Carl Hoestetter

The Nature of Middle-earth. Late writings on the Lands, Inhabitants and Metaphysics of Middle-Earth

HarperCollins London 2021, 464 pp.

 

di Franco Manni

 

Hoestetter ha ricevuto da Christopher Tolkien ( alla memoria del quale dedica questo libro) alcuni scritti linguistici del padre, ma in essi – come accadeva a Tolkien in quegli ultimi anni della sua vita – vi erano molte descrizioni fisiche e speculazioni metafisiche che partivano dal pretesto linguistico. Infatti dalla fine degli Anni Cinquanta in poi Tolkien era impegnato in riflessioni molto analitiche sul suo legendarium allo scopo di togliere le contraddizioni dagli scritti precedenti e aumentare la precisione dei particolari per aumentare la verosimiglianza della ‘subcreazione’. Il figlio Christopher aveva messo molto di questo materiale nel decimo volume della History of Middle-earth (The Morgoth’s Ring) ma non tutto, e quello che mancava è messo invece in questo libro curato da Hoestetter che ha anche inserito descrizioni di terre e di popoli che non erano state inserite in I Racconti Incompiuti. La parola ‘natura’ del titolo  significa infatti  sia realtà fisica sia realtà metafisica. Il volume è diviso in tre parti: 1) tempo e invecchiamento, 2) corpo, mente e spirito, 3) il mondo le terre e gli abitanti.

Vediamo ora i contenuti principali.

Tolkien scrive che elfi e uomini sono più simili nella prima giovinezza. Poi  gli uomini corporeamente si evolvono più veloci, raggiungono a 20 anni la altezza di uomini adulti mentre nella stessa età gli elfi sono come bambini di sette anni. Qui io osservo che Tolkien applica agli elfi il concetto di neotenia, che ai suoi tempi era molto usato dai biologi per differenziare gli esseri umani dagli altri animali, come se gli elfi fossero dei super-uomini. Solo a 50 anni – egli scrive - gli elfi hanno la altezza che avranno poi da adulti; si sposavano a 50 anni e avevano pochi figli, raramente tre o quattro. I rapporti sessuali degli elfi durano solo per il ‘periodo dei figli’; poi si dedicano ad altre cose. Vediamo qui  un Tolkien radicalmente anti- platonico: scrive che più l'anima è sviluppata ed intelligente,  più il corpo è agile, forte ed energetico. Senza alcun dualismo.

Gli elfi raggiungevano la maturità del corpo a 288 anni umani  e poi il loro perdurare in tale condizione era 12 volte più del tempo che ci era voluto per maturare.

Egli descrive molto in dettaglio  il risveglio dei primi tre elfi  (chiamati Primo, Secondo e Terzo : Imin, Tata ed Enel) che si scelgono le partner, si  sposano e poi si scelgono i compagni/seguaci. Egli calcola che al tempo della Marcia degli Elfi essi fossero  15.000 di cui 5.000 Avari (quelli che rimasero nella Terra di Mezzo). In un altro scritto, un differente  calcolo riporta  132,738 elfi alla quarta generazione. La minuzia enorme veramente sorprendente delle 160 pagine dedicate solo a questi  calcoli di numeri e generazioni mi fa pensare a che Tolkien volesse calcolare come si arriva ai 144.000 salvati, un po’ come i Testimoni di Geova (chissà se è stato influenzato dal romanzo di Thornton Wilder Il Ponte di San Louis Rey in cui il frate francescano voleva calcolare attraverso schemi e numeri i disegni della Provvidenza?).

La  complessità dei calcoli e statistiche fatte da Tolkien su prima sette e poi nove generazioni degli elfi  e sul loro  tasso di velocità di crescita produce come risultato  molte tabelle assai poco leggibili, e si capisce perché Christopher non abbia voluto includere questo specifico materiale  nella HoME. Tra l’altro impariamo che Elrond quando lasciò la TdM ai Rifugi Oscuri  aveva 6,520 anni, cioè simile ad un uomo  di 65 anni in pieno vigore, mentre ai tempi della Ultima Alleanza Elrond aveva 3,488 anni umani  cioè – per un elfo - 35 anni. Osserva che gli elfi non sono  mai ‘caduti’: cioè, potevano fare cose cattive ma non essere idolatri di Melkor o Sauron, potevano seguirli  per terrore come schiavo il padrone ma mai chiamandoli Signore e sempre conoscendo dentro di sé la verità,  e per questo motivo il loro ciclo vitale e longevità sono rimasti sempre inalterati. Basandosi sul modello degli elfi, Tolkien osserva che la  grazia data da Iluvatar ai Numenoreani e ad Aragorn non era di posporre la maturazione della crescita ma di dilazionare molto lo invecchiamento,  fino a quando la persona decidesse volontariamente di lasciare questa vita;  se la persona non lo avesse deciso al momento giusto, allora  il corpo molto presto sarebbe invecchiato e diventato decrepito. Si può osservare come la antropologia di Tolkien sia molto psicosomatica, anzi, è meglio dire, etico-somatica , perché il centro delle trasformazioni del corpo è nel comportamento etico (più che in desideri, emozioni e sentimenti vari).

Altri dettagli minori ci vengono forniti riguardo al genere e sesso dei nomi di persona e di cosa, alle mani e dita, capelli e barbe (o non barbe) degli elfi.

Più interessante è uno scritto con alcuni ritratti di personaggi come per esempio Legolas e Gollu. Qui riporto il ritratto di Gandalf :

Nella storia era uno degli Immortali, un emissario dei Valar. La sua forma visibile era quindi una veste in cui camminava tra i popoli della Terra di Mezzo, un mantello per la sua potenza, saggezza e compassione. Ma il suo corpo non era un fantasma: era corporeo e poteva soffrire ed essere ferito, e sebbene più lentamente degli uomini mortali invecchiava e all'epoca della storia aveva i capelli bianchi ed era piegato dalla cura e dal lavoro. (Aveva allora vagato - il Grigio Pellegrino - per lo più a piedi attraverso tutte le Terre dell'Ovest per circa duemila anni). Il suo aspetto, e le sue maniere, avevano tocchi di comico o grottesco (specialmente per gli occhi degli hobbit), riflettendo il senso dell'umorismo di uno spirito fondamentalmente umile. Persino i rari sguardi che dava a coloro che amava in modo particolare sulle fonti di speranza e di allegria che si trovavano al di sotto, ne erano toccati; una figura robusta, con spalle larghe, anche se più bassa della media degli uomini e ormai piegata dall'età, che si appoggiava a uno spesso bastone di taglio grezzo mentre arrancava - al fianco di Aragorn.  Il cappello di Gandalf era a tesa larga, per fare ombra,  con una corona conica appuntita, ed era blu; indossava un lungo mantello grigio, ma questo non gli arrivava molto sotto le ginocchia. Era di una tonalità elfica grigio-argento, anche se appannata dall'usura - come è evidente dall'uso generale del grigio nel libro.

 

Se avessi saputo che Pauline Baynes avrebbe fatto un disegno di Gandalf, avrei potuto mostrarle uno schizzo che feci tempo fa, che lo mostrava mentre saliva il sentiero verso la buca di Bilbo con il suo cappello blu ("malconcio") più o meno così. O meglio: l'immagine da cui è derivata in gran parte la mia personale visione di lui. Si tratta di una cartolina acquistata anni fa - probabilmente in Svizzera. E' una di una serie di sei tratte dall'opera di un artista tedesco J. Madlener, chiamata Gestalten aus Märchen und Sage ['Personaggi di storie e leggende']. Ahimè! Ne ho solo uno chiamato Der Berggeist ['Lo stregone', lett. 'Lo spirito della montagna']. Su una roccia sotto un pino è seduto un vecchio piccolo ma largo con un cappello rotondo a tesa larga e un lungo mantello che parla con un cerbiatto bianco che gli sta annusando le mani rovesciate. Ha un'espressione umoristica ma anche compassionevole - la sua bocca è visibile e sorridente perché ha una barba bianca ma nessun pelo sul labbro superiore. La scena è una radura boschiva (pino, abete e betulla) accanto a un ruscello con uno scorcio di torri rocciose in lontananza. Un gufo e altri quattro piccoli uccelli osservano dai rami degli alberi. Il Berggeist ha un cappello verde e un mantello scarlatto, calze blu e scarpe chiare. Ho modificato i colori del cappello e del mantello per adattarli a Gandalf, un vagabondo nella natura, ma non ho dubbi che quando era a suo agio in una casa indossava calze e scarpe azzurre.

 

Era amico e confidente di tutti gli esseri viventi di buona volontà . Si distingueva da Radagast e Saruman per il fatto che non si allontanava mai dalla missione che gli era stata affidata ("Ero il nemico di Sauron"), e per fare il suo dovere non risparmiava sé stesso. Radagast, invece,  amava le bestie e gli uccelli, e li trovava più facili da trattare; non divenne orgoglioso e dominatore, ma negligente e accomodante, e aveva molto poco a che fare con Elfi o Uomini, anche se ovviamente la resistenza a Sauron doveva essere cercata soprattutto nella loro collaborazione. Ma poiché rimase di buona volontà (anche se non aveva molto coraggio), il suo lavoro aiutò di fatto Gandalf nei momenti cruciali. Anche se è chiaro che Gandalf (con maggiore intuito e compassione) aveva in realtà più conoscenza di uccelli e bestie di Radagast, ed era considerato da loro con più rispetto e affetto. (Questo contrasto si vede già ne Lo Hobbit  dove  Beorn, amante degli animali, ma anche dei giardini e dei fiori, riteneva Radagast un tipo abbastanza buono, ma evidentemente poco efficace).

 

 

Nella seconda sezione del libro, quella sulla Mente e sulla Conoscenza, vi è uno scritto analitico sulla capacità di Divinazione degli elfi. In un altro, Tolkien osserva che il  linguaggio passato degli elfi ( come essi parlavano migliaia di anni prima) non è da loro ricordato, ma deve essere appreso consciamente ed intenzionalmente con lo studio, come si fa con lingue straniere. Gli elfi potevano ricordare i suoni della loro lingua passata, ma non i significati e le regole grammaticali. Questa osservazione di Tolkien -  che non verrebbe in mente a nessuno che non fosse un filologo comparativo o studioso di linguistica strutturale o di filosofia del linguaggio – mostra come veramente egli si prendesse a cuore alcuni difficili problemi filosofici. Infatti,  i suoni si ricordano, ma non il linguaggio e cioè il pensiero, perché, come aveva capito Herbert Mccabe interpretando la antropologia di Tommaso d’Aquino, mentre le sensazioni e i sentimenti (i suoni sono sensazioni) sono esperienze private riguardanti lo individuo e vengono immagazzinate in una Memoria Sensitiva individuale; invece significati cioè i concetti (gli ‘universalia della filosofia scolastica) sono derivanti dal linguaggio (cioè dal pensiero)  che è un sistema pubblico, intersoggettivo ed immateriale che viene immagazzinato solo in una Memoria Intellettuale Intersoggettiva, alla quale ci si può riferire solo in maniera consapevole, intenzionale ed operativa.

 

Altri scritti si concentrano sul problema della libertà di scelta della volontà . Tolkien – seguendo da vicino la Quaestio de Malo di Tommaso d’Aquino nella parte che riguarda il potere dei Demoni verso le menti umane – afferma che  Melkor non può violare la volontà di scelta della mente degli elfi e degli uomini, anche se può ferire mortalmente sia i loro corpi sia i loro sentimenti. La stessa idea viene applicata a Manwe che non può forzare la mente di Melkor anche dopo averlo vinto nella Guerra dell’Ira (questo forse viene dal libretto di Anselmo d’Aosta, De Casu Diabuli). Una idea non uguale ma almeno analoga viene applicata quando di parla della Libertà di Scelta delle creature razionali e del Fato cioè la  volontà di Iluvatar, e viene detto che anche se “i filosofi non sono riusciti ultimamente a spiegare in maniera risolutiva la questione”, entrambe le cose si incontrano nella mente di Eru. Una altra idea della filosofia Agostiniano-Tomista seguita da Tolkien è che i Valar (gli Angeli giudaico-cristiani) non possono comunicare direttamente con Eru e, dunque non possono conoscere i suoi piani e, pertanto, non possono prevedere gli eventi futuri. In specifico i Valar non possono conoscere la ristorazione della Arda Unmarred dopo la caduta (il Paradiso Terrestre giudaico-cristiano)  e tanto meno la cosa ben più grandiosa ed inimmaginabile che è la Arda Healed (il messianico Regno di Dio o Paradiso Celeste giudaico-cristiano).

 

Altri scritti riguardano i corpi assunti come ‘raiment’ (abbigliamento) dai  Valar,  e  la reincarnazione degli elfi, dove a parte la osservazione che la morte è orribile solo in Arda Marred e non in sé stessa, non mi sembra portino nuove informazioni rispetto alla HoME.

 

C’è poi la lunga sezione (di molto la più estesa) su terre e popoli della Terra di Mezzo

Alcuni scritti in essa, per esempio, cercano di dare scientificità alle teorie astronomiche degli elfi. Ma qui noto che Tolkien stesso fa una grande confusione scientifica quando, volendo parlare della teoria antica e primitiva degli elfi, dice che essi credevano sia nella Terra Piatta sia nel Geocentrismo: quando invece questa analogia con la storia reale è assolutamente sbagliata, perché  non esiste nessuna antichità storica in cui i popoli abbiano creduto nella Terra Piatta, quando invece fino a Copernico e Galilei nel XVI-XVII secolo tutti i popoli hanno creduto nel Geocentrismo (Tolkien non poteva conoscere lo studio di Stephen Jay Gould su “The Myth of Flat Earth”).

 

Perché in  questa terza sezione del volume  tutte le date, periodi, relazioni famigliari sono poste in così grande dettaglio? Thomas Shippey nella sua The Road to Middle-earth aveva giustamente detto che un motivo fosse stato quello di dare ‘tridimensionalità’ realistica al romanzo pubblicato (Il Signore degli Anelli) attraverso il suo non-pubblicato  background storico ed etnografico.

 

Però proprio queste disquisizioni sulla astronomia degli elfi mi fanno pensare che la ‘tridimensionalità’ sottolineata detta da Shippey è solo una parziale spiegazione. Essa è giusta, ma è insufficiente, perché questi approfondimenti fatti da Tolkien tra fine Anni Cinquanta ed inizio Anni  Settanta sono troppo enormemente specifici e i loro dettagli in buona parte non sono percepibili in alcun modo nella narrazione di fiction primaria, e cioè nel romanzo. A me viene da pensare che questa enorme quantità di dettagli e questo enorme sforzo di coerentizzazione sia motivato anche da una seconda ragione, e cioè fornire uno scenario ricco e versatile per altri scrittori di storie ambientate nello stesso universo di fiction, come in una sua  lettera egli aveva esplicitamente detto che questo universo di fiction poteva essere utilizzato da ‘other hands’, cioè da altri scrittori. Ma anche questa seconda ragione mi sembra insufficiente. Credo che ce ne sia una terza, e cioè il suo tentativo intellettuale di  appropriarsi della Storia e della Filosofia reali in maniera efficace e concreta (attraverso una ‘storia narrata’), costruendo una narrazione che fosse una sintesi  di ciò che la cultura storica, filosofica e scientifica  trasmette sì, ma lo trasmette in maniera troppo parcellizzata e, in pratica, non veramente significativa, non ‘vivente’.  Una quarta ragione credo sia che questo legendarium così realistico fosse per Tolkien uno strumento per  esplicitare qualcosa che nella storia degli storici non è esplicitato e cioè che nella  storia umana vi è un Disegno divino, e, inoltre, che le creature non sono solo materiali ma hanno anche una partecipazione allo Spirito. Strumento necessario perché la storiografia  politica, economica  e sociale e le scienze tipo psicologia o linguistica ai tempi di Tolkien diventavano sempre più neopositiviste, riduttiviste e secolarizzate. Infine un quinto motivo per queste meticolose e sorprendenti ricerche credo sia il desiderio che Tolkien aveva  di descrivere un Popolo/Nazione Ideale, un Popolo che lui sintetizza negli elfi, ma che non è mai esistito realmente. E questo perché Tolkien, colto studioso, era stato deluso dai popoli reali: Egiziani, Greci, Romani, Bizantini, Franchi, Germanici e Scandinavi, Francesi e Inglesi lo avevano deluso!   

 

Altri scritti presenti in questa terza sezione riguardano luce e tenebra, i poteri dei Valar, la fattura dei lembas, la economia elfica, gli insediamenti nella terra di Mezzo, la fondazione di Nargothrond , la lunghezza della vita dei Numenoreani, una lunga descrizione delle terre e bestie di Numenor, il mangiare i funghi, la catastrofe di Numenor e la fine della Aman Fisic, le vite di Galadriel e Celeborn, gli elfi silvani e la loro lingua, le voci dei nani, una lunga descrizione dei fiumi di Gondor e delle colline dei falò di Gondor,  per la prima volta descritte e nominate una per una. Questo ultimo scritto mi sembra come un delizioso pranzo servito su un  piatto d’argento per gli amanti di giochi di ruolo e videogiochi.

 

In uno scritto (composto da Tolkien nell’ultimo anno della sua vita)  viene fatta una specificazione su una delle scene finali del Signore degli Anelli e cioè la commuovente partenza dai Rifugi Oscuri:  a causa del bando di  Manwe  gli elfi  Noldor (per es Galadriel e suo marito Celeborn) non possono abitare a Valinor, dunque la nave deve lasciarli nella isola di Eressea, mentre poteva portare Gandalf, Frodo e Bilbo a Valinor. Secondo le mie conoscenze di teologia, questa specificazione di Tolkien è giusta: gli Elfi buoni e fedeli durante la Guerra dell’Anello sono amici di Dio e partono dunque daui Rifugi Oscuri, , ma Dio è Iluvatar e non Manwe. Iluvatar non è un agente/attore interno all’universo, perché egli ha creato l’universo dal nulla. Egli – Eru Iluvatar - è l’unico soggetto veramente Sopra-Naturale. Invece Manwe è una entità naturale, è una potente creatura interna all’universo, come gli Eoni degli Gnostici  e – da un punto di vista filosofico, cioè al di fuori di ogni raffigurazione mitica -  egli rappresenta la  Legge Naturale (in termini occidentali) ossia il Karma (in termini orientali). Manwe e il suo Bando , cioè, rappresentano le necessarie conseguenze delle decisioni e delle azioni dei Noldor, che, all’interno di Arda e di Ea , non possono essere disfatte e contraddette.

 

Infine, osservo che in  una delle ‘Appendici’ del volume, quella che riguarda la teologia,  Hoestetter vuole sottolineare che essa è certamente cattolica, anche se, come voleva Tolkien che era un romanziere e non un teologo, tali idee dovevano essere “assorbite dal simbolismo”.