosa, fino alle terre paludose al di là di essa.


In quel punto d’attraversamento gli Ent aiutarono gli Eldar a guadare a piccoli gruppi per un certo numero di settimane, ma sebbene i Vanyar ed i Noldor fossero pronti ad attraversare il fiume quando ve ne fu l’opportunità, i Solosimpi incarnarono il loro soprannome di Teleri ancora una volta, poiché detestavano far ciò e si rifiutarono di guadare verso ovest. Molti erano spaventati dalla scoraggiante prospettiva dei terribili picchi frastagliati visibili ad ovest che sapevano di dover attraversare per giungere alle terre al di là di essi, nella parte più occidentale delle Grandi Terre dove il mare lambisce le sponde. Altri si guardavano alle spalle, in direzione della grande foresta di Taur-in-Mornie, ed avrebbero volentieri esplorato quella fortezza d’alberi in cerca di altri spiriti che potevano risvegliare. Alla fine Ingwë e Finwë decisero di lasciare indietro sulla riva orientale dell’Anduin la cavalcatura di Ingwë, lo stallone d’argento Rocal, e la lucida e liscia cavalla di Finwë, Thinhir, per fare compagnia a Tintar, lo stallone bianco argenteo di Elwë.

«Poiché in tal modo potrai prometterci che un giorno verrai e cavalcherai con noi sulla riva occidentale di questo fiume» disse Finwë.

«Una volta che ci sentiremo pronti ad attraversare le acque» rispose Elwë, accomodando il suo mantello grigio sulle sue spalle.

«Non tardare troppo, amico mio» disse Ingwë ai fratelli «Oromë ci ha detto che le stagioni fredde si avvicinano e qualunque passo attraverso le montagne dev’essere tentato entro i prossimi tre mesi, oppure ci toccherà attendere le stagioni d’erba per almeno sei mesi, poiché le montagne rimangono fredde più a lungo delle pianure».


L’accampamento dei Vanyar sulla riva occidentale del grande fiume era illuminato da lanterne che i Noldor avevano costruito per loro, e i canti che si levavano da quel popolo erano gioiosi, perché essi ora sapevano che, una volta attraversate quelle montagne formidabili, avrebbero incontrato ben poche altre barriere ad esse comparabili nella loro avanzata verso occidente. Tutti i pastori degli alberi che erano venuti dalla foresta assieme a Veroraggio trovarono la loro strada verso l’accampamento dei Vanyar e rimasero con loro. I Noldor guardarono indietro, al di là dell’Anduin, i loro amici ora veramente chiamati Teleri, e li chiamarono, supplicandoli di attraversare il fiume e di unirsi a loro nella marcia che era stata pianificata e che sarebbe di certo accaduta presto. Ma mentre la data prescelta si avvicinava, divenne chiaro che i Teleri non avrebbero attraversato il fiume in tempo per unirsi alla marcia. Dal loro canto, Lenwë e la sua gente si avventuravano spesso nell’oscurità di Taur-in-Mornie, ed ogni volta un sempre più grande numero di ent emergeva con loro, unendosi all’accampamento dei Teleri, così che ora vi erano due schiere tra le mandrie d’alberi su ciascun lato del Grande Fiume delle Terre Selvagge.


Durante un tramonto delle stelle giunse da occidente una grande tempesta che si rovesciò giù dalle cime delle grandi montagne a sferzare le pianure della Valle dell’Anduin. Il cielo era coperto da nuvole basse che rombavano minacciose e lanciavano fulmini biforcuti sulle colline e sulle dense masse di Taur-in-Mornie, scuotendo selvaggiamente i rami più elevati; i tuoni erano come bacchette che martellavano la terra come un tamburo. Quando la tempesta passò ci fu una grande commozione nel campo orientale dei Teleri, poiché fu scoperto che Rocal lo stallone argenteo di Ingwë, Thinhir la cavalla grigia di Finwë e Tintar lo stallone bianco argenteo di Elwë si erano liberati dal luogo in cui erano tenuti, erano fuggiti via per qualche ragione e non si riusciva a trovarli. Le tracce portavano a sud ed i Teleri capirono che non sarebbero riusciti a raggiungere i tre grandi cavalli. Alcuni dissero che i tre grandi cavalli di Valinor erano fuggiti per la paura dei fulmini e che avrebbero sicuramente fatto ritorno dopo una breve fuga nelle pianure, ma altri li contraddissero, dicendo che si trattava per certo del lignaggio di Nahar e che non avevano paura di nulla. Altri suggerirono che forse qualche ladro malvagio era giunto e li aveva portati via e che non avrebbero mai più rivisto i tre magnifici destrieri, ma molti trovarono quella spiegazione implausibile. Quando la notizia giunse ad Ingwë e Finwë essi si rattristarono grandemente e non dissero nulla apertamente, ma i loro occhi comunicarono ad Elwë e a suo fratello che se loro e i cavalli si fossero trovati sulla riva occidentale probabilmente non sarebbero fuggiti via. Questo li fece al contempo vergognare ed arrabbiare. I tre meravigliosi cavalli non tornarono più all’accampamento dei Teleri, né i loro discendenti fecero ritorno alle terre occidentali.


Quel che la perdita dei tre cavalli causò in un sol colpo fu di indurire i cuori dei due popoli – i Vanyar ed i Noldor – che volsero fermamente i propri occhi ad occidente, mentre i loro pensieri iniziavano a contemplare la pericolosa scalata sulle montagne coronate di nebbia davanti a loro. Per quanto riguarda i Teleri, persino i loro signori Elwë ed Olwë videro la perdita dei cavalli come un segno di quanto fosse sbagliato e folle attraversare l’Anduin in quel momento. Come a confermare le loro paure, il Grande Fiume si gonfiò di nuove acque giunte con la tempesta e spumeggiò feroce, diventando del tutto impraticabile, sebbene gli Ent si offrissero di aiutarli ad attraversarlo al sicuro, se solo essi l’avessero desiderato. C’erano uno o due Teleri che desideravano essere coi loro amici sulla sponda occidentale, ma quando cercarono di passare da soli lo schiumante guado, contro il desiderio dei loro signori, furono spazzati via dalle acque feroci e perirono; così gli altri evitarono di fare lo stesso.

Anche gli Ent furono ugualmente divisi. Veroraggio e i suoi congiunti e gli altri del suo popolo che erano venuti all’accampamento dei Vanyar desideravano attraversare i grandi picchi e rimanere coi Vanyar e i Noldor ovunque andassero. Gli altri, che si erano uniti solo all’ultimo a Lenwë giungendo dalla foresta, furono contenti di rimanere coi Teleri ed imparare di più da loro – e ad essi se ne aggiunsero giorno dopo giorno un gran numero, ad ingrossare i loro ranghi finché non furono un piccolo bosco.


A quel punto Oromë tornò con Nahar, poiché era stato assente per un tempo più lungo di quanto avesse sperato, ma giunse comunque prima dell’ultima scadenza che aveva promesso a loro. Cavalcò all’interno del campo occidentale ed annunciò alla moltitudine che avrebbe dovuto prepararsi ad attraversare le alte montagne prima che il tempo freddo giungesse sul loro versante. Era triste per il fatto che i Teleri non volessero attraversare il Grande Fiume per unirsi alla marcia dei loro amici; disse: «Ecco, popolo dal cuore fragile! Queste sono le ultime due grandi barriere per voi. Se gli Eldar prenderanno il coraggio tra le mani, crederanno in me ed attraverseranno questo fiume, li porterò in salvo attraverso le montagne e da lì in poi il viaggio sarà più facile».

Ma i Teleri erano immobili ed Elwë parlò per loro su suggerimento di Olwë, rimanendo con suo fratello sulla riva orientale e rivolgendosi al Vala attraverso il fiume: «Se decideremo di guadare il fiume, lo faremo coi nostri tempi. La nostra gente è stanca degli anni di viaggio e vorrebbe stare più a lungo in questo bel posto. Poi forse verremo sul lato occidentale delle montagne, ma non prima che la stagione fredda sia finita e che i germogli siano tornati. Noi pensiamo che tentare di attraversare queste montagne prima della stagione fredda sia imprudente».

Poi parlò Olorwen, che stava accanto ad Oromë e al suo signore Ingwë: «Fate attenzione alla vostra scelta, sire Elwë Grigiomanto! Il vostro ritardo in questo giorno può costarvi caro, signore dei Teleri. Nel mio sogno all’ultimo tramonto delle stelle mi sono imbattuta in una visione dove ti ho visto affrontare una scelta, e da un lato c’era un sentiero che vi conduceva al fianco di sire Ingwë e sire Finwë, mentre sull’altro lato c’era un sentiero che vi conduceva soli e senza amici ad una radura di alti alberi dove non c’era modo di tornare indietro, dove camminavate necessariamente da soli ed ascoltavate solo il canto degli uccelli. Se oggi separerai la tua gente dai Vanyar e dai Noldor potresti non rincontrarli mai più oppure, se vi riuscirai, potrebbe rivelarsi essere una fugace e amara riunione. Le luci dei Due Alberi di Valinor tendono la mano a coloro che attraverseranno le montagne ora».

Elwë Grigiomanto fu sorpreso dalle sue parole, ma si chinò educatamente davanti ad Olorwen, con rispetto. «Ti ringrazio per l’avvertimento che viene dai tuoi sogni, moglie di Randor Piè Veloce, ma tutti i popoli devono fare le loro scelte, per il bene o per il male. Ora la mia gente accoglie il nome Teleri, sebbene ci sia stato dato per scherno o per leggerezza, e sceglie di rimanere qui per il momento, e così io devo sottomettermi alla loro volontà».

Oromë lo guardò mentre il suo cavallo gli nitriva rumorosamente contro: «Dove sono i rampolli di Nahar che vi ho donato, signori degli Eldar?»


Allora Ingwë spiegò cos’era avvenuto – la grande tempesta, i fulmini, i cavalli che erano fuggiti dall’accampamento dei Teleri – ed il Signore del Viaggio annuì, come se comprendesse qualcosa di più dell’enigma dalle loro parole rispetto a quanto il capo dei Vanyar aveva percepito da sé. «Anch’essi hanno scelto il loro sentiero così come i Teleri hanno fatto adesso e il futuro della loro prole sarà legato alle Grandi Terre. Sono, come tutte le altre creature, libere di decidere per sé stesse. Ma noi che ci proponiamo di viaggiare a occidente non possiamo tardare oltre, qui sul Grande Fiume – il fato di coloro che ritardano il viaggio sulla riva orientale di questo fiume non è più nelle mie mani. Possano i Teleri giungere alle terre occidentali senza il mio aiuto, se questo è il loro fato, e possano da lì essere portati in qualche modo attraverso gli ampi mari, se è ciò che desiderano. Gli Eldar dovrebbero smontare il loro accampamento e seguirmi ora, se infine vogliono giungere a Valinor. Ma prima devono radunare quanti più legnetti e rametti riescono a trovare, in modo da portarli senza rischi come legna da ardere, poiché le vette si potrebbero rivelare amaramente fredde. I miei confratelli potranno essere di limitato aiuto nel nostro attraversamento di queste montagne, poiché vi sono molti spiriti crudeli che abitano che questi alti luoghi del mondo e che non ascoltano i Valar. E vi è il soffio di Melkor».


Le montagne levavano i loro maestosi picchi sopra le teste dei Vanyar e dei Noldor. Le alte vette frastagliate trafiggevano le stelle e separavano il cielo, mentre una volta blu scuro cresceva davanti a loro come un corpo implacabile. Alzarono le loro lanterne e le loro torce e procedettero dietro Oromë sul suo bianco e dorato Nahar. Prima egli emise un suono esplosivo con Valaroma che echeggiò sulle pareti delle montagne e sugli alberi attorno, e che fece oscillare Taur-in-Mornie come a causa di una raffica, e poi si incamminarono.

Dalle rive dell’Anduin i Teleri guardarono i loro amici marciare verso i piedi delle colline come una precisa fila di luci, e poi le pendici delle grandi montagne nebbiose, dirigendosi sempre più vicini alle zone innevate di ghiaccio e brina che stavano ancora più in alto. Il suono di Valaroma echeggiò nei loro cuori ed Elwë toccò il suo grande mantello grigio e si domandò se lui e suo fratello non avessero fatto un errore a non prestare ascolto al Vala, a non aver attraversato il fiume e a non essersi uniti agli amici nella scoraggiante arrampicata. Il volto di Finwë e la sua voce erano ciò che gli mancava di più degli Eldar che aveva conosciuto e che aveva amato, e si ripropose che sarebbe andato a trovare il suo amico una volta che la sua gente si fosse riposata, e che avrebbero viaggiato ad ovest con qualunque mezzo avrebbero trovato.

Ora erano soli, tranne per i pastori degli alberi che facevano loro compagnia, e in loro crebbe la paura del silenzio e della vuotezza di quei luoghi, poiché le luci delle lanterne dei Vanyar si affievolivano e le torce dei Noldor si facevano più fioche, finché non furono visibili solo i fianchi delle grandi montagne e l’accampamento sulle rive occidentali dell’Anduin non fu deserto e non fu più possibile udire il suono dei bei canti dei Vanyar.

Ma Lenwë era meno preoccupato di Elwë ed Olwë, ed egli con Denethor suo figlio intonò canti per lodare gli alberi della grande foresta; essi intrapresero un viaggio per esplorare le profondità di Taur-in-Mornie assieme alle mandrie d’alberi, condussero fuori sempre più Ent con cui parlare e a cui insegnare. Alcuni di questi pastori degli alberi rimasero in seguito coi Teleri, mentre molti altri impararono ciò che vollero dal Popolo delle Stelle e poi tornarono alla grande foresta, forse per insegnare agli altri della propria specie. Tuttavia Elwë fu preso dal presentimento che avrebbe potuto non ricongiungersi più ai suoi amici Finwë a Valinor, così come Olorwen, moglie di Randor Piè Veloce l’aveva ammonito a causa della sua visione in sogno, ma dissimulò la sua inquietudine, così che gli altri non si preoccupassero per colpa sua.



[Traduzione autorizzata da ‘NigglingsSpecial’, issue n. 15, 1996]