L’elfico com’è parlata
(Elvish as She Is Spoke[1])
di Carl F. Hostetter[2] (2004)
parzialmente tradotto e commentato da Edoardo Sbaffi
(2022), su permesso di carl Hoestetter
Il testo di questo articolo, presentato nel 2004 in una
conferenza, è incluso nel libro The Lord
of the Rings, 1954-2004 : Scholarship in Honor of
Richard E. Blackwelder[3], che celebra i cinquanta
anni dalla prima edizione del Signore degli
Anelli.
Lo scopo di questo articolo è dichiaramente quello di
allertare e, implicitamente, ridicolizzare quei fans tolkieniani che pretendono
proporre l’uso delle due lingue elfiche, Quenya e Sindarin, in un contesto di
conversazione quotidiana o ordinaria e lo fa ricordandoci quali furono i
propositi dell’autore. In questa disquisizione con tono nemmeno tanto
velatamente polemico Hostetter indica due personaggi quali principali artefici
del presunto inganno: Helge Fauskanger e David Salo, quest’ultimo niente di
meno che il consulente del regista Peter Jackson e l’autore delle frasi elfiche
che appaiono nella trilogia cinematografica de Il Signore degli Anelli. Hostetter parte da un approccio
squisitamente filologico e, nelle sue argomentazioni, rimette costantemente
J.R.R. Tolkien come punto unico di riferimento. Apre infatti il suo articolo
citando una lettera in cui Tolkien stesso afferma la centralità delle lingue
nella sua creazione letteraria e il suo approccio estetico:
L’invenzione delle lingue è la fondazione. Le “storie”
furono fatte piuttosto per provvidenziare un mondo per le lingue invece che
l’inverso. Per me un nome viene prima e la storia lo succede. [...] Il libro è
per me, in ogni caso, basicamente um saggio sulla “estetica linguistica”, come a volte dico a chi
mi chiede “di che parla?”[4] (TOLKIEN Apud MURRAY,
2001)
Con questa affermazione Hostetter imposta la sua tesi che
parte dallo studio delle citazioni in lingue elfiche del SdA affermando: “[...]
non c’è niente del tutto che possa remotamente costituire un esempio di ‘Elfico
colloquiale’ in tutto il romanzo”; il materiale linguistico è quasi sempre
relativo a nomi propri e toponomastica oppure contenuto in lamenti, inni,
poesie, invocazioni, ecc... tutti testi rigorosamente
coniati in un linguaggio formale.
Hostetter si fa una domanda: perchè un uso così modesto
di lingue che dovrebbero avere avuto un ruolo centrale, nelle parole dello
stesso autore, nella narrativa della storia? Una prima risposta la fornisce lo
stesso Tolkien affermando, in un’altra lettera, che immaginava che pochi
lettori avrebbero avuto lo stomaco di sopportare un uso massiccio di lingue
inventate. La seconda risposta è una congettura dell’autore dell’articolo:
Credo che ci sarebbe stato un ostacolo ad una estesa
compilazione di narrativa in elfico molto più fondamentale e non meno pratica:
Tolkien stesso non era fluente in nessuna delle due principali lingue Elfiche e
nemmeno capace di comporre con esse con la facilità richiesta per produrre una
quantità sostanziale di narrativa. [...] In effetti sembra pacifico che non fu
mai un proposito di Tolkien tanto il fissare o finalizzare le sue lingue inventate
quanto di renderle ‘usabili’ in narrativa o in qualche altra applicazione
prosaica o d’uso quotidiano fin’anche da se stesso;
oppure descriverle in tal modo o portarle a tal punto di completezza che
potessero essere imparate ed usate da altri como un linguaggio vivo. (HOSTETTER, 2006, p. 233)
Questo fatto, spiega Hostetter, non diminuisce la portata
della creazione tolkieniana, ma ci fa riflettere sul vero obbiettivo del
processo creativo. In un’altra lettera del professore di Oxford (del 1967) è
spiegato che “dev’essere enfatizzato che questo processo di invenzione fu/è una
impresa privata iniziata per soddisfare me stesso ed esprimere la mia personale
‘estetica’ e gusto della linguistica e delle sue fluttuazioni”. Un progetto ben
differente dall’Esperando, per esempio, inventato in quegli anni per essere
usato come una lingua corrente. Hostetter fa un’altra importante osservazione:
Tolkien non autorizza ne’ incoraggia altri a
proseguire il suo progetto di creazione linguistica che lui considera, come abbiamo
visto, squisitamente personale. Sul fatto che le sue lingue siano presentate
come un work-in-progress Hostetter
dice che:
È importante notare che Tolkien afferma che il proposito
delle sue lingue era di esprimere non solo una forma di estetica linguistica,
ma anche i cambiamenti di questa estetica nel tempo. Ossia la natura mutevole
delle invenzioni linguistiche di Tolkien non era soltanto un fatto inevitabile,
ampiamente riconosciuto, ma uno dei propositi dell’impresa. Una versione
definitiva e completa non solo non fu mai raggiunta, non era nemmeno
desiderata. (HOSTETTER, 2006, p. 235)
Ciò che ci resta delle lingue elfiche, fa notare
Hostetter, assomiglia molto ad una grammatica storica, un modello di grammatica
molto in voga tra i linguisti della generazione di Tolkien, che la usavano per
studiare le lingue morte (le lingue proto-germaniche,
per esempio). Le grammatiche storiche, di solito, cominciano con una
descrizione dell’albero genealogico dove si inserisce la lingua in esame per
poi descrivere le sue caratteristiche fonetiche. Nelle grammatiche storiche, di
solito, i nomi sono discussi prima, poi gli aggettivi, poi i pronomi, ecc... I
verbi sono affrontati per ultimi e, alla fine, può esserci o no una sezione di
sintassi con una breve esemplificazione di tipi di frasi.
Quel che Tolkien ci ha lasciato è più o meno una
grammatica storica delle lingue elfiche con una buona dose di morfologia e un
piccolo numero di dizionari a volte in conflitto tra loro contenenti un numero
piuttosto ridotto di vocaboli prevalentemente relativi a forme mitologiche,
storiche, poetiche e di nomenclatura con la quasi assenza di prosa. Hostetter
compara questo materiale con quello di altre lingue morte, come il gotico,
ammettendo che di quest’ultimo abbiamo molte più fonti testuali.
Per Hostetter voler parlare le lingue elfiche è
comparabile al tentativo di parlare latino immaginando che ci fosse stato
tramandato da un unico individuo che avesse prodotto una grammatica quasi
completa ed un piccolo dizionario di termini poetici e mitologici e che tutta
la letteratura mai scritta in questa lingua, a parte brevi frammenti, così come
i dizionari completi si fossero perduti in un incendio. Dubito fortemente, dice
Hostetter, che in questo scenario il latino potesse essere usato come lingua di
comunicazione casuale com’è usato oggi. Un’altra inconfutabile realtà è che
nessuno può imparare una lingua senza qualcuno che ne sia fluente oppure senza
l’ausilio di una grammatica completa, un dizionario esaustivo e molti esempi
testuali da poter usare come esempi. Queste argomentazioni sono usate per
affermare l’inganno che rappresenta il Neo-Elvish,
ossia l’elfico propagandato dagli autori citati (Helge Fauskanger e David
Salo). Hostetter accusa questi due esperti di lingue elfiche di omogeneizzare
artificialmente le lingue tolkieniane creando qualcosa che Tolkien stesso non
avrebbe approvato e lo fa utilizzando esempi e dimostrando, con proprietà e
meticolosità, come tutto il presupposto del Neo-Elvish
è fallace.
Hostetter termina questa parte di articolo ricordando
quel risibile episodio del English As She
Is Spoke[5]
per comparare ad esso il Neo-Elvish:
In altre parole, English
As She Is Spoke fu l’inevitabile prodotto dell’applicazione di un livello
simile di conoscenza che abbiamo oggi della sintassi, uso ed
idioma elfico – per così dire, basicamente nessuno, quando comparato con quello
a disposizione degli studenti di qualsiasi lingua viva o anche di molte lingue
morte. (HOSTETTER, 2006, p. 251)
Riporto qui di
seguito la traduzione integrale delle conclusioni di questo articolo:
Conclusione –
Una modesta proposta
Quindi dove ci porta tutto ciò? Questo significa che è
futile e senza senso provare a comporre frasi in elfico? Beh, no. Il semplice
fatto che possiamo fare la diagnosi di errori più o meno dimostrabili nel Neo-Elvish e ancora avendo l’esempio e
l’avviso di opere come English As She Is
Spoke (senza menzionare quantità infinite di esercizi in lingua straniera)
per aiutare a mettere in guardia tutti quelli che staranno attenti, ci da’ un
po’ di speranza di miglioramento dal livello di English As She Is Spoke. Con un lungo e continuato studio e molta
attenzione alle informazioni ed esempi che Tolkien ci ha provvidenziato è
effettivamente possibile produrre scritte in Elfico che chiunque possa
affermare si conformano grammaticalmente e idiomaticamente agli esempi e alle
affermazioni che Tolkien fornì in modo così accurato (per esempio facendo
affidamento ad elementi certi e meccanismi derivazionali, strumenti
grammaticali comprovati, schemi sintattici sicuri che possono ragionevolmente
appartenere ad una stessa fase) – sebbene dubiti molto che qualcuno sarà mai
capace di realizzare questo processo con sufficiente rapidità da usare l’Elfico
come lingua parlata, per qualunque cosa meno semplice di una dichiarazione di
tipo triviale. Il Neo-Elvish, per lo
meno com’è praticato e distinguibile dai testi e dall’uso dei suoi capi
proponenti e praticanti in vari forums di internet e nei film di Peter Jackson,
ha assunto la forma dubbiosa che esibisce oggi per lo più per il fatto di aver
intrapreso il processo [di creazione/traduzione] al contrario. Quel che vediamo quasi senza eccezione è un
tentativo di tradurre frasi o passaggi composti nella lingua nativa
(principalmente l’inglese) in una delle due principali lingue elfiche. Faccio
modestamente la proposta che la miglior maniera di sviluppare una reale
conoscenza linguistica delle lingue Elfiche così come Tolkien le pensò e
descrisse, così da avere la miglior possibilità di comporre frasi in Elfico che
più pienamente e fedelmente riflettano il carattere delle lingue Elfiche fin
dove è possibile capirlo, è questo: invece che tradurre dall’Inglese
all’Elfico, in tal modo distorcendo quest’ultimo per servire le necessità
dell’Inglese – troppo spesso, purtroppo, non riconoscibile – si faccia il
processo opposto. Si intraprenda prima un profondo e continuato studio di tutto
ciò che Tolkien scrisse, delle espressioni che usò nelle composizioni Elfiche e
dei soggetti espressivi che lo interessarono com’è esemplificato dai contenuti
dei glossari che lui stesso creò.
Questo sforzo difficilmente potrà non suggerire
espressioni ed ispirare gli studenti di lingue con aspirazioni linguistiche e
poetiche e provvidenzierà tanto l’intuizione come i mezzi per creare nuove
espressioni nelle lingue come sono realmente invece che come vorremmo che
fossero o creando falzi presupposti per via del fatto che il punto di partenza
è la nostra propria lingua. Questo tipo di approccio risulterà, credo, non solo
in un miglior Elfico in generale, ma sarà anche più prossimo alle convinzioni
dello stesso Tolkien per il quale le parole vengono prima e le storie dopo;
ossia, differentemente da “L’elfico com’è parlata” che mette le parole
totalmente alla mercè dell’inglese originale, le lingue di Tolkien e non più
quelle di chi parla diventano la fonte di ispirazione dei nuovi termini. Il
risultato continuerà sicuramente a non essere perfetto, ma sarà molto più
prossimo al “cuore” di Tolkien.
In questo
link potrete trovare l’articolo originale:
https://www.elvish.org/articles/EASIS.pdf
[1] Il titolo
contiene una certa dose di humor
britannico e merita una spiegazione: nel 1855 a Parigi apparve un libro
intitolato: Novo Guia da Conversação, em
Portuguez e Inglez, em Duas Partes attribuito ai portoghesi José da Fonseca
e Pedro Carolino. Si tratta di una guida bilingue per poter parlare inglese
partendo dal portoghese con un unico problema: gli autori conoscevano solo
superficialmente la lingua inglese dando così origine ad un pasticcio
linguistico che Hostetter paragona implicitamente al tentativo di parlare
elfico partendo dai pochi documenti che abbiamo a disposizione. Questo testo si
diffuse negli Stati Uniti negli anni 60 dello stesso secolo, dove Mark Twain
trovò oltremodo divertenti quelle che definì le sue “miracolose stupidità” e
gli attribuì il titolo con cui è conosciuto da allora: English as She Is Spoke.
[2] Carl Franklin
Hostetter (1965) è una delle personalità più rispettate nella Elvish Linguistic Fellowship. È autore
di numerosi articoli sulla linguistica Tolkieniana ed è l’editore di due
riviste sul tema: Vinyar Tengwar
(impressa) e Tengwestië (online).
[3] Contiene
testi di uma conferenza su Tolkien realizzata nella Marquette University di
Milwaukee (USA) il 21-23 Ottobre 2004. Il libro fu pubblicato nel 2006 dalla Marquette
University Press.
[4] Lettera di Tolkien
alla Houghton Mifflin Company, 30 giugno 1955, pp. 219–220 dal libro di Robert
Murray, The Letters of J.R.R. Tolkien,
Boston: Houghton Mifflin, 2001.
[5] Si veda a
questo proposito la spiegazione data per il titolo dell’articolo.