Un confronto tra le traduzioni italiane del Signore degli Anelli

di Adriano Bernasconi

S i dice che tradurre sia un po’ tradire e certo quello del traduttore è un lavoro arduo, che deve tenere assieme le molte variegate componenti di un testo in una lingua diversa dalla propria e riuscire nell’impresa di fornire ai fruitori della traduzione quante più sfumature di significato possibili dello scritto originale. In questo articolo non mi metterò ad elencare le problematiche in cui una traduzione può incappare: per quello vi rimando all’ottimo testo di Umberto Eco Dire quasi la stessa cosa – Esperienze di traduzione (Bompiani, 2003). Evidenzierò invece quelle che sono le mie riflessioni a seguito di un confronto a campionatura di due diverse traduzioni della Compagnia dell’Anello. La prima è quella di Vittoria Alliata di Villafranca, che tradusse il testo (a soli quindici anni!) per la casa editrice Astrolabio, la quale pubblicò unicamente questo primo volume nel 1967; io ho utilizzato l’edizione Bompiani del 2003, che è quella rimaneggiata nei decenni successivi da Quirino Principe, al quale si deve, soprattutto, la versione che conosciamo delle poesie (Principe è difatti musicologo), delle nomenclature e delle appendici. Mi riferirò a questa traduzione con il termine “Alliata”, da qui in poi, salvo nei paragrafi su nomi e poesie. La seconda traduzione presa in esame è quella recentissima di Ottavio Fatica, edita nel 2019 sempre da Bompiani.

Una premessa è però d’obbligo: riflettere su quali siano gli obiettivi che hanno portato a quella determinata traduzione. Perché, come già detto, è veramente una missione quasi impossibile tenere assieme tutto quanto: registri linguistici, lemmi comuni e ricercati, modi di dire, giochi di parole, neologismi, arcaismi, nomi d’invenzione, figure retoriche, struttura sintattica dei periodi e così via – e ancora di più questo capita nelle parti in poesia, con la loro musicalità, il loro ritmo, la loro metrica, le loro rime e le loro assonanze, le allitterazioni e la stratificazione dei significati. Dunque, qual è il fine ultimo della traduzione? Le risposte possono essere molteplici: la fruibilità da parte del pubblico, l’aderenza al testo originale, l’adeguamento della traduzione al linguaggio contemporaneo… ciascuna di queste risposte porta ad un diverso metodo di lavoro nella traduzione, ad una scelta di priorità laddove il testo renda letteralmente impossibile tenere assieme tutte le sfumature originali. Lo stesso dicasi riguardo al modo con cui si interpreta un testo come Il Signore degli Anelli: è un’opera epica che si riallaccia alla tradizione cavalleresca medievale? Oppure un romanzo contemporaneo? Anche questi punti di vista sono fondamentali mentre viene compiuta una traduzione e influiscono in modo decisivo sul risultato.

Prosa

Ho messo a confronto una considerevole parte del secondo capitolo del secondo libro, ossia Il consiglio di Elrond, nonché alcune parti del capitolo settimo del primo libro, Nella casa di Tom Bombadil. Entrambe le traduzioni mi sono parse molto buone e fedeli rispetto al testo originale di Tolkien; entrambe permettono la lettura del romanzo senza gravi confusioni o incomprensioni; entrambe consentono di seguire la narrazione in modo scorrevole. Questo in linea generale. Entrando più nello specifico, è possibile osservare diversi metodi di traduzione.

Endiadi

In Alliata sono presenti molte endiadi: ad un singolo aggettivo (o sostantivo o avverbio) del testo originale corrispondono due aggettivi (o sostantivi o avverbi) in italiano, l’uno che rafforza l’altro. Esempi: “troubled” diventa “inquieto e agitato”, “narrow” diviene “stretto e scomodo”, “mansions” è tradotto “palazzi e ville”, “deeds” si duplica in “crimini e gesta”, “briefly” è sdoppiato in “rapido e conciso”, “soft” muta in “dolce e fioca”, “shore” viene reso con “spiagge e lidi”, “fearless” con “innocua e senza paura”, persino un termine banale come “wind” diventa “aria e vento”. Una scelta che ha probabilmente l’obiettivo di rendere il testo più aulico ed epico, ma che non trova riscontro nella scrittura di Tolkien. Di tutto questo non c’è traccia in Fatica, che rimane così più aderente all’originale.

Terminologie comuni e ricercate

Ottavio Fatica sceglie talvolta di tradurre una parola inglese di uso comune con una parola che in italiano è usata assai più raramente. Faccio degli esempi: la frase “No stain yet on the Moon was seen” (“Nessuna macchia ancora sulla Luna era visibile”) viene tradotta da Fatica con “La Luna era da macchie monda”, ma “mondare” è un termine ben più aulico e ricercato dell’assai comune “be seen” (essere visti). Ancora: “the woven nets of gossamer” (“le intrecciate reti di fili di ragno”) viene reso con “le maglie ordite dalle ragnatele”; ma “woven”, participio passato di “weave” (intrecciare, tessere), è un termine molto più comune, in inglese, di quanto non lo sia “ordire” in italiano; inoltre “net” è proprio “rete” e non “maglia”. In un altro passaggio, poco prima, è scritto che “the dew upon the yellow leaves was glimmering” e Fatica traduce “baluginava sulle foglie gialle la rugiada”. “Glimmer” è una parola che significa “brillare debolmente con luce vacillante” ed è quindi diverso da “shine” (“emettere una luce brillante”). Fatica sceglie il termine “baluginare” (“apparire e sparire rapidamente alla vista”), che in effetti è quello, nella lingua italiana, che più si avvicina alla sfumatura di significato dell’originale “glimmer”, molto più di “balenare” (riferito invece ad un lampo intenso ma che sparisce subito), “brillare” (“emettere una luce vivida e cangiante”, ben lontano dalla debole e vaga luce di glimmer), “scintillare” (“risplendere di luce viva ma tremula e di breve durata”), “luccicare” (“riflettere la luce con brevi intensi lampi”), “splendere” (“emanare una luce viva e intensa”), “sfavillare” (sprigionare faville, cioè frammenti di fuoco). La scelta di Fatica privilegia quindi l’aderenza alla sfumatura di significato dell’originale, sacrificando però altre cose: “baluginare” è un termine aulico e desueto in italiano, molto meno comune di quanto non lo sia “glimmer” in inglese. Per capirci: “glimmer” dà su internet 37.300.000 risultati, rispetto a “shine” (772.000.000); al contrario “baluginare” dà solo 33.800 risultati contro i 300.000 di “scintillare” o i 3.810.000 di “brillare”. Altri esempi di traduzioni più auliche dell’originale: “dread” (“una grande paura”) è tradotto con “tema”; il comunissimo “light” (“luce”) con “favilla”; “thin” (“sottile”) diventa “rarefatta”.

Ma il meglio arriva quando traduce “the North-realm they made in Arnor” con “statuirono ad Arnor il Regno del Nord”; ora, “made” è un verbo comunissimo in inglese, usato per tantissimi significati (il primo è “fare”, termine ugualmente comune e di vario significato anche in italiano), ma Fatica anziché usare “fecero” (che sarebbe stato poco ricercato per un romanzo così importante) oppure optare per soluzioni intermedie come “costruirono”, “fondarono”, sceglie un termine estremamente più raro in italiano come “statuirono” (un arcaismo per “erigere”). Quest’ultima scelta di Fatica è ancor meno comprensibile se si vede come lo stesso traduttore rende lo stesso termine (“made”) poche righe più sotto con “fecero”: “they made the Last Alliance”, “fecero l’Ultima Alleanza”. Idem per il “meal at noon” degli hobbit, cioè il “pasto a mezzogiorno”. Gli hobbit fanno sette pasti al giorno e, all’interno del racconto, siamo a pochi minuti da mezzogiorno (infatti a breve suoneranno le campane). Alle 11 a.m. gli hobbit fanno il loro “elevenses”, cioè “una breve pausa per spuntini leggeri, di solito con tè o caffè, presa verso le undici del mattino” (potremmo dire “spuntino” o “merenda delle undici”). All’1 p.m. hanno invece il “luncheon”, il “pranzo”. Dato che siamo esattamente in mezzo tra questi due pasti, credo che Bilbo usi volutamente il termine generico “meal”, cioè “pasto”. “Noon” ha proprio il significato di “mezzogiorno”, “12 in punto”; il termine è Middle English e viene dall’Old English non, cioè la “nona ora dall’alba”, a sua volta derivato dal latino “nona”. È quindi impreciso tradurlo con “colazione di mezzogiorno” come ha fatto Alliata. Però è alquanto bizzarra anche la scelta di Fatica, che lo chiama “pasto meridiano”. La parola “meridiano”, che significa “relativo a mezzogiorno”, è una parola molto ricercata, ben più di “noon”. Se l’obiettivo di Fatica fosse stato il non usare “mezzogiorno” avrebbe potuto mettere “mezzodì”, che certo è un po’ meno utilizzato come termine, ma comunque più comprensibile al lettore medio rispetto a “meridiano”.

Un’altra traduzione di cui fatico a capire le motivazioni avviene nel Consiglio di Elrond quando Glóin racconta del messaggero inviato da Sauron alla Montagna Solitaria alla ricerca di informazioni su Bilbo. Nell’originale si sottolinea più volte la “fell voice” del messaggero. “Fell” è una parola che viene dal Middle English nella sua forma di aggettivo e significa “di terribile male o ferocia, mortale”. Alliata l’aveva tradotta con “crudele”, mentre Fatica la rende con “fera”. Il suo obiettivo mi pare chiaro: Fatica sceglie questo termine latino per ricalcare la soluzione di Tolkien dal Middle English; “fera” è difatti una versione antica e poetica di “fiera”, cioè “belva feroce” o (in modo figurato) “persona feroce e/o selvaggia”. Tuttavia non ho trovato alcun riferimento ad un suo utilizzo come aggettivo, ma solo come sostantivo: l’utilizzo qui come sinonimo di “feroce” mi pare un errore di Fatica (o al massimo un suo neologismo, che non trova corrispondenza nel testo di Tolkien).

Neppure la traduzione di Alliata è esente da termini comuni che vengono tradotti aulicamente: “the terraces above the loud-flowing Bruinen” (“le terrazze sopra il rumoroso corso del Bruinen”) viene reso con “[le] terrazze che dominavano il rumoroso corso del Bruinen”; ma “above” è semplicemente “sopra” e non un ricercato “dominare”. “The Men of Westernesse were diminished” è tradotto con “Gli Uomini dell’Ovesturia erano scemati”, ma “scemare” è un termine ben più ricercato di “diminished” (diminuiti, calati). “Full of deeds” diventa “irta di gesta”, ma “full” è un molto più comune “piena”. Sembra che sia Fatica che Alliata vogliano nobilitare il testo trasformando tutti i termini troppo comuni in loro sinonimi più ricercati ed aulici: ecco come il modo con cui viene “visto” un testo può influenzare la sua traduzione.

Un ottimo esempio invece di traduzione compiuta da Fatica è per il termine “weregild” contenuto nella frase "This I will have as weregild for my father, and my brother” che Isildur pronuncia dinanzi a Elrond quando decide di tenere per sé l’Anello. Alliata scrive “Terrò questo in memoria di mio padre e di mio fratello”, mentre Fatica, più correttamente, traduce con “Terrò questo come guidrigildo per mio padre, e mio fratello”. “Weregild” è infatti in italiano il guidrigildo, cioè una somma in denaro (o in oggetti di valore) che alcune popolazioni germaniche (ad esempio in Italia i Longobardi) stabilivano come indennità per risarcire una persona che era stata danneggiata in qualche modo; maggiore era il valore teorico dell’uomo o della donna danneggiati, maggiore avrebbe dovuto essere il valore del guidrigildo. Essendo stato Elendil il più valoroso e potente re degli Uomini, è logico che Isildur chieda l’Anello come “indennità” per la sua morte (nonché per quella del fratello). Va tuttavia detto che l’utilizzo di “guidrigildo” per rendere in italiano “weregild” è stata proposta per la prima volta da Francesco Saba Sardi nella sua traduzione del Silmarillion e che Fatica, a differenza di Alliata, poteva avere accesso a questo testo tradotto.

Struttura dei periodi

Nella traduzione di Alliata viene compiuta talvolta la scelta di fondere assieme due periodi in un’unica frase. Faccio due esempi. “The Lord Sauron the Great, so he said, wished for our friendship. Rings he would give for it, such as he gave of old” diventa così “Il Signore Sauron il Grande, egli disse, desiderava la nostra amicizia, in cambio di anelli uguali a quelli che soleva dare anticamente”. O ancora, “Fruitless did I call the victory of the Last Alliance? Not wholly so, yet it did not achieve its end” muta in “Ho chiamato inutile la vittoria dell’Ultima Alleanza, ma non lo fu del tutto, pur rimanendo senza conclusione”, perdendo pure il punto interrogativo e la sfumatura che ne conseguiva: Elrond è incerto sulle parole appena pronunciate, sta come pensando ad alta voce. Ottavio Fatica è, in questo, molto più fedele all’originale poiché i periodi rimangono gli stessi.

Per quanto riguarda la struttura sintattica dei periodi, sia nella traduzione di Alliata che in quella di Fatica vi sono molteplici situazioni in cui il periodo in italiano non ricalca la struttura di quello inglese (e, aggiungo io, correttamente, poiché altrimenti il suono delle frasi risulterebbe strano ad un orecchio italiano!). Ci sono però anche delle situazioni in cui ad una struttura sintattica lineare dell’originale corrisponde una struttura italiana in cui le parti del periodo sono montate in modo più ricercato e poetico. Faccio degli esempi. “Sam walked beside him, saying nothing” è tradotto da Alliata con “Sam camminava al suo fianco, silenzioso” e da Fatica con “Accanto a lui camminava Sam in silenzio”; nell’ultima frase il soggetto viene spostato in fondo al periodo. Oppure “birds were singing”, correttamente tradotto da Alliata con “gli uccelli cantavano”, in Fatica diventa “cantavano gli uccelli”.

In entrambe le traduzioni ci sono delle situazioni i cui viene cambiato il soggetto ad un periodo. Anche qui, faccio alcuni esempi esplicativi. “Only a small part is played in great deeds by any hero”; il soggetto della frase di Tolkien è “a small part” e la sintassi originale, tradotta, suonerebbe più o meno così: “solo una piccola parte è giocata nelle grandi imprese da qualunque eroe”. Nella traduzione di Alliata la frase diventa “la parte recitata nelle imprese memorabili dagli eroi non è che molto piccola”, mentre in Fatica si trasforma in “nelle grandi imprese un eroe svolge al più un piccolo ruolo”, ma così il soggetto diventa “un eroe” e “piccolo ruolo” muta in complemento oggetto del periodo. Secondo esempio: “It is plain enough what you are pointing at”, frase che Bilbo dice al termine del Consiglio di Elrond, quando crede di dover essere lui a compiere la missione dell’Anello. Nell’originale la frase è impersonale, e tale rimane in Fatica: “È abbastanza chiaro dove vuoi arrivare”. Alliata cambia invece il soggetto, che diventa Bilbo: “Vedo chiaramente a cosa vuoi arrivare”. Poche righe più sotto Alliata cambia di nuovo il soggetto di una frase: “I was very comfortable here, and getting on with my book” diventa “Mi sentivo molto a mio agio qui, ed il mio libro stava andando avanti”; così facendo il soggetto del secondo periodo passa da “io” (sottinteso) a “il mio libro”. Infine un esempio in cui sia Fatica che Alliata cambiano il soggetto di un periodo, cioè la frase “it does not look like coming true” che si potrebbe tradurre con “non sembra che [la cosa] diventerà realtà/ si avvererà”. Ancora una volta il verbo impersonale muta in un “io” sottinteso sia nella vecchia traduzione (“ho l’impressione che non potrà avverarsi”) che nella nuova (“ho come l’impressione che non si avvererà”).

Dialoghi e registri linguistici

A very nice well-spoken gentlehobbit is Mr. Bilbo, as I’ve always said. […] You’re right, Dad! […] Not that the Brandybucks of Buck-land live in the Old Forest; but they’re a queer breed, seemingly” . Questa frase è pronuncia da Hamfast Gamgee nel primo capitolo della Compagnia dell’Anello e, nell’originale, rende bene il registro linguistico basso e un po’ sgrammaticato del padre di Sam. Nella vecchia traduzione di Alliata questa parte era tradotta così: “Il signor Bilbo è un gentilhobbit, l’ho sempre detto, molto simpatico e perbene. […] Hai ragione, Nonno! […] I Brandibuck non vivono nella Vecchia Foresta, tuttavia sono proprio una strana razza”. Nella nuova traduzione di Fatica invece suona così: “Il signor Bilbo è un gentilhobbit ammodo, compitissimo, come ho sempre detto. […] Hai ragione, Nonno! […] Non che i Brandaino di Landaino vivano dentro la Vecchia Foresta; però per essere una strana genìa lo sono.” Ottavio Fatica cambia la struttura sintattica dei periodi per creare un modo di parlare diverso da quello degli altri personaggi e, così facendo, rende con maggiore efficacia lo stile linguistico usato da Tolkien per il personaggio di Gaffer; la vecchia traduzione, al contrario, non discostava troppo il suo registro da quello di altri personaggi, facendo perdere qualcosa del testo originale. Tuttavia anche Fatica compie, a mio avviso, degli errori: Hamfast usa tutti termini comuni e quotidiani (adatti al suo modo di pensare semplice e rustico), pertanto tradure “nice” (termine molto comune) con “ammodo” (termine meno comune in italiano, poco usato nella lingua parlata, se non in alcuni regionalismi) oppure “well-spoken” (letteralmente “ben-parlante”) con “compitissimo” (e di nuovo “compìto” è un termine ricercato e non certo di uso quotidiano) lo fanno sembrare bizzarro e non rustico.

Interpolazioni ed omissioni

In Alliata capita, sebbene raramente, che parti di una frase o interi periodi non vengano tradotti; la motivazione di queste scelte è ignota. “Sam walked beside him, saying nothing, but sniffing the air, and looking every now and again with wonder in his eyes at the great heights in the East”. Quel “but sniffing the air” (“ma annusando l’aria”) viene omesso nella traduzione di Alliata, nella quale la frase diventa: “Sam camminava al suo fianco, silenzioso, e guardava di tanto in tanto, con stupore negli occhi, le alte vette ad oriente”. Per dovere di cronaca, Fatica reintroduce la parte mancante ma traduce quel “sniffing the air” con “respirava a pieni polmoni”, una circonlocuzione che non si allinea perfettamente con l’originale. A volte le omissioni di Alliata riguardano parti minori del periodo. Ad esempio: “On a seat cut in the stone beside a turn in the path…” diventa “A una svolta incontrarono, seduti su un sedile intagliato nella pietra…” e viene tagliato “in the path” (“sul sentiero”). Anche Ottavio Fatica, tuttavia, non è immune dalle omissioni. Chiede Bilbo a Frodo: “Feel ready for the great council?” / risponde Frodo: “I feel ready for anything”. Mi pare chiaro che sia la domanda che la risposta siano incentrate su quel “feel”, cioè le emozioni di Frodo. Alliata infatti traduce con “Ti senti pronto?”/ “Mi sento pronto”, mentre Fatica sceglie un “Sei pronto?” / “Sono pronto” che ha un valore oggettivo e non soggettivo, che si discosta dal testo di Tolkien. Oppure, altrove, traduce “his son Gimli” con “il figlio Gimli” anziché con “suo figlio Gimli”. O ancora: “but Sauron himself was overthrown” viene tradotto da Fatica con “ma Sauron fu sconfitto”, mentre Alliata scrive “Sauron in persona fu tuttavia sconfitto”, mantenendo quel “himself” nella traduzione (entrambe le traduzioni sono comunque manchevoli della corretta traduzione di “overthrown”, cioè “rimosso con la forza dal potere”, che più che con “sconfitto” poteva essere reso con “rovesciato” o “abbattuto”).

Dice Gandalf a Frodo: “Both you and Bilbo are wanted”; questa frase diventa “Tu e Bilbo dovete prendervi parte” in Alliata e “Tu e Bilbo dovete partecipare” in Fatica. Entrambe le traduzioni, pur corrette, focalizzano l’attenzione sul “dovere”, non presente però nel testo di Tolkien, che invece dice “siete richiesti/ attesi”, che ha anche a che fare con l’onore di partecipare al Consiglio di Elrond. “[…] a wholesome peace lay on the land”; “wholesome” significa “ristoratrice, che causa benessere psicofisico”. Fatica traduce con “una pace balsamica si stendeva sulla terra”, mentre Alliata con “tutto era immerso nella calma e nella pace”. A parte l’ennesima endiade (“calma e pace”), viene omessa la traduzione di “wholesome” e si traduce “on the land” con “tutto”. La frase “That is the warning bell for the Council of Elrond” viene tradotta da Fatica con “Ci avverte che ha inizio il Consiglio di Elrond”, omettendo completamente “warning bell”; invece Alliata la rende con “Questo è il segnale per il Concilio di Elrond”, ma anche in questo caso “segnale” non è una traduzione fedele di “warning bell”, poiché segnale può essere qualunque cosa, non per forza una campana d’avvertimento. Un altro esempio ancora: “Elrond was there, and several others were seated in silence about him”; Alliata traduce con “Elrond era già seduto, circondato da molte altre persone silenziose”, ma il senso della frase non era necessariamente questo, poiché non è detto che Elrond fosse seduto, mentre lo erano certamente le persone in silenzio attorno a lui. Fa meglio Fatica in questo caso, traducendo “Elrond era presente, circondato da varie altre persone sedute in silenzio”.

In alcuni casi Alliata cambia dei termini per evitare delle ripetizioni cheperò sono presenti nell’originale di Tolkien. La frase “He was cloaked and booted as if for a journey on horseback; and indeed though his garments were rich, and his cloak was lined with fur, they were stained with long travel” presenta la ripetizione di “cloak” (mantello) e “cloaked” (portatore di mantello, avvolto nel mantello). Alliata traduce “cloaked” con “portava mantello” e “cloak” con “cappa”. Sempre lei, inoltre, aggiunge “lungo” al viaggio compiuto a dorso di cavallo, informazione che non c’era nel testo originale. In un altro punto del testo preso in esame c’è la ripetizione della parola “tale” (racconto): “A part of his tale was known to some there, but the full tale to none […]”. Nella traduzione di Alliata si legge così: “Parte della storia alcuni già la conoscevano, ma l’intera vicenda era ignota a tutti”. In entrambi i casi Fatica mantiene la ripetizione come nell’originale. Accade però, altrove, che sia proprio Fatica a compiere un errore di ripetizione che invece non era presente nell’originale, cioè quando traduce le frasi “Sauron was diminished, but not destroyed. His Ring was lost but not unmade” con “Sauron era indebolito, ma non distrutto. Il suo Anello era perduto ma non distrutto”. Alliata aveva tradotto “destroyed” con “distrutto” e “unmade” con “annientato”. Una traduzione ancor più fedele poteva essere “disfatto” nel suo significato originale “dis-fatto” che ricalca quello di “un-made”. Inoltre in altri casi Fatica elimina una ripetizione che è presente nell’originale, come nella frase “That seems to me what this Council has to decide, and all that it has to decide” con “Mi sembra che sia questo che il Consiglio deve stabilire, questo e non altro”.

Errori

Vi sono anche alcuni casi in cui i traduttori hanno compiuto un errore che rende meno comprensibile il testo stesso. Vediamone alcuni. “…and that greater wealth and splendour would be found in a wider world” viene reso da Alliata con “…e che nel resto del mondo avremmo trovato maggiore splendore e ricchezza in quantità”. Ma “in a wider world” significa “in un mondo più ampio” e non “nel resto del mondo”, pertanto anche la sfumatura di significato che acquista tutto il discorso cambia (sebbene non renda incomprensibile il testo, ovviamente). Ben più grave è l’errore, sempre nella versione di Alliata, quando traduce la frase “Find it, and three rings that the Dwarf sires possessed of old shall be returned to you, and the realm of Moria shall be yours for ever” con “Trovatelo, e i tre anelli che i Signori dei Nani possedevano anticamente saranno nuovamente vostri, ed il Reame di Moria tornerà a voi per sempre”. L’errore sta tutto nell’articolo davanti a “tre anelli”, perché suggerisce che gli anelli dei Nani fossero anticamente solo tre, quando invece non è così (erano sette, infatti). Ottavio Fatica corregge ambedue questi errori nella sua traduzione. Un terzo esempio: “Rings he would give for it, such as he gave of old” diventa, nella traduzione di Alliata, “…in cambio di anelli uguali a quelli che soleva dare anticamente” ma non è questo il senso della frase originale. Sauron invia alla Montagna Solitaria un suo messaggero e promette ai Nani degli anelli in cambio del loro aiuto, come ha fatto in passato. Non si sta parlando del fatto che gli anelli che donerà saranno uguali a quelli donati in passato. Fatica traduce correttamente: “In cambio avrebbe dato anelli, come faceva un tempo”.

Altrettanto errata è la traduzione della frase “I have heard of the Great Ring of him that we do not name; but we believed that it perished from the world in the ruin of his first realm” resa da Alliata con “Avevo sentito parlare del Grande Anello di colui che noi non nominiamo; ma abbiamo sempre creduto che fosse scomparso dal mondo durante la rovina del nostro primo reame”. Qui è Boromir che parla al Consiglio di Elrond e il “primo reame” di cui parla non è il loro (cioè quello di Gondor) bensì il primo reame di “lui”, cioè Sauron, reame nella cui rovina è andato perduto l’Anello. Neppure la nuova traduzione di Fatica è corretta, qui: “…ma credevamo che fosse scomparso dal mondo con la distruzione del primo regno”; viene omesso l’aggettivo possessivo e quindi non è chiaro, nel testo, di chi sia questo “primo regno”.

Anche la nuova traduzione di Fatica non è però esente da errori. La frase “Of Númenor he spoke, its glory and its the return of the Kings of Men to Middle-earth…” è stata difatti tradotta con “Di Númenor parlò, della sua gloria e della sua caduta, e del ritorno del Re degli Uomini nella Terra di Mezzo…” ma “kings” è plurale! Correttamente nella precedente traduzione il passo era reso con “…del ritorno dei Re degli Uomini…”. Ben più grave è l’errore contenuto nella traduzione di “There in the courts of the King grew a white tree, from the seed of that tree which Isildur brought over the deep waters, and the seed of that tree before came from Eressëa, and before that out of the Uttermost West in the Day before days when the world was young”. Si sta parlando del seme dell’albero bianco che Isildur portò in salvo da Númenor fino alla Terra di Mezzo. Fatica traduce con: “Lì nelle corti del Re cresceva un albero bianco, nato dal seme della pianta riportata da Isildur attraverso le acque profonde, e il seme della pianta proveniva a sua volta da Eressëa e prima ancora dall’Estremo Occidente, nel Giorno prima dei giorni quando il mondo era giovane”. L’errore sta nel fatto che Isildur non portò la pianta, bensì solo il seme. Ma così come viene tradotta da Fatica sembra il contrario. La corretta traduzione sarebbe stata “…dal seme della pianta riportato da Isildur”, il maschile bastava a rendere più chiaro il senso della frase.

Poesia

Ho messo a confronto alcuni brani poetici presenti nell’opera: il cosiddetto “enigma di Boromir” e la poesia di Bilbo su Aragorn nel Consiglio di Elrond (libro II, capitolo 2); la Canzone di Nimrodel cantata da Legolas a Lothlórien (libro II, capitolo 6); il Canto di Durin nelle miniere di Moria cantato in Un viaggio nelle tenebre (libro II, capitolo 8); e alcune canzoni su Tom Bombadil e Baccador nei capitoli La vecchia foresta (libro I, capitolo 6) e Nella casa di Tom Bombadil (libro I, capitolo 7).

Nelle parti in poesia saltano all’occhio molte più differenze, rispetto a quelle in prosa, tra la vecchia traduzione di Alliata (integrata notevolmente in queste parti da Quirino Principe) e quella nuova di Fatica. Come già detto nel cappello introduttivo, tradurre un testo poetico è una delle cose più difficili in assoluto, poiché è proprio impossibile salvare tutte le sfumature dell’originale: metrica, rime, figure retoriche, stratificazioni di significati, ecc. Entrambe le soluzioni, pertanto, scelgono consapevolmente di perdere qualcosa rispetto all’originale; se devo però compiere una scelta, preferisco in generale la vecchia traduzione a quella nuova per le parti poetiche e le ragioni le indicherò qui sotto.

Rime

La traduzione di Alliata e Principe sceglieva di privilegiare la sonorità del testo e pertanto manteneva lo stessa schema delle rime originali. Il Canto di Durin e le canzoni di Tom Bombadil e Baccador ad esempio sono in rima baciata (A-A-B-B), mentre la Canzone di Nimrodel, l’enigma di Boromir e la poesia su Aragorn sono in rima alternata (A-B-A-B); lo stesso vale nella vecchia traduzione. Ovviamente, per far sì che certe rime tornassero anche in italiano, Alliata e Principe sono costretti a compiere molte modifiche al testo originale, soprattutto l’inversione nell’ordine delle parole (che talvolta vengono spostate anche in un altro verso) e l’aggiunta di parole al solo scopo di creare assonanze o rime. Faccio degli esempi. Nella Canzone di Nimrodel:

Where now she wanders none can tell,
In sunlight or in shade;
For lost of yore was Nimrodel
And in the mountains strayed.

Nessuno sa per quali alti valichi

Se all’ombra o al sole ella errando vada,

Perché Nimrodel smarrita in tempi antichi

E persa fu nei monti e nella rugiada.

Nell’originale la rima alternata è tell-shade-Nimrodel-strayed (A-B-A-B), in Alliata-Principe è, similarmente, data da valichi-vada-antichi-rugiada (A-B-A-B), sebbene “valichi” sia una parola sdrucciola e “antichi”, invece, piana. Nel testo di Tolkien non vi sono però riferimenti ad “alti valichi” (il primo verso si potrebbe tradurre con “Dove ora lei vaghi nessuno può dirlo”) e anche “errando vada” viene spostato dal primo al secondo verso: tutte queste modifiche permettono l’esistenza delle rime in italiano. Ugualmente accade con “in tempi antichi” (terzo verso) o con “nella rugiada” (quarto verso). Tantissime sono dunque le modifiche rispetto al testo originale, allo scopo di mantenere musicalità e ritmo al testo.

Un secondo esempio ce lo fornisce un passo della Canzone di Baccador:

There my pretty lady is, River-woman’s daughter,
Slender as the willow-wand, clearer than the water.


Old Tom Bombadil water-lilies bringing
Comes hopping home again. Can you hear him singing?

La mia graziosa dama, figlia della Regina del Fiume,

Esile più di un salice, più limpida dell’acqua, più brillante di un lume.

Il vecchio Tom Bombadil ha colto dei gigli d’acqua,

E saltellando torna, e mai nel giorno tacque.

Qui lo schema rimico è la rima baciata (A-A-B-B):daughter-water-bringing-singing per Tolkien, Fiume-lume-acqua-tacque per Alliata-Principe (l’ultima inoltre non è una rima perfetta, ma una consonanza). Al secondo verso italiano viene aggiunto “più brillante di un lume”, che permette di far rima con “fiume”, rendendo il verso assai più lungo dell’originale. Anche la domanda finale (“Puoi sentirlo cantare?”) viene cambiata in “mai nel giorno tacque”, un’affermazione che invece esprime certezza.

Tuttavia non sempre Alliata e Principe scelgono di usare il criterio dello schema ritmico come linea-guida della loro traduzione. Ad esempio nella canzone che Bilbo dedica ad Aragorn durante il Consiglio di Elrond:

From the ashes a fire shall be woken,
A light from the shadows shall spring;
Renewed shall be blade that was broken:
The crownless again shall be king.

Dalle ceneri rinascerà un fuoco,
L’ombra sprigionerà una scintilla,
Nuova la lama ora rotta,
E re quei ch’è senza corona.

Anche qui abbiamo una rima alternata: nell’originale woken-spring-broken-king, ma nella traduzione di Alliata-Principe non vi sono rime e preferiscono mantenere il senso originale delle parole, probabilmente poiché si tratta di un testo “profetico” e qualunque aggiunta lo avrebbe snaturato. Ci sono comunque delle variazioni tra l’originale e la traduzione: “shall be woken” (“sarà risvegliato”) diventa “rinascerà” e “renewed” (“rinnovata”) diventa “nuova” e perde il suo status di predicato. Il vero errore di Alliata-Principe è nell’ultimo verso: il “crownless” è solo uno, cioè Aragorn, mutarlo al plurale offusca la correttezza della profezia.

Ottavio Fatica sceglie invece di non usare le rime, pertanto le sue poesie perdono tutta la struttura rimica dell’originale tolkieniano. Una scelta drastica, presumibilmente per mantenere la fedeltà del significato dei versi col testo originale e perché (come spiegherò più sotto) Fatica sceglie di privilegiare la metrica alla rimica. Tuttavia il risultato mi pare che tolga molto della “sonorità” del testo originale, un po’ come quando leggiamo un testo epico in prosa e non in poesia. Scelgo di riportare qui, come esempio, la traduzione di Fatica degli stessi versi della Canzone di Nimrodel precedentemente analizzati, per poter meglio evidenziare il confronto con la vecchia traduzione:

Where now she wanders none can tell,
In sunlight or in shade;
For lost of yore was Nimrodel
And in the mountains strayed.

Ov’ella vaghi non si sa,
Sotto il sole o all’ombra;
Nimrodel tanti anni fa
Andò persa fra i monti.

Laddove anche nel testo di Tolkien la poesia era priva di una metrica precisa, come nella Canzone di Tom Bombadil, Ottavio Fatica sceglie di ricalcare lo schema rimico dell’originale.

Ho! Tom Bombadil, Tom Bombadillo!
By water, wood and hill, by the reed and willow,
By fire, sun and moon, harken now and hear us!
Come, Tom Bombadil, for our need is near us

Oh! Tom Bombadil, Tom Bombadillo!
In acqua, bosco e colle, tra il salice e il giunchillo,
Con fuoco, sole e luna, tu punta l’orecchio acuto!
Vieni, Tom Bombadil, serve il tuo aiuto!

Per rendere efficaci le rime, anche Fatica compie delle piccole modifiche: “harken now and hear us!” (“ascolta attentamente ora e odici!”) diventa “tu punta l’orecchio acuto!”.

Metrica

Se la traduzione di Alliata e Principe privilegiava lo schema rimico su quello metrico, per Fatica avviene esattamente il contrario. Nella nuova traduzione è la metrica a farla da padrona nei testi poetici, laddove è possibile. Prendiamo quattro versi della Canzone di Durin come esempio della nostra analisi:

There hammer on the anvil smote,
There chisel clove, and graver wrote;
There forged was blade, and bound was hilt;
The delver mined, the mason built.

Lì l’incudine e il martello,
L’incisore, lo scalpello;
Forgian lama, giunta all’elsa;
C’è chi scava, c’è ch’innalza.

Nell’originale tutti i versi della canzone sono ottonari. Ottavio Fatica replica lo stesso schema: lì_l’in_cu_di_ne-e-il_mar_tel_lo (8), l’in_ci_so_re_lo_scal_pel_lo (8), for_gian_la_ma_giun_ta-al_l’el_sa (8), c’è_chi_sca_va_c’è_ch’in_nal_za (8). Gli accenti cadono sempre sulla terza e sulla settima sillaba. Il ritmo della poesia originale viene quindi mantenuto. Anche questa scelta, però, come quella di mantenere le rime, ha un prezzo: l’inglese ha parole molto più corte e con meno sillabe dell’italiano e quindi riesce a dire, nello stesso numero di sillabe, molte più cose. Ne risulta una “scrematura” di molti termini del testo tolkieniano, che Fatica omette nella sua traduzione. In questo caso specifico vengono rimossi tutti i verbi (o quasi) della poesia originale: spariscono dunque “smote” (colpiva), “clove” (separava), “wrote” (scriveva) e “hilt” (univa), che andavano sempre in coppia con lo strumento usato dai Nani. Adesso questa parte della poesia è diventata un semplice elenco di strumenti (incudine, martello, scalpello). Ugualmente spariscono, dall’ultimo verso, i soggetti e rimangono, al contrario, i verbi che li accoppiavano: “lo scavatore scavava” diventa “c’è chi scava” e “il muratore costruiva” diviene “c’è ch’innalza”. Inoltre avviene la perdita di quella reiterazione del termine “there” che caratterizzava questi versi (ed anche altri) nell’originale; nella traduzione precedente questa ripetizione era resa col termine “ivi” all’inizio di ogni verso.

Un altro esempio lo prendo da quattro versi della Canzone di Nimrodel cantata da Legolas:

A wind by night in Northern lands
Arose, and loud it cried,
And drove the ship from elven-strands
Across the streaming tide.

Un vento al Nord s’alzò di notte,
Gridava a squarciagola
Portò la nave fuori rotta
Nella marea.

La struttura metrica di tutta la poesia originale è un’alternanza di ottonari e senari, con un solo caso di verso ipometro (un quinario al posto di un senario). Ottavio Fatica tenta di replicare una struttura analoga, usando però alternativamente novenari e settenari: Un_ven_to-al_Nord_s’al_zò_di_not_te (9), Gri_da_va-a_squar_cia_go_la (7), Por_tò_la_na_ve_fuo_ri_rot_ta (9), Nel_la_ma_re_a (5). Come si vede qui, ci sono però delle occasioni in cui Fatica si prende delle licenze dalle regole che si è autoimposto; nello specifico l’ultimo verso è un quinario anziché un settenario. Per poter tenere in metrica i versi in italiano Fatica omette la traduzione di “lands” (terre) dal primo verso, anticipando al contempo il verbo “arose” (crebbe/s’alzò) che nell’originale era presente nel secondo. L’unica omissione incomprensibile è quella dell’aggettivo “streaming” (scorrevole, fluente) abbinato a “tide” (marea) nell’ultimo verso: l’uso di un qualunque bisillabo italiano (come “gran-de” o “for-te”) avrebbe permesso di far diventare settenario il verso, mantenendo il ritmo metrico. Nel complesso Fatica mantiene il senso della poesia e il nucleo di significati originali viene trasposto in italiano, sebbene lo stesso avvenisse anche nella traduzione precedente. Ho trovato però molti casi, in Fatica, di versi ipometri o ipermetri.

Nella precedente traduzione Alliata e Principe, scegliendo di privilegiare la rimica, non tengono conto della metrica e talvolta i versi delle poesie diventano molto più lunghi dell’originale: nel Canto di Nimrodel, ad esempio, il verso “Her hair was long, her limbs were white” (8 sillabe) è tradotto con “Lunghi i capelli, bianca la pelle, chiara la voce” (15 sillabe); tra l’altro quel “chiara la voce” è un’aggiunta che serve a rimare “voce” con “veloce”, due versi sotto.

Nomenclature

Merita una parte a sé la questione dei nomi propri di luoghi, oggetti, persone o creature di Arda nominati all’interno del Signore degli Anelli e di come sono stati diversamente tradotti da Alliata, Principe e da Fatica. Prima di fare degli esempi vorrei però spendere due parole per una questione di principio. È molto difficile sradicare una tradizione di nomenclature all’interno del fandom di uno specifico mondo subcreato, specie se su quei nomi propri si sono stratificati, per decenni, prodotti di ogni tipo. Mi spiego meglio con un esempio: siamo abituati ad usare il termine Grampasso come traduzione di “Strider” fin dal 1970. Aragorn viene così chiamato nei libri che per cinquant’anni sono stati letti dal pubblico italiano, è chiamato così anche nel doppiaggio italiano dei tre film di Peter Jackson, è chiamato così all’interno di fanfiction, videogiochi, card game, giochi di ruolo, quiz a tema, citazioni (presenti in altri testi tradotti in italiano), fumetti, librogame e chi più ne ha più ne metta. La nuova traduzione del nome, cioè Passolungo, non è così diversa dall’originale, non è dunque una revisione dovuta ad una correzione di un grave errore presente nel testo. Era dunque necessaria? Quando un qualunque nuovo lettore si approccerà al testo tradotto da Fatica e imparerà a chiamarlo Passolungo, non sarà confuso dal sentirlo chiamare Grampasso nei film o nei videogiochi? E quando questo nuovo lettore vorrà comunicare con un fan di vecchia data, l’uso di diversi nomi non sarà ulteriormente motivo di confusione? Cambiare i nomi propri di personaggi molto amati e conosciuti, specie se sedimentati a lungo nell’immaginario collettivo e nella cultura, è sempre un azzardo: si veda ad esempio il recente tentativo da parte dell’editore Salani di ritradurre la saga di Harry Potter e dunque di riadattarne nomi iconici come quello della professoressa McGranit, del professor Vitious, di Neville Paciock, del negozio Magie Sinister o della Casa di Tassorosso. Laddove i nomi sono stati semplicemente mantenuti come nell’originale si può ancora capire il senso della nuova traduzione (sebbene vadano perduti tutti i giochi di parole ad essi associati o le immagini che evocavano, come quando la McGranitt va a chiamare Oliver Baston /Wood ed Harry pensa che lei lo voglia picchiare con un bastone). Più complicato è stato far entrare nell’immaginario collettivo nuove “localizzazioni” di nomi come Hufflepuff che da Tassorosso è divenuto Tassofrasso, sebbene anch’esse avessero una logica: nello stemma di quella Casa di Hogwarts non è presente il colore rosso, che invece è associato a Grifondoro. E questo a solo vent’anni dalla prima traduzione. Tornando al Signore degli Anelli, sebbene alcuni nomi della vecchia traduzione rendessero in modo impreciso il significato di quelli originali, sarebbe stato meglio – secondo me – modificarne il minor numero possibile e solo in quei casi in cui la vecchia “localizzazione” ne avesse davvero stravolto il significato. Questo perché è assurdo pensare ad un testo scritto come a qualcosa di disincarnato che vive in un iperuranio scollegato dal mondo reale, privo di storia e di sedimentazione storica: il Signore degli Anelli ha avuto, in Italia, una sua vicenda editoriale e una sua propria storia da cui qualunque traduzione non dovrebbe prescindere, ma che anzi dovrebbe tenere in considerazione.

Vediamo ora alcuni esempi di diverse traduzioni di nomi propri che ho incontrato nelle parti di testo campionate. Mirrormere, il nome in lingua comune di Kheled-zâram, è un lago nel quale la tradizione vuole si sia specchiato Durin il Senzamorte dopo il suo risveglio presso il Monte Gundabad; in quello specchio d’acqua egli vide riflessa una corona a causa delle stelle che stavano dietro la sua testa e decise così di fondare una città nanica sulle rive del lago, cioè Khazad-dûm. In inglese la parola “Mirrormere” è composta da “mirror” (specchio) e “mere” (lago o “laghetto” nell’inglese britannico, ma ancor di più “distesa di acqua stagnante”). Pertanto potrebbe essere tradotto letteralmente come “Specchiolago”. Nella vecchia traduzione di Alliata Mirrormere era divenuto Mirolago, giocando sul significato di “miro” (ammirarsi, specchiarsi). Ottavio Fatica lo ribattezza invece Speculago, giocando sul termine latino “speculum”, cioè “specchio”. Entrambe le soluzioni sono valide, sebbene in inglese il termine “mirror” sia molto più comune di quanto non lo siano in italiano “mirare” o “speculum”.

Gray Havens è un termine che era stato erroneamente tradotto Rifugi Oscuri nell’edizione Rusconi e poi corretto nelle più recenti versioni Bompiani del Signore degli Anelli; l’ultima traduzione era infatti Porti Grigi. Nell’originale “gray” è ovviamente il colore grigio, mentre “haven” ha il significato di “rifugio” o “porto”. Ottavio Fatica lo traduce invece con Grigi Approdi, che mi pare improprio (e a maggior ragione inutile come modifica, visto che “Porti Grigi” era già una traduzione perfetta). Dico improprio poiché “approdo” in inglese è “landing”, proprio come nei libri di George Martin “King’s Landing” diventa “Approdo del Re”. Il nome elfico del luogo, che viene “tradotto” da Tolkien in inglese con Gray Havens, è Mithlond, parola composta da “mith” (“grigio”, come in “Mithrandir”) e “lond” (che significa proprio “porto” e non “approdo”).

Mirkwood è la forma anglicizzata del nome norvegese Myrkviðr o Mirkiwidu, originariamente proveniente dalle poesie dell’Edda. Myrkviðr era lì inteso come il nome di una foresta oscura di confine che divideva la terra dei Goti da quella degli Unni. Nei suoi scritti Tolkien discute l’origine del nome nei testi in Old English e Norvegese Antico e in una lettera indirizzata a suo figlio Michael afferma che il termine Mirkwood non è una sua invenzione. Difatti viene usato anche dallo scrittore ed artista ottocentesco William Morris nel suo romanzo The House of Wolflings del 1888. Il termine “Myrkviðr” significa in norreno “legno scuro” e, per sineddoche, “foresta scura”. Il significato di “Mirkwood” è quindi “oscura foresta”, anche se “mirk” è un termine antico e desueto per “oscurità”. Nella vecchia traduzione di Alliata e Principe questa antichità linguistica era resa con il nome Bosco Atro, usando il termine antico e poetico “atro” che in italiano vuol proprio dire “scuro” o “nero” (viene infatti usato da Dante o Leopardi). Ottavio Fatica invece lo ritraduce Boscuro, fusione di “bosco” e “scuro”, ma così facendo si perde il gusto antico del “mirk” originale, poiché “scuro” è un termine molto comune in italiano. Anche in questo caso la traduzione di Alliata mi sembra superiore.

Westernesse è il nome del reame che esisteva anticamente sull’isola di Númenor e che Tolkien ha preso da un termine in Middle English, più precisamente dal poema cavalleresco King Horn, in cui “Westernesse” è il nome di un reame d’invenzione. L’etimologia del termine, come viene specificato dallo stesso Tolkien, è “western-lands”, ossia “occidentali-terre”. Alliata lo traduceva come Ovesturia, Fatica invece lo chiama Occidenza. Entrambi i termini sono validi, pertanto vale quanto detto nella parte introduttiva: non era necessario cambiare il nome, poiché anche nella vecchia traduzione era valido.

North Downs : sono una serie di colline situate nella parte settentrionale dell’Eriador, a est delle Colline di Evendim (o Emyn Uail in Sindarin) e a nord delle Weather Hills. Alliata traduce il nome come Lande del Nord, ma la traduzione è impropria perché “lande” è troppo generico rispetto a “downs”, cioè “colline dolcemente digradanti”. Anche Fatica, tuttavia, incappa qui in un errore, traducendo con Dune Settentrionali, poiché le “dune” sono (definizione del vocabolario) “cumuli o cordoni di sabbia” e non sono mai sinonimo di “colline erbose”. Dato che entrambe le traduzioni sono improprie, poteva essere una soluzione tradurre il nome come “Colline Settentrionali” o, se si voleva differenziare “downs” da “hills”, come “Declivi Settentrionali”.

Deadmen’s Dike è il terrificante nome che viene dato, ai tempi dei fatti del Signore degli Anelli, a quella che un tempo era nota come Fornost Erain, la capitale del Reame di Arnor, caduta a causa delle forze nemiche di Angmar. In inglese “dike” è un termine che ha molti significati: 1) “un lungo muro o terrapieno costruito per prevenire inondazioni dal mare” (cioè una diga o un argine), 2) “un fosso”, 3) “un banco di terra formato da materiale di scavo”, 4) “un ostacolo, una barriera”, 5) “una strada rialzata”; oltre a questi ci sono anche due significati specifici di ambito geologico: 6) “una massa lunga, stretta e trasversale di roccia ignea che si insinua tramite fessura nella roccia più vecchia” e 7) “una massa simile di roccia composta da altri tipi di materiale, come l'arenaria”. C’è infine una definizione derivante dal dialetto inglese: 8) “una parete bassa o recinzione, in particolare di terra o pietra, per dividere o racchiudere il terreno”. Quale di queste sfumature di significato avrà inteso Tolkien dando a questo luogo quel sinistro nome? Alliata lo traduce come Forra dei Morti e in italiano “forra” è “una profonda gola a pareti verticali” che però sembra avere connotati naturali e non artificiali. Fatica lo ritraduce con Rocca dei Morti, sebbene la “rocca” possa essere o una “fortezza costruita in un luogo elevato” (significato più comune) o una “cima isolata con pareti nude e roccia” (definizione derivante dall’alpinismo) o ancora una “roccia” (significato antico oggi caduto in disuso). Non mi pare che la nomenclatura usata né nella vecchia né nella nuova edizione siano efficaci. Forse, fra tutte le definizioni di “dike”, è proprio “argine” quella che si avvicina di più al significato originale, perché sebbene sia “un rialzo naturale o artificiale per contenere il corso delle acque e impedire che straripino”, per estensione può anche significare “terrapieno, rialzo di terra o di muro costruito a scopi difensivi”. Pertanto avrei optato per Argine dei Morti o, per evitare che “argine” potesse generare il senso di “qualcosa che tiene fuori i morti”, Terrapieno dei Morti.

Prendiamo ora in esame il termine Gaffer, cioè il soprannome di Hamfast Gamgee, il padre di Samwise Gamgee. In inglese “gaffer” è un modo per dire “old man”, cioè “vecchio uomo”, nel senso di “compare” o “vecchio mio”. Etimologicamente la parola “gaffer” è la contrazione e alterazione di un altro vocabolo, “godfather”, ossia “padrino”. Nella vecchia traduzione di Alliata Gaffiere non aveva alcun significato, ma ricalcava semplicemente il suono del termine inglese. La nuova traduzione di Fatica opta invece per Veglio, termine antico per “vecchio”, che pur perdendo il sapore etimologico di “godfather” rimane, a mio avviso, una migliore traduzione, che permette di comprendere il senso di quel nome. Questo è un caso in cui ha avuto senso il cambiamento di un nome proprio, seppur conosciuto.

Brandybuck , cioè il cognome della famiglia di Merry, era rimasto quasi uguale all’originale (solo la “y” era divenuta “i”) nella traduzione di Alliata-Principe, così come i cognomi Gamgee o Baggins (unica eccezione Took divenuto Tuc), mentre altri cognomi di famiglie hobbit erano stati “localizzati”: Bolger (Bolgeri), Chubb (Paffuti), Bricegardle (Serracinta), Hornblower (Soffiatromba) e così via. A dire il vero Vittoria Alliata di Villafranca aveva inizialmente “localizzato” tutti i cognomi hobbit, seguendo tra l’altro le indicazioni fornite dallo stesso Tolkien a riguardo: pertanto Bilbo e Frodo avrebbero dovuto essere Sacconi, di cognome; solo dopo, a seguito delle pressioni del curatore, i cognomi dei protagonisti vennero rimaneggiati. Questo però aveva creato, nella precedente traduzione, una sorta di incongruenza stilistica tra cognomi italianizzati e cognomi dal suono anglicizzante. Fatica poteva rimediare a questo problema scegliendo per due vie opposte: mantenere tutti i cognomi come nell’originale (contravvenendo però alle indicazioni dello stesso autore) oppure “localizzarli” tutti in italiano. Invece sceglie di fare di nuovo le cose a metà, sebbene in modo diverso dai suoi predecessori: Bilbo e Frodo continuano ad essere Baggins di cognome (e dunque non Sacconi), Sam è ancora un Gamgee, mentre Merry è passato da Brandybuck a Brandaino . Questo perché “buck” significa per l’appunto “maschio di animale cornuto” (e dunque “cervo”, “daino”, “antilope”, ecc.) e i Brandybuck vivono a Buckland, una terra in cui molti luoghi contengono la parola “buck” (Buck Hill, Bucklebury). Mi sembra una scelta a metà e, in quanto tale, potevano rimanere i cognomi dell’edizione precedente, che erano altrettanto tradotti a metà.

Mount Doom : questa è, tra tutte quelle incontrate nella campionatura scelta, la più incomprensibile tra le “localizzazioni” di Fatica. Nell’originale il nome della montagna di Mordor dove Sauron forgia l’Unico Anello e dove si conclude la missione principale del Signore degli Anelli contiene la parola “doom”, il cui significato è “morte o distruzione, un qualsiasi evento terribile che non è possibile evitare” (Oxford Dictionary). La parola “doom” viene dall’Old English “dom”, che vuole dire “statuto, giudizio”, una parola di origine germanica collegata al verbo “do” e che ha etimologicamente il significato di “mettere in atto”. Il Merriam-Webster Dictionary dà tre diverse definizioni per “doom” come sostantivo: 1) una legge o ordinanza (soprattutto nell’Inghilterra Anglo-Sassone); 2) una sentenza o condanna giudiziaria (e specificamente il Giorno del Giudizio); 3) destino (e specificamente un destino avverso e infelice, quindi può essere sinonimo di “morte”, “rovina”, “distruzione”). Alliata ha scelto di chiamarlo Monte Fato: un nome evocativo ed epico e un’ottima traduzione, poiché il “Fato”, che noi possiamo tradurre con “destino”, era presso i Latini il nome di una divinità, quella che presiedeva al destino irrevocabile (comprendente anche la morte o la rovina), fissato fin dall’origine del tempo e a cui nessuno si può sottrarre, neanche gli dèi. Quindi sia “doom” che “fato” significano “destino” ed ambedue i vocaboli contengono l’accezione di “destino inevitabile, destino di morte”. Ottavio Fatica lo ribattezza invece Monte Fiammeo: mi domando cosa c’entri la “fiamma” con “doom”; questa scelta mi pare completamente arbitraria e che si allontana dal significato originale voluto da Tolkien. Ancor più arbitraria se si considera che altrove lo stesso Fatica traduce diversamente il termine “doom”: nella poesia degli Anelli, ad esempio, “doomed to die” è tradotto con “dal fato crudele”; nell’enigma di Boromir invece “the Doom is near” è reso con “il Giorno del Giudizio è imminente”.

Conclusioni

Due anni fa Bompiani pubblicava la nuova traduzione delle Lettere di Tolkien ad opera di Lorenzo Gammarelli ed io sono stato molto felice di quella scelta editoriale, poiché la precedente traduzione di Cristina De Grandis per l’edizione Rusconi del 1990 era piena di errori che rendevano incomprensibili alcune parti del testo. C’era invece bisogno di una nuova traduzione del Signore degli Anelli?

Nell’intervista di Loredana Lipperini ad Ottavio Fatica del 29 aprile 2018, pubblicata sul numero 74 di Robinson (inserto culturale di Repubblica), il nuovo traduttore afferma: «bisognava pur rendersi conto che non era possibile correggere cinquecento errori a pagina per millecinquecento pagine. Non c’è paragrafo mondo da lacune e sbagli. Mancano verbi, avverbi, intere frasi, a volte si traduce a orecchio». Insomma Fatica ci va giù duro con Alliata. Eppure nelle campionature che ho effettuato sul testo per confrontare le due traduzioni non ho trovato 500 errori per pagina, semmai 500 sfumature di significato, diverse impostazioni sintattiche dei periodi e qualche vero errore che doveva essere corretto. Ma nulla, o quasi, che inficiasse davvero la lettura del testo – e non parlo solo della sua godibilità come romanzo, ma anche del suo apprezzamento come testo letterario fondamentale del XX secolo. L’unica cosa su cui sono d’accordo con Fatica è quando dice che Alliata ha «un suo curioso stilema: raddoppia gli aggettivi. […] Sembra uno stilema di Tolkien, invece è il suo»; in effetti quello dell’endiade è proprio uno stilema non presente nell’originale tolkieniano ma solo nella traduzione di Alliata di Villafranca; se (e sottolineo se) l’obiettivo principale della traduzione è la fedeltà alla fonte originale, tali endiadi è bene che spariscano. Se tuttavia dobbiamo considerare “errori” tutte le sfumature di significato che non si adeguano al 100% al testo originale, allora anche il testo di Fatica è pieno di “errori”, poiché tradurre è sempre tradire. Ci sono però anche veri e propri errori (senza le virgolette) nella traduzione di Fatica: oltre a quelli già menzionati (il primo regno di Sauron, Isildur che porta da Númenor una pianta anziché un seme) ve ne sono ovviamente altri. Faccio un esempio che si trova proprio nell’incipit del primo capitolo del libro primo della Compagnia dell’Anello: “When Mr. Bilbo Baggins of Bag End announced that he would shortly be celebrating his eleventy-first birthday with a party of special magnificence, there was much talk and excitement in Hobbiton”. Eleventy-first è un neologismo usato da Tolkien per indicare il 111° compleanno di Bilbo, ricalcando la struttura di parole esistenti come “seventy” per 70° o “eighty” per 80° e prendendo spunto dall’Old English “hundendleftig”, combinazione delle forme arcaiche di “endleofan” (“eleven”, cioè 11) e “tig” (il suffisso “-ty”). Alliata aveva tradotto la frase con “…avrebbe presto festeggiato il suo centoundicesimo compleanno…”, mantenendo il significato del numero ma eliminando il neologismo. Ottavio Fatica invece traduce con “…che presto avrebbe festeggiato il suo undicentesimo compleanno…”, ricalcando così il neologismo di Tolkien. Però nel farlo compie un errore, perché calca un termine latino, “undicentesimus”, che però non significa 111° bensì 99°; così ora Bilbo compie 99 anni anziché 111. Bisogna inoltre tenere in considerazione che Ottavio Fatica possiede, oggi, due importantissimi strumenti per la traduzione del testo di Tolkien che Vittoria Alliata di Villafranca non poteva materialmente possedere nel 1967: da un lato gli esempi di altre traduzioni italiane di testi tolkieniani con cui confrontarsi (le nomenclature e alcuni termini specifici che compaiono nel Signore degli Anelli sono presenti anche nello Hobbit o nel Silmarillion, ma ambedue questi testi sono stati tradotti in italiano successivamente), dall’altro internet e tutto ciò che è possibile trovare sul web a supporto di un’eventuale traduzione (non parlo, qui, in primis, dei dizionari monolingue o bilingue, bensì delle “enciclopedie” a tema create dai fan in cui è possibile trovare, a portata di click, etimologie di luoghi e personaggi e persino la loro resa in tutte le traduzioni del mondo). Sono quindi, secondo me, molto meno giustificabili certi errori di Fatica rispetto a quelli di Alliata, poiché io stesso, con un po’ di ricerca online e di confronti, sono riuscito a scovare quelli che ho indicato qui sopra.

Nel dibattito che è seguito alla pubblicazione della nuova traduzione di Ottavio Fatica ho trovato varie argomentazioni a sostegno della necessità di una ritraduzione da zero del testo di Tolkien che mi sembrano non efficaci. Una di queste è che in cinquant’anni la lingua cambia e che dunque un testo tradotto così tanto tempo fa usava un lessico che oggi è diventato meno comprensibile e dunque una nuova traduzione ha il compito di “svecchiare” e “ringiovanire” il testo per renderlo fruibile anche per le nuove generazioni. Anzitutto questa argomentazione mi pare priva di basi concrete, poiché l’obiettivo di Fatica non sembra essere l’ aggiornamento del testo alla lingua di oggi bensì la fedeltà al testo originale, che al contrario lo porta a cercare – parola per parola – termini italiani anche molto desueti che si avvicinino a quelli dell’Old English o del Middle English usati da Tolkien; un obiettivo perciò con risultati diametralmente opposti. Inoltre, se anche è vero che spesso Alliata ricorreva a termini aulici – come “scrivea” (per “wrote”), “oprava” (per “clove”), “contrade” (per “lands”), “irta” (per “full of”), “destatosi” (per “woke”) – per elevare il registro della scrittura, è altrettanto vero che anche Fatica compie la stessa operazione in altri casi: “mondare” (per tradurre il verbo “see”), “perigliosa” (per “dangerous”), “consesso” (per “company”), “pressante” (per “urgent”), “favilla” (per “light”), “ghermire” (per “bring”), “va di prescia” (per “is in a hurry”), “conteste” (per “upon”).

L’altra argomentazione principale è stata espressa da due importanti membri dell’AIST, l’Associazione Italiana Studi Tolkieniani: «Comunque la si pensi sull’argomento, si tratta di un evento fondamentale per la storia di Tolkien nel nostro Paese, visto che per la prima volta l’opera del Professore viene affrontata con un’operazione editoriale di livello degno di un Classico della letteratura del Novecento. […] La scelta di un traduttore di tale peso conferma la volontà di collocare Tolkien tra i Grandi del Novecento , liberandolo dai limiti di una peraltro poco fondata appartenenza al genere Fantasy . Nessun altro classico ha avuto una sola traduzione, e anzi Tolkien meriterebbe non due ma dieci traduzioni» (Roberto Arduini, Presidente dell’AIST – corsivo mio); «La scelta di un traduttore di tale peso non è certamente frutto del caso, ma, come accennato all’inizio, si inquadra evidentemente in un percorso volto a collocare Tolkien tra i Grandi del Novecento , liberandolo – finalmente, è il caso di dire – dai limiti di una peraltro poco fondata appartenenza di genere » (Giampaolo Canzonieri, socio dell’AIST che ha svolto la consulenza per Fatica – corsivo di nuovo mio). Mettendo da parte per un attimo l’evidente “conflitto di interessi” dell’AIST, che ha collaborato con Ottavio Fatica a questa nuova traduzione e che non credo possa far altro che elogiarla, c’è un’obiezione di fondo che voglio muovere a queste affermazioni. Sono felice anch’io, infatti, che Tolkien stia avendo finalmente il riconoscimento che merita come classico della letteratura (non a caso Tom Shippey lo definì “autore del secolo”), ma mi rammarica e anzi mi disgusta il fatto che per poter accettare questo suo ruolo da scrittore di Letteratura con la “elle” maiuscola e farlo “digerire” alla critica intellettuale nostrana l’editrice Bompiani e l’AIST stiano compiendo una precisa operazione e cioè quella di estirpare ogni suo collegamento con la letteratura “di genere” per collocarlo in quella “mainstream” . Come può infatti Arduini disconoscerne l’appartenenza al genere fantasy? Credo sia noto a tutti come Tolkien abbia avuto un peso specifico in tutta la letteratura fantasy del XX e XXI secolo, sia per coloro che hanno tentato di emularne la narrativa e le tematiche come Terry Brooks, sia per coloro che – pur ammirandolo – hanno deciso di distanziarsene, come George Martin, sia per coloro che invece lo hanno odiato e ne sono rifuggiti, come Philip Pullman. Allo stesso modo mi pare assurdo non riconoscere come i testi di Tolkien abbiano un enorme fandom che invece non hanno gli altri classici della letteratura nominati in questi articoli dell’AIST (cioè Rudyard Kipling, Herman Melville, Jack London, Robert Louis Stevenson e Joseph Conrad, tutti ritradotti da Ottavio Fatica), fandom che ha avuto un ruolo cruciale nella diffusione del romanzo e che è indubbiamente legato soprattutto ai nomi o ad alcune citazioni-chiave della vecchia traduzione e nei confronti del quale qualunque nuova traduzione avrebbe dovuto portare quantomeno un tot di rispetto. Invece l’obiettivo di questo nuovo adattamento mi pare chiaro ed in linea con la nuova copertina della Compagnia dell’Anello (una fotografia della superficie del pianeta Marte, sebbene vi siano migliaia e migliaia di meravigliose illustrazione sul Signore degli Anelli) e con l’assenza della mappa della Terra di Mezzo all’interno del libro: togliere il romanzo di Tolkien dalla letteratura “di genere” come il fantasy (poiché considerata di bassa qualità e adatta al volgo) ed innalzarlo all’Olimpo dei sacri Classici della Letteratura (di altissima qualità e quindi adatti a pochi palati). Insomma: permettere alle élite intellettuali italiane, specie quelle di sinistra, di apprezzare Tolkien (e quindi togliere i vecchi pregiudizi che gli gravavano addosso), ma farlo solo in virtù della sua NON appartenenza al genere fantasy (e quindi salvaguardare i pregiudizi snobistici che quelle élite hanno verso tutta la letteratura fantastica). Un disprezzo che non solo è basato su una confusione intellettuale (cos’è “di genere”? cos’è “mainstream”?), ma anche su un errore morale: il disprezzo verso i fan. E chi sono i fan se non coloro che amano un testo? Dunque disprezzare l’amore di questi fan è disprezzare l’amore verso il testo che si vorrebbe tradurre. Se davvero è questo l’obiettivo della nuova traduzione di Ottavio Fatica, mi sento di dire: no, non ne avevamo davvero bisogno.

[Ringrazio il professor Franco Manni, con il quale ho collaborato durante la stesura di questo articolo. È stato grazie alle sue idee sul ruolo dell’amore in una traduzione, agli esempi – classici come la Vulgata di San Girolamo o più recenti come l’ Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio di Hegel nella sua traduzione in italiano operata da Benedetto Croce – e al confronto vivo con tali idee se questo testo esiste nella forma che vedete ora. ]