Claudio Testi, Pagan Saints in Middle-earth, Walking Tree Publishers, Zurich-Berne, 2018.


di Tom Shippey1


(traduzione di Paolo Palmieri)


Non deve sorprendere che la relazione esistente nell'opera tolkeniana tra Cristianesimo e paganesimo si sia dimostrata durevole nel tempo dal punto di vista critico. Sia l'una che l'altra problematica, in modi diversi, e in momenti differenti rivestono un'inaspettato rilievo all'interno di un racconto usualmente neutrale riguardo al tema religioso.


E' noto è tutti come Tolkien abbia dichiarato apertamente di considerare il momento più conturbante de 'Il Signore degli Anelli', quello in cui i corni dei Rohirrim, al cantar del gallo, vengono uditi giungere in soccorso agli assediati di Gondor (Lettere, n 165). E' il momento che cattura in maniera più esaustiva l'essenza del 'credere nella forza indomabile della volontà' la quale Tolkien considera indissolubilmente legata alla 'tradizione stessa dell'immaginazione pagana' (BMC, 262). In tal caso la migliore parola che possiamo usare è 'audacia'. In quegli attimi Theoden ha ben ragione ad apparire audace, poco prima di afferrare dalle mani di Guthlàf il corno, son queste le parole che aleggiano e che preludono con forza tale possibilità: "timore ...ritrarsi, ...ritirarsi ...dubbio ..darsela a gambe ...svignarsela". Ciò detto al suono del corno e al momento della carica Theodèn appare anche 'fuori di sè' (parola che deriva dalla tradizione pagana) ed anche 'simile ad un dio antico' (SdA R. RK. V.5). "Gli dei nordici", scrive Tolkien(BMC, 263) riportando W.P. Ker, “nei loro affari di guerra mostrano come una certa stravaganza da inebriati", e Tolkien la esprime in modo eccellente.


Di contrasto il momento più commovente ne 'Il Signore degli Anelli', secondo il parere di molti, può essere considerato l'attimo in cui Sam Gamgee si risveglia, dopo che l'Anello è ormai stato distrutto. Sam e Frodo, caduti nell'incoscienza per le esalzaioni sulfuree scaturite dalla distruzione circostante, vengono trasportati dalle aquile e depositati ancora inconsci, in quel di Ithilien. Quando Sam si sveglia e avverte la fragranza nell'aria, si domanda dove sia finito-e la prima persona che vede è Gandalf il Grigio, "vestito di bianco": il quale sa essere morto( Sd A. RK. VI.4). Non deve sorprenderci che Sam pensi veramente per un 'attimo di essere morto anche lui. Crede allora di essere finito in Paradiso? Come dovrebbe esprimersi a tal proposito un vero cristiano?


Ci troviamo sicuramente di fronte ad un momento di "eucatastrofe' vero e proprio," mutuando da Tolkien la parola stessa. Ma tutto ciò riecheggia anche un'accenno ad una ben più grande "Eucatastrofe", l'evangelium, come suggerisce Tolkien che avvenimenti del genere possano farci pensare(TOFS, 66)?Le medesime parole di Sam ci suggeriscono ciò che segue: "E' tutto ciò che appare triste destinato a rivelarsi irreale? Che cosa è successo al Mondo?"


Ancora più precisa mi pare appaia la data subito dopo indicata da Gadalf con gran circospezione, "l'anno Nuovo da oggi, avrà sempre inizio il 25 di marzo, momento della definitiva caduta di Sauron". E' questa la data della Crocefissione, secondo la tradizione antica, inclusa quella Anglo-Sassone, giorno in cui viene aperta nuovamente la porta del Paradiso all'uomo. (Nota 1) ovviamente ciò non fa di Frodo o Sam due nuove figure messianiche (Cristo) e comunque il paragone appare molto indiretto: solo pochi ai giorni d'oggi conoscono la tradizione antica. Nonostante questo possiamo parlare solo di "mera coincidenza"?


Non credo, ma il punto che voglio esaminare in questa mia "Postfazione" è che, pur essendo relativamente dimostrabile la coesistenza di elementi pagani e cristiani ne 'Il Signore degli Anelli', tale coincidenza, in un opera e in un corpo di lavoro così evidentemente "polifonico" (vedi 47 sopra) non si concretizza armonicamente. E armonia è l'elemento che questo libro indica come sua struttura portante.


E' una dimostrazione importante da fare, per ragioni sia storiche che contemporanee. Esaminando per prima la storica, l'elemento "virtuosità pagana" si è dimostrato, per i pensatori cristiani, un' esercizio intellettuale molte volte fondamentale (come sopra sottolineato a pg 130) vedi San Tommaso D'Aquino a proposito di Traiano, Dante e Rifeo, lo stesso si dica del poeta scrittore di Beawulf riguardo a l'intero cast dei suoi eroi (sopra, 88-89). Guadagna immediatezza, nei vari momenti di crisi- attraverso la determinatezza dei missionari, le sfide che provengano dall'esterno. Pare inoltre ne siano stati particolarmente influenzati proprio gli scrittori inglesi forse a causa del forte senso di tradizione culturale e lealtà verso i propri avi. Claudio Testi (vedi sopra pg 131) ha sottolineato la ricorrenza di questa tematica nel poema 'St Erkenwald' ,spesso paragonato al poeta Gawain; esiste inoltre una storia simile a quella di Traiano , nell'opera 'The Earliest Life of Gregory the Great ' scritta da un monaco inglese di Withby circa nell'anno 710, quasi certamente in contemporanea all'autore del 'Beawulf'. Non esistendo alcun riferimento storico sicuro alle suddette date, la ragione più plausibile è che il monaco Withby se la sia inventata di sana pianta, in risposta ( come in effetti era Beawulf) all'insistente richiesta documentale da parte di un ambiente costituito da missionari.


Ma qui non si esaurisce la lista delle speculazioni tra le quali possiamo rintracciarne un'altra più vicina a noi in ordine temporale, nelle storie di 'Narnia', 'L'ultima battaglia (1956) ad opera di C.S.Lewis. Questa storia ci offre una chiara spiegazione al riguardo della redenzione di un pagano, o per meglio dire, un adoratore di demoni (anche bbligato a farlo). La soluzione offertaci da Lewis è ripresa da un Inglese, Uthred di Boldon, nato molti anni prima e che per primo elaborò la tesi della 'clara visio' al momento della morte, che determina il destino di tutti gli uomini, credenti o menoche siano. (nota 3)


Certamente Tolkien, nonostante la sua grande ammirazione per gli autori appena citati, non avrebbe potuto condividere le speculazioni lewisiane: bisogna però considerare che appaiono spesso indipendentemente e in maniera spontanea in molte occasioni, e per delle ragioni avvalorabili e chiare. Tolkien sosteneva che lo 'Specchio del disprezzo e della pietà" era ciò che le favole rivelavano dell'umanità (TOFS, 44) e che questa frase si possa giustamente applicare anche al riguardo delle numerose reazioni che sollecitavano nei pensatori cristiani gli scritti pagani e i loro autori.


Possiamo trovare tal 'disprezzo' ad esempio nell'opera di derisione scritta da Acuino 'Quid Hinieldus cum Chisto?' (citato a pg 86). Di contrasto la reazione di Tolkien era di aver 'pietà', come certifica la sua poesia“King Sheave” (LR, 87-91). L'origine di tutto questo stà nei versi iniziali di 'Beawulf' quando viene descritto l'arrivo in Danimarca del bambino Scyld figlio di Sceaf, "mandato dal Signore per il conforto delle proprie genti" n.4.Nei suoi versi Tolkien fa riferimento ad un conforto che non èesclusivamente politico (come pare dire Beawulf). Piuttosto appare un riscatto dall' "ombra oscura", il "terrore" in cui la gente vive. La mancanza di speranza propria del mondo pagano, è quello su cui Tolkien pone molto l'accento. Nonostante sia una poesia che aspetta ancora di essere esaminata adeguatamente, non può risultare una 'coincidenza' che sia lunga 153 versi: 153 sia nella tradizione popolare che colta è "il numero della salvezza"(n.5). Re Sheave non può portare salvezza più di quanto possano farlo Frodo e Sam. Solo una speranza forse o un'accenno. Riassumendo, il mondo pagano e' sempre stato in armonia con l'universo Cristiano, e sempre in odore di Provvidenza. E Tolkien di sicuro vorrebbe che continuassimo su questa strada sottoscrivendo che lo è ancora. E questo è un punto che va oltre l'interesse letterario o accademico.


Tornando alla contemporaneità, la questione dei pagani, e dei pagani virtuosi, ancora una volta svolge un importante ruolo. L'Inghilterra del ventunesimo secolo è senza ombra di dubbio un paese pagano, che potremmo descrivere come "post-Cristiano". Tale tendenza era visibile anche ai tempi in cui Tolkien era ancora vivo, due generazioni fa. Le chiese vengono sì usate per matrimoni e funerali, ma molto più raramente per i battesimi le celebrazioni di culto quantomai insolite.


Tuttavia, nonostante le numerose sfide, la morale che la cristianità ha fondato in origine e ereditata per generazioni rimane potente. Ma è possibile avere moralità senza il definitivo avallo teologico? Gli Hobbit sembrano capaci di riuscire in tale prodezza. Ma seppur possa apparire esagerato affermare che il mondo moderno, come quello dei Numeroniani, sia stato lasciato in "uno stato di schiacciante ansietà e incertezza" (vedi sopra pg 112), è forse la parola schiacciante a dover essere rimossa dal contesto.


Quello che Tolkien ci ha lasciato-come questo libro dimostra chiaramente- attraverso il metodo della narrazione è un'immagine di "armonia tra natura e grazia" (vedi sopra, 127), tra Provvidenza e libero arbitrio, tra paganesimo e cristianesimo. Infine mi sentirei di dire, che tali difficili meditazioni, possano davvero venir espresse al meglio (per le umane menti) attraverso la narrativa, piuttosto che l'astratto ragionamento.


E così, la relazione tra Provvidenza e il libero arbitrio, ha senza dubbio sconfitto questo autore in tempi passati (vedi nota 122 qui sopra), lasciandolo nelle stesse condizioni degli angeli ribelli di Milton i quali "ragionavano di alti concetti ...Di Provvidenza, precognizione, arbitrio e destino ...E non trovarono fine, persi nei labirinti dell'elucubrazione.(Nota 6) . Appare illuminante, tuttavia, un'altro momento stranamente filologico o addirittura tolkeniano che troviamo in un'opera di Lewis, "Perelandra (1943). Qui l'eroe Ransom, su Venere, cercando di evitare una seconda Caduta e un secondo Avvento(EVE? Mah fai te np), causato ancora una volta da Satana Tentatore, capisce quale sia il suo dovere e che consiste nell'attaccare l'anti -uomo posseduto dal diavolo, ma ha timore di farlo.


Al che ode una voce che dice, "Non per niente vieni chiamato Ransom"(ch. 11). Ora Ransom- un filologo che viene generalmente riconosciuto come modellato sulla figura dello stesso Tolkien-sa bene che il suo nome deriva da "figlio di Ranolf": che non ha niente a che fare con l'idea di riscatto per un prigioniero, e mai ne ha avuto. Al che la Voce replica, "Anche io mi chiamo Ransom". Mi astengo da qualsiasi commento teologico su ciò (Lewis stesso scrive numerose pagine al fin di spiegarlo), ma in breve,non penso che il nome Ransom sia solo una coincidenza (come del resto non lo è 25 Marzo o il numero 153). Tutti e tre erano intesi operare-per usare le parole di Gandalf (nota 7)-su tre livelli differentissimi.


Come tutto ciò venga realizzato dall'autore -uomo appare chiaro.Come invece operi in tal senso la Provvidenza è al di fuori della nostra comprensione.Non per questo ne risente il nostro apprezzamento. Molti lettori de "Il Signore degli Anelli" scritto da Tolkien, devono avere avvertito quell'armonia che stà al centro dell'opera, pur non essendo capaci di darne spiegazione: è questa una ragione, forse la più importante di tutte, che stà alla base del suo fascino quasi universale. L'incapacita' di spiegare quella armonia, base della sua polifonia può essere forse stata causa parziale delle molteplici reazioni ostili nei riguardi di Tolkien, originate dal beffeggiamento e dalla frustrazione.


Ma sia gli ammiratori che i critici, hanno potuto godere di una comprensione migliore e più reale dell'opera tolkeniana grazie a questa ammirabile esposizione, che risulta essere il più profondo apprezzamento a tutt'oggi realizzato nei confronti della cattolicità (Nota8) in Tolkien, e che egli stesso avrebbe certamente apprezzato e approvato.






Nota 1 vedi Manuale di Byrhtferth, ed. S.J. Crawford (Early English Text Society Original Series 177).Londra: Oxford University Press, 1929, 82-5.Appare di un certo interesse che Gandalf converta immediatamente la data del risveglio di Sam del conteggio dei giorni della Contea, l'8 di aprile. Il 25 aprile 'vecchio stile' avrebbe dovuto essere il 6 o il 7 aprile 1955,quando fu pubblicato Il ritorno del Re. In tal caso (dando per scontato che Sam sia rimasto inconsio per un giorno intero) l'intenzione di Tolkien appare quella di voler indicare entrambe le date come rilevanti, sia nei termini tradizionali che in quelli contemporanei.


Nota 2 Per quel che riguarda il monaco Whitby, vedi Bertram Colgrave, ed., The Earliest Life of Gregory the Great. Repr. Cambridge: Cambridge University Press, 1985, 48, 52. Per una conferma sulla visione di Tolkien a proposito della data di stesura del Beawulf vedere Leonard Neidorf, ed., The Dating of Beowulf: A Re-assessment. Cambridge: D.S. Brewer, 2014.


Nota 3 un'ipotesi che appare piuttosto improbabile se non altro poichè le elucubrazione di Uthred sono state dimenticate per secoli, fatto sta che n 1951, i.e., poco prima della pubblicazione de 'L'ultima battaglia' venne organizzata una conferenza su di lui alla British Academy da parte di Dom David Knowles, "The censured opinions of Uthred of Boldon”, Proceedings of the British Academy 37 (1951): 306-42, ed è propabile che la cosa abbia colpito l'attenzione di Lewis.


Nota 4 Beowulf, versi 13-14, traduzione di Tolkien dal suo Beawulf: traduzione con commento London: HarperCollins, 2014,13. On p. 138 Tolkien ci dice che Sceafing sul testo fosse un termine inteso come un patronimico, figlio di Sceaf, e propone invece una spiegazione alternativa, "provvisto di fascio"(qui vedi un pò tu non mi torna np). La ragione per cui Tolkien trasponga il miracoloso arrivo dal figlio al padre ed abbia usato quel significato che credeva meno probabibile, meriterebbe un'analisi più dettagliata.Altra questione da considerare il fatto che al verso 44 del Beawulf Scyld venga descritto non come un emissario di Dio ma piuttosto da certi 'coloro', una forma plurale quindi. Questa evidente contraddizione deve sicuramente aver costituito un indizio a proposito dei Valar, agenti dell'Unico, coloro che vivono al di là del grande mare.


Nota 5 Secondo la tradizione accademica, vedere (tra gli altri) St.Agostino: trattato sul Vangelo di Giovanni11-27,tradotto da John W. Rettig. Washington: Catholic University of America Press,1988, trattato 27: 10, 284-6. Non posso offrire alcuna autorità per ciò che riguarda la tradizione popolare, al di fuori di quello che mi è stato detto nella infanzia, forse da mia nonna: ma come sottolinea Celeborn, "può spesso capitare che vecchie mogli tengano a memoria parole e ricordi che un tempo era necessario ai saggi conoscere" (S.degli A FR. II. 8).


Nota 6 John Milton, Paradise Lost II: 558-61


Nota 7 SdA FR I.2," Non trovo parole più semplici per spiegare come Bilbo fosse destinato a trovare l'Anello e non il suo creatore. In tal senso anche tu eri destinato a riceverlo."Per quanto Gandalf sia esauriente, Frodo replica-e osservare il mio commento sulla seconda parte della frase che segue-"Non sono certo di capirti".


Nota 8 Nonostante il pari livello qualitativo della collezione di saggi pubblicata daRoberto Arduini and Claudio A. Testi, The Broken Scythe: Death and Immortality in the Works of J.R.R. Tolkien. Zurich-Jena: Walking Tree Publishers, 2012.(English translation of La Falce Spezzata. Milano: Marietti 1820, 2009).





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(traduzione di Alberto Quagliaroli)2



Non sorprende che, nelle opere di Tolkien, le relazioni tra paganesimo e Cristianesimo siano un problema di lunga data per i critici. Infatti, in Tolkien, paganesimo e cristianesimo, in modi diversi, e in momenti diversi, assumono inaspettata rilevanza in una narrazione generalmente neutrale in termini religiosi.

Così, Tolkien ha dichiarato che, per lui, il momento più emozionante de Il Signore degli Anelli è stato quando i corni dei Rohirrim che arrivavano in soccorso di Gondor furono uditi al canto del gallo (Lettere, n. 165). Si tratta di un momento che coglie l’essenza della “ferma fiducia di una volontà inflessibile” che Tolkien mise in relazione esplicitamente con la “tradizione dell’immaginazione del mondo pagano” (BMC, 262). La miglior parola che esprime questo, forse è “audacia”. Théoden in quel momento ha tutte le ragioni di essere scoraggiato, e appena prima di strappare il suo corno da Guthláf c’è una serie di parole che suggerisce decisamente la possibilità dello scoramento totale: “terrore… rimpicciolirsi… accasciato… dubbio… cedere… sgusciare via… “ (ISdA, RR. V.5). Ma con il suo soffio possente nel corno e con la carica, Théoden appare ‘fey’ (una parola della tradizione pagana) (n.d.t. oggi in disuso, si potrebbe tradurre con: soprannaturale), e persino “come un antico dio” (ISdA,RR. V.5) . “Gli Dei del Nord”, scrisse W.P. Ker, citato da Tolkien (BMC, 263), “hanno una stravagante esultanza nelle loro guerre”, e Tolkien colse perfettamente questa qualità.

Per contrasto, il più commovente momento ne Il Signore degli Anelli, per molti, potrebbe essere quello in cui Sam Gamgee si risveglia dall’incoscienza, dopo la distruzione dell’Anello. Sam e Frodo sono caduti tra i fumi della distruzione, salvati dalle aquile e trasportati, ancora incoscienti, in Ithilien. Quando Sam si sveglia nella luce del sole, sente un fragrante profumo, si domanda dove si trova – e la prima persona che vede è Gandalf il Grigio, “vestito di bianco”: che sa essere morto (LotR. RK. VI.4). Non sorprende che Sam pensi per un momento di essere anche lui morto. Crede di essere in Paradiso? Come potrebbe essere per un cristiano?

Certamente questo è proprio un momento di “eucatastrofe”, per usare il termine di Tolkien. Ma include anche un accenno o un eco della più grande “eucatastrofe”, l’evangelium, come Tolkien suggerì potesse essere (TOFS, 66 in Albero e Foglia, “Sulle Fiabe”, p. 91)? Come le parole di Sam nella scena appena citata suggeriscono: “Tutte le cose tristi erano dunque false? Che cos’è accaduto al mondo?”.

Ancora più evidente, direi, è la data indicata subito, e precisamente, da Gandalf. “il Nuovo Anno incomincerà ormai sempre il venticinque di marzo, giorno in cui cadde Sauron”. Questa è la data della Crocifissione, secondo in antiche tradizioni, inclusa quella Anglo-Sassone, come la Caduta dell’Uomo che annullò3. Ciò non trasforma, naturalmente, Sam, o persino Frodo, in una figura di Cristo, e l’accenno di somiglianza è molto indiretto: pochi ai nostri giorni hanno idea dell’antica tradizione. Ma possiamo chiamarla solo “una coincidenza”?

Non credo, ma il punto di questa mia “Postfazione”, è che mentre la coesistenza di elementi pagani e Cristiani ne Il Signore degli Anelli è relativamente dimostrabile, tale coesistenza, in un lavoro ed un corpus letterario così chiaramente “polifonico” (si veda 47, sopra), non è la stessa cosa di un’armonia. E l’armonia è ciò che questo libro ha dimostrato.

È una dimostrazione importante, per motivi storici e contemporanei. Partendo dai motivi storici, l'argomento dei “pagani virtuosi” fu spesso importante per i pensatori cristiani, impegnando (come puntualizzato sopra, 130) San Tommaso d’Aquino su Traiano e Dante su Rifeo, come pure il poeta di Beowulf a proposito dell’intero “cast” dei suoi eroi (vedasi, 88-89). Diventa attuale in certi tempi di crisi – impegno missionario, sfide esterne. Sembra aver attirato l’attenzione anche degli scrittori inglesi in particolare, forse per via del forte senso della tradizione nella cultura e della fedeltà agli antenati. Claudio Testi ha notato sopra (131) il ripetersi del tema nella poesia St Erkenwald, spesso collegato al poeta di Gawain, e c’è una storia simile a quella del Traiano in The Earliest Life of Gregory the Great, composto da un monaco inglese di Whitby attorno al 710, e quindi quasi certamente contemporaneo al poeta di Beowulf4. Non è stata mai trovata nessuna fonte conosciuta per la storia della Earliest Life, e la spiegazione più semplice è che se la inventò il monaco di Whitby, in risposta (come anche lo fu il Beowulf) ad un sentito bisogno in ambiente missionario.

Nemmeno questo esaurisce la lista delle congetture inglesi; ed una di esse, ben conosciuta e molto più vicina a noi, ci viene dall'ultimo dei racconti di “Narnia” di C. S. Lewis, L’ultima Battaglia (1956). Essa ci dà una immagine molto chiara della salvezza di un pagano, si potrebbe dire, un adoratore di demoni (non meglio conosciuto). Lewis tuttavia prese la soluzione da un Inglese molto più antico, Uthred di Boldon, che fu il primo a formulare l’ipotesi della clara visio al momento della morte che determina il destino di ciascuno nell’aldilà, credenti o non credenti5.

Possiamo star certi che Tolkien, per la sua ammirazione verso gli antichi autori citati, non avrebbe appoggiato questa speculazione di Lewis: ma essa sembra essere emersa spontaneamente e indipendentemente varie o molte volte, ed il motivo è certamente chiaro e credibile. Tolkien notò lo “Specchio dello scherno e della pietà” che le ‘fiabe’ (n.d.t. presente nel titolo tradotto in italiano di On Fairy-stories, ma traducibile forse meglio con “racconti fantastici”), che i racconti fantastici volgono verso l’umanità (TOFS, 44; in Albero e Foglia, “Sulle Fiabe”, p. 39) e si potrebbe applicare la frase alle svariate reazioni che i pensatori cristiani attribuirono ai pagani e ai loro racconti.

Il disprezzo c’è, per esempio, nel derisorio Quid Hinieldus cum Christo? di Alcuino (citato sopra, 86). La reazione di Tolkien, al contrario, è la pietà, come si può vedere dalla sua poesia su “King Sheave” (LR, 87-91). Essa prende origine dai versetti di apertura del Beowulf, che descrive l’arrivo in Danimarca del bambino Scyld figlio di Sceaf, “che Dio mandò per confortare il popolo”6. In questa poesia Tolkien indica che il conforto non era solo politico (come Beowulf sembra dire). Piuttosto, era il salvataggio dall’ “ombra nera”, il “terrore” in cui la gente viveva, la disperazione del mondo pagano, su cui la poesia di Tolkien pone grande enfasi. La poesia attende ancora un commento dettagliato, ma non è di certo una “coincidenza” che sia lunga 153 versetti, nella tradizione erudita e in quella popolare considerato “il numero della salvezza”7. Re Sheave non può portare la salvezza, più di quanto Sam e Frodo abbiano fatto; ma lui e gli hobbit portano uno spiraglio di salvezza. Una speranza, o forse, un accenno.

Il mondo pagano, fu, riassumendo, sempre in armonia con l’universo Cristiano, ed all’interno del campo di azione della Provvidenza. E Tolkien ci chiederebbe sicuramente di proseguire aggiungendo: e ancora lo è. Un punto di interesse più che solo letterario o accademico.

Passando al contemporaneo, il tema dei pagani, e dei pagani virtuosi, ha riguadagnato la sua attualità. L'Inghilterra nel XXI secolo non è affatto un paese pagano, ma sarebbe meglio descritto come “post-cristiano”. L’andamento era visibile anche durante la vita di Tolkien, due generazioni fa. Le chiese sono usate per matrimoni e funerali, più raramente per i battesimi, ed andare in chiesa per il culto è, nel migliore dei casi, ormai insolito.

Nonostante questo, la morale plasmata ed ereditata dalla Cristianità rimane potente, a dispetto di tante sfide. È possibile avere una moralità senza l’approvazione determinante della teologia? Gli hobbit sembrano essere in grado di gestire quest’impresa. Ma mentre sarebbe eccessivo dire che il mondo moderno, come i Numenoreani, è stato lasciato “in uno stato di ansia travolgente” (si veda 112), è forse solo la parola “travolgente” che va rimossa.

Ciò che ci ha dato Tolkien – come questo libro dimostra chiaramente – è un’immagine, per quanto narrativa, di “armonia tra natura e grazia” (si veda 127), tra Provvidenza e libero arbitrio, tra pagano e cristiano. Suggerirei, infine, che così difficili mediazioni possono essere ben espresse (per la mente umana) attraverso narrazioni, piuttosto che attraverso ragionamenti astratti.

Così, la relazione tra Provvidenza e libero arbitrio avrà certamente sconfitto quest’autore nel passato (si veda la nota a p. 122), e lo avrà lasciato nelle stesse condizioni degli angeli ribelli di Milton, che “disquisivano… di prescienza, provvidenza, volontà e destino… E non trovarono fine, in erranti labirinti persi”8. È illuminata, tuttavia, da uno strano filologico e persino tolkieniano momento in un altro dei lavori di Lewis, Perelandra (1943). Ove l’eroe Ransom, su Venere, tentando di evitare una seconda caduta di una seconda Eva, causata ancora una volta da Satana il Tentatore, comprende quale sia il suo dovere – attaccare l’Un-man posseduto dal diavolo – ma ha paura di farlo.

Quindi, ode una voce che dice: “non per niente sei chiamato Ransom” (ch. 11). Ma Ransom – un filologo, che viene considerato generalmente modellato su Tolkien stesso – sa piuttosto bene che il suo nome deriva da “Ranolf’s son”: e non ha nulla, e mai nulla ha avuto, a che vedere con l’idea di riscattare un prigioniero. Allora la Voce dice: “anche il mio nome è Ransom”. Mi trattengo dal fare un commento teologico su questo (sono necessarie diverse pagine di Lewis per trarne il significato), ma in breve, il nome Ramsom non è una coincidenza (più di quanto non lo siano il 25 Marzo, o il numero 153). Tutti e tre erano destinati – per usare le parole di Gandalf9 -, naturalmente a livelli immensamente diversi.

Come un autore umano fa questo è chiaro. Come la Provvidenza fa così, è oltre la nostra comprensione. Non, tuttavia, al di là del nostra capacità di apprezzarlo. Molti lettori del Signore degli Anelli di Tolkien devono aver colto l’armonia nel suo nucleo, senza riuscire a spiegarla; e questa è una delle ragioni, forse la più grande, del suo fascino quasi universale. L'incapacità di spiegare quell’armonia al di sotto della polifonia potrebbe render ragione in parte persino delle molte reazioni ostili a Tolkien, nate da sconcerto e frustrazione.

Sia gli ammiratori che i critici, tuttavia, sono stati ora aiutati a una migliore comprensione del lavoro di Tolkien grazie a questa pregevole esposizione, il più profondo apprezzamento finora scritto del cattolicesimo di Tolkien10, che egli stesso avrebbe ben accolta e approvata.


1 Traduzione autorizzata della postfazione di Shippey al libro di Testi.

2 Per colpa del direttore cioe’ io , troppo in ansia per i tempi, ci sono due traduzioni della stessa recensione di Shippey …. Grazie a tutti e due Paolo Palmieri e Alberto Quagliaroli… l’unica altra cosa che posso dire e’ che e’ la prima volt ache mi capita dal 1992 (31 numeri)… sooner or later ! [Franco Manni]

3Si veda Byrhtferth’s Manual, ed. S.J. Crawford (Early English Text Society Original Series 177). London: Oxford University Press, 1929, 82-5. È interessante come Gandalf subito converta la data del risveglio di Sam nel computo del tempo della Contea, l’otto Aprile. Il 25 Marzo secondo l’antico computo sarebbe stato il 6 o il 7 Aprile nel 1955, quando il Ritorno del Re fu pubblicato. Nel qual caso (dato che Sam poteva essere stato inconscio per un giorno), Tolkien stava indicando le date in entrambi i termini, tradizionale e contemporaneo, come contemporaneamente rilevanti.

4 Per il monaco di Whitby, si veda Bertram Colgrave ed., The Earliest Life of Gregory the Great. Repr. Cambridge: Cambridge University Press, 1985, 48, 52. Per una conferma del punti di vista della data del Beowulf, si veda Leonard Neidorf, ed., The Dating of Beowulf: A Re-assessment. Cambridge: D.S. Brewer, 2014.

5 Questa pretesa può essere dubbia, la suddetta speculazione di Uthred essendo stata effettivamente dimenticata per secoli; ma nel 1951, i.e. poco prima della pubblicazione de L’ultima battaglia, fu tenuta da Dom David Knowles una conferenza su di lui alla British Academy, “Le opinioni censurate, di Uthred di Boldon” Proceedings of the British Academy 37 (1951): 306-42, e sembra probabile che questo abbia attirato l’attenzione di Lewis.


6Beowulf, versetti 13-14, tradotto come sopra da Tolkien nel suo Beowulf: a translation and commentary. London: HarperCollins, 2014,13. A p. 138 Tolkien dichiara di pensare che Sceafing fosse inteso dal poeta come un patronimico, figlio di Sceaf, pur registrando la spiegazione alternativa ”munito di un mannello”. Il motivo per cui Tolkien spostò il miracoloso arrivo dal figlio al padre, e usò quello che considerava il significato meno probabile, richiederebbe un commento più dettagliato. Un ulteriore punto è che nel versetto 44 di Beowulf Scyld è descritto come inviato non da Dio, ma da “quelli”, una forma plurale. Questa apparente contraddizione deve sicuramente aver fornito un’ispirazione per i Valar, agenti del’Uno, al di la del Grande Mare.


7 Per la tradizione erudita, si veda (tra gli altri) St. Augustine: tractates on the Gospel of John 11-27, trans. John W. Rettig. Washington: Catholic University of America Press,1988, Tractate 27: 10, 284-6. Non posso offrire alcuna fonte autorevole per la tradizione popolare diversa da quanto mi fu raccontato da bambino, forse da mia nonna: ma come Celeborn sottolinea, “potrebbe darsi che le nonne rammentino alcune cose che in passato i saggi era bene conoscessero” (SdA, CA. II. 8).



8John Milton, Paradise Lost II: 558-61.

9SdA CA I.2, “Dietro a questo incidente vi era un’altra forza in gioco, che il creatore dell’Anello non avrebbe mai sospettata. È difficile da spiegarsi, e non saprei essere più chiaro ed esplicito: Bilbo era destinato a trovare l’Anello, e non il suo creatore. In questo caso, anche tu eri destinato ad averlo,” Per quanto chiaramente Gandalf possa dirlo, Frodo risponde: - e si faccia caso alla mia precisazione nella seconda frase che segue - “benché non sia certo di averti capito bene”.

10 Per quanto rivaleggi con la collezione edita da Roberto Arduini and Claudio A. Testi, The Broken Scythe: Death and Immortality in the Works of J.R.R. Tolkien. Zurich-Jena: Walking Tree Publishers, 2012.(English translation of La Falce Spezzata. Milano: Marietti 1820, 2009).