Éowyn e Faramir

 


di Daniela Giledhel

 

 

Éowyn e Faramir pensavano di essersi avvicinati l’una all’altro nell’atmosfera sospesa nel tempo delle Case di Guarigione. Entrambi portavano un pesante dolore nel cuore.

Faramir aveva saputo com’era morto suo padre e non si rassegnava alla sua follia, alla fine tragica dell’ultimo Sovrintendente di Gondor, il grande e severo Denethor. Talvolta un sogno lo sommergeva: la spianata della bianca Torre di Echtelion, l’Albero morto che strideva al vento; vedeva un corteo funebre entrare a Rath Dínen, sulla barella non c’era lui stesso ferito, ma il padre pallido, con gli occhi chiusi, poi d’improvviso veniva avvolto dalle fiamme per qualche terribile attimo, prima del crollo finale. Si svegliava gridando, nella camera dove da ragazzo dormiva con il fratello. Balzato a sedere sul letto, si guardava intorno stupito di non ardere anche lui insieme a Denethor e a tutta la sua stirpe. Allora il pensiero di essere rimasto solo, di non conoscere nulla del suo avvenire, gli stringeva la gola con il rimpianto per l’affetto che lo univa a Boromir.

 

Si riaveva lentamente, scivolando, spossato, sul cuscino e la coscienza del presente lo rincuorava. La bella principessa di Rohan sarebbe stata la sua sposa; con lei avrebbe fondato una nuova casa e i loro figli avrebbero continuato la stirpe dei Sovrintendenti.

Riandava con l’occhio della mente alla prima volta in cui aveva visto Éowyn, le loro parole, la tristezza che le incupiva il volto. Lei guardava verso l’invisibile battaglia lontana dove si stavano decidendo le loro sorti: avrebbe voluto essere a fianco di Aragorn, morire combattendo e rinascere nelle leggende. Faramir non conosceva ancora il futuro Re ma aveva capito che Éowyn poteva amare in quel modo solo un uomo straordinario.

 

Come divampano i papaveri, rapidi, nei campi di grano al primo caldo d’estate, così Faramir, dopo averla compianta, si era innamorato di lei. Merry e le donne delle Case di Guarigione gli avevano raccontato l’impresa eroica da lei compiuta. Non aveva osato parlargliene; non voleva rammentarle il dolore per la morte di Théoden, ma l’immaginava esile e coraggiosa nella pesante corazza affrontare il terribile Nemico e sconfiggerlo. Aragorn le aveva ridato una sorta di vita: ciò che non poteva darle era l’amore come lei chiedeva. Negli occhi, Faramir le aveva letto l’intenzione di morire in battaglia, ma l’amore natogli dentro gli aveva suggerito parole per convincerla alla vita. Era così fragile e così bella Éowyn, mentre ascoltava la sua voce avvolgerla e portarla oltre il dolore. Re Théoden, padre per lei, era caduto sul campo con onore, lasciandola sola; il fratello era lontano in battaglia, e Aragorn, dopo averla risanata, era partito verso il suo destino regale: Éowyn lo sentiva irraggiungibile e al tempo stesso pieno di compassione per lei.

 

Eppure da quando Faramir, l’uomo dagli occhi tristi, aveva cominciato a parlarle con rispetto e considerazione la cortina buia davanti a lei si era andata diradando. Guardava il suo volto, l’espressione concentrata, mentre le raccontava i suoi sogni di ragazzo: la gloria di Gondor governata dai due fratelli uniti, la salute e la pace per il loro popolo. Ora, Boromir era morto e anche il loro padre. Il Re era tornato, ma lui non si sentiva sminuito: pensava che con Aragorn Gondor avrebbe conosciuto finalmente un’era di luce, a fugare i lunghi anni di battaglie e terrore.

 

“Riterrò un onore servire la nostra gente accanto a lui e con me saranno tutti gli uomini più forti e leali. Sono felice di consegnargli i segni del suo potere, come ultimo e fedele erede dei Sovrintendenti. Amerò lui, giunto a noi come un dono attraverso grandi prove e sacrifici; ha conosciuto l’oscurità, il venir meno della speranza, della fede in se stessi. Può aver dubitato di essere all’altezza della sua missione, lui, erede di Isildur, ma nel momento più difficile si è accorto di esserlo anche di Elendil, il più grande e saggio tra i sopravvissuti di Númenor. Ricorderò il valore di mio fratello e di mio padre ma non permetterò al dolore di impietrirmi.
Mia Signora, qualunque uomo sarebbe felice anche solo di ammirarti per il tuo coraggio, la tua fierezza…E sei bella, Éowyn di Rohan, grande ai miei occhi come nessuna fanciulla prima d’ora.”

 

Faramir aveva parlato a lungo con voce calma.

 

Alle sue parole, la vita tornava lentamente nelle vene di Éowyn. L’uomo accanto a lei somigliava ad Aragorn, era della sua stessa magnifica tempra, ma le pareva più comprensibile: lo immaginava terribile in battaglia e dolce nel comunicare con le persone amate, mescolanza rara di forza e compassione.

Si era consegnata al suo amore con abbandono, sentendo crescere dentro di sé la speranza di essere felice al suo fianco.

 

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Nei giorni della gioia, quando i festeggiamenti per la vittoria avevano impegnato Faramir prima dell’insediamento di Aragorn sul trono, la sua assenza aveva turbato e intristito Éowyn. Accanto al fratello, aveva partecipato alle cerimonie, assistito all’incoronazione e al matrimonio del Re con Arwen. Quando i due sposi si erano presentati al popolo in gioia, Éowyn aveva sentito una fitta di dolore ricordando il suo amore per lui.

Vederli l’uno accanto all’altra, sontuosi e chiari, sorridenti nella sicurezza che dava loro la felicità finalmente raggiunta.

 

Éowyn aveva appena intravisto Arwen, giunta da Granburrone con il padre e la gente di Imladris solo qualche giorno prima del matrimonio. Ne aveva ammirato la bellezza senza età, quasi il tempo si fosse scordato di toccarle il viso e le membra delicate; un’antica saggezza rendeva il suo sguardo profondo e calmo, la stessa saggezza di Galadriel, madre di sua madre. Éowyn si era stupita in silenzio nel vedere le due Elfe, separate da un gran numero di anni, eppure quasi simili.

 

In Arwen era acceso un fuoco alto e umano. La speranza di felicità accanto all’uomo amato, dopo lunga attesa, le trasfigurava il volto di gioia. Invece, solo l’espressione dello sguardo rivelava in Galadriel la stanchezza delle lunghe ere passate in lei. Serena e dolcissima, bella come l’aurora, eppure vecchia di innumerevoli anni, era già rivolta ai Porti Grigi, al ritorno a Eressëa. Galadriel esprimeva e partecipava interamente della sua razza, la più antica e la più forte, malata di nostalgia per la Terra di Mezzo quand’era giovane. Arwen, nella sua parte umana, tremava e splendeva d’amore, dimenticando la rinuncia all’immortalità, il distacco dal padre, il dolore di non poterlo rivedere se non forse alla fine dei tempi. Aragorn e il suo destino di donna accanto a lui, amarlo e generare figli che avrebbero raccolto il loro sangue, unendoli per sempre. Essere regina di Gondor e profondere a piene mani la bellezza e la grazia, la musica salutare, il canto di vita eterna proveniente dalla sua parte elfica.

 

Quando, davanti a tutti, popolo e cavalieri, Elfi, Nani e Hobbit, Re Elessar presentò la sua sposa come regina di Gondor, Éowyn sentì il braccio affettuoso di Éomer cingerle le spalle. Il fratello aveva temuto per la salute del suo animo, dopo averla vista risanata nel fisico. Tornato dall’ultima battaglia si era accorto che qualcosa di buono aveva riacceso in lei la vita: gli sguardi discreti e ammirati di Faramir quando si trovava in sua presenza gli avevano dato indizi sicuri di questa rinascita. Éomer conosceva soltanto di fama il capitano Faramir, le tristi vicende della morte del fratello e del padre. Il ritorno del Re pareva aver tolto ogni ruolo a Faramir che, tornato dalle soglie della morte, aveva incontrato Éowyn come un messaggio di speranza. Éomer, forte e temerario, dal sentire deciso, diventava riflessivo solo nei confronti della sorella. Si chiedeva se questo sentimento non fosse un albero sopravvissuto alla tempesta, assetato di pace, ma, dopo aver osservato e parlato con Faramir della gloria di Gondor, dell’alleanza dei loro popoli, della speranza rinata nei cuori, non aveva più avuto timori: Éowyn, accanto a quell’uomo forte e calmo, tenero e capace, avrebbe gustato la pienezza della felicità condivisa. Avrebbe trasformato l’amarezza provata per Aragorn in amore diffuso. Dall’amazzone battagliera e un po’ spigolosa sarebbe sorta una splendida donna; Éomer non temeva più che la tristezza l’uccidesse. Attendeva come un atto previsto che Faramir gli parlasse dell’amore per sua sorella e del desiderio di sposarla.

 

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Alcuni giorni dopo le nozze regali, Éomer si apprestava a partire per Edoras e la sua scorta già attendeva nella prima corte d’entrata di Minas Tirith. Éowyn sedeva alla finestra della sua camera, nella casa che aveva condiviso con il fratello; vestiva un ampio e morbido abito azzurro cupo, i biondi capelli intrecciati le brillavano sulle spalle. Pareva oppressa da un gran peso e volse a Éomer un volto accorato quando questi la chiamò per recarsi al palazzo e prendere congedo dal Re.

 

Nella grande sala del trono Aragorn e Arwen li attendevano per salutarli e porgere loro doni. Presenti gli Hobbit, Legolas e Gimli. Commossi furono i saluti e le promesse di rivedersi presto. Arwen sorrise a Éowyn ringraziandola per la parte avuta nella vittoria e lei chinò il capo con un piccolo sorriso, ma gli occhi erano tristi e cercavano fra gli astanti il volto di Faramir. Mentre suo fratello si congedava e gli Hobbit lo festeggiavano con grandi manifestazioni d’affetto, la fanciulla pensava d’aver sognato le parole e il bacio di Faramir sugli spalti. Non osava chiedere dove si trovasse ma l’aiutò Éomer che, guardandosi intorno, esclamò: “Non potrò salutare il capitano Faramir visto che non è tra noi, e ciò mi spiace.”

Re Elessar rispose a commento di queste parole: “Il mio Sovrintendente si è recato nelle sue terre per accompagnarvi un’avanguardia di cavalieri e soldati: egli assumerà il titolo di principe dell’Ithilien e vi dimorerà, riportando quella bella terra a nuova vita. Vicino a Minas Tirith, oltre che al mio cuore. Sarà presto di ritorno”.

 

Éomer guardò allora la sorella con aria soddisfatta e la vide riprendersi dalla tristezza. Éowyn, senza avvedersene, scosse i capelli, cercò di riavviarli. Le guance le si colorirono e mai parve tanto bella ai suoi amici.

 

In quel mentre, da una porta laterale, apparve un po’ trafelato Faramir. Si era ravviato i capelli, aveva indossato una veste blu su cui spiccava, ricamato sul petto, l’argenteo albero di Gondor. Teneva in mano un cofanetto di legno scuro, intarsiato d’oro e pietre preziose. Chinò il capo salutando la compagnia, si scusò ancora per il ritardo e fermandosi di fronte a Éowyn, accesa in volto e un po’ vergognosa d’essere al centro dell’attenzione, le porse il cofanetto dicendole: “Mia Signora, gli avvenimenti di questi giorni sono stati incalzanti e così meravigliosi che ho peccato di poca assiduità verso di te, ma tu già sapevi che ti avrei chiesta in moglie, certo del tuo assenso. Il Re mi ha sorpreso con un regalo speciale: ha legato l’Ithilien alla mia stirpe. Se vuoi, condividi con me i giorni futuri per farne una terra benedetta. Questo cofanetto contiene il diadema e l’anello che mio padre regalò a mia madre sposandola. Accetta il mio dono e il mio amore, Éowyn!”
Éomer allargò le mani a ventaglio per invitare la sorella ammutolita a rispondere. Sorrideva con aria felice.

“Dove il mio Signore Faramir sarà felice, io sarò felice”, disse allora Éowyn ridiventando pallida.
E Arwen per prima ruppe la commozione scesa sui presenti e deponendo la sua maestà di regina, batté lievemente le mani per la gioia.

 

Grandi scambi di auguri, di felicità, promesse di intervenire al matrimonio che si sarebbe celebrato a Rohan, dove Éowyn sarebbe tornata per qualche tempo, in attesa che si preparasse la dimora nell’Ithilien, a Emyn Arnen. Gimli promise che sarebbe stata costruita in breve spazio di tempo dai Nani della sua famiglia. Gli Hobbit scherzavano fra di loro e Sam fu bersagliato di battute. “Ragazzo mio, il prossimo sei tu. Rosie non ti lascerà sfuggire e con questa epidemia di matrimoni…”, gli disse Frodo, ancora pallido e mal guarito dalle sue ferite interiori.

 

Nella bella confusione che seguì, nessuno notò Faramir avvicinarsi a Éomer, parlargli a lungo con grande serietà e infine stringergli le mani in patto di fratellanza.

I fidanzati, prima della partenza, mentre venivano scambiati gli ultimi saluti, si appartarono per breve tempo oltre la porta da cui era entrato Faramir.

“Mia Signora, lascia la terra natía senza dolore: se un uomo può fare un miracolo io lo farò per te, per renderti felice. E molto spesso vedremo tuo fratello e i nostri amici. Nel frattempo, prima del nostro ricongiungimento, non essere triste perché sarò con te nel pensiero”.

Questo le disse, stringendola a sé, e la baciò con amore.

 

Éowyn, partendo, tenne a lungo il capo rivolto al bivio dove Faramir li aveva accompagnati. Stringeva al petto il cofanetto di legno che le aveva donato.