Scoperta

 

di Ian Collier

 

Ciò che segue è un estratto dal diario di bordo della nave reale Falmar. Solitamente attraccato a Dol Amroth, questo vascello fece un viaggio esplorativo oltre le estremità meridionali di Umbar nell’anno 23 della quarta era. Questo estratto fu inviato al real Maestro delle Tradizioni a Minas Tirith come contributo per i suoi Annali e per il suo Bestiario della Terra di Mezzo :

 

Nel sedicesimo giorno dalla partenza da Dol Amroth siamo all’ancora davanti a una nuova costa. Secondo le stelle ci troviamo cento miglia a sud di Umbar, sebbene questa non sia altro che una supposizione, perché non conosciamo esattamente il corso di queste strane stelle meridionali. Comunque per noi è facile seguire la costa a nord o a sud, ora che siamo fuori dalla portata dei Corsari. A causa del progressivo scarseggiare di acqua e di cibo fresco, ho deciso i far sbarcare una squadra di uomini con due scialuppe, per trovare quanto ci serve e per esplorare questo nuovo territorio. Io comanderò la squadra e il mio secondo rimarrà sulla nave col resto dell’equipaggio. Rimarremo a terra solo tre giorni per non sprecare le nostre scorte. Poiché abbiamo gettato l’ancora alla foce di un grande fiume, non dovremmo metterci molto in quanto l’acqua dovrebbe essere potabile a circa una lega dalla costa.

*  *  *

E’ ora il nostro sessantatreesimo giorno e tutto procede bene, nonostante l’abbiamo scampata bella. Il primo giorno è stato abbastanza facile evitare l’area paludosa presso le rive della foce del fiume. Remavamo risalendo il centro della corrente assaggiando l’acqua fino a percorrere due miglia. Allora trovando l’acqua buona e un posto per tirar su le barche, riempimmo d’acqua  i nostri primi barilotti. Non mi ci volle molto per mandare le barche su e giù finchè tutti i barili della nave furono pieni.

Il posto era stranamente tranquillo e non ne capivamo la ragione, così io facevo lavorare gli uomini in coppie ; uno stava di guardia mentre l’altro raccoglieva arbusti per affumicare il pesce che riuscivamo a trovare nell’acqua dolce del fiume. In effetti la configurazione di quella terra mi sembrava strana, e riflettendoci capisco il perché, in quanto al di là delle rive paludose del fiume il terreno era per lo più popolato di alberelli ed arbusti. E dove eravamo accampati il terreno era piatto ed erboso, quasi fosse stato pulito per fare un sentiero verso le praterie oltre il fiume. In lontananza vedevamo della selvaggina che ci avrebbe fatto comodo, ma nessuno dei quegli animali sembrava vivere vicino all’acqua. Una delle sentinelle notò un movimento nell’acqua - anche se nessuna delle altre potè confermarlo - che non sembrava causato dalla corrente del fiume. In ogni caso eravamo in molti e nessuna bestia avrebbe potuto combinare granchè con noi se fosse stata là. Una volta raccolta l’acqua, decisi di accamparci in quel posto per risparmiare agli uomini la fatica di viaggiare su e giù prima che andassimo l’indomani in cerca di frutta e selvaggina.  Sentendomi al sicuro col fiume alle nostre spalle, misi una sentinella vicino a un grande falò dove l’accampamento confinava con le pianure per tenere alla larga le bestie feroci dagli uomini addormentati, in quanto il vento soffiava provenendo dal fiume.

Questo si rivelò essere un errore. Perché verso mezzanotte, quando la sentinella stava per svegliare il suo sostituto, notò delle figure muoversi attraverso il fiume verso l’accampamento. Al suo urlo io e molti altri ci svegliammo soprattutto tra quelli più vicini al fiume, poiché questi erano più vicini agli sbuffi e ai muggiti che facevano queste creature mentre uscivano dall’acqua. Fortunatamente il caldo del clima meridionale aveva fatto sì che tutti dormissimo coperti appena , e così tutti ci alzammo velocemente (e non ci vuole molto a far muovere un marinaio superstizioso quando qualcosa vien fuori dall’acqua...). Potevamo vedere grandi figure grigie o marroni muoversi al chiaro di luna della notte meridionale, le cascatelle d’acqua rotolar giù dai loro corpi tondeggianti non appena si issavano sulla riva del fiume, la loro pelle liscia e spessa brillare alla luce lunare. Dopo che  scossero l’acqua dalle loro grandi teste con le loro orecchie a ciuffo in cima e ci passarono vicino dondolando, ci sembrarono vagamente simili a una qualche forma di cavallo o di pony. Parevano ignorarci totalmente, ma ciò poteva essere dovuto all’effetto del vento. Certamente erano grosse, e anche con quella luce fioca io stimavo che fossero alte quasi come un uomo e altrettanto larghe sulle loro quattro massicce zampe. Uno dei miei uomini bisbigliò per chiedermi se queste creature fossero dei Mumakil, come nei racconti di suo padre. Poiché ne avevo osservato dei resti dopo la battaglia davanti a Minas Tirith, gli assicurai che non erano Mumakil. In quel momento, però, una delle bestie percepì il nostro odore e lanciò un potente barrito, il che mi fece riconsiderare la faccenda per un po’.

Siano ringraziate le Potenze, poiché le bestie non ritennero che noi fossimo una minaccia e si mossero verso la prateria al di là del fiume dove cominciarono a pascolare, strappando ampie falciate dell’alta erba con le loro grandi bocche e i loro grandi denti. Strisciando più vicino a loro nell’oscurità, mi sentii certo che avrebbero potuto spezzare un uomo in due con un morso se fossero state arrabbiate. Prevalse dunque la preoccupazione per la salvezza dei miei uomini e decisi che per quella notte sarebbe stato meglio ritornare alla nave, in quanto non potevamo sapere con certezza quando quelle bestie potevano tornare indietro e se esse ci avrebbero  attaccato se ci avessero trovato in mezzo tra sè stesse e il fiume che sembrava essere la loro dimora .

*  *  *

Il giorno dopo ritornammo al fiume, e ora che sapevamo che quelle bestie erano là, riuscivamo a scorgerle  osservarci dal pelo dell’acqua mentre venivano a galla su e giù per la corrente. I loro occhi sembravano intelligenti e curiosi quando ci fissavano, e ipotizzo che noi fossimo i primi esseri umani che loro avessero mai visto. Il resto della giornata lo passammo a caccia e a raccogliere radici e piante commestibili.

Uno degli uomini suggerì di cacciare quelle bestie, ma poiché esse vivevano nell’acqua io sentivo che cacciarle sarebbe stato stolto. Non sapevamo infatti come sarebbe stato possibile ucciderle né se esse sarebbero state buone da mangiare, e, in quanto erano creature acquatiche, io non avevo intenzione di offendere Ulmo o Osse uccidendo dei loro protetti senza una buona ragione. Tutta la gente di mare sa che il pesce è dono dei mari e dei fiumi, ma che uccidere qualcosa d’altro fa rischiare la collera delle Potenze. Avrei potuto far frustare quell’uomo per la sua stupidità, ma quello era il suo primo viaggio ed egli era un uomo di terra ;  comunque dovrò tenerlo d’occhio nel futuro. Non voglio infatti che nessuno degli uomini al mio comando uccida i delfini che salutano la nostra nave al largo di Dol Amroth o dell’ Ethir.

Per oggi così finisce il mio diario, e ne farò una copia per i Rotoli della Tradizione dell’Archivio del Re.

              Dalla nave reale Falmar

                                                     Il Capitano

 

 

 

 

 

 

 

 

[ traduzione autorizzata di Franco Manni di Discovery , “Nigglings”, n°6, July 1993, pp.4-5]