Provvidenza e “destino” tra Tolkien e Socrate
di Mattia Lusetti
All'interno del romanzo “Il signore degli anelli” la questione del fato (o destino) è centrale, addirittura «decisivo per una piena comprensione dell'opera»1. Esso mantiene il libero volere come termine polare opposto, libero volere che tuttavia rimane anch'esso irrinunciabilmente legato al fato: entrambi quindi, per Tolkien, hanno consistenza nel Mondo Secondario da lui creato2. Ciò significa anche che comprendere l'esatta funzione e portata del fato come del libero volere richiede di analizzare proprio i momenti della narrazione in cui i due elementi entrano in azione in maniera chiara, esplicita e drammatica, i casi in cui essi per così dire si scontrano nel paradosso3. Vorrei precisamente prendere un momento paradigmatico ne “Il Signore degli anelli” ovvero la libera assunzione da parte di Frodo del compito di portare l'anello al Monte Fato per comprendere la natura del fato come si presenta in questo significativo episodio. Per farlo partirò dalla chiara e completa caratterizzazione del fato nel Legendarium presentata da Claudio Testi nel suo Santi pagani. Tale caratterizzazione è strutturata sulla base della rilevazione degli elementi che rendono il fato del Mondo Secondario tolkeniano pienamente pagano e tuttavia in armonia con la Rivelazione cristiana. Per ricavare utili elementi interpretativi dall'episodio summenzionato intendo utilizzare come momento di paragone la visione socratica del divino e del suo intervento nell'esistenza dell'individuo così da avere un termine analogico all'interno di un orizzonte pagano. A quel punto intendo ricavare le conseguenze dell'analisi condotta (anche) grazie a questo paragone per mostrare che in quest'episodio il fato travalica o sconfina verso la nozione di provvidenza.
Secondo l'acuta ricapitolazione effettuata da Testi del ruolo del fato nel corpus tolkeniano, il fato operante nella Terra di Mezzo non può essere definito pienamente o sostanzialmente coincidente con la nozione di provvidenza tipica del cristianesimo4. Già dalla rilevazione linguistica si può evidenziare che il lemma providence non ricorre mai nella maggiore opera tolkeniana, mentre sono ben rappresentati (numericamente e strategicamente) sia fate che doom5. Inoltre l'idea pura e semplice di un piano prestabilito da una provvidenza non è estranea, nel Mondo Primario, all'ambito filosofico pagano, specialmente quello greco. La nozione di fato/destino dispiegantesi nel mondo tolkeniano è differente dalla provvidenza del Cristianesimo, più “debole” potremmo dire, in quanto non ammette che la provvidenza guidi il libero arbitrio6. Per gli Elfi infatti il fato/destino, ovvero il piano prestabilito, non comprende le azioni libere dei liberi agenti della Terra di Mezzo (né Elfi né Uomini) sebbene le sussuma sotto di sé. Il fato infatti conduce gli esiti all'interno della storia senza condizionare gli atti liberi e persino la pre-conoscenza delle libere scelte future sembra essere non accettata7. D'altra parte diversi elementi concorrono a valutare la nozione di fato del mondo tolkeniano come affine alla Provvidenza cristiana: la negazione sia del caso come del determinismo causale8 e la distinzione tra il fato come piano presente nella mente dell'Autore (del mondo) e il mondo ordinato come lo stesso processo che attua quel piano. In conclusione si può dunque dire che «le concezioni elfiche, pur nelle diversità, risultano essere una parziale intuizione della più ampia prospettiva cristiana, con cui risultano quindi in grande armonia»9.
Da questa analisi e dalla proposta di interpretazione generale estremamente convincente voglio focalizzare l'attenzione su due punti in particolare. Come ben evidenzia Testi punto discriminante fondamentale tra le concezioni dei due universi, quello della Terra di Mezzo e il nostro visto da un cristiano, è l'esclusione delle libere scelte dell'uomo dal dominio del fato. Per il cristianesimo (cattolico) la Provvidenza ricomprende anche la libertà umana senza annullarla ovvero “potenziando” la nozione di fato elfica senza che questa annulli la consistenza della libertà10. Ritrovare un legame così stretto tra “fato” (o destino) e libertà umana significherebbe perciò un avvicinamento notevole tra le due visioni del mondo. L'altro punto deriva dal fatto che le concezioni del fato all'interno dell'universo tolkeniano sono tutte riflessioni condotte dal punto di vista elfico/eldarin. Questo aspetto va sottolineato in quanto kierkegaardianamente ogni pensiero e riflessione è pensiero di un essere sì pensante, ma prima di tutto esistente11. Il punto di vista elfico è perciò rappresentato maggiormente e si marca quindi uno scarto da concezioni che invece sono pensate dal punto di vista umano12.
Tenendo conto di questi due punti vorrei iniziare l'analisi dell'episodio della libera assunzione da parte di Frodo del compito di portare l'anello al Monte Fato così come narrata ne “Il signore degli anelli” riportando il punto di climax che precede di poco la fine del capitolo.
«No one answered. The noon-bell rang. Still no one spoke. Frodo glanced at all the faces, but they were not turned to him. All the Council sat with downcast eyes, as if in deep thought. A great dread fell on him, as if he was awaiting the pronouncement of some doom that he had long foreseen and vainly hoped might after all never be spoken. An overwhelming longing to rest and remain at peace by Bilbo's side in Rivendell filled all his heart. At last with an effort he spoke, and wondered to hear his own words, as if some other will was using his small voice.
`I will take the Ring,' he said, `though I do not know the way.'»13
Il passo in questione è posto al termine del secondo capitolo del secondo libro, capitolo dedicato per intero al Consiglio di Elrond. Tale consiglio è il momento deliberativo fondamentale dell'intero romanzo in quanto viene discussa, decisa e scelta l'intenzione fondamentale riguardante l'Unico Anello forgiato da Sauron. Lì tutte le tentazioni (Boromir), paure (Frodo alle cascate di Rauros), tutti gli elementi strategici presenti sullo scacchiere (da Gondor a Dale) sono esposti e analizzati, tutte le possibilità soppesate, dall'utilizzo dell'Anello al suo occultamento. La via scelta è quella che rimane dopo che ogni altra via si è rivelata impraticabile: l'occultamento sarebbe solo una nuova dilazione, l'utilizzo pericoloso quanto l'Anello stesso e il suo Signore; rimane soltanto la distruzione dell'Unico nell'unico luogo nel quale questa è possibile ovvero il Monte Fato. Rimane un'unica questione da stabilire: chi si assumerà l'onere e il peso di questa impresa al contrario?
La domanda è posta da Bilbo e sembra cadere nel vuoto in quanto tutti abbassano lo sguardo, come veniamo a sapere da Frodo stesso che rimane a testa alta e osserva attorno a sé. Dopo un periodo non quantificabile di silenzio Frodo si assumerà questo compito – «porterò io l'Anello» – mentre in quegli attimi il nostro Hobbit ci consegna considerazioni importanti e di prima mano sul proprio accadere interiore14. «Un grande terrore scese su di lui», il terrore che precede l'attesa «del pronunciamento di un qualche decreto» ovvero di una specie di destino. Il termine pronouncement richiama l'enunciazione pubblica di un decreto. Si può vedere un richiamo alla Profezia del Nord o Destino/Fato dei Noldor (Prophecy of the Nord, Doom of Noldor) annunciata da un araldo di Manwë (forse Mandos stesso) così come raccontato nel Silmarillion15. Come lì vi è un decreto pronunciato da un araldo che costituisce il destino dei Noldor, così qui i termini richiamano lo stesso rapporto strutturale. Il richiamo analogico postula ciò che nel passo del Consiglio di Elrond è mancante, ovvero un pronunciante. Ciò che segue intensifica questa analogia, perché Frodo – proprio nel pronunciare le parole con cui diviene Portatore dell'Anello e responsabile del compito di distruggerlo – si meraviglia che sia la sua voce a pronunciarla in quanto sente come se «una qualche altra volontà stesse usando la sua piccola voce». L'affermazione sulla volontà che interviene nella/sulla sua voce è ulteriormente rafforzata dal contrasto con il desiderio di riposo che sembra sovrastarlo.
Raccogliendo gli elementi si ottiene il paradossale intreccio della emissione di un decreto pronunciato proprio da Frodo ovvero da colui che teme il decreto stesso, oppure di una volontà altra che “usa” la voce di Frodo per pronunciare la scelta del nostro Hobbit (scelta d'altra parte prevista). Tensione che che si intensifica quando si rimarca che la scelta di Frodo è libera, cioé non imposta dall'esterno. Aspetto che Elrond riconosce, una volta udito Frodo, dicendogli che «se lo [il compito del Portatore] assumi liberamente, dirò che la tua scelta è giusta». La tensione polare è quindi quella usuale tra il destino/fato (nella forma di un decreto interiore) e la libertà umana, ma con una particolarità. Come abbiamo visto infatti il primo elemento, il fato/destino, richiama in qualche modo un pronunciante, una volontà altra e per questo nasconde un'articolazione ulteriore. Qui il fato/destino è l'attivo intersecarsi di una volontà altra nella scelta di Frodo, che purtuttavia rimane libera. Ovviamente il passo allude e non sistematizza né esplicita questo passaggio di grado, ma credo che la differenza rispetto ad una visione di un piano preordinato che si svolge in maniera quasi impersonale sia evidente.
A partire da questa “fenomenologia” del racconto si possono tracciare alcuni percorsi interpretativi alternativi per scegliere, se possibile, il più plausibile ed operare così il nostro confronto. Frodo è libero e un decreto si interseca attivamente con la sua volontà. Il pronunciante però manca e dunque: chi pronuncia questo doom, questo giudizio? E cosa è dunque questo decreto che pare inserire Frodo in una trama che lo supera? Diverse ipotesi possono rispondere a queste domande. Il pronunciante ovvero la fonte del decreto e della volontà “altra” potrebbe essere Eru stesso (a), uno dei Valar (b), l'inconscio stesso di Frodo (c) o l'Anello (d), lì presente fisicamente al Concilio.
(a) A favore dell'identificazione del pronunciante con Eru sta la forza dell'affermazione per la quale la volontà altra era “come se stesse usando la voce di Frodo”. Il pronunciante che ha usato la voce di Frodo (che pure è rimasto libero) sembra intrattenere un rapporto intimo con la libertà dello Hobbit. Un rapporto di questo tipo non sembra avere paragoni, nel Mondo Secondario di Arda, ed infatti per la mitologia Eldar la libertà sembra permanere fuori dall'azione di Eru. Se però questo rapporto intimo con la libertà va ammesso, l'unico candidato a guidare un atto libero sembra precisamente Eru. Infatti se a nessuna potenza sembra essere data la possibilità di “influenzare” in qualche modo la volontà di un uomo, pur mantenendola libera, al limite l'unica potenza plausibile in grado di farlo è proprio Eru. D'altra parte la presenza di Eru non è mai esplicitata ne Il signore degli anelli, nel quale non compare nemmeno il nome e tutte le allusioni di Gandalf ad un ordine provvidenziale sono sempre lasciate senza nome, indeterminate16. Va detto però che questa obiezione può diventare invece corroborante questa ipotesi se si pensa che proprio questa stessa indeterminatezza è conservata nel racconto della propria esperienza interiore da parte di Frodo.
(b) L'ipotesi di un Valar a mio parere assomiglia in qualche misura a quella di Eru in quanto intervento di un essere superiore esterno nella Terra di Mezzo. Essa quindi conserva gli stessi elementi problematici in un mondo che (in quel momento) sembra non offrire plausibilità per interventi diretti di potenze esterne. Dal punto di vista strettamente filosofico-teologico inoltre tale ipotesi perde plausibilità in quanto un intervento di un Valar sulla libertà interiore di un essere umano pare inaccettabile nell'orizzonte di Arda: se esso è già impensabile per Eru, e fortiori dev'esserlo per i Valar.
(c) L'interpretazione psicologistica riduce il fenomeno interiore ad una manifestazione di forze intra-psichiche, che possiamo denominare come “inconscio”. Tale interpretazione può percorrere due vie. Prima la via della presupposta riduzione di ogni fenomeno spirituale/religioso alla psiche, che però è pregiudiziale tanto più in un mondo il quale, pur mantenendo estrema sobrietà per l'elemento religioso, non ne è a priori né estraneo né ostile a tale elemento. Seconda la via che vede nella voce la presa di possesso della volontà di Frodo da parte di potenti tendenze intra-psichiche. Posto il desiderio di riposo che abita Frodo però tali forze, perché siano plausibili, devono essere comprese come forse influenzate dall'Anello e tese a mantenerne il possesso da parte di Frodo in special modo visto il piano di portarlo a Mordor. Ciò è sì estremamente comprensibile, ma intanto riporta la spiegazione alla quarta ipotesi ovvero all'influsso dell'Anello del quale l'esperienza psicologica sarebbe il lato soggettivamente percepito. In questo caso essa cozzerebbe con la relazione della propria esperienza interiore fatta da Frodo. Il passo è solenne e non c'è traccia di una sorta di prevaricazione interiore da parte di forze estranee: i passi nei quali si riporta l'intervento della forza preponderante dell'Anello manifestano uno stato interiore di tensione, di sofferenza, di lotta nella quale la libertà è sopraffatta e non un momento di sovrana libertà (pur in presenza di un'alterità)17.
(d) La quarta intepretazione identifica il pronunciante, la volontà altra, con l'Anello, che in tutto il romanzo manifesta chiaramente una forza propria che, per quanto cieca, è estremamente potente ed efficace. Chiaro segno di questa forza è l'influsso che esercita su Sam che pure lo possiede ed utilizza per un tempo inferiore alle ventiquattr'ore (anche se alle soglie di Mordor)18. Elementi a favore sono la presenza fisica dell'Anello, il forte legame con Frodo e l'apparente utilità di un progetto nel quale il più debole del gruppo dovrebbe portare l'Anello direttamente nella terra del suo Padrone. A sfavore stanno le osservazioni appena presentate contro la terza interpretazione (se identificata sostanzialmente con la quarta) che rendono implausibilmente identificabili gli effetti psicologici dell'Anello con le abituali narrazioni nelle quali l'Anello prevarica i Portatori.
Concludendo a partire dagli elementi raccolti mi pare di individuare nella prima ipotesi quella più probabile. La seconda è debolissima, sostanzialmente identificabile alla prima, ma con più elementi in contrario. La terza è plausibile soltanto se ricondotta alla quarta come suo effetto psicologico e a mio parere l'osservazione stilistico-letteraria sul resoconto interiore di Frodo in confronto con i passi nei quali l'Anello è detto influire sulla volontà del Portatore le toglie plausibilità. Data l'identificazione del pronunciante con Eru secondo questa analisi il decreto assume pienamente il carattere di fato/destino. L'intervento diretto-indiretto19 di Eru poi assume un carattere provvidenziale e connota Eru come una volontà agente che interviene negli eventi tramite un'esperienza interiore ed un influsso non necessitante sulla volontà umana.
Queste considerazioni postulano una domanda: questo riferimento ad un'altra volontà agente è compatibile con la paganicità essenziale della visione del fato? Richiamando le considerazioni di Testi va detto che né la presenza in sé di una volontà ordinatrice né di una divinità unica sono in sé prove dirimenti contrarie alla paganicità della Terra di Mezzo20. Il monoteismo e l'idea di destino/provvidenza sono comuni a numerosi sistemi filosofico-religiosi21. Ciò permette di dire che la presenza di una concezione monoteista e di una visione provvidenziale non è sufficiente per dare al mondo del Legendarium il bollo del cristianesimo.
Per aiutare a dirimere tale questione vorrei ora prendere come oggetto di confronto il caso di Socrate, il quale è senz'altro un “pagano”, anzi in un certo senso il vertice del paganesimo. Socrate in particolare esprime un'intuizione religioso-filosofica del divino intensa sebbene non sempre esplicitata e concettualizzata. Sopra ogni altra testimonianza, in maniera unanime, Socrate era oggetto di una particolare predilezione delle divinità che si manifestava attraverso il fenomeno del daimon22 Il filosofo infatti nell'arco della sua vita diceva di avvertire un segno, una voce demonica che lo tratteneva dal fare il male. Persino al momento del processo che lo porterà alla morte affermerà di esser sicuro di aver ben agito quel giorno in quanto non ha ricevuto nessun segno dal daimon. Come si strutturava il rapporto al divino di Socrate in sé e rispetto a questo daimon?
Socrate si inserisce ampiamente e in maniera originale in quella tendenza della grecità a de-antropomorfizzare il divino e ad unificarlo23. Il divino è quindi concepito unitariamente e come intelligenza ordinatrice senza per questo identificarsi con un monoteismo così come inteso dalle tre religioni abramitiche. In particolare il dio provvede al tutto e in particolare all'uomo fornendo tutte le cose buone di cui egli ha bisogno, la ragione sopra tutte. La cura generale verso gli uomini poi si rivolgeva a lui in particolare tramite il daimon ovvero tramite una particolare esperienza che aveva per Socrate il chiaro carattere di essere una divina rivelazione a lui rivolta24. Aspetto decisivo di questo oracolo interiore che guidava Socrate nelle azioni quotidiane della sua vita era che «il daimonion mandasse a Socrate solamente messaggi in negativo: gli indicava solamente ciò che non doveva fare, dissuadendolo dal fare ciò che era in procinto di fare»25. Il significato di questa unidirezionalità dell'oracolo interiore è duplice: in primo luogo in questo modo è la ragione di Socrate a dover interpretare il segno e comprendere per fare la giusta scelta; in secondo luogo la predilezione del divino per Socrate deriva dalla bontà morale di Socrate stesso e in nessun modo la divinità interviene a modificare l'autarchia morale che caratterizza il pensiero socratico. In questo senso vi è una profonda differenza tra il daimon socratico e l'episodio di Abramo nel quale Dio dà un comando esplicito e inequivocabile al Patriarca e questa differenza marca la distinzione tra il religioso del paganesimo, pur parzialmente monoteista, e quello del cristianesimo e delle religioni rivelate26.
Quali sono le conseguenze raffrontando questa concezione con l'episodio di Frodo al Consiglio di Elrond? La volontà altra dalla propria, che Frodo avverte, sembra marcare precisamente un intervento attivo, chiaro e prescrittivo da parte di una qualche Potenza superiore, pur nell'accordo con la libertà di Frodo, che non è annullata. Detto intervento è soltanto un'allusione, sebbene piuttosto forte, ma la sua pregnanza è tanto più alta se si pensa al fatto che il testo letto è stato scritto da Frodo stesso in ciò riportando fedelmente un'impressione interiore. L'intervento attivo e in positivo indica una scelta, o addirittura la prescrive, in qualche maniera. Anzi è la voce di Frodo ad essere usata per pronunciarla, e tale scelta è sì la scelta di Frodo, ma insieme un doom, un decreto atteso. Pur rimanendo nell'ambito del paganesimo indicato da Testi, date queste considerazioni, nel passo analizzato mi sembra di poter rilevare un'allusione consistente ad una concezione religiosa molto più vicina al Cristianesimo che al paganesimo per i tre motivi seguenti:
- il superamento di una concezione di Provvidenza generale, ma senza interventi particolari (speciali) della Divinità, concezione che è quella elfica dell'umbar. Tale superamento risulta evidente laddove non abbia sbagliato nell'identificare al Consiglio di Elrond un intervento di Eru diretto e positivo verso un singolare ovvero un essere singolo ed un evento puntuale: Frodo e la scelta del Portatore27;
- la permanenza dell'assoluta innominabilità del divino, a cui si allude con l'espressione anonima l'altra volontà. Tale teologia puramente negativa esclude l'intervento di entità “divine” intermedie, Maiar o Valar che siano. Inoltre sottolinea la trascendenza assoluta del divino anche nel caso di un suo intervento diretto;
- la contemporanea presenza di un intervento diretto della divinità e di una libera scelta umana ovvero la ricomprensione degli atti umani liberi sotto la provvidenza della divinità. Questo carattere della provvidenza è quasi un proprium e un unicum delle religioni monoteiste rivelate, sopra tutte del Cristianesimo28.
Principalmente quest'ultimo elemento costituisce la testimonianza più forte in favore della vicinanza alla visione della provvidenza propria del Cattolicesimo29. Indipendentemente dal giudizio di verità o di plausibilità che diamo alla visione teologica del Cristianesimo, l'estensione della provvidenza fino alla libertà degli esseri razionali è quasi un unicum della teologia cattolica e sembra essere la visione che sostiene nella maniera più plausibile l'evento narrato nel passo qui studiato.
Bibliografia
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1 Testi Claudio Antonio, Santi pagani nella Terra di Mezzo di Tolkien, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2014, 148-149: qui però Testi per “opera” intende l'intera opera tolkeniana e non soltanto “Il Signore degli anelli”.
2 «Umbar [il fato] e ambar [il mondo come processo fisico] non intaccano il libero arbitrio di Elfi e Uomini (e Hobbit), e per certi versi vi si oppongono: se un evento deve accadere, accadrà comunque e nessuna libera volontà potrà impedirlo. Tuttavia, quando questo evento accade e riguarda qualcuno dotato di volontà, questi potrà reagire e scegliere il da farsi in modo completamente libero e non predeterminato»: Testi Claudio Antonio, Santi pagani.., 150. Segue citazione dello stesso Tolkien in Tolkien John Ronald Reuel, «Fate and free will», Hoestetter C. F. ed., Tolkien Studies 6 (2009), 185.
3 Per la Flieger la compresenza di fato e libero volere nel Legendarium è come inserire un sole verde nella descrizione di un mondo e non solo, perché è necessario «to make a Secondary World in which the green sun will be credible» (Flieger Verlyn, «The Music and the Task: Fate and Free Will in Middle-earth», Tolkien Studies 6 (2009), 152) ed ha perciò la natura del paradosso. A supporto di quanto detto sulla necessità di sceglier esempi in cui i due poli si scontrano basti notare come la stessa Fieger quando deve scegliere alcuni «illustrative examples» sceglie momenti nei quali i protagonisti sono posti in momenti condotti dal fato e devono fare una scelta decisiva (cf. Flieger Verlyn, «The Music and the Task..», 165 ss).
4 Per le osservazioni che seguono mi rifaccio principalmente alla sezione dedicata su “Fato e provvidenza” dedicata ad esporre la paganicità, ma in armonia col cristianesimo, dell'universo tolkeniano: cf. Testi Claudio Antonio, Santi pagani.., 148-160.
5 Per i dati numerici cf. Testi Claudio Antonio, Santi pagani.., 153. Allo stesso modo anche la Flieger: «It is therefore worthy of note that such conceptually significant proper nouns as God, Heaven, Grace, Paradise, Providence, Salvation, Damnation, do not figure in Tolkien's major fiction» (Flieger Verlyn, «The Music and the Task..», 155).
6 Specialmente in un ambito di questo genere risalta la somma utilità della competenza filosofica di Testi (da cui riprendo queste considerazioni) per cogliere in maniera perspicua e appropriata particolarità, somiglianze e differenze in temi di sottile difficoltà eppure di capitale importanza.
7 Ad essere precisi per Tolkien gli Eldar non andarono a fondo nel risolvere questo problema, ma la similitudine dello scrittore con la storia del suo romanzo che Tolkien attribuisce loro sembra andare verso una negazione di questa conoscenza. Cf. Tolkien John Ronald Reuel, «Fate and free will», 186-187 e pure Testi Claudio Antonio, Santi pagani.., 159-160.
8 Entrambi i punti fondamentali per il Cristianesimo; al sorgere del pensiero cristiano Origene (III secolo, uno dei più grandi scrittori ecclesiastici dei primi secoli) nella scuola da lui organizzata spingeva e favoriva lo studio di ogni filosofo e scuola filosofica eccetto quelli che negavano la provvidenza (ovvero un'intelligenza ordinatrice). Cf. al riguardo Simonetti Manlio, Nota biografica, in Origene, I princìpi, UTET, Torino 2010, 96-97.
9 Testi Claudio Antonio, Santi pagani.., 160.
10 Al riguardo Tommaso d'Aquino nella Summa, S. Th. Pars I, qq. 22-23: sulla provvidenza e la predestinazione rispettivamente. In particolare l'articolo 4 della questione 23 nel quale si nega che che la provvidenza di Dio imponga il carattere di necessità alle cose cui provvede: l'uomo non è quindi necessitato anche quando è ordinato al fine da Dio. Indipendentemente dal grado di plausibilità e credibilità che vi si attribuisce, questa è la concezione della teologia cattolica al riguardo (considerando Tommaso come campione “rappresentativo” della teologia cattolica).
11 E dunque ogni pensiero di un esistente è pensato nell'esistenza ed in qualche modo l'esistenza di un Elfo immortale è diversa da quella di un Uomo dalla vita breve.
12 Per alludere a quanto questo sia importante basta dire che l'articolo della Flieger molte volte citato è attraversato dalla questione della differenza tra Uomini e Priminati nel loro rapporto con il fato. Per la Flieger la libertà del volere elfico è limitata dal fato e di conseguenza il volere elfico non è propriamente libero come è invece per gli Uomini in quanto non limitati ad Arda e all'esistenza in essa: «Men have free will. All thing else, including Elves, are ruled by fate» (Flieger Verlyn, «The Music and the Task..», 164). Appoggio principale alla sua tesi è la forte affermazione in Tolkien John Ronald Reuel, The Silmarillion, Harper Collins Publisher, London 2011 Ebook Edition, 59 (Quenta Silmarillion, capitolo 1): «but they [Men] should have a virtue to shape their life […] beyond the Music of the Ainur, which is fate to all things else». In contrario Fornet-Ponse ritiene che gli Elfi siano dotati di libero arbitrio, come emergerebbe dalla struttura narrativa di tutto il Silmarillion (nonostante la forte affermazione appena citata): cf. Fornet-Ponse Thomas, «”Strange and free” –On Some Aspects of the Nature of Elves and Men», Tolkien Studies 7 (2010), 77-84. Propendo nettamente per la tesi di Fornet-Ponse.
13 Tolkien John Ronald Reuel, The Lord of the rings, Harper Collins Publishers, London 2012, 416: d'ora innanzi LOTR seguito da virgola e numero della pagina ed in parentesi dalle indicazioni di libro e capitolo. LOTR, 416 (L2, c2).
14 Di prima mano in quanto l'autore del romanzo è, fittiziamente, ma efficacemente (nel Mondo Secondario), Frodo stesso. È Frodo a dirci cosa è successo nel suo intimo in quegli attimi.
15 Tolkien John Ronald Reuel, The Silmarillion (Quenta Silmarillion, in fine del Nono capitolo).
16 «There was more than one power at work, Frodo. The Ring was trying to get back to its master. [..] So now, […], it abandoned Gollum. Only to be picked up by the most unlikely person imaginable: Bilbo from the Shire! Behind that there was something else at work, beyond any design of the Ring-maker. I can put it no plainer than by saying that Bilbo was meant to find the Ring, and not by its maker. In which case you also were meant to have it. And that may be an encouraging thought»: LOTR, 83 (L1, c2); il celebre passo in cui Gandalf racconta a Frodo del ritrovamento dell'Anello da parte di Bilbo.
17 Assolutamente emblematico il momento di crisi a Colle Vento: «.. but his terror was swallowed up in a sudden temptation to put on the Ring. The desire to do this laid hold of him, and he could think of nothing else. He did not forget the Barrow, nor the message of Gandalf; but something seemed to be complelling him to disregard all warnings, and he longed to yeld. Not with the hope of escape, or of doing anything, either good or bad: he simply felt that he must take the Ring and put it on his finger»: LOTR, 235 (L1, c11), corsivi miei. Chiarissima la funzione costrittiva del potere dell'Anello e l'interpretazione di tale forza da parte di Frodo come di una tentazione. Inoltre qui Frodo «felt», sente, la spinta costrittiva («he must») ad indossare l'Anello che sovrasta la sua volontà, mentre nel passo del Consiglio è il desiderio di riposo che spinge al silenzio ed è la sua volontà a scegliere in contrario «with an effort».
18 Cf. LOTR, 988-989 (L6, c1): «Already the Ring tempted him, gnawing at his will and reason» (ivi, 988).
19 L'intervento è diretto poiché, se è giusta la nostra analisi, Eru intervene nella storia della Terra di Mezzo per guidare gli agenti alla loro scelta con la quale si può realizzare un piano in qualche modo “salvifico”. D'altra parte esso è indiretto poiché lo stesso protagonista/testimone dell'intervento avverte un fenomeno psicologico interiore (seppur eccezionale) che interpreta a suo modo. Frodo stesso non conclude un intervento di Eru in quanto, come dicevamo, lo lascia religiosamente indeterminato. Sulla dialettica di una rivelazione cf. Kierkegaard S., Timore e tremore, Bur, Milano 2017 e Scapolo B., Leggere Timore e Tremore di Kierkegaard, Ibis, Como - Pavia 2013 in particolare i testi del diario in cui Kierkegaard studia i modi nei quali Abramo avverte e reagisce al comando del sacrificio del figlio.
20 Cf. a riguardo Testi Claudio Antonio, Santi pagani.., 131-134.
21 Stoicismo e platonismo (si pensi al Timeo e alla Repubblica) tra gli esempi classici. Tutti i sistemi del déismo e Leibnitz condividono monoteismo e provvidenza pur essendo distinti dalla religione cristiana rivelata.
22 Il daimon non ha nulla a che fare con il demonio o diavolo della tradizione cristiana; il daimon nell'Antichità era un essere divino intermedio tra l'uomo e la divinità: cosa esprimesse per Socrate in particolare verrà specificato dopo.
23 Per questo e tutte le considerazioni su Socrate che seguono cf. Reale Giovanni, Socrate. Alla scoperta della sapienza umana, Bur, Milano 2000.
24 Cf. Reale Giovanni, Socrate, 213ss.
25 Reale Giovanni, Socrate, 219. La questione è ermeneuticamente complessa in quanto Reale arriva a questa conclusione escludendo le testimonianze in contrario di Senofonte, per il quale il daimon indicava a Socrate cosa fare. Rimando a Reale per la discussione, ma in breve: Senofonte non colse il significato dialettico ed ironico di questo segno divino, significato portante nella visione di Socrate.
26 Per comprendere meglio questa differenza tra le concezioni ed esperienze del religioso sono da considerare le riflessioni di Kierkegaard su Abramo e il suo confronto tra il religioso-socratico e quello del Cristianesimo. Cf. Kierkegaard S., Timore e tremore, Bur, Milano 2017 per la figura di Abramo come padre della fede; Kierkegaard S., Briciole filosofiche, Morcelliana, Brescia 2012 e Idem, Briciole filosofiche e Postilla non scientifica, 2 voll., Zanichelli, Bologna 1962 per il confronto tra la religiosità socratica e quella del Cristianesimo nel rapporto del singolo a Dio.
27 Ciò che è perfettamente congruente con la nozione cattolica di provvidenza: «sembra invece [la teoria prima esposta] in contrasto con la fede [cattolica] per il fatto che non ammette l'immediata sottomissione di tutti i singolari alla provvidenza divina» in Tommaso D'Aquino, Somma contro i gentili, UTET, Torino 2005, 568 ss (libro III capitolo 76). D'altra parte in quanto l'intervento non è pubblico ovvero non presenta se stesso come intervento divino esso non coincide con un intervento di Rivelazione in nessun modo.
28 Al riguardo è utile leggere Tommaso d'Aquino, De veritate, q. 5 (La provvidenza) a. 5 dedicato alla domanda Se gli atti umani siano governati dalla provvidenza: a cui è risposto affermativamente (e così argomentato): cf. Tommaso D'Aquino, Sulla verità, Bompiani, Milano 2008, 436ss.
29 Uso in questo testo come sinonimi Cristianesimo / Cattolicesimo visto il contesto religioso dell'autore.