A proposito di una recente traduzione italiana de La Compagnia dell'Anello
di Marcantonio Savelli1
E' stata recentemente pubblicata dall'editore Bompiani una nuova traduzione del primo libro de Il Signore degli Anelli: La Compagnia dell'Anello2. Riguardo alla precedente traduzione italiana, realizzata da Vittoria Alliata di Villafranca con alcune revisioni da parte di Quirino Principe, il nuovo traduttore, Ottavio Fatica, ha pubblicamente preso posizione in modo estremamente tranchant."3 Intento della presente analisi è verificare se, ed in quale misura, le gravi accuse da egli lanciate siano dotate di fondamento, nonché di verificare se ed in quale misura le scelte traduttive di quest'ultimo rispettino o meno la lettera del testo originale.
Traduzioni a confronto
J.R.R. Tolkien fu il più straordinario inventore di linguaggi dell'era moderna. Egli disse: "nessuno mi crede quando dico che il mio lungo libro è un tentativo di creare un mondo in cui una forma di linguaggio accettabile dal mio personale senso estetico possa sembrare reale. Ma è vero."4 Conosciamo più di dieci differenti linguaggi da lui inventati, con relative grammatiche e lessici.5 Grandissimo valore è dato, in Tolkien, all'eufonia dei nomi, ai delicati e sovrapposti rimandi sia fonici che semantici che essi racchiudono. Il luogo del testo tolkieniano dove, traducendo, è più facile commettere gravi errori, approfittando di una maggiore libertà interpretativa, è quello dei nomi propri, di luogo e di persona. Non a caso è anche il tema relativamente al quale è evidentemente più difficile dimostrare dove stia la ragione. Per questo, pare più saggio, in sede di analisi, resistere alla tentazione di far riferimento ai nomi propri, seppure tale sia il contesto dove si trovano le differenze e, a parere di chi scrive, gli errori più macroscopici, facilmente accessibili al buon senso, ma ostici alla ragione dimostrante.
Tante, e così marcate, sono le differenze tra la traduzione precedente, ad opera di Vittoria Alliata di Villafranca con l'ausilio di Quirino Principe, e la più recente, ad opera di Ottavio Fatica, che non pare necessario ricorrere all'analisi della nomenclatura per verificare i differenti approcci. Si è pertanto optato per una analisi del breve capitolo introduttivo che apre il libro. Esso è ben lungi dal rappresentare uno dei punti più critici dell'opera tolkieniana per quanto concerne la portata dei suoi significati artistici e contenutistici. In tal modo si potrà ben supporre che gli esempi qui riportati non siano stati surrettiziamente selezionati allo scopo di corroborare una tesi, ma allo stesso tempo si potrà dedurre che quanto si constata in questi passaggi apparirà moltiplicato in intensità nei punti chiave del testo. Il lettore giudicherà da se' se le gravi accuse lanciate dal Fatica alla precedente traduzione siano corroborate o non piuttosto confutate dagli esempi di seguito esposti e commentati.
Tolkien |
Traduzione Alliata di Villafranca – Principe |
Traduzione Fatica |
1 Concerning Hobbits |
A proposito degli Hobbit |
A proposito di Hobbit |
2 Hobbits are an unobstrusive, but very ancient people, more numerous formerly than they are today; for they love peace and quiet and good tilled earth: a well-ordered and well-farmed countryside was their favourite haunt. |
Il popolo Hobbit è discreto e modesto ma di antica origine, meno numeroso oggi che nel passato. Amante della pace, della calma, e della terra ben coltivata, il suo asilo preferito era una campagna scrupolosamente ordinata e curata. |
Gli Hobbit sono un popolo schivo ma di ceppo antichissimo, un tempo assai più numeroso di adesso; amano la pace, la tranquillità e la buona terra dissodata: L'ambiente da loro preferito era una campagna organizzata e coltivata a dovere. |
3 For they are little people... |
Essi sono infatti minuscoli... |
Per esser piccoli lo sono... |
4 Their height is variable, ranging between two and four feet of our measure.They seldom now reach three feet; but they have dwindled, they say, and in ancient days they were taller. |
La loro statura è variabile, ed oscilla da un braccio a un braccio e mezzo; Ma ormai è raro che qualcuno arrivi a quella misura giacché pare che col tempo si siano rimpiccioliti e che in passato fossero più alti. |
Secondo le nostre misure l'altezza può variare tra il mezzo metro e il metro e venti. Di rado ormai arrivano a un metro, ma a sentir loro sono rimpiccioliti e anticamente erano più alti. |
5 Bandobras Took [...] was four foot five and able to ride a horse. |
Brandobras Tuc [...] misurava due braccia ed era capace di montare a cavallo. |
Bandobras Took [...] era quasi un metro e mezzo e capace di andare a cavallo. |
6It is plain indeed that, in spite of later estrangement, Hobbits are relatives of ours: far nearer to us than Elves or even than Dwarves. |
La parentela che ci unisce agli Hobbit, malgrado la loro recente ostilità, è più che evidente e molto più stretta che non quella che ci unisce agli Elfi o perfino ai Nani. |
Insomma è evidente che, malgrado il successivo estraniamento, gli Hobbit sono imparentati con noi: molto più degli Elfi o perfino dei Nani. |
7...They Dwelt in the upper vales of Anduin, between the eaves of Greenwood the Great and the Misty Mountains. |
Dimoravano nelle alte vallate dell'Anduin, tra la Grande Foresta Verde e le Montagne Nebbiose. |
Dimoravano nelle alte valli di Anduin, tra la gronda di Boscoverde il Grande e i Monti Brumosi. |
8..and roamed over Eriador |
Attraversando l'Eriador |
Errando per Eriador |
9 Indeed, a remnant still dwelt there of the Dunedàin, the Kings of Men that came over the Sea, out of Westernesse; but they were dwindling fast, and the Lands of their north kingdom were falling far and wide into waste. |
Vi erano persino gli ultimi numenoreàni, i re degli uomini giunti per Mare dall'Ovesturia, in tempi remoti; ma poiché stavano velocemente sparendo, le terre del loro Regno del Nord erano in un pietoso stato di abbandono. |
Ci vivevano ancora gli ultimi Dunedàin, i re degli uomini giunti per mare dall'Occidenza; ma andavano scemando in fretta e le terre del loro Regno del Nord finivano in malora un po' dovunque. |
10 All that was demanded of them was that they should keep the Great Bridge in repair, and all other bridges and roads, speed the king's messengers, and aknowledge his lordship. |
Fu loro solamente chiesto, come compenso, di riparare tutte le strade e i ponti, in particolar modo il Grande Ponte, di augurare buon viaggio ai messi del re e di riverire la sua regalità. |
Come contropartita dovevano soltanto tenere in buono stato Ponte Grande e tutti gli altri ponti e le strade, agevolare i passaggio dei messi del re e riconoscere la sua signoria. |
11 To the last battle at Fornost with the witch-lord of Angmar they sent some bowmen to the aid of the king, or so they maintained, though no tales of Men record it. |
Sostengono di aver mandato degli arcieri in aiuto del re durante la battaglia di Fornost contro il capo degli stregoni di Angmar, quantunque la storia degli uomini non lo riferisca. |
Fino all'ultima battaglia di Fornost contro il capo stregone di Angmar avevano mandato arcieri in aiuto del re, o così sostenevano, pur se nessuna storia degli Uomini lo riporta. |
12 The land was rich and kindly, and though it had long been deserted when they entered it, it had before been well tilled, and there the king had once had many farms, cornlands, vineyards and woods. |
La terra era ricca e generosa, e prima dello stato di abbandono in cui l'avevano trovata, aveva conosciuto bravi coltivatori che curavano le fattorie, le piantagioni di granturco, i vigneti ed i boschi di proprietà del re. |
La terra era ricca e generosa e, pur se da molto abbadonata al loro arrivo, in precedenza era stata coltivata a dovere e il re a suo tempo ci aveva posseduto fattorie, coltivazioni di cereali, vigneti e boschi a profusione |
13 ...and there in that pleasant corner of the world they plied their well-ordered business of living... |
Conducevano in quel ridente angolo della terra una vita talmente ordinata e bene organizzata... |
....e in quell'ameno angolo di mondo svolgevano le loro ben organizzate attività di sussistenza... |
14 Had long been accustomed to build sheds and workshops |
Solevano costruirsi laboratori e botteghe. |
Erano abituati da molto a costruirsi rimesse e officine. |
15 The oldest kind were, indeed, no more than built imitation of smials, thatched with dry grass or straw, or roofed with turves, and having walls somewhat bulged. |
Il tipo più antico non era che un'imitazione degli smial, dai tetti di paglia, di erba secca o di muschio, e dai muri leggermente curvi. |
Quelle più antiche, a dire il vero, imitavano nella conformazione gli smial, con il tetto d'erba secca o paglia, coperto di cotica, e le pareti alquanto rigonfie. |
Il testo in esame si estende per poche pagine, sette o otto nelle tre edizioni esaminate. Si può già quindi apprezzare la densità delle differenze da ritenersi rilevanti. Nelle medesime pagine se ne sarebbero potute invididuare di ulteriori. Il campione scelto è quanto di più lungi dai passi più "pericolosi" in fatto di traduzioni inadeguate, quindi si valuti, come detto, che il fenomeno tende a guadagnare notevolmente di intensità in passi successivi. In questo paragrafo l'autore fornisce un resoconto storico relativo alla storia del popolo Hobbit. Non vi è qui una trama, non viene narrata una storia. E' una notizia etnografica, se si vuole, lontana discendente agreste della Germania di Tacito, preposta al primo capitolo del libro vero e proprio.
(1) La lettera del testo inglese è equidistante dalle due soluzioni. La soluzione Villafranca-Principe si fa a nostro avviso preferire a quella di Fatica perché intende correttamente la ragion d'essere di tutto il capitolo, di cui questa frase è titolo. Non si sta "facendo quattro chiacchiere" di Hobbit, ma si sta immaginando la redazione di un testo storico, di un testo scritto, non parlato, prodotto da uno storico fittizio che può essere idealmente considerato essere Tolkien stesso, o in generale un narratore appartenente al nostro mondo, quello del lettore dell'opera. Tolkien-narratore riapparirà alla fine del libro, nelle appendici, quando, ad esempio, riferirà che i nomi degli Hobbit riportati nel libro non sono i nomi reali dei personaggi ma nomi "anglicizzati", così come in questo stesso paragrafo l'autore dà a intendere che il libro Lo Hobbit, pubblicato nel "nostro" mondo sia un adattamento, che Tolkien ha realizzato, di un vero libro Hobbit, il Libro Rosso dei Confini Occidentali. Questo artificio è di importanza decisiva. Serve a creare una barriera intermedia tra il mondo immaginario e il mondo reale. Probabile che Tolkien avesse soppesato l'efficacia di simili soluzioni, quali compaiono, e mai a caso, nei dialoghi della Tradizione Socratico-Platonica, in cui spesso una persona narrante all'inizio del dialogo riferisce di aver sentito dire...l'intero contenuto del dialogo stesso6. Traducendo invece in questo modo, Fatica travisa questo specifico aspetto retorico, ovvero non intende il ruolo fondamentale di "simulazione storiografica" che il capitolo d'esordio, che di fatto è l'ideale ponte tra il nostro mondo e quello de Il Signore degli Anelli, è chiamato a ricoprire.
(2) Si noti innanzi tutto in Tolkien l'uso di riprendere la frase con un "for" dopo un punto o punto e virgola, chiaro esempio di arcaismo, di uno stile elevato e non di uso comune. Di questi e altri arcaismi il testo di Tolkien è disseminato. "Ordered" viene tradotto da Alliata di Villafranca-Principe con "ordinata" e da Fatica con "organizzata". Non credo che vi sia da nessun lato un problema di minore o maggiore aderenza. Ciò che stona non poco è "a dovere" in Fatica, che manca della dovuta eleganza e dolcezza. Tolkien intende gli Hobbit come l'esempio di un popolo in naturale armonia con la terra. Non coltivano né "a dovere" né per dovere, ma con scrupolo, "con cura" (Villafranca-Principe). Tolkien vuole implicare: con amore.
(3) Ritroviamo in Tolkien la forma arcaizzante già vista in (2). Difficile renderla in italiano, ma perlomeno sarebbe stato meglio astenersi dal "Per esser piccoli, lo sono..." scelto da Fatica, che è linguaggio colloquiale e basso, e nulla ha a che vedere con l'intento di Tolkien, dove "for" non significa "per", ma è semplicemente una congiunzione silente, da non tradurre, se non con un generico "infatti" o una vaga valenza rafforzativa, come Alliata di Villafranca-Principe intende.
(4) Tolkien utilizza il sistema metrico inglese, Alliata di Villafranca-Principe lo intende, con una certa libertà, come misura approssimativa, "a braccio" per l'appunto. Fatica lo trasforma in sistema metrico decimale, che non ha la poesia del sistema anglofono, ma non per sua colpa. La sua traduzione è più fedele nella forma, equidistante nello spirito. L''"a sentir loro" scelto da Fatica è a nostro giudizio un grave errore. L'inglese non chiarirebbe dal punto di vista puramente sintattico, perché il "They" potrebbe essere riferito agli Hobbit o essere un soggetto impersonale. Quest'ultima è però senza alcun dubbio la soluzione corretta. Gli Hobbit non hanno nessun interesse a raccontare a terzi quanto fossero alti mille anni fa. Si aggiunga poi, ancora una volta, il basso registro di un'espressione come "a sentir loro", quasi come se si riferisse un pettegolezzo.
(5) In cosa consiste il "being able" di Bandobras Took? Visto che lo si menziona per la sua altezza eccezionale, non certo nella sua abilità di cavallerizzo in se', che avrebbe potuto esercitare anche con un pony come faranno poi in più occasioni altri Hobbit, ma appunto per la possibilità di montare sul più alto animale. Errore, (certo non grave, ma da riportare), di Fatica. Alliata di Villafranca-Principe traduce qui con maggiore precisione e cura.
(6) "Ostilità" è un errore di Alliata di Villafranca-Principe, perché si discosta eccessivamente dall'intenzione di Tolkien. "Estranimento", in Fatica, è più corretto. Tuttavia l'"insomma" è un macroscopico fraintendimento da parte di Fatica. Si veda il testo completo per meglio intendere. Così traducendo, egli riferisce la parentela tra Hobbit e Uomini a quanto Tolkien afferma prima della frase in questione, mentre in realtà la parentela è legata a quanto Tolkien dice dopo. Prima parla di feste, regali e scherzi infantili, e del pranzare sei volte al giorno, mentre dopo riferisce delle affinità linguistiche. Alliata di Villafranca-Principe, invece, intende correttamente.
(7) La sintassi inglese di Tolkien non può ovviamente aiutare, ma è ben noto che l'Anduin è un fiume, non un toponimo delle vallate stesse. Quindi Fatica è in errore nel non fare uso dell'articolo determinativo, dimostrando apparentemente di non essere ferrato sulla topografia della Terza Era. Si parla di un fiume tra i maggiori, nominato numerosissime volte nel libro. Che dire poi del termine "gronda"? Vero che compare in un uso sublime in Dante7, ma con tutt'altro significato. Va rilevato che è il primo significato per l'inglese "eaves", ma appare più come un termine tecnico, maggiormente adatto ad un trattato di agraria che non al testo letterario che si sta traducendo.
(8) L'Eriador è un continente, o un subcontinente se si preferisce, come apparentemente Fatica, per lo meno al momento di tradurre questo nome, non sembra sapere. Non vi è ragione, in italiano, di omettere l'articolo, che ovviamente in inglese non è richiesto. Alliata di Villafranca-Principe traduce invece in modo corretto.
(9) E' un tipico passo di alta poetica tolkieniana. Il lettore è come chiamato ad unirsi alla nostalgia dei Dunedàin. Quell' "...Out of Westernesse" termine di un arcaismo quasi snob – si consideri la e finale che è un appendice sopravvissuta del middle english – quasi scappato di bocca con un mesto sospiro al narratore. Una coda apparentemente superflua, al termine di una frase che, apparentemente, si reggerebbe perfettamente in piedi senza di essa. Una analisi superficiale potrebbe dar luogo alle ben note critiche di prolissità ed involutezza di cui Tolkien è stato fatto oggetto ripetute volte, spesso fraintendendo o non cogliendo la finezza di passaggi come questo. Vi è sotteso l'alto respiro, l'alta nostalgia sognante, quasi stilnovistica, di un mondo perduto, resa ancor più fine dal fatto che il lettore non già edotto – o il traduttore non già edotto – probabilmente non sa, a questo punto della lettura, che Numeror fu sommersa al termine della Seconda Era. Fatica, dimostra qui, a nostro parere in modo patente, una totale mancanza di empatia con il testo tolkieniano, scegliendo un'espressione colloquiale e, spiace dirlo, sciatta: "in malora un po' dovunque", totalmente inadatta al contesto e quanto mai lontana dalle intenzioni dell'autore.
(10) Fatica traduce: "come contropartita". Termine prosaico, mercantile, al di fuori del registro stilistico richiesto. Lo spirito della questione è che il re si disinteressò degli Hobbit cedendo loro una terra da lungo tempo in disuso. Il Grande Ponte è davvero grande. E' detto così solo perché è grande. Alliata di Villafranca-Principe intende correttamente, a differenza di Fatica, che fraintende. Si noti che, implicitamente, Tolkien potrebbe voler far pensare a un termine "franco" utilizzato nelle comunicazioni tra Uomini e Hobbit, che non parlavano più la stessa lingua, e che quindi avrebbero avuto nomi propri differenti per lo stesso toponimo. In tutta l'opera di Tolkien vi sono numerosissimi esempi di questo fenomeno. Altro esempio di toponimo, poco distante dal Grande Ponte: la Vecchia Foresta, che è detta così perché è vecchia, quindi con l'articolo determinativo a precedere. Tolkien: "Speed the king's messengers". Fatica, che traduce "agevolare il passaggio" sarebbe in effetti più vicino alla lettera. La deviazione di Alliata di Villafranca-Principe appare molto libera ma giustificata oltre che, dotata di notevole eleganza stilistica. Probabilmente qui Tolkien, con notevole finezza e humor inglese, riferisce implicitamente i "termini" dei doveri degli Hobbit, doveri che nessuno si aspettava che seguissero alla lettera perché niente potevano fare, in realtà, per rendere i messi del re più veloci di quanto già fossero. Questo registro comunicativo bassato su un certo understatement è certamente più accessibile al lettore inglese perché più intrinseco al suo contesto culturale. Alliata di Villafranca-Principe sceglie: "riverire la sua regalità". Soluzione, in primo luogo, dotata di gradevole eufonia, ricercare la quale è pratica certo non da sottovalutare nella traduzione di un autore come Tolkien. Tale soluzione è certo il frutto di una interpretazione, anziché di una resa più semplice e meccanica della lettera inglese, ma che ha il pregio di rendere comprensibile al lettore, seppure in modo velato e senza banalizzarlo, lo spirito di questo "accordo" in cui l'autore vuol sottolineare che la consuetudine di questo rapporto tra Uomini e Hobbit era ormai svuotata di ogni aspetto sostanziale. "Riverire la sua regalità" significa non fare nulla all'atto pratico. E' quasi il mantenere un intimo rispetto per le istituzioni, seppure esse possano essere lontane o rese impotenti, a prescindere dall'atteggiamento pratico. Sentimento profondamente affine allo spirito inglese. Il Sentimento che ispirò la Magna Charta estorta a Giovanni Senza Terra contro la sua volontà, ma senza tuttavia mai porre in questione la natura della regalità. "Riconoscere la sua signoria". Termine invece dotato di un significato estremamente preciso nel lessico del feudalesimo medievale, di cui mai Tolkien avrebbe approvato l'uso a sproposito che Fatica, in questo contesto, ne fa.
(11) Errore di Fatica che non coglie un altro arcaismo. Il "To" iniziale in quella posizione è un'inversione, tutto il complemento di luogo è preposto al verbo, con intento arcaizzante. Il "Fino" non è quindi da inserire, perché è da ritenere che gli Hobbit non mandarono arcieri in tutte le battaglie "fino" all'ultima, ma solo a quella singola battaglia. Fatica intende erroneamente un complemento di tempo continuato anziché di moto a luogo. L'avverbio leggermente ricercato "quantunque", con conseguente reggenza del congiuntivo anziché dell'indicativo, in Alliata di Villafranca-Principe, è un lodevole tentativo di rendere l'arcaismo della costruzione tolkieniana. Sarebbe a nostro parere inesatto criticare tale soluzione in quanto giudicata meno scorrevole, poiché essa riflette con notevole accuratezza filologica le intenzioni dell'autore.
(12) Fatica è qui leggermente più vicino all'originale su due punti: "da molto tempo", omesso da Alliata di Villafranca-Principe, e "cornlands" che può significare cereali in generale e non il solo granturco. Tuttavia, "il re ci aveva posseduto" è un maldestro tentativo di infondere scorrevolezza al periodo, che scade nel registro colloquiale e basso. E "a profusione", in Fatica, che in Tolkien è semplicemente "many", suggerisce una sfumatura totalmente assente nell'inglese. Un testo storiografico, quale quello che Tolkien intende simulare, seppur opera di un immaginario "dilettante della storiografia", mirato a fornire al lettore le notizie "storiche" di cui lo storiografo dispone con quanto maggiore accuratezza gli sia possibile, non si esprimerebbe mai in termini tanto approssimativi.
(13) Il dolce biscuit villereccio diviene in Fatica: Svolgere. Ben organizzate. Attività. Di Sussistenza. Agricoltura di sussistenza, economia di sussistenza: termine da trattato economico, totalmente al di fuori del registro stilistico richiesto.
Tolkien ha "Sheds and Workshops". Entrambe le traduzioni non presentano problemi di correttezza di significato. Ma "sono più Hobbit" laboratori e botteghe, o (auto)rimesse e (auto)officine? Come non connettere istintivamente l'officina all'industria meccanica? Va ammesso che a rigore non sarebbe obbligatorio – si pensa all'Officina Ferrarese di Roberto Longhi, titolo geniale di un libro legato peraltro a tutt'altro contesto – ma il primo impatto con questa discutibile soluzione da parte di Fatica pare essere assai stridente.
E' infine doveroso menzionare una scelta particolarmente infelice. In Fatica, le case Hobbit sono ricoperte di cotica. Esiste il termine, prettamente tecnico e scientifico, "cotica erbosa", ma qui l'aggettivo "erboso" non compare, quindi il riferimento suino pare inevitabile. E' chiaro che Tolkien si riferisce a zolle erbose. I dati archeologici ci informano di case di popoli scandinavi in epoca altomedievale, nonché verosimilmente di popoli anglosassoni di medesima epoca, ricoperte di zolle erbose, o persino parzialmente incassate in rilievi naturali a mo' di terrapieno, in virtù del potere di isolamento termico conferito da tale soluzione. A cospetto di una simile incomprensibile scelta traduttiva, si deve ipotizzare che Fatica non ne fosse al corrente. Perché poi le pareti dovrebbero essere "rigonfie" (Fatica)? Forse che imbarcano acqua? Sono incurvate, ovviamente. Qui Alliata di Villafranca-Principe traduce invece molto liberamente dal punto di vista sintattico, ma non sbaglia nella sostanza.
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Un ulteriore contributo alla presente analisi può essere tratto da alcune scelte lessicali che il recente traduttore ha pubblicamente motivato. Scegliamo di menzionarle perché, disponendo della spiegazione da parte del loro autore, risulta possibile giudicare le intenzioni del traduttore, affinché si possa apprendere dove sia l'errore, se di errore si tratta: se in una inadeguata comprensione o interpretazione del senso del testo originale, o piuttosto in una mancanza di perizia tecnica nel trasformare questa comprensione in una adeguata traduzione.
"Riguardo invece la traduzione di Prancing Pony con Cavallino Inalberato, Fatica racconta che i fan si sono, appunto, inalberati, perché avrebbero preferito Cavallino Rampante. Tuttavia, prancing in araldica si usa per dire impennato o rampante con animali come i leoni. I cavalli, invece, anche in italiano non sono detti rampanti, bensì inalberati, secondo il lessico tecnico dell’araldica. Quindi, in realtà tradurre prancing con impennato o rampante è, de facto, scorretto."8
Ciò che in questa motivazione risulta inconsistente è l'accostamento tra un personaggio ed un contesto agreste, popolare, e il gergo tecnico dell'araldica. Il lettore dovrebbe forse supporre che Omorzo Cactaceo – o Barbaraccio, come Fatica invece traduce – consultò un trattato di araldica prima di appendere la sua insegna? Non si sta parlando dello stemma araldico di un nobil signore, ma dell'insegna di una vecchia osteria di campagna, fatta da gente semplice per gente semplice. I veri cavalli non "inalberano". Già si è notato nei precedenti esempi come l'utilizzo ingiustificato di un freddo gergo tecnico sia tra i vezzi prediletti di questo traduttore.
Ancora: "Riguardo poi a Forestali (che sono i ranger), la vecchia traduzione aveva "Raminghi". Ora, a me "Raminghi" sembra un tipo di ordine di frati, non mi convince. Se la prima traduzione avesse avuto scritto forestali e io avessi tradotto con raminghi mi avrebbero mandato a ramengo a me. Comunque, io ho scelto forestali, perché? Perché questi sono dei signori che vanno su e giù lungo i confini della Contea per tutelarli da una potenziale minaccia, e loro nascostamente vagano proteggendo."9
Riteniamo sia da sottolineare quanto sia patentemente inesatto ridurre il ruolo dei Raminghi a quello di "andare su e giù lungo i confini della Contea". Tolkien ci informa che essi agivano in molteplici altri modi e in molteplici altre aree della Terra di Mezzo, alla fine della Terza Era, non ultimo le battaglie sul fronte Nord della Guerra dell'Anello. Lo stato di Raminghi rappresenta lo stato di esuli, avendo essi perduto la loro terra natale, Numenor, cosa di cui il Fatica in più circostanze10 non sembra essere al corrente. Che dire poi del rapporto, tipico del mondo medievale, tra la figura regale – il Ramingo Granpasso che diverrà Aragorn – e la sacralità sacerdotale? Sarebbe forse un difetto del termine "Raminghi", se esso alludesse in modo velato a contesti sacrali? Come si legge nel Silmarillion, nella Seconda Era i re di Numenor svolgevano in parte funzioni sacerdotali. "Le mani del re sono mani di guaritore", farà poi dire Tolkien alla vecchia Ioreth, nel capitolo Le Case di Guarigione, quando Aragorn rivela eccezionali capacità taumaturgiche e proprio nel far ciò, rende prova della sua regalità. Tolkien dimostra di non ignorare che il grande Re guaritore del Medioevo è Luigi IX di Francia – San Luigi dei Francesi. Questa tradizione taumaturgica verrà fatta propria dalla monarchia francese (e non solo) per molti secoli.
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Riteniamo che questi pochi esempi siano stati sufficienti a dare al lettore un buon quadro della reale situazione. Assai difficile, appare, alla luce di questa analisi, giustificare le pesanti accuse lanciate dal nuovo traduttore11, il quale, inoltre, incorre in numerose sviste ed inesattezze che è parso, in sede di analisi, doveroso sottolineare e che, raffrontandone il numero alla ristrettezza del campione selezionato, si presentano con frequenza e densità oggettivamente allarmanti.
Due opposte concezioni dell’opera di Tolkien
Un ulteriore, decisivo aspetto della questione, che preme sottolineare, risiede nelle interpretazioni di fondo che, con chiarezza inequivocabile, traspaiono dalle due scelte traduttive. E' di importanza primaria, infatti, non limitare la percezione di queste diverse traduzioni al raffronto dei testi in senso filologico, alla ricerca di errori letterali, cosa che pure si è fatta, in parte, nell'analisi qui prodotta. La densità e la ricorrenza delle differenze interpretative tra le due versioni, non solo legate a diversi intendimenti semantico-lessicali, ma anche e soprattutto a differenti scelte di registro e tono, impongono infatti ulteriori riflessioni. Il maggior contributo che si può dare al presente dibattito è pertanto, a giudizio di chi scrive, il trasportare i termini del giudizio dal piano superficiale, epifenomenico, delle presunte "fedeltà filologiche" a quello degli intenti, nemmeno troppo criptici, che ad esse sottendono.
Da questi approcci agli antipodi scaturiscono due traduzioni del testo profondamente differenti, che sottintendono due diverse concezioni dell’opera di Tolkien. E' più efficace identificare il chiaro intento di un'operazione, che limitare l'analisi al solo livello epidermico delle specifiche scelte lessicali, terreno, quest'ultimo, relativamente al quale l'esperienza insegna che sempre sarà possibile ribaltare ogni argomentazione, sia pure in modo pretestuoso, mille e più volte, trovando una giustificazione teoricamente plausibile per qualsivoglia soluzione stilistica, anche la più assurda.
Se si giunge agli estremi di negare che la funzione della traduzione sia rispettare le intenzioni dell'autore di un'opera, permettendo così la fruizione del testo di quell'autore ai lettori di altra lingua, la questione si esaurisce prima di cimentarsi in ulteriori vivisezioni. Vi è differenza tra interpretare il testo dell'autore nel modo che si ritiene più efficace e il piegarne la lettera alle proprie vedute. Si spera sia fatto da ritenersi acclarato che un testo debba riflettere le intenzioni di chi l'ha scritto, non di chi l'ha tradotto.
Ora, un testo come Il Signore degli Anelli è la creazione di un personaggio storico ben conosciuto. Per meglio valutare queste posizioni, si dispone dunque di un terreno solido a chi voglia intenderlo: la conoscenza del Tolkien storico, consegnataci dalle abbondanti notizie biografiche che ne abbiamo12, dalle sue numerose lettere13, dai suoi saggi, in cui emerge una chiara concezione estetica. Chi fosse Tolkien, quali fossero le sue vedute in fatto di religione, visione del mondo, preferenze per la letteratura antica o moderna, se preferisse i lampioni o i fulmini, per citare una sua famosa frase14, non è questione che si presti a fraintendimenti troppo macroscopici. Nel suo celebre saggio On Fairy-Stories, (1939)15, egli non ne fa mistero. Nel definirlo un uomo conservatore, profondamente cattolico, profondamente critico della modernità e dell'innovazione tecnologica, amante dell'epica antica e detrattore del realismo moderno, non si fa che riferire informazioni biografiche incontestabili.
Vittoria Alliata di Villafranca, nella sua traduzione in cui prevale un linguaggio aulico e caratterizzato sovente da un incedere limpido ma solenne, dimostra di aver ben compreso la natura del testo da tradurre, primo dovere, questo, di ogni buon traduttore. Il Signore degli Anelli è un testo epico, prodotto da uno studioso di letteratura medievale, traduttore a sua volta di saghe cavalleresche e di epica norrena, anglosassone e celtica. Dalla traduzione di Ottavio Fatica , invece, emerge un Tolkien frainteso, trasportato in un terreno prosaico; operazione, questa, che il beneficio di una presunta maggiore scorrevolezza, da qualcuno acclamanto, pare ben lungi dal giustificare. Ancora una volta, chi può sostenere che il Tolkien storico, che dedicò la sua vita all'interpretazione di testi che "scorrevoli" certo non erano, desiderasse per il proprio testo una "modernizzazione" in realtà da questi sempre osteggiata, in ogni sua manifestazione? E' grave travisamento, frutto di un "errore forse insincero"16 quello di trasportare il linguaggio proprio della sophia perennis dell'epica verso quello, transeunte ed effimero, della nostra quotidianità moderna e meccanizzata. Un linguaggio, quest'ultimo, che al Tolkien storico non appartenne mai.
1 Marcantonio Savelli (Bologna, 1986), scrittore, studioso di filosofia e letteratura medievale, è autore del poema allitterativo Erec (Apollo Edizioni, 2019).
2J.R.R. Tolkien, La Compagnia dell'Anello, Bompiani, 2019, traduz. di O. Fatica.
3 In una recente intervista sul settimanale Il Venerdì, egli ha avuto a dichiarare, con riferimento alla precedente traduzione: "Ecco, bisognava pur rendersi conto che non era possibile correggere cinquecento errori a pagina per millecinquecento pagine. Non c’è paragrafo mondo da lacune e sbagli. Vedasi : https://www.jrrtolkien.it/2018/04/29/tradurre-il-signore-degli-anelli-lintervista/
4In The Letters of J. R. R. Tolkien, Carpenter, Humphrey and Tolkien, Christopher (eds.) George Allen & Unwin, London, 1981. Ediz. Ita. La realtà in trasparenza. Lettere 1914 -1973, Rusconi, Milano, 1990.
5A tal proposito si menziona l'ottimo Gianluca Comastri, Le lingue degli Elfi della Terra di Mezzo, L'arco e la corte, 2 voll., 2016-2018.
6Si veda a mero titolo di esempio G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone, Milano, 1987.
7E, sì come di lei bevve la gronda delle palpebre mie... Parad. XXX, 88.
8https://www.cercatoridiatlantide.it/ottavio-fatica-parma-nuova-traduzione-il-signore-degli-anelli/ . Il Fatica ha poi ritenuto di dover aggiungere: "Io ho detto una cosa giusta, poi se tu sei cresciuto con la traduzione “impennato” […] è un errore. Mi dispiace che tu sia cresciuto con quella cosa lì, ma non so cosa fare. Pure io sono cresciuto con Superman che si chiamava Nembo Kid."
9Ibid.
10Si veda supra, esempio di traduzione (9).
11Vedasi supra, nota 2.
12Si veda ad es. La biografia autorizzata ad opera di Humprey Carpenter, Tolkien, a Biography, Allen & Unwin 1977.
13The Letters of J. R. R. Tolkien, Carpenter, Humphrey and Tolkien, Christopher (ed.) George Allen & Unwin, London, 1981. Ediz. Ita. La realtà in trasparenza. Lettere 1914 -1973, Rusconi, Milano, 1990.
14 "Un lampione elettrico può essere ignorato, per la semplice ragione che è insignificante e transitorio. Le fiabe, invece, si occupano di argomenti più permanenti e fondamentali, come il fulmine. ". Sempre nel saggio On Fairy Stories. Frase che la dice lunga di quanto Tolkien avrebbe pensato sui tentativi di "attualizzazione" della sua opera.
15The monsters and the critics and other essays, George Allen & Unwin, London 1983. Ediz. Ita. Il medioevo e il fantastico, Bompiani, Milano 2000.
16Espressione di Tolkien a simile riguardo. Vedasi il suo On Fairy Stories (1939).