La marcia degli elfi

parte terza ed ultima1


di Alex Lewis



(traduzione di Adriano Bernasconi)



3. Dalle Montagne Nebbiose al Grande Mare


La scalata delle montagne avvolte dalla nebbia si rivelò una delle cose più difficili e pericolose che Vanyar e Noldor avessero mai tentato fino ad allora. Di tanto in tanto un elfo scivolava e precipitava verso il suo destino nei profondi burroni con forti grida di sgomento, ed i suoi congiunti lo piangevano dolorosamente. Persino con l’aiuto del Vala i sentieri attraverso le montagne furono difficili da trovare ed alcuni di essi erano nascosti da dirupi o occultati dalla neve. Tempi duri li attendevano, con la neve che scendeva sulle loro spalle e il vento che soffiava quasi incessantemente. Nevai apparentemente sicuri celavano crepacci mortali così profondi che un corpo vi poteva cadere senza raggiungere mai il fondo. Quando un elfo scivolava in uno di questi crepacci, i suoi lamenti diventavano via via più deboli, ma anche così il cuore di coloro che udivano quella caduta verso qualche tragico destino sapeva che egli era al di là di qualsivoglia salvataggio o speranza di ritorno. Se fossero stati lasciati alla loro ingenuità, gli Eldar avrebbero potuto sprecare anni alla ricerca del sentiero corretto attraverso le Montagne Nebbiose. Con l’aiuto di Oromë e la paziente saggezza di Nahar, i Vanyar guidati da Ingwë si arrampicarono fin sulla cima di un tortuoso sentiero e, finalmente dopo molte settimane, guardarono, attraverso un cielo improvvisamente rischiaratosi, verso le vaste terre boschive in basso, verso ovest. Dietro di loro giungevano le mandrie di alberi e le fila dei Noldor, stanche e morse dagli incessanti venti gravidi di ghiaccio.

«Dov’è il mare? Perché non riusciamo ancora a vederlo?» domandò qualcuno degli elfi dai capelli dorati, con lo scoraggiamento dipinto sul volto.

«Ci sono alcune distanze da percorrere prima di poter intravedere le coste delle Grandi Terre» replicò Ingwë, indicando un punto lontano. «Queste montagne sono l’ultima grande barriera naturale della nostra marcia ed ora siete giunti sulla cima del passo. Da qui in avanti, se ricordo bene, il terreno diventa più benevolo»

Molti guardarono a nord, verso le tenebre che là aleggiavano. «Eppure ci avviciniamo sempre più alle terre dell’antica battaglia malvagia!»


I Vanyar continuarono a scendere lungo il versante occidentale delle alte montagne, guidati per primi da Oromë, poiché i sentieri erano estremamente stretti, e così i Noldor dovettero attendere che il Vala tornasse e li portasse con sé nel loro turno. Coi Vanyar andarono le mandrie di alberi guidate da Veroraggio, poiché gli Ent avevano sofferto per il freddo: andavano rallentandosi ed erano diventati sonnolenti, ed Oromë percepiva che, se non fossero discesi verso climi più caldi, si sarebbero presto arrestati e avrebbero svernato per l’intera stagione fredda, fino a quando il picco dell’estate non sarebbe giunto tra i passi di montagna, sempre che riuscissero a sopravvivere in quelle gelide condizioni – sebbene molti di loro, specialmente i guerrieri Ent, amassero l’aria tagliente di quelle vette. Ma gli Ent si trovavano ormai ben al di sopra la linea degli alberi ed Oromë sapeva che non potevano sopravvivere a lungo lassù, così il Vala insistette affinché abbandonassero quanto prima l’alto passo. I Noldor osservarono i loro amici discendere e quindi accesero la legna da ardere che avevano portato con loro a quello scopo. Era un bene che si fossero caricati di quel legname, come il Vala aveva insistito, perché così ogni volta che si fermavano a riposare su quel sentiero in salita potevano accendere fuochi da accampamento e cuocere cibo caldo che li nutriva in quelle fredde terre. Ora persino la legna da ardere dei Vanyar era stata lasciata con loro, su insistenza di Oromë, il quale aveva predetto che una raffica gelida di cattivo tempo avrebbe potuto intorpidire ancor di più le loro ossa al tramonto delle stelle su quelle cime.


Ora questi fuochi scintillavano sulle alte vette, assai distanti dalle Grandi Terre, in luoghi in cui persino le cornute creature del male non giungevano. Alcuni malvagi avevano tentato di tendere agguati agli Eldar nel loro viaggio sulle montagne: dei troll avevano cercato di abbattere i ritardatari. Ma ora nessuno li seguiva più così in alto. Lassù in alto un’aquila girò in cerchio per un po’ ed i Noldor si chiesero incerti se quello fosse un segno buono o cattivo, ma alla fine il grande uccello se ne andò, lasciandoli soli ancora una volta. Faceva un freddo terribile: attorno ai fuochi di campo si affollavano gruppi familiari di Noldor che tentavano di scaldarsi e Finwë andava dall’uno all’altro per sollevare i loro spiriti; eppure egli diventava ansioso, vedendoli consumare rapidamente le loro riserve di legna e ciò nonostante essere ancora gelati, poiché i fuochi sembravano incapaci di combattere il freddo assoluto di quel luogo. I venti crebbero e la loro cruda morsa si fece così grave che era difficile persino muovere le dita per prendere una fascina e gettarla sul fuoco. Alcuni Noldor si fecero sonnolenti e caddero in un pericoloso stato di torpore dal quale avrebbero potuto non svegliarsi mai più.


Disperato per la situazione critica della sua gente, Finwë camminò in solitudine verso settentrione, lungo una valle che correva da nord a sud come un solco proprio sulla cima della catena montuosa. Egli cercava qualsivoglia scheggia di pianta o escrescenza crescesse su quelle cime inospitali per poterle bruciare nei fuochi dei Noldor, poiché sapeva che la sua gente avrebbe grandemente sofferto a meno dell’arrivo di un aiuto inaspettato. Nelle profondità della stagione fredda, quell’alta valle era senza dubbio piena di ghiaccio e neve, ma per il momento era ancora relativamente sgombera in più zone riparate. Sopra di lui le imponenti vette rivestite di nebbia delle montagne salivano ad altezze ancora maggiori come scogliere a picco di ghiaccio sfolgorante e rocce scure che cercavano di raggiungere le stelle in cielo. Mentre si avvicinava con la sua unica torcia sollevata, divenne improvvisamente consapevole di una figura solitaria, che arrancava verso di lui tra la spessa neve sul lato orientale della valle, e si fermò, sorpreso e un po’ spaventato. Poiché quella creatura camminava come lui su due gambe, sebbene fosse più bassa per statura e più ampia per torace e spalle. Mentre si faceva più vicina il suo aspetto diventava ancor più spettacolare: la creatura aveva una peluria scura che cresceva dal mento come viticci che s’arrampicano e Finwë capì che era una barba, sebbene nessun elfo che egli avesse mai incontrato tra il Popolo delle Stelle era in grado di crescerne una così lunga. Il basso tizio trasportava una lunga ascia dal manico di legno sulle sue spalle e sembrava in grado di difendersi, ma ad ogni modo non pareva pronto ad attaccare il signore elfico.

Finwë poteva sentire istintivamente che quella creatura non era malvagia. Quando allungò due mani nodose verso la torcia, Finwë la avvicinò al terreno in modo che la strana creatura potesse riscaldarsi alla sua fiamma tremolante. Un sorriso stropicciò la faccia rugosa e le sopracciglia cespugliose, mentre le sue mani si facevano sempre più calde. Finwë poté vedere che quella creatura era un guerriero e un artigiano, un lavoratore del metallo, poiché indossava cinture e fibbie ben modellate e le sue scarpe erano abilmente lavorate in una pelle di qualche tipo. Quindi la creatura catturò lo sguardo di Finwë e si colpì al petto con la mano destra: «Felak!»

«Finwe» disse l’elfo, indicando sé stesso.


Il barbuto rise con voce profonda e gli fece cenno di seguirlo. Finwë si voltò e guardò indietro, verso i fuochi del suo accampamento, e avrebbe ancora potuto raggiungerli con uno scatto, là dove non c’era pericolo; ma se fosse disceso per la valle, avrebbe potuto essere accerchiato con facilità, senza alcuna speranza di fuga. Guardò la faccia nodosa della bassa creatura e si spalancò un sorriso che spazzò via ogni paura di inganno.

Seguì Felak lungo la valle più a nord, mentre la creatura ripercorreva al contrario la strada fatta, zigzagando tra i crepacci sul lato orientale della valle e, dopo qualche minuto di camminata, giunsero ad una caverna che si apriva sulla montagna, la quale conduceva ripidamente giù per luoghi abissali al di là della conoscenza dell’Eldar. Finwë fu sbalordito da ciò che vedeva, poiché non aveva notato l’apertura prima, né aveva ricevuto alcun rapporto a riguardo dagli esploratori Noldor quando la valle era stata perlustrata in cerca di qualsiasi segno di nemici nascosti prima di costruirvi l’accampamento. La strana creatura entrò e fece cenno a Finwë di fare altrettanto. Egli esitò un istante, ma poi sentì un’aria tiepida provenire dall’apertura e così seguì Felak, chiedendosi se quello potesse essere usato come rifugio per la sua gente, mentre si piegava per passar sotto un archivolto e muoveva passi incerti verso le viscere della terra, un mondo dentro la montagna stessa.


Dentro trovò una grande caverna, perlopiù elevata e scabra, ma levigata e lavorata con utensili in alcuni punti, come se dei grandi lavori fossero in procinto di iniziare; lì, vicino ai punti in cui le rocce erano state intagliate, dimoravano molti esseri dello stesso popolo di Felak, alcuni maschi ed altre femmine, sebbene all’elfo occorse del tempo per distinguere chi era chi, in quella luce fioca e tremolante. Stavano mangiando strane cibarie e quando Felak gliene offrì un po’, all’inizio lo assaggiò con circospezione, ma poi scoprì con sua sorpresa che era gustoso e sano. Era anche bollente, cosa che lo sorprese e gli fece piacere. Guardò le pareti scabre delle cavità, che erano state dipinte in alcuni punti con rozze pitture murarie di colore rosso e nero che sembravano ritrarre la vita di quella gente accorciata che abitava sotto le montagne, e le lanterne che erano appese sopra le loro teste, sulla volta della caverna. In questo modo Finwë capì che essi dovevano vivere sottoterra tutto il tempo. C’erano anche fuochi luminosi tutt’intorno nella caverna e faceva notevolmente più caldo di quanto non facesse fuori, sebbene Finwë non vedesse segno di cataste di ceppi che quella strana gente potesse bruciare – né c’erano foreste in quelle sterili cime rocciose di quelle montagne selvagge da cui poter ricavare legna.

«Khazad!» disse Felak, indicando gli altri. «Khazad!» ripeté, indicando sé stesso. «Felak!» disse, indiando di nuovo sé stesso.

«Finwë» disse l’elfo indicando sé stesso. «Eldar». Indicò nella direzione dell’apertura, sperando che fossero in grado di capire la differenza.

La creatura barbuta borbottò qualcosa che suonava simile a ciò che lui gli aveva appena detto: sarebbero certo stati entusiasti di comunicare con lui, se avessero imparato come fare.


Poi Felak condusse il signore dei Noldor in mezzo alla sua gente; c’era una pila di pietre scure sopra un piatto di metallo e inizialmente Finwë si domandò se fosse qualcos’altro che quella gente mangiava. Ma Felak spiegò gesticolando che Finwë non doveva assaggiarlo, bensì toccare le pietre con la sua torcia e quando questi capì cosa gli stava chiedendo, egli lo fece con curiosità – cosa che causò ilarità tra quella gente. Dopo aver toccato le pietre con la sua torcia, avvenne una cosa meravigliosa: esse presero fuoco ed arsero di fiamme rosse e gialle, mentre dal loro centro si propagò un caldo tepore. Poi il capo degli accorciati lo condusse in giro per la caverna e in effetti vi erano larghi dischi di metallo riempiti di pietre nere che emettevano un forte calore per scaldare tutte le stanze. Finwë notò che c’erano anche altre piccole anticamere al di là della caverna principale e scale grezze che scendevano ulteriormente nelle profondità della montagna – e il signore dei Noldor si domandò quante altre di queste creature avessero vissuto in quel luogo nascosto. Poi Felak lo riportò al piccolo fuoco che aveva acceso con la sua torcia e poi si sedettero ed iniziarono a mangiare un pasto d’amicizia assieme. Il cibo era un qualche tipo di pianta che cresceva sottoterra ed era assai nutriente; si presentava in forma simile ad un fiore ed era salata o dolce a seconda della varietà.


Per un po’ Finwë mangiò con i Khazad e ascoltò intensamente le loro conversazioni, anche se trovò lento e difficile il parlare con loro, poiché il loro linguaggio era complesso. Tuttavia essi furono in grado di cogliere alcune parole della sua lingua più rapidamente e gli parvero appassionati e desiderosi di imparare da lui. Toccarono i suoi vestiti e rimasero impressionati dalla morbidezza dei tessuti, così che alla fine il signore dei Noldor si tolse il mantello e lo porse a Felak come dono; egli si alzò e s’inchinò profondamente e poi lo fissò attorno al suo collo, con la generale approvazione della sua gente, sebbene fosse troppo largo per calzargli e strisciasse sul suolo della caverna dietro i suoi stivali. Alla fine tagliò via il materiale in eccesso dalla base del mantello con attenzione, usando un coltello affilato e poi esaminandolo, trasformando il materiale in eccesso in un cappuccio contro i venti gelidi sui lati delle montagne. Quest’idea sembrò piacere a Felak e agli altri, da ciò che Finwë riuscì a capire.

«Da Finwë venire i figli e da loro venire grande amico di Khazad!» disse infine Felak, mettendo assieme parole zoppicanti. «Parole di sonno dire me molte verità su Grandi Terre. Felak venire e trovare Finwë. Finwë venire e trovare Felak. Così deve essere».

«Il mio popolo può ripararsi qui con la tua gente per stanotte, Felak?» domandò Finwë.

Il Signore dei Khazad scosse la trsta. «Non così nel sogno» replicò.

«Allora potete tu e il tuo popolo unirvi a noi per mangiare assieme ai nostri fuochi, prima che noi partiamo per l’ovest al di là di queste montagne?» domandò al signore dei Khazad.

Felak scosse la sua testa. «Non ora. Molti anni. Freddo viene molto oscuro. Parole di sonno dire me: portare pietre-fuoco a Noldor per non diventare loro pietre-ghiaccio su montagna. Questo essere via del sogno».


Finwë ringraziò Felak per il dono davvero prezioso delle pietre-fuoco alla sua gente, poiché capiva che esse avrebbero davvero fornito molto più calore delle scorte di legno possedute dai Noldor, così rapide ad esaurirsi. Felak lo ricondusse all’entrata della loro caverna ed indicò le piccole luci tremolanti dei fuochi da campo dei Noldor in lontananza.

«Vai, porta a altri»

Finwë s’inchinò al suo ospite, lo ringraziò di nuovo e poi s’incamminò sulla neve tra i dirupi, raggiungendo il suo accampamento e sollecitando la sua gente affinché si unisse a lui. Furono estremamente sollevati nel vedere ritornare il loro signore, poiché temevano che fosse caduto in qualche precipizio e fosse perduto, ed essi ascoltarono meravigliati il racconto dello strano popolo barbuto, che chiamava sé stesso Khazad, e del loro signore Felak; ben sapendo che le loro vite erano in pericolo con quel gelo amaro che avvolgeva le cime delle montagne, essi raccolsero rapidamente ceste e sacchi per portare ciò che potevano solo immaginare essere nuovi rifornimenti di legna per i loro fuochi. Andarono con circospezione, attendendosi qualche imboscata, e temevano che non fossero rimaste frecce sufficienti per la loro difesa, dato che erano stati costretti a gettarne molte nel fuoco al solo scopo di tenerlo vivo in quel freddo estremo. Ma quando Finwë guidò alcuni di loro nel luogo dove si trovava l’entrata della caverna, essi non videro traccia alcuna di un’apertura, sebbene le impronte di piedi degli accorciati nella neve erano evidenti a tutti. C’era una lastra di roccia nuda che non mostrava tracce di porte o aperture nascoste. Ma lì, proprio davanti alla lastra di roccia, vi era un grande cumulo di pietre-fuoco nere; così i Noldor capirono che il loro signore non aveva sognato quell’incontro con Felak.

Finwë si voltò verso la lastra di roccia e parlò ad alta voce: «Io ringrazio il Signore dei Khazad per il dono delle pietre-fuoco e possa esserci sempre amicizia tra i nostri popoli!»

Non vi fu risposta e il vento si fece ancor più forte e penetrante.


A quel punto essi raccolsero rapidamente le pietre-fuoco e le riportarono al loro accampamento e le gettarono tra la legna dei loro fuochi, che stavano bruciando pericolosamente sommessi. Fiamme divamparono e bruciarono più luminose e calde e gli elfi si accalcarono più vicini per scaldare le loro mani ghiacciate e i loro occhi luccicarono dei luminosi fuochi su quelle alte vette, sotto le fragili luci delle stelle nella volta sopra di loro.

Le pietre-fuoco donate a loro dalle creature barbute furono una cosa molto buona: i venti freddi durante il tramonto delle stelle soffiarono penetranti dal nord e la temperatura precipitò, così che molti Noldor sarebbero periti, poiché le loro riserve di legna erano state usate completamente e il freddo cresceva ancora più profondo, ed ora la neve scendeva fitta su di loro, come se volesse soffocare l’esistenza di qualunque Noldor sulla faccia della terra. Così essi furono grati di avere il calore di lunga durata delle pietre-fuoco e sebbene Finwë avesse dato il suo mantello in dono a Felak e avesse più freddo senza di esso, fu comunque soddisfatto di vedere il suo popolo sopravvivere fino a quando Oromë non sarebbe tornato su quell’alto passo e non li avrebbe condotti al sicuro nelle terre più in basso. Sciolsero la neve e la riscaldarono assieme alla carne per farne un brodo con cui nutrire il popolo delle stelle su quell’alto passo delle Montagne Nebbiose.


Mentre le costellazioni principali sorgevano ad est, Oromë apparve in cima al passo e guardò con meraviglia i Noldor rannicchiati attorno i loro fuochi che si smorzavano; «Temevo foste tutti morti congelati! Il Respiro di Melkor è un temibile vento a cui ben pochi oltre ai Valar possono opporsi. Come siete riusciti a sopravvivere ad una notte esposti agli elementi?»

Allora Finwë gli spiegò dello strano popolo che aveva incontrato nella caverna e di Felak, loro signore, ed ora Oromë era ancor più stupito e pieno di gioia, ed egli rise tanto che la sua voce riecheggiò sulle vette innevate, scuotendole fin dalle pendici dove stavano ammassate. «Aulë sarà di sicuro contento, ora! Il suo popolo è stato finalmente risvegliato ed ha già incontrato i Primogeniti».

I Noldor sgombrarono il loro accampamento e seguirono il Vala lentamente, giù per ripidi pendii e attraverso luoghi privi di sentieri, dove sarebbero presto stati sperduti se avessero tentato di discendere verso le terre sottostanti senza alcun aiuto. Presto furono contenti di essere rimasti dov’erano stati fino ad allora, in attesa del ritorno di Oromë. A nord del passo dal quale stavano scendendo lungo un precario sentiero di ciottoli di selce, c’era uno strapiombo sul loro lato destro, un abisso di parecchie centinaia di piedi fino ad un ignoto basamento roccioso, e proprio di fronte, sul lato della montagna successiva, un crepaccio si apriva sull’alto grigio dirupo verticale, e da quest’apertura scaturiva una grande cascata che si tuffava nell’abisso sottostante – ma, con grande meraviglia dei Noldor, le acque si erano ghiacciate solidificandosi in una fontana di spirali bianche sospesa nell’aria fredda, di un bianco scintillante e luccicante sotto la luce delle stelle lassù. Incapparono stancamente nel punto in cui i Vanyar si erano accampati, vicino alla base delle montagne, e vi fu incontro gioioso tra Ingwë e Finwë, mentre si abbracciavano l’un con l’altro e cantavano con piacere. I pastori di alberi stavano svegliando gli altri ent che dormivano nei pressi della foresta sul loro lato, così che ora il loro numero era di nuovo cresciuto.


I Noldor riposarono per qualche giorno per riscaldarsi prima che Oromë gli permettesse di continuare il viaggio, sebbene ora tutti gli Eldar fossero contenti di proseguire la marcia, specie dopo aver attraversato le alte montagne. Il Vala guardò tristemente verso i passi di montagna e parlò ad Ingwë e Finwë prima di lasciare le terre montuose per dirigersi ad ovest delle Montagne Nebbiose.

«Temo che il popolo di Elwë ed Olwë non sarà in grado di attraversare queste formidabili montagne prima della prossima stagione calda. Spero solo che i Teleri non incappino in qualche male, lì accampati sul Grande Fiume, dal lato sbagliato. C’è ancora molta malvagità là fuori e la sua presenza può solo crescere con l’inverno. Ho paura soprattutto per Lenwë, poiché il suo cuore vorrebbe risiedere tra gli alberi e i loro pastori».

«Comunque i pastori degli alberi sono con loro» disse Finwë «E almeno Elwë Grigiomanto desidererà rivedere la dimora dei Valar, e ricontrare il suo amico e compagno di avventure Finwë».

Olorwen stava guardando in alto nello stesso momento, ed ella scosse il capo alle parole del suo signore. «La scelta di Elwë Singollo è stata fatta e la separazione del vostro amico dalla sua dimora prescelta potrebbe essere lunga, sebbene egli cercherà di trovarvi prima della fine del viaggio. Un’oscura dimora ora lo attende prima che possa anche solo aspirare di rivedere la luce degli alberi – sebbene egli riuscirà a scorgere un bagliore della luce di quegli alberi un’ultima volta, se i miei sogni sono veri. Elwë Singollo terrà proprio tra le sue mani quella luce pura, anche se come questo sia possibile è al di là della mia comprensione».


Elwë ed Olwë erano sempre più convinti che avrebbero dovuto fare come il Vala aveva loro suggerito. Il terreno tremava e da sud-est voci della montagna di fuoco, che non era ancora così lontana come avrebbero voluto che fosse, giungevano loro assieme ad odori sgradevoli, nubi di fumo e tremolanti luci rosse sotto le basse nuvole che si srotolavano da sud ad est. Ma l’inverno era sceso e l’Anduin era ingolfato da vorticose acque schiumose attorno a macigni che le facevano spumeggiare e lo rendevano pericoloso da attraversare persino per gli ent. Proprio davanti a loro, la linea delle nevi sulle grandi montagne avvolte dalle nebbie si abbassava sempre più; poi il vento iniziò a soffiare da nord, pulendo l’aria dal fumo, ma portando neve e nevischio al suo posto, lì dove i Teleri stavano accampati a fianco del Grande Fiume, e le loro tende vennero avvolte da una spessa coltre bianca, che divenne brillante quando fu toccata dal gelo lì dov’era.

Mentre il freddo cresceva, gli ent si facevano sempre più sonnolenti, in piedi come un boschetto d’alberi, incapaci di allontanarsi troppo o di essere d’aiuto ai Teleri in caso di pericolo. Per il momento i primi attacchi erano provenuti dai lupi oscuri, bestie selvagge dalle zanne bianche che erano emersi dalle terre settentrionali e dalle lontane montagne per tormentare gli elfi sulla riva orientale del fiume. Questi lupi erano bestie assai più grandi e possenti di quelle dei giorni precedenti incontrate dagli altri: il loro antico lignaggio e sangue dava loro una forza al di là di quella dei lupi comuni. Erano divisi in due clan: i Morifaugi o “fauci nere” e i Mithrfaugi o “fauci grigie”. I Teleri fabbricarono rapidamente archi lunghi e frecce appuntite per respingere questi terrori e combatterono tre grandi battaglie in pieno inverno col branco di lupi che avevano chiamato Formenruth, “l’ira del nord”. In ciascuna occasione queste bestie feroci cercarono di portarsi via fanciulle e bambini per mangiarseli, ma Denethor fu, tra i suoi consanguinei, particolarmente coraggioso, avanzando con un ramo di legno e colpendoli sul grugno e spaccando loro il cranio, così che essi lo temevano più degli altri. Al culmine della terza ed ultima battaglia il capobranco Thaurdan lo sfidò in una singolar tenzone ed egli si presentò con uno scudo e la sua grande mazza di legno: il figlio di Lenwë si avvicinò lento ed ammazzò il capobranco con una singola mazzata. Il resto del Formenruth ululò in cerca di vendetta, ma Thaurdol figlio di Thaurdan, che era ora reputato il loro nuovo capobranco e signore supremo, bloccò i lupi guerrieri, poiché desiderava onorare la promessa che suo padre Thaurdan aveva fatto prima della sua sconfitta: poiché a quel tempo i lupi del nord erano sì bestie malvagie, ma ancora onorevoli, e non erano ancora stati corrotti da Melkor e dai suoi demoni alleati. Si diceva infatti che in quei giorni alcuni dei Morifaugi e dei Mithrfaugi, perlopiù congiunti di Thaurdol, fossero riusciti a sfuggire alla stretta di Melkor e soprattutto a quella di Gorthaur, e voci narravano che essi fossero fuggiti da quei luoghi per conservare il loro onore e il loro rigoroso codice di condotta – alcune voci erano giunte persino ai Saggi circa il fatto che tra quei consanguinei ve ne fossero alcuni che erano successivamante divenuti amici delle aquile del nord , sebbene una cosa del genere suonasse davvero strana se fosse stata vera, cioè che i lupi di antico lignaggio potessero persino avere aiutato i servitori di Manwë Sulimo. Così avvenne che i lupi volsero le loro teste scure e i loro occhi rossi fiammeggianti verso le terre del nord da cui erano venuti e che non importunarono più i Teleri.


Questa non fu tuttavia la fine delle sfide per la gente di Elwë ed Olwë: prima dell’arrivo della primavera e prima che i Teleri si potessero godere la cacciata dei grandi lupi dai loro accampamenti, grandi orsi neri alti il doppio di un qualsiasi elfo emersero dal limitare della foresta e balzarono minacciosi sui Teleri con la loro condotta selvaggia e rabbiosa, catturando alcuni dei più incauti tra loro. Ma tutti quei comportamenti minacciosi non condussero ad una battaglia diretta, cosa di cui i Teleri furono grati, poiché le loro riserve di frecce erano praticamente finite dopo le battaglie con i Formenruth ed i loro guerrieri erano già esausti a causa dei combattimenti coi lupi selvaggi e non desideravano perdere altre vite in altre truci battaglie.


Mentre il tepore della primavera inizia a ritornare, gli Ent si risvegliarono e le acque si placarono, e i Teleri avrebbero potuto ora attraversare il Grande Fiume verso le rive occidentali con l’aiuto dei pastori di alberi; ma un grande dissenso crebbe tra gli elfi dai capelli argentati su quale scelta avrebbero dovuto compiere adesso riguardo al grande viaggio, ed alcuni domandarono apertamente se non fosse il caso di abbandonarlo del tutto.

A questi discorsi sul voltare le spalle Elwë Singollo si arrabbiò ed alzò il suo mantello grigio affinché tutti ricordassero perché lo indossava; «Osservate, gente del mio popolo!» disse ad alta voce. «Questo mantello è stato il segno che mi avete dato per viaggiare in qualità di vostro re. È la dimostrazione che ho davvero raggiunto l’ovest ed io sono tornato con esso in modo da guidarvi fin là. La mia mente è pronta – non indugerei ancora su questa riva del fiume, né su questo lato delle montagne, ma andrei in cerca del mio vecchio amico Finwë ovunque stia viaggiando – e spero che le parole di Olorwen dei Vanyar non diano frutti».

Suo fratello Olwë era in piedi al suo fianco e rispose con una chiamata simile alla sua gente, affinché non ritardassero ulteriormente la marcia: «Troppo a lungo siamo stati disposti ad accettare il nome di Teleri dai nostri amici – che ci sia stato dato per scherzo o disapprovazione. Ora dobbiamo dimostrare a coloro che tengono a noi come possiamo essere risoluti e fermi nei nostri intenti. Se avessimo ascoltato Ingwë e Finwë non avremmo dovuto subire i Formenruth in questo aspro inverno, né essere spaventati dai branchi di orsi venuti fuori dalle profondità della foresta».

Ma Lenwë contraddisse quel saggio consiglio: «Basta con le barriere e le false promesse! L’inverno è doppiamente forte nei luoghi elevati. Come possiamo sapere che i Vanyar e i Noldor sono sopravvissuti al loro folle tentativo di attraversare simili vette pericolose? E se anche fossero riusciti ad attraversare quelle catene, chi può dire cos’altro ancora, di peggiore, ci attende al di là delle Montagne Nebbiose?» rispose. «C’è infine un altro modo di raggiungere l’ovest, attraverso il passaggio a sud, dove la catena nebbiosa finisce. Così disse il Vala, se gli vogliamo credere, e così dovrebbe sapere Elwë, poiché egli stesso è passato da quel percorso in passato. Se dovessimo giungere ad una scelta tra una palude e questo fiume con le montagne mortali che si stendono al di là, sbarrandoci la strada implacabili, ebbene datemi una palude al giorno!»

Molti di quelli che erano vicini a lui concordarono con quell’opinione, ed Elwë poté solo ripetere che la strada a sud conduceva attraverso pericolose paludi che sarebbero state ben più difficili delle montagne, ed il suo popolo ascoltò quelle parole, poiché capivano che diceva il vero. Ma quelli nei pressi di Lenwë chiusero le orecchie poiché non volevano parlare di disagi immaginari, quando vedevano solo gli ostacoli davanti a loro, e voltarono le spalle ad Elwë ed Olwë.


Anche tra i pastori di alberi c’erano opinioni differenti, sebbene non fossero così appassionati all’argomento – o forse non le esprimevano in quel modo, non essendo un popolo frettoloso come i Teleri. Alcuni avevano meditato durante la stagione invernale mentre dormivano e desideravano rimanere a Taur-in-Mornie; con loro scelsero di andare alcuni dei Teleri, quelli che iniziavano ad apprezzare sempre più quelle cupe terre boscose. Ad ogni modo la maggior parte degli Ent si alleò con la gente di Lenwë e di suo figlio Denethor e decisero di andare a sud e cercare un luogo dove vivere con coloro che per primi gli avevano insegnato a camminare e parlare. Denethor sembrava il più entusiasta tra tutti coloro volevano giungere alle terre occidentali tramite un altro percorso, persino più di suo padre, poiché ricordava ancora il combattimento con il capobranco dei lupi oscuri e sapeva che non vi sarebbe stata pace per gli Eldar nelle Grandi Terre. Un numero più piccolo di Ent scelse di unirsi ad Elwë ed Olwë e di continuare attraversando l’Anduin e, da lì, di tentare la traversata per le alte montagne. Ma coi due fratelli restò la maggior parte dei Teleri, che rimasero loro fedeli – poiché questa gente amava assai Elwë ed Olwë e non avrebbe abbandonato i suoi signori per Lenwë e suo figlio.


Il popolo di Lenwë divenne noto col nome di Nandor, poiché dimorarono per un certo periodo nei boschi della Valle dell’Anduin. Alcuni dei Saggi dicono che Nandor significhi “coloro che voltarono le spalle”, ma più correttamente vuol dire “gli abitanti della valle”; ed essi crebbero in saggezza circa le erbe e le bestie dei boschi nonché sulle tradizioni degli alberi. Viaggiarono a sud e alcuni di loro non si fermarono, ma giunsero dopo un lungo viaggio al mare nei pressi della foce dell’Anduin, dimorando lì in segreto, perlopiù sull’isola di Tolfalas, dove il nemico arrivava raramente e la pesca era abbondante tutto l’anno. Altri ancora viaggiarono attraverso gli Ered Nimrais e alcuni di questi, in seguito, si diressero di nuovo a nord, entrando nella regione selvaggia dell’Eriador, tra i Monti Azzurri e le lontane Montagne Nebbiose; costoro erano guidati da Denethor figlio di Lenwë, che ancora desiderava di andare più ad ovest. In tempi successivi Denethor figlio di Lenwë temette il potere crescente dell’Oscuro Signore e il numero di folli bestie che circondarono i Nandor, e così raccolse quanti più poteva del suo popolo sparpagliato nell’Eriador e assieme viaggiarono attraverso gli Ered Luin verso il Beleriand, dove furono accolti come consanguinei a lungo perduti da quei Teleri che erano rimasti nelle Grandi Terre e non si erano ricongiunti con i loro parenti al di là del mare. In questo modo alcuni dei Teleri che si separarono dalla loro gente non rividero mai più i Vanyar che dimoravano lontani, al di là delle imponenti acque del Belegaer.


Elwë ed Olwë guardarono in silenzio la gente di Lenwë che marciava verso sud con una grande compagnia di ent, come se una foresta fosse in movimento. I Nandor non parlarono coi loro confratelli prima di andarsene dall’accampamento, poiché erano addolorati dal fatto che i loro consanguinei ed amici avessero intenzione di attraversare quelle montagne senza nemmeno l’aiuto del Vala Oromë, e non volevano partire con parole troppo amare sulle labbra: così preferirono non dire niente e basta. Olwë era particolarmente triste poiché poteva ricordare come la gente di Lenwë avesse cantato per gli Ent, così come la prodezza e il coraggio nelle battaglie contro i lupi di Formenruth di suo figlio Denethor, che ora indossava la pelliccia di Thaurdan quale simbolo di vittoria sulle sue spalle mentre marciava in silenzio. Al quel punto però i Teleri rivolsero gli occhi alle grandi montagne con trepidazione e desiderarono invano di averle attraversate coi loro amici. Non c’era alcun Vala a guidarli. I pastori di alberi organizzarono la traversata di quella grande folla al di là dell’Anduin e solo quello portò via gran parte della primavera, poiché le acque difronte a loro erano cresciute notevolmente e non si sarebbero certo ritirate fino alla stagione calda. I sentieri presi da Noldor e Vanyar erano stati ricoperti dalla neve, che ora si era sciolta lavando via qualunque traccia o impronta; e visto che il popolo delle stelle camminava leggiadro, difficilmente lasciava segni del proprio passaggio. Così i Teleri furono obbligati a cercarsi i sentieri da soli. Ciò nonostante, dopo aver esplorato le strade, giunsero tranquillamente ai piedi delle colline ed Elwë Singollo li guidò senza troppi problemi sulle lande montuose che precedevano i passi di montagna veri e propri. Per molti lunghi mesi i Teleri cercarono quella rotta sicura che conduceva attraverso i passi di montagna, finché non furono costretti a tornare indietro, sconfitti, e a fermarsi sulla riva occidentale dell’Anduin dove i Vanyar e i Noldor si erano accampati un anno prima. L’anno seguente fecero un nuovo tentativo, ma partirono in ritardo e ancora una volta vennero frustrati dal tempo atmosferico e da quelle pericolose vette dove qualcuno ogni tanto precipitava verso il proprio fato. Al terzo anno Elwë insistette affinché i Teleri iniziassero prima il loro viaggio, all’inizio della primavera, per sfruttare il vantaggio del clima caldo. Fu anche una stagione più calda di quella dell’anno prima. Mentre salivano ai passi udirono un corno suonare e gli ent che erano con loro seguirono il suono di un loro simile che li chiamava, così furono in grado di arrampicarsi fino alla vetta e trovare finalmente il loro passaggio. Quando però i Teleri e gli Ent che erano andati con loro emersero sul lato opposto delle Montagne Nebbiose e guardarono in basso, verso le terre occidentali dell’Eriador, quel terzo anno volgeva al termine e un freddo inverno stava arrivando dietro di lui, e i Noldor e i Vanyar se n’erano andati da tempo.


Oromë a quel punto li guidò giù per le dolci pendenze del lato occidentale di quelle alte montagne. La stagione fredda era arrivata sul serio e gli elfi udirono l’ululato dei lupi verso le alte lontananze a nord, un suono che gelò loro il sangue, e Veroraggio riferì che i suoi ent esploratori avevano intercettato altri troll e fatto rapporto prima che potessero compiere qualsiasi danno alla folla in marcia. Finwë ed Ingwë ora camminavano fianco a fianco nell’avanguardia e dietro di loro veniva il loro popolo, che era il più desideroso di raggiungere il male. A quel punto attraversarono un fiume ad un guado sassoso poco profondo e si fecero strada in una piacevole terra boschiva. Il fiume che attraversarono successivamente era più largo e più profondo e i Noldor costruirono un solido ponte in travi di legno in quel punto, in modo che tutti gli elfi potessero attraversarlo, ma l’inverno s’intensificò tutt’intorno a loro nel mentre il ponte veniva pronto per l’utilizzo. Gli Ent erano ancora in grado di guadare le acque gelide e trasportarono alcuni dei Vanyar al di là prima che gli altri potessero attraversare il ponte. Fu così che gli Eldar si riposarono sulla riva occidentale di quel fiume, all’interno di una depressione che li riparava dal peggio dei venti pungenti.

Oromë spiegò loro che la foresta su questo lato delle montagne non era altro che una continuazione della stessa grande foresta di Taur-in-Mornie al di là delle Montagne Nebbiose, e fu chiamata dagli Eldar Boscoverde il Grande, o persino Taur-Iaur in quegli antichi giorni. Espandendosi nel grande spazio che separava la Montagne Nebbiose e gli Ered Nimrais, gli alberi si era moltiplicati a nord, attraversando le infide terre paludose, e ancora più in là nell’Eriador, a nord del grande fiume noto in seguito come Gwathló. Ma nel punto in cui gli Eldar erano giunti la foresta era meno densa e più lenta nella crescita, con noccioli ed ontani e alcuni pini nel nord, sulle scoscese colline pietrose, e gli Ent attraversarono alcuni luoghi cercando quanti più alberi ed ent potevano, imparando da loro. Alla fine gli Eldar ripresero il cammino, incoraggiati da Oromë a proseguire la marcia verso le terre occidentali, anche se la stagione fredda si stava chiudendo attorno agli elfi.

Ora il popolo delle stelle, guidato dal Signore del Viaggio, giunsero a delle grandi paludi che si estendevano dinanzi a loro. Erano brinate di ghiaccio e spazzate dal vento, con canne spezzate a metà sui loro piccoli isolotti e un cattivo odore che emanava dalle loro profondità, specialmente ovunque le esalazioni s’innalzavano facendo breccia attraverso la sudicia superficie e le acque oleose. Ma Ingwë e la sua gente continuarono risoluti ad avanzare e Finwë li seguiva col suo popolo, ed essi intonavano canzoni per tenere alti i loro spiriti, così che l’umidità e il puzzo delle paludi e i tanti insetti che li assalivano non li facessero deviare dal loro proposito.


Fu così che alla fine riuscirono ad uscire dalle paludi e a trovare stagni di acqua dolce ma fredda ove ripulire le loro membra, e poi essi viaggiarono verso alte colline dove i Vanyar e i Noldor piantarono stancamente le loro tende e attesero la terribile tempesta di neve che giungeva da nord e da ovest. Per sette volte le stelle sorsero e tramontarono mentre il vento soffiava così forte che nessuno pensava fosse saggio muoversi alla cieca. Quando la furia del tempo invernale venne spazzata via ripresero a viaggiare, giungendo ad un grande fiume che bloccava il loro cammino; ma si muoveva lentamente e a causa del pungente freddo del nord la superficie era abbastanza ghiacciata da sorreggere il loro peso, così Oromë li guidò, con Nahar che sferragliava gli zoccoli sul ghiaccio scivoloso mentre attraversavano il fiume. Dei lupi li avevano pedinati per alcune settimane, ma non avevano osato avvicinarsi al Vala e al suo fulgido cavallo; non sembravano essercene, tuttavia, sul lato opposto del fiume, come se esso fornisse loro una barriera contro le bestie malvagie. Gli Eldar furono incoraggiati da Oromë a continuare a spostarsi, poiché essi erano perlopiù disorientati da quel raduno di lupi, ma attraversarono il ghiaccio solido senza disavventure e non furono obbligati a costruire alcun ponte – e Finwë ringraziò per quello il tempo inclemente, che rendeva possibili simili imprese.

Le terre ora si presentavano più benevole e il loro spirito si rialzò, poiché compresero che i lupi non li avrebbero seguiti, e alcuni ent, guardandosi attorno, decisero di rimanere lì e di coltivare quella regione come un giardino – erano di quell’opinione soprattutto molte delle Entesse e dei loro Entini, che amavano quel luogo e che volevano portarvi gli alberi da frutto e quelli che generavano splendidi fiori in primavera. Gli altri seguirono i Vanyar e i Noldor mentre questi attraversavano una prima vasta estensione di colline e poi una seconda, e trovavano al di là di quelle delle alte oscure montagne fittamente ricoperte di pini verde-azzurri che avevano le punte tinte di bianco a causa di una spolverata di neve che li ricopriva.

Gli Eldar si fermarono e lamentarono mentre osservavano ciò che li attendeva lì davanti.

«Pensavo avessimo attraversato l’ultima barriera verso l’occidente» disse Finwë stancamente.

Oromë indicò la catena di montagne: «Gli Ered Luin non sono così difficili da attraversare come possono apparire inizialmente. Non sono come le Montagne Nebbiose che avete superato con successo in passato. Ci sono ampi sentieri bassi che sono percorribili tutto l’anno. Nahar conosce le terre assai bene, ed io posso guidarvi nelle possenti Grandi Terre occidentali che giacciono proprio nei paraggi del Grande Mare. Lì potrete riposare tutti in tranquillità e sicurezza finché non sarà il momento di attraversare il mare».


I Vanyar giunsero ad un passaggio vicino ad una grande montagna che chiamarono Dolmed o “cima bagnata” a causa della nebbiosa rugiada tra i pini e i cipressi dei suoi pendii, nonché della profusione di ruscelli e cateratte che scendevano dalle sue cime. Stava tornando la primavera e gli Eldar potevano sentirla nell’aria: fragranze di erbe aromatiche e altre piante che germogliavano col clima più temperato. Mentre passavano Dolmed, trovarono una terra che apparve piacevole ai loro stanchi occhi. Poiché questa era la regione dei Sette Fiumi e ai piedi occidentali degli Ered Luin vi era un paesaggio collinare ondulato dove delicate piogge cadevano regolarmente, portando abbondanza a tutto ciò che cresceva lì, sotto la luminosa luce delle stelle. Ancor più a occidente c’erano terre dove pioveva abbondantemente ed alcuni cercarono di vivere in quelle terre, dove sarebbero stati ancor più vicini al Grande Mare, e così gradualmente gli Eldar si diffusero nelle terre occidentali, dimorando dove pensavano fosse meglio per loro.


A quel punto Oromë li lasciò nuovamente per andare a parlare al suo popolo e organizzare il trasporto degli Eldar attraverso l’ampio mare, poiché nonostante i Teleri avessero abbandonato la marcia, il numero di Vanyar e Noldor era cresciuto grazie ai Ranahini ed erano ora una moltitudine.

I Noldor rimasero lì in Ossiriand per un po’, accontentandosi di cacciare nelle terre dove avevano piantato le tende, sperando forse che i loro amici Teleri potessero apparire prima piuttosto che poi; Finwë, che s’era accampato vicino al Fiume Ascar, andava particolarmente spesso sulla cima del passo e guardava in giù, aspettandosi di vedere l’alta figura di Elwë Singollo col suo mantello grigio mentre faceva grandi passi davanti alla moltitudine del suo popolo e veniva a salutarlo. Ma anche se aspettò per molte stagioni, nessuno apparve e le notizie che giungevano dalle terre che avevano attraversato ad ovest delle Montagne Nebbiose non erano incoraggianti: nessuno era ancora passato in quelle terre dopo i Noldor e i Vanyar. Inviò alcuni pastori di alberi a vedere se i Teleri avessero attraversato le montagne, ma ciò che essi gli raccontarono fu che nessun’altra folla era più discesa dai passi di montagna.


Dopo diversi anni, i Vanyar che avevano superato il Gelion e che avevano cercato i sentieri attraverso le foreste si erano spinti più in là ad occidente, giungendo agli accampamenti dei Noldor; Ingwë parlò a Finwë senza mezzi termini: «Abbiamo forse attraversato le barriere delle Montagne Nebbiose e del Grande Fiume e dei Monti Azzurri solo per starcene indolenti in queste piacevoli terre, il più lontano possibile dall’est? Il tempo delle vacanze e dell’ozio non durerà per sempre, e noi vorremmo che tutti gli Eldar prendessero la via del mare»

«Non è l’indolenza che trattiene qui i Noldor, Ingwë. Ho sperato nel mio cuore che Elwë Singollo ci raggiungesse e si unisse alle nostre schiere prima che attraversassimo il grande oceano, amico mio» rispose «Ma il mio cuore è pesante, poiché non ho udito voci del viaggio dei Teleri in tutto questo tempo. Ed io temo che le parole della tua congiunta Olorwen si avvereranno e che forse Elwë Grigiomanto non troverà mai la strada per le terre di Valinor».

Ingwë mise la sua mano sulle spalle dell’amico e c’erano lacrime nei suoi occhi: «Perdona le mie aspre parole. Non siamo indifferenti ai nostri amici. Non abbiamo dimenticato Elwë e suo fratello Olwë e i Teleri, sebbene si siano dimostrati di passo lento durante questo grande viaggio. Lenwë il maestro di alberi era molto amato tra i nostri popoli e Veroraggio canta sempre di questo dono agli Ent. Ma Oromë adesso non li guida, non hanno alcun Vala a condurli attraverso le Montagne Nebbiose. Se anche dovessero riuscire a superarle, potrebbero volerci anni e prima che ciò accada potrebbero scoraggiarsi e tornare indietro».

«Hai ragione, naturalmente» concordò Finwë, asciugandosi le lacrime dagli occhi «Sebbene io abbia qualche speranza nella persistenza di Elwë – poiché egli ha visto la luce dei Due Alberi come me e te. Uno che ha alzato lo sguardo alla meraviglia di Valinor non potrebbe sicuramente aver pace finché non dimorerà lì, non sei d’accordo?»


Poi sentirono i forti nitriti di Nahar e voltandosi videro Oromë cavalcare nella loro direzione in velocità. Recava con sé nuove cavalcature per Finwë ed Ingwë, affinché vi montassero e guidassero i loro confratelli verso ovest.

«Gli Eldar si sono riposati dal loro lungo viaggio?» domandò loro.

«Riposati e ben nutriti, Signore» rispose Finwë.

Ingwë annuì. «Sì, il mio popolo ha esplorato e perlustrato questa terra che si dovrebbe chiamare Beleriand, poiché essa è un territorio possente con grandi fiumi e montagne. Abbiamo trovato il grande fiume Sirion che io ricordavo nei tempi passati, quando per la prima volta siamo giunti qui con te, mio signore».

Oromë sorrise con piacere. «Allora porta il tuo popolo a quel fiume e seguine le correnti giù fino alla grande Baia di Balar, alle Bocche del Sirion. Là potrete imbarcarvi in tempo utile e giungere finalmente a Valinor. Persino ora che parliamo i miei fratelli Valar stanno pensando a come meglio compiere quest’impresa».

Si trasferirono quindi tutti i popoli dei Noldor, al di là del Fiume Gelion, e si unirono ai Vanyar che a quel punto si erano stabiliti ad Estolad e lungo il Fiume Aros, fino alla grande Foresta di Region, dove pochi osavano avventurarsi. I Vanyar evitavano persino gli alti boschi vicino al Fiume Celon, poiché essi erano bui e misteriosi e solo il canto degli usignoli riusciva ad emergerne, e quel suono suonava inquietante e strano alle loro orecchie. A quel punto Vanyar e Noldor si mossero lungo il corso del Fiume Aros in direzione sud-ovest e giunsero al di là dell’Andram, nei boschi attorno a Nan-tathren; i Vanyar si stanziarono ad Arvernien con Veroraggio e i suoi congiunti, mentre i Noldor con Finwë scelsero come loro dimora le Falas, a sud degli Ered Wethrin, trovando quel luogo più piacevole.


Ora i più curiosi tra i Vanyar e persino qualcuno dei Noldor giunsero alle rive del Grande Mare, che essi chiamarono Belegaer, ed essi furono intimoriti dalle possenti acque e dalle rimbombanti onde che s’infrangevano sulle coste della Terra di Mezzo e i loro occhi non riuscivano a vedere nulla oltre l’orizzonte all’infuori di acqua e ancora acqua; rimasero sbigottiti e fuggirono dalle coste rocciose. Avvenne così che una grande paura scese sugli Eldar e molti tra loro indietreggiarono dalle coste e risiedettero nei boschi e nelle terre montuose del Beleriand.

Oromë, una volta che ebbe condotto gli Eldar alle rive più occidentali, partì per ritornare a Valinor, per ricevere consiglio da Manwë e dagli altri Valar su come una simile moltitudine potesse essere trasportata fino alle terre dei Valar.


Infine, molti anni più tardi, giunsero voci dai pastori degli alberi che dimoravano nei boschi ad est, vicino alle montagne, che i Teleri avevano finalmente oltrepassato i passi sugli Ered Luin e si erano stabiliti nelle regioni orientali del Beleriand. In quel momento si erano fermati e risiedevano al di là del Fiume Gelion.

Elwë aveva trovato il ponte sul guado che i Noldor avevano costruito e ciò aveva indotto i Teleri a continuare ad ovest, sebbene avessero sofferto grandemente durante l’attraversamento delle Montagne Nebbiose. Con loro veniva un gran numero di pastori di alberi che erano stati originarimente risvegliati da Veroraggio e dalla sua gente quando questi erano passati di lì coi Noldor ed i Vanyar.

Sentendo che il loro amico stava arrivando, Finwë decise di spostare la sua dimora più ad est, nelle terre vicino a Neldoreth e Region, così da potersi incontrare col suo buon compagno Elwë e, finalmente, i due amici si ritrovarono e la loro riunione fu gioiosa. Per molte volte Elwë Singollo venne alle dimore dei Noldor ed essi pianificarono che per il momento avrebbero attraversato assieme il Grande Mare e sarebbero andati ancora una volta a Valinor, dove avevano già viaggiato un tempo, ma prima di allora Elwë scomparve e nessuno fu in grado di dire dove fosse andato. Finwë si unì ai Teleri nella ricerca facendo quanto possibile ma, a parte il canto degli usignoli nel profondo della foresta, non trovò alcun segno di vita, men che meno di Elwë Singollo. E così le dolenti parole di Olorwen dei Vanyar si avverarono. Finwë abbandonò la ricerca e tornò dalla sua gente per abitare con loro.


Dopo alcuni anni giunse il suono dei corni di Ulmo e i cuori degli Eldar, specialmente dei Vanyar e dei Noldor, furono riempiti dal grande desiderio di attraversare il mare, e la loro paura del Belegaer si sciolse. Quel Vala aveva portato nella Baia di Belar una grande isola sopra acque schiumose, guidandola come se si fosse trattato di una nave gargantuesca, ed Oromë chiese agli Eldar di salirvi sopra, in modo che essi potessero attraversare il possente mare in sicurezza. Ma i Teleri non udirono i corni di Ulmo, né ubbidirono alla convocazione finché non fu troppo tardi, poiché essi cercavano ancora il loro perduto signore.

«Come possiamo partire senza i Teleri, dopo il loro sforzo supremo per attraversare le montagne senza aiuti?» domandò Finwë, con grande afflizione.

«L’isola non può rimanere qui per sempre, per paura che le sue radici si leghino troppo alle fondamenta del letto del mare» disse Oromë «Se non hanno ubbidito ai corni di Ulmo, allora dovranno restare indietro».

Ma Ulmo guardò ad est, in alto verso il possente Sirion. «Noi partiremo verso ovest, ma il mio vassallo Ossë rimarrà qui mentre viaggeremo attraverso le acque e se i Teleri dovessero giungere alle coste della Terra di Mezzo, allora lui darà loro il benvenuto e forse, un giorno, ci sarà modo di realizzare una felice riunione degli Eldar».


Così i Vanyar guidati da Ingwë giunsero sull’isola nella baia che chiamarono Balar e i Noldor li seguirono e il loro signore Finwë rimase lì a guardare indietro, nella speranza che i Teleri, il suo amico Elwë e suo fratello Olwë potessero forse arrivare proprio all’ultimo minuto, ma essi non arrivarono. A quel punto egli ricordò nuovamente le parole di Olorwen, ed incrociato il suo sguardo vide che anch’ella guardava fissa verso est, e si domandò se mai avrebbe rincontrato Elwë e questo fu un grande dispiacere per lui. Su quell’isola si diceva che fossero saliti anche Veroraggio e altri dei suoi congiunti e amici, poiché desideravano non essere separati dai Vanyar e dai Noldor ed erano alla ricerca di quelle terre occidentali che erano illuminate dai Due Alberi. Ma la maggior parte degli Ent era rimasta indietro nel Beleriand coi Teleri.

Quindi Ulmo tirò l’isola attraverso il mare verso ovest: anche se il terreno inizialmente tremò e protestò, poi la sua parte orientale fu tagliata via e si separò sotto la potenza da lui esercitata. I pochi Noldor che restarono intrappolati sulla parte rimasta furono raccolti da Ossë e trasportati sulla sezione occidentale dell’isola in viaggio. Così gli Eldar giunsero infine a Valinor e scorsero la grande Baia di Eldamar e l’alta Montagna che vi cresceva al di sopra.

«Elerrína, l’incoronata dalla stelle!» gridò Ingwë.

«Oiolossë, l’eternamente bianca!» disse Finwë.

Sia Ingwë che Finwë furono incoronati quali re degli Eldar quando approdarono sulle coste di Valinor. Avevano dimenticato quanto bella fosse la terra dei Valar ed erano di nuovo pieni di grande stupore e le loro voci si alzarono in canto e preghiera mentre si facevano strada nell’entroterra, verso il luogo che sarebbe divenuto Tirion la splendida: di tutte le città degli Eldar, la più rinomata e la più bella.


I Vanyar e i Noldor erano partiti e le rive occidentali delle Grandi Terre sembravano vuote e prive di vita senza di loro.

Ora i Teleri si fecero avanti verso le coste del mare, chiamando i loro nomi, ma non trovando i loro amici, e in lacrime si stanziarono alle Bocche del Sirion, sospirando per i loro compagni che avevano lasciato la Terra di Mezzo. A quel punto presero Olwë come loro re, giacché Elwë era smarrito; ed Ossë giunse alle coste dove si erano radunati ed insegnò loro, mentre sedeva su una roccia ai margini del terreno, ogni sorta di tradizione o musica marina. Ed essi divennero assai talentuosi in questo e lui amò i Teleri come se fossero figli suoi. Così le canzoni dei Teleri si riempirono di suoni di onde sulla costa.


Quando furono trascorsi molti anni, Ulmo tornò da Valinor supplicato da Finwë, con l’intenzione di condurre i Teleri a Valinor affinché essi si unissero coi loro confratelli. Ma alcuni ascoltarono Ossë e rifiutarono di lasciare il Beleriand, scegliendo piuttosto di dimorare nelle Falas anziché attraversare il mare. Altri, che erano amici e famigliari di Elwë, rimasero nelle Terre Inferiori, cercandolo ancora, sebbene si sarebbero imbarcati volentieri per il viaggio verso Valinor, per vedere la luce degli Alberi, se Ulmo ed Olwë fossero stati disposti a intrattenersi più a lungo; ma Olwë era desideroso di partire ed Ulmo non desiderava rischiare che l’isola mettesse radici più profonde e rimanesse agganciata permanentemente. Così, finalmente, dopo tante discussioni, la maggioranza dei Teleri si imbarcò sull’isola e raggiunse la sua estremità occidentale, ed Ulmo la trainò verso l’ovest e, ancora una volta, una sua sezione fu lasciata indietro, permanentemente fissata sul fondo dell’oceano. Ma quando l’isola passò vicino alla Baia di Eldamar, Ossë li chiamò e i Teleri implorarono Ulmo di fermare il loro viaggio e con un suo comando Ossë fece saldamente ancorare l’isola alle fondamenta del mare: fu così che i Teleri dimorarono a lungo a Tol Eressëa e durante quel lungo soggiorno il loro linguaggio si separò da quello dei Vanyar e dei Noldor, sebbene Finwë fosse molto addolorato da quella decisione, poiché Tirion era divenuta davvero splendida ed egli desiderava che i suoi amici vedessero le meraviglie di Valinor e capissero quanto i Noldor avessero appreso durante il loro soggiorno coi Valar.


Per una lunga era i Teleri dimorarono a Tol Eressëa ascoltando gli uccelli marini e prendendo pesci sulle grandi scogliere dell’isola, ma alla fine i loro cuori cambiarono idea e furono attratti verso quella luce che fluiva attraverso il mare fino all’Isola Solitaria. Furono lacerati tra il loro amore per la musica delle onde sulle spiagge e il desiderio di incontrare di nuovo i loro parenti e vedere gli splendori di Valinor che delle voci avevano condotto fin da loro. Alla fine il loro desiderio crebbe più forte e così Ossë fu inviato da loro per insegnargli l’arte della costruzione navale, sebbene egli si addolorasse al pensiero di abbandonarli, ed una volta che le navi dei Teleri furono costruite, egli portò loro dei potenti cigni alati per trascinare queste bianche navi attraverso il mare senza vento; così, alla fine, i Teleri giunsero per ultimi in Aman e sulle rive di Eldamar e lì dimorarono nella città di perle che chiamarono Alqualondë, la quale, come viene raccontato altrove, fu costruita per loro dai loro amici Noldor.


Nell’Era dei Due Alberi, Olwë condusse la sua gente a Tirion ed Ingwë guidò il suo popolo giù per le pendenze superiori di Elerrína, vestiti di bianco così come avevano scelto per loro stessi, e lì si incontrarono con Finwë e i Noldor, e si tenne una grande festa quando Finwë si sposò con Indis dei Vanyar, giacché Miriel se n’era andata da Mandos anni prima dopo aver dato alla luce Fëanor. Anche i Valar vennero ad unirsi ai loro amici Eldar per le festività e, in quei tempi, Olwë e i Teleri cantarono un grande Lai che venne chiamato “I popoli del Viaggio”, ed esso raccontava delle grandi avversità che gli Eldar avevano sopportato per arrivare in quelle terre di beatitudine ed unirsi ai Valar, e al sentire quella canzone tutti i presenti furono risollevati nello spirito, tranne due.

Olorwen stava in un posto elevato vicino a suo marito Randor Pié Veloce ed ella teneva per mano i suoi due figli, fissando l’oriente attraverso il crepaccio. Con loro erano Irmo, Signore delle Visioni e dei Sogni, ed Olórin suo servo.

«Vedere il futuro è una dannazione tanto quanto una benedizione» disse lei, mentre le lacrime scendevano dolcemente lungo le sue guance.

«Coloro che bevono alle acque che per primo ho consacrato devono attendersi sogni pieni di previsioni, figlia del sogno» disse Irmo.

«La luce che Elwë Singollo scorgerà nelle Grandi Terre sarà quella dei Due Alberi, eppure egli non tornerà a Valinor. Questo rompicapo mi ha turbato fin da quando sono arrivata qui nelle terre dei Valar».

«Come risolvi l’enigma?» domandò Olórin.

«In qualche modo la luce dei Due Alberi verrà rubata e portata ad est nelle Grandi Terre» rispose lei.

«Ciò è altamente improbabile» replicò Irmo «Nessuno può giungere a Valinor a meno che i Valar non abbiano decretato altrimenti. Come potrebbe qualcuno rubare la luce dei Due Alberi?»

Lei scosse la testa e si voltò a fissare Fëanor, il quale osservava in silenzio suo padre e la sua nuova moglie, la sua matrigna Indis dei Vanyar. Anch’egli non era in pace con sé stesso, sebbene dissimulasse i suoi sentimenti per tutti, tranne che per alcuni.

«Imprigionerà la luce dei Due Alberi in un gioiello, non è vero?» domandò ella silenziosamente.

Irmo rise. «Ciò non ti dovrebbe preoccupare, figlia del sogno. Fëanáro è uno spirito di fuoco, ed uno dei più grandi tra i Noldor. Se dovesse aver successo in questo futuro possibile così audace, allora il suo cuore verrebbe catturato da quel gioiello e non desidererebbe separarsene mai».

Fu allora che Olorwen volse i suoi occhi ad Est per l’ultima volta, ed ascoltò la piacevole canzone di Olwë, e smise di indugiare ulteriormente sui suoi sogni oscuri per quella volta.


FINE.

(8-6-1996)



Laddove le stelle tramontavano –
una postfazione


Le coste di Brithombar sono adagiate nelle profondità,

Gli antichi Porti coperti d’erba laddove nessuno li può raggiungere,

Tutta la gioia è dimezzata, la meraviglia è decurtata –

Il Popolo delle Fate è svanito in un mondo caduto.


A tutta l’umanità l’Ovest sembra immerso nel fuoco,

Tutte le gloriose battaglie degli Dei nei tempi andati,

E alle formazioni di nubi s’agganciano i racconti degli uomini,

Avvolti di leggenda e perduti nel significato.


Ho fissato la mia stella bene in alto sull’albero maestro,

Che tutti possano sapere dove sto o dove voglio andare –

Così pochi i marinai che osano salpare con me,

A rivaleggiare per la gloria e l’immortalità.


Ora nella luce senza tempo su una spiaggia immortale

La chiglia cigola sui diamanti e le perle lì formati,

Un balzo, una fede illimitata in tutto ciò che desidero –

Guardate il marinaio che accende la sua pira funebre.


Per alcuni l’impegno è sufficiente, non importa quali siano costi o risultati. Per altri, è la vittoria che è tutto. Per il Saggio, la fine è all’inizio – e così la nave è predestinata prima ancora di partire. L’Ovest Supremo è nell’Est Supremo, poiché il Cerchio del Mondo è esattamente così: finito e limitato. Sebbene Arda è Guastata, essa non ne è in alcun modo sminuita – poiché tutto ciò che c’era all’inizio sarà ancora lì alla fine, perché nulla può esserle sottratto una volta che la recita e la musica sono iniziate: materia, energia e canzone sono uno e indissolubili.


Così gli Eldar si risvegliano ancora nel Cuiviénen, i Carnrim coi loro occhi verdi e i capelli rossi cantano le loro strane armonie, e da qualche parte i pochi lupi antichi lasciano il nord in collera e con l’orgoglio ferito, non sottomessi e non conquistati dal male di Gorthaur, e le Entesse giacciono nelle terre fertili al di là dell’ampio fiume marrone, attendendo i loro compagni pastori che vivono nelle terre montuose.


Così pure i Due Alberi continuano a riversare la loro luce oro e argento in una terra dove non c’è macchia e tutto è benedetto, e le Due Lampade stanno in piedi sulla terra indisturbate dalle mani del maligno. La loro luce può anche essere stata scheggiata, eppure non è diminuita, e può essere ricombinata nell’antica luce dell’alba dei tempi. Stiamo camminando la terra verde o la leggenda? Anche la terra verde è essa stessa leggenda e così la Storia non può essere evitata da nessuno, poiché siamo tutti e ciascuno parte di essa. Cerca l’est o cerca l’ovest – tutto è uno e lo stesso: fiero, affascinante, ordinario oppure obbrobrioso.


Al Attar, Zina Magleb Anziri (Terza Era, 1500)



Nota dell’editore:

il testo della Marcia degli Eldar verso l’Ovest è stato apparentemente compilato da un oscuro stregone, Al Attar, durante il quindicesimo secolo della Terza Era del Sole e giaceva in una cripta, in uno scrigno di marmo scuro. Il ritrovamento del testo nella cripta, a lungo trascurata e abbandonata, è stato un grande progresso per gli studi sulle antiche tradizioni degli Eldar, sebbene lo scritto sia in Anzari Semi-formale – un linguaggio remoto delle regioni orientali, lontano dal nord-ovest del Vecchio Mondo. Molta della nostra conoscenza dell’Anzari viene dai commercianti conosciuti come gli Anzir di Zina, che visitarono il Khand Orientale dal dodicesimo al diciottesimo secolo della Terza Era, portando spezie e legni profumati nei ricchi mercati di quella regione: prevalentemente la Prefettura di Khamdi, Ulu-Ondar, Goliandi e la fortezza d’arenaria di Ur-Khenarg. Il loro lessico ha presentato molte difficoltà per gli studiosi, finché il Professor Davies non ha utilizzato il suo oggi famoso sistema linguistico virtuale di decodifica dei codici Confronto SuperKray, grazie al quale ci ha fornito una serie di equivalenze che ci hanno permesso di codificare i caratteri scritti dell’Anzari Maggiore. L’Anzari Semi-formale era una forma più ampiamente parlata di quel linguaggio, sebbene assai meno scritta, che conteneva alcuni simboli e insiemi che non corrispondevano affatto al sistema Maggiore o, nel migliore dei casi, solo vagamente. Quindi kha-khe era più correttamente collegato a khe-ghi, e così via. Il lavoro sull’ASF era limitato a pochi specialisti finché il testo di Al Attar, o Marmo Nero, non è saltato fuori. Il sito del Tempio di Magleb era ricco di ritrovamenti, ma il fattore di maggiore perplessità nella scoperta di Al Attar fu proprio questo: sebbene la camera sepolcrale fosse stata predisposta attentamente per ospitare un grande stregone, secondo i costumi dell’epoca – si erano assicurati che la parte inferiore fosse rivolta a nord, così che non si svegliasse come morto vivente ed esigesse vendetta sui suoi nemici, e la camera era stata aspersa con varie essenze, aromi ed altre sostanze rare attorno alla porta e sul perimetro esterno – non vi era nessuno seppellito al tuo interno. Un contenitore di marmo nero era tutto ciò che giaceva sulla lastra di granito, coperto originariamente da un mantello rosso e dorato: questo è stato determinato grazie agli studi con il microscopio elettronico a effetto tunnel sui resti delle fibre sulla superficie del granito, analizzate da J.E. Ealey. Che dire dello stregone Al Attar, che avrebbe dovuto trovarsi all’interno della cripta? La chiave è la poesia e le parole che sono state trovate col testo principale, indicate qui di seguito, recentemente tradotte dal team che coordino (con ringraziamenti a G. Tornadoro, I.M. Vetch, W. Spinnaker e Y. Yalom Jr.):


Ho fissato la mia stella bene in alto sull’albero maestro,

Che tutti possano sapere dove sto o dove voglio andare –

Così pochi i marinai che osano salpare con me,

A rivaleggiare per la gloria e l’immortalità.

Ora nella luce senza tempo su una spiaggia immortale

La chiglia cigola sui diamanti e le perle lì formati,

Un balzo, una fede illimitata in tutto ciò che desidero –

Guardate il marinaio che accende la sua pira funebre.


Quindi il testo può essere collocato nel contesto della non documentata vita di Al Attar, il quale scrisse la Marcia degli Eldar come forma di penitenza per qualche grave errore compiuto verso l’alto e potente di Zina, prima di essere esiliato per sempre da quel reame. La sua “morte” nella cripta è stata puramente simbolica, ed egli ha molto probabilmente raggiunto le rive dell’oceano ed è salpato – e poi ha dato fuoco alla sua barca per morire con una vera morte tra le onde, forse accompagnato dai suoi accoliti più fedeli. Ne dovevano essere rimasti pochi, poiché è certo che entro il 1500 della Terza Era la stella di Al Attar era in declino a Zina, ed egli era considerato nel migliore dei casi irrilevante e nel peggiore un pericoloso sovversivo. Il rituale di condanna all’esilio indica il secondo caso. Ma il testo della Marcia degli Elda è senza dubbio uno dei più importanti documenti mai portati alla luce. Com’è arrivato Al Attar a possedere questa ricchezza di informazioni su una leggenda del nord-ovest così poco trascritta? Si suppone che fosse, in gioventù, un grande viaggiatore e abbia raccolto storie dalle tribù beduine a nord ed ovest di Zina, così come dai cosiddetti Zingari di Rhûn. Quella gente non era affatto di Rhûn propriamente parlando, e molte leggende suggeriscono che fossero solo per metà umani.

Queste note potrebbero essere d’aiuto al lettore nel collocare il testo e la poesia nel giusto contesto.


L.N.Dill.


[traduzione autorizzata di 'The March of the Elves. To Where the Stars they Set', da Nigglings Special, issue n. 15, 1996]

1 Le altre due parti sono apparse sui numeri 19 e 20 di Endore.