“Molti incontri” in una notte a Granburrone: i rumori e le musiche della Casa di Elrond

 

 

di Alberto Fedeli

 

 

 

Le arti figurative, o, più in generale, tutte quelle che fanno riferimento all’immagine come componente indispensabile o preponderante, quali la pittura, la fotografia, il cinema e il fumetto, si sono abbondantemente dedicate al mondo di Arda. Il motivo non è difficile da intuire: in primis, lo stesso Tolkien era un bravo disegnatore, come testimoniano le molte immagini, stese con la propria mano, con le quali ha arricchito le sue opere; in secondo luogo perché la sua scrittura si dilunga spesso in ampie descrizioni di paesaggi, luoghi e personaggi, talvolta assumendo connotati decisamente impressionistici e nei quali la parola dello scrittore sembra volersi fare immagine a tutti costi. Il risultato, al netto di qualche dilungamento che forse può risultare scoraggiante almeno per il lettore meno addentro il mondo della Terra di Mezzo, è letteralmente sotto i nostri occhi: innumerevoli artisti coevi, ma soprattutto successivi, si sono cimentati in opere grafiche di un po’ tutte le tecniche e gli stili (disegni, acquerelli, quadri e, perché no, anche cosplay, tatuaggi e body painting)  aventi a oggetto le scene e i personaggi cruciali della storia della Terra di Mezzo, ovvero i paesaggi, siano essi i più idilliaci oppure i più terrificanti e spaventosi.

 

Ciò non può che essere tranquillamente considerato come un successo, per lo meno nella misura in cui ci è concesso supporre che questa fosse l’intenzione dell’Autore. Da ultimo, il cinema e le serie televisive sono intervenuti a man bassa riassumendo le migliaia di immagini e rappresentazioni figurative della narrativa tolkieniana e, di fatto, creando nell’immaginario del pubblico delle rappresentazioni spesso condivise o addirittura consolidate, in quanto sintesi di elaborazioni visive pluridecennali. Non fatichiamo a immaginare, mentalmente, l’aspetto di Gandalf e, bene o male, possiamo supporre la nostra immagine dello Stregone non sia poi così diversa da quella di un altro lettore. Prova ne sia la circostanza che, proprio laddove il cinema o le serie televisive hanno cercato di introdurre elementi visivi innovativi e presuntivamente ritenuti “più adatti ai nostri tempi”, questi elementi nuovi si sono scontrati con la forte componente visiva già contenuta nell’opera originale e poi oggetto di elaborazione da parte dalle arti grafiche e rappresentative. (L’analisi dei risultati e dell’esito di tale “scontro”, e la valutazione delle buone/cattive intenzioni di entrambi gli “schieramenti” esulano però dal tema che qui intendo affrontare).

 

È in realtà vero il luogo comune secondo il quale la nostra cultura si basa sempre più sull’immagine (un esempio potrebbe essere il successo di Instagram e Tik Tok, a discapito di altri social più “verbosi”). Ciò fa sì che la percezione di un’opera d’arte diviene sempre più incentrata sull’aspetto visivo, quando invece sappiamo che essa potrebbe basarsi anche su tutti gli altri aspetti sensoriali. Tralasciando estremi avanguardistici come le opere da toccare, da annusare o, addirittura, da assaggiare (almeno fintanto che si voglia escludere la cucina dal novero delle forme di espressione artistica), quale ultima percezione sensoriale rimane l’ascolto; e la forma d’arte che più a esso è legata indubbiamente la musica. Abbiamo visto che il mondo di Tolkien è visivamente dettagliatissimo; qualcosa sappiamo anche dei sapori e degli odori della Terra di Mezzo (p.es., il coniglio al ragù con le erbe aromatiche di Sam, o la puzza di Gollum, talmente penetrante da far avvertire la sua presenza anche in lontananza): ma i suoni, e, in ispecie, la musica? Cosa sappiamo della musica della Terra di Mezzo?

Il luogo comune cui accennavo sopra potrebbe a questo punto indurci a un errore: quello di pensare che, laddove vi sono migliaia di opere visive, tra quadri, libri illustrati e immagini in movimento, tutti ispirati all’immaginario della Terra di Mezzo, non altrettanto si possa dire delle opere musicali. Si tratterebbe di un errore perché innumerevoli sono i lavori musicali dedicati al mondo di Arda, e coprono davvero tutti i generi, con una prevalenza forse per la musica classica, il folk, il rock progressivo, la new age e l’heavy metal. Una distinzione ancora più generale, e che travalica i generi stessi è però bene farla identificando due grosse categorie di “musica tolkeniana” (questa espressione è stata utilizzata, p. es., dal compositore contemporaneo Edoardo Volpi Kellermann): a) la musica ispirata alla Terra di Mezzo; e b) la musica della Terra di Mezzo. Con la prima locazione intendo riferirmi a tutti i lavori musicali in qualche modo ispirati all’immaginario tolkieniano, di opere, cioè, che interpretano, rielaborano e, infine, fanno propri i personaggi e le vicende della Terra di Mezzo. Un celebre esempio, tra i tantissimi che si potrebbero fare, è la canzone “The Battle of Evermore” dei Led Zeppelin:

 

La regina della luce s’inchinò

Si voltò per andarsene

Il principe della pace abbracciò l'oscurità

E camminò tutta la notte da solo



Oh, balla nel buio della notte

Il signore oscuro cavalca in forze, stanotte

E il tempo ci dirà tutto

Oh, lascia la zappa e l’aratro

 

Fianco a fianco aspettiamo la notte

La notte più oscura di tutte

Sento il tuono dei cavalli

Giù nella valle

Aspetto gli angeli di Avalon

E il bagliore orientale

 

Le mele della valle tengono

I mari della felicità

Il terreno è ricco grazie tenere cure

Sii riconoscente e non dimenticare

 

Le mele diventano marce e nere

Il volto del tiranno è arrossito

Oh, “guerra” è il grido comune

Il cielo è colmo di buoni e cattivi

Che i mortali non riconoscono mai

 

Oh, la notte è lunga

Le perline che segnano il tempo scorrono lente

 
Occhi stanchi sull'alba

Aspettano il bagliore dall’est

 

Il dolore della guerra non può eccedere

I danni delle conseguenze

I tamburi scuoteranno le mura del castello

Gli spettri dell'anello cavalcano in nero


Canta, mentre alzi l'arco

Nessun conforto la notte offre il fuoco

Che illumina il viso freddo

Oh, balla nel buio della notte

 

Le rune magiche sono scolpite in oro

Per ripristinare l'equilibrio

Finalmente splende il sole

Le nuvole blu scorrono

Sulle fiamme del drago delle tenebre

E la luce del sole gli acceca gli occhi

[Jimmy Page-Robert Plant, The Battle of Evermore, dall’omonimo quarto album dei Led Zeppelin, traduzione mia]

 

Un simile testo appare neppure troppo velatamente ispirato alle opere di Tolkien, ma è difficile collocarlo all’interno del corpus storico della Terra-di-Mezzo. Vi sono riferimenti agli Spettri degli Anelli e ai tamburi dell’esercito, che sembrano riportare il tutto alle vicende del Signore degli Anelli e, in ispecie, al terzo volume, se non fosse che, all’epoca dei fatti narrati nel “Ritorno del Re”, gli Spettri dell’Anello non cavalcavano più, essendo i loro neri destrieri stati annientati da Elrond al termine della prima parte del primo volume. Sembrano esserci riferimenti alla Contea (l’abbandonare la falce e l’aratro sembra alludere all’incombenza a carico dei quattro hobbit di abbandonare i campi e gli orti che caratterizzano la terra natìa per sobbarcarsi il destino dell’Anello, e quindi, del Mondo), ma anche al drago costretto alla fine ad affrontare la luce del sole, il che sembra quindi riportare alle vicende di Bilbo narrate nello Hobbit. E, a complicare il tutto, vi è un riferimento agli “Angeli di Avalon”: il termine Avalon sembrerebbe essere un a-tecnicismo per riferirsi al più tolkieniano Valinor. Quindi, la canzone in esame, è un’opera musicale smaccatamente ispirata a Tolkien, ma non sarebbe credibile qualora venisse inserita in un contesto che volesse riprodurre le vicende narrate; d’altronde, è più che lecito supporre che questa nemmeno fosse l’intenzione degli autori, i quali hanno probabilmente inteso realizzare un pezzo hard rock che traesse la propria ispirazione nelle opere di uno scrittore dagli stessi molto ammirato (Robert Plant, cantante dei Led Zeppelin e autore del testo, risulta essere infatti un appassionato lettore di Tolkien).

 

Solo per maggiore completezza, si può poi qui accennare anche alle produzioni del nostrano cantautorato “di destra” (cioè a band come Compagnia dell’Anello, Settimo Sigillo, ecc.) e a quella della controversa scena black metal norvegese (Burzum, Gorgoroth, ecc.). In questa sede tralascio volutamente la prima, trattandosi in primis di un fenomeno quasi esclusivamente italiano e, in seconda istanza, di importanza trascurabile, visto lo scarso riscontro ottenuto al di fuori dello stretto ambito politico al quale esso ha inteso rivolgersi.

 

Il black metal norvegese potrebbe già rivestire un maggiore interesse, dati non solo il riscontro ottenuto da queste band in tutti e cinque i continenti, ma soprattutto al fine di condurre un’analisi sulla fascinazione per il male e per il brutto, di cui, almeno a mio parere, Tolkien non sarebbe probabilmente andato orgoglioso: nella sua opera, infatti, è quasi una costante l’assimilazione del male al brutto e, spesso, i personaggi malvagi sono anche brutti (o, al massimo, imbruttiti progressivamente in maniera parallela all’aumentare della loro corruzione morale: il personaggio più interessante, sotto questo aspetto, è indubbiamente Sméagol/Gollum).

 

Diversamente, la musica della seconda categoria che Volpi Kellermann  ha individuato, ambisce a essere una possibile musica della Terra di Mezzo. Vuole cioè rappresentar(ci) ciò che, plausibilmente, gli Elfi, gli Hobbit e gli Uomini avrebbero potuto ascoltare nel loro mondo. Anche in questo caso vale citare un esempio tra i tanti, e cioè l’ensemble denominato semplicemente The Fellowship diretto dal compositore Carvin Knowles (da non confondere con un’altra omonima band heavy metal e con altri, simili nel nome, se non proprio omonimi, collettivi dediti alla musica liturgica o a tematiche della religione cristiana): il progetto, in questo caso, mira dichiaratamente a musicare i testi delle poesie e dei canti di Tolkien, cercando di trarre il maggior numero possibile di informazioni dalle indicazioni contenute nei suoi testi e cercando di rappresentare, nella misura il più plausibile possibile, come avrebbe potuto suonare la musica della Terra di Mezzo. Sebbene l’ispirazione, almeno a un ascolto superficiale, possa ancora rimandare alle solite atmosfere musicali “celtiche”, in realtà, come anche dichiarato dagli autori, vi sono anche influenze derivanti dalla Lingua Ignota di Ildegarda di Bingen, dei “Carmina Burana”, delle danze popolari macedoni, del canto gregoriano e delle danze polifoniche tardo medioevali e della musica modale di derivazione antico-greca. La strumentazione è interamente acustica e comprende strumenti moderni e antichi, come arpa, liuto, ghironda, krumhorn e gong. L’organico ha prodotto un album, intitolato “In Elven Lands”, originariamente edito nel 2006 dall’etichetta discografica Voiceprint, celebre tra gli appassionati di prog rock e che vedeva la partecipazione, tra i tanti, di Jon Anderson, cantante del gruppo rock Yes; il lavoro e stato poi ripreso e rivisto con altri musicisti in una nuova edizione del 2012.

 

Vi sarebbe poi una categoria “intermedia” tra quelle che ho delineato: le colonne sonore di opere cinematografiche, televisive o teatrali. A mio parere, poiché esse si rivolgono indubbiamente allo spettatore, sono da avvicinarsi alla prima categoria che ho individuato, quella che vorrebbe raggruppare la musica sulla Terra di Mezzo. Volendo però maggiormente sofisticare il ragionamento, ci accorgiamo che la colonna sonora accompagna l’azione, i pensieri, gli umori e le sensazioni dei personaggi della storia; in questo senso, si potrebbe anche forse considerare musica della Terra di Mezzo, almeno nella misura in cui si è disposti a considerarla come sgorgante dalla storia, dai personaggi. Senza una scena di tensione contenuta nella storia, almeno in linea teorica, il compositore non avrebbe motivo di rilasciare della musica di commento alla scena di tensione, ma la riserverebbe “nel cassetto”, qualora fosse già stata composta prima del film/serie televisiva, per altri lavori o altre colonne sonore.

 

Nel prosieguo di questo breve articolo, lascerò da parte la musica della prima categoria (quella della musica sulla Terra di Mezzo) e le colonne sonore, per concentrarmi unicamente sulla seconda categoria di musiche (quelle della Terra di Mezzo). Il lettore interessato a fare una ricerca sulla miriade di opere musicali ispirate a Tolkien non posso che rimandarlo alle fonti reperibili sulla Rete con l’utilizzo dei motori di ricerca: le liste e i cataloghi di “musica tolkeniana” sono davvero tanti, e qui mi sento di segnalarne almeno un paio, che possono poi costituire lo sviluppo per ulteriori approfondimenti. Il sito più completo è indubbiamente la Tolkien Music List (https://www.tolkien-music.com/), peraltro costantemente aggiornato, che si sforza di catalogare tutte le canzoni o composizioni musicali attinenti alla letteratura tolkieniana. Chiunque si ritenga un estimatore di uno o più cantanti, musicisti o gruppi musicali, non avrà di che sbizzarrirsi nel cercarli sulla lista, e molto probabilmente potrà anche verificare con una piccola soddisfazione che, effettivamente, anche artisti non propriamente dediti al fantasy o ai mondi fantastici, vi sono inclusi. Un altro interessante punto di partenza è l’articolo “Tolkieniana – Il suono cangiante della Terra di Mezzo”, pubblicato sulla webzine italiana Ondarock (https://www.ondarock.it/speciali/playlist-tolkieniana.htm/) che contiene altresì una playlist di 40 brani, selezionati dall’autore stesso dell’articolo.

 

Dicevo che intendo qui proseguire il discorso sulla musica della Terra di Mezzo, ossia la musica (ovviamente fantastica) che avrebbero potuto ascoltare gli Elfi e gli altri popoli della Terra di Mezzo. Il fatto che diventiamo sempre più una società basata sulla cultura dell’immagine, cioè sull’aspetto visivo a scapito degli altri tipi di percezione sensoriale, fa sì che, mentre leggiamo un’opera letteraria, e nella nostra mente si formano soprattutto immagini, statiche o in movimento, trascuriamo di considerare, quasi sempre incolpevolmente, che il mondo fantastico del professore inglese è tanto “auditivo”, almeno quanto lo stesso è “visivo”. Il Signore degli Anelli è innanzitutto disseminato di canti e canzoni: dalle festose canzoncine hobbit, alle incantevoli melodie elfiche che narrano gli eventi dell’antichità, fino ai canti al ritmo dei tamburi di guerra degli eserciti. A tal riguardo, viene da supporre che la trasmissione della storia e la memoria, nella Terra di Mezzo, avvengano prevalentemente per via orale, tramite il canto, sebbene noi sappiamo dell’esistenza di copiose raccolte di libri nella Contea, a Gran Burrone o nei Regni degli Uomini. Allo stesso tempo, però, non ci sono descrizioni dettagliate di arpe, violini, trombe o altri strumenti a noi ignoti, né vi sono trascrizioni di melodie, così come niente sappiamo delle scale e delle armonie utilizzate. In fondo, niente ci autorizza ad assumere che le musiche di Elfi e Uomini utilizzino il sistema tonale occidentale: a mio parere questo sarebbe un errore derivante dall’assimilazione forse un po’ troppo scontata delle ambientazioni tolkieniane a un immaginario quasi esclusivamente celtico e medioevale, quando in realtà vi confluiscono anche elementi culturali mutuati, p. es., dalla civiltà greca o dell’Antico Egitto (si veda, per esempio la descrizione della civiltà di Númenor e i nomi dei regnanti e se ne confronti la storia con il mito di Atlantide), dalla storia della colonizzazione del continente americano (la breve introduzione del Signore degli Anelli sull’erba-pipa sembra rimandare all’importanza che ebbe il tabacco nello sviluppo economico del Nuovo Continente) o, ancora, dalle civiltà native americane (difficile non assimilare la tribù degli Uomini Selvaggi che il lettore incontra nel terzo volume della trilogia, a una tribù di apache o sioux, per lo meno così come ci sono stati trasmessi dai film western).

 

D’altronde Tolkien non era un musicista. Egli era però un appassionato filologo, e la “musicalità” e i “suoni” della voci e dei diversi linguaggi dei popoli della Terra di Mezzo permeano costantemente le pagine della narrativa tolkeniana.

 

Anzitutto, Arda stessa viene creata attraverso il canto degli Ainur, e sempre in un canto si risolverà il suo ultimo destino:

 

Esisteva Eru, l'Uno, che in Arda è chiamato Ilúvatar; ed egli creò per primi gli Ainur, i Santi, rampolli del suo pensiero, ed essi erano con lui prima che ogni altro fosse creato. Ed egli parlò loro, proponendo temi musicali; ed essi cantarono al suo cospetto, ed egli ne fu lieto. A lungo cantarono soltanto uno alla volta, o solo pochi insieme, mentre gli altri stavano ad ascoltare; ché ciascuno di essi penetrava soltanto quella parte della mente di Ilùvatar da cui proveniva, e crescevano lentamente nella comprensione dei loro fratelli. Ma già solo ascoltando pervenivano a una comprensione più profonda, e s’accrescevano l’unisono e l’armonia.

E accadde che Ilùvatar convocò tutti gli Ainur ed espose loro un possente tema, svelando cose più grandi e più magnifiche di quante ne avesse fino a quel momento rivelate; e la gloria dell’inizio e lo splendore della conclusione lasciarono stupiti gli Ainur, sì che si inchinarono davanti a Ilùvatar e stettero in silenzio.

Allora Ilùvatar disse: ‘Del tema che vi ho esposto, io voglio che voi adesso facciate, in congiunta armonia, una Grande Musica. E poiché vi ho accesi della Fiamma Imperitura, voi esibirete i vostri poteri nell’adornare il tema stesso, ciascuno con i propri pensieri e artifici, dove lo desideri. Io invece siederò in ascolto, contento del fatto che tramite vostro una grande bellezza sia ridesta in canto.’

Allora la voce degli Ainur, quasi con arpe e liuti, e flauti e trombe, e viole e organi, quasi con innumerevoli cori che cantassero con parole, prese a plasmare il tema di Ilùvatar in una grande musica; e si levò un suono di melodie infinitamente avvicendantisi, conteste in armonia, che trascendevano l’udibile in profondità e altezza, e i luoghi della dimora di Ilùvatar ne erano riempiti a traboccarne, e la musica e l’eco della musica si spandevano nel Vuoto, ed esso non era vacuo. Mai prima gli Ainur avevano prodotto una musica simile, benché sia stato detto che una ancora più grande sarà fatta al cospetto di Ilùvatar dai cori degli Ainur e dei Figli di Ilùvatar dopo la fine dei giorni. Allora i temi di Ilùvatar saranno eseguiti alla perfezione, assumendo Essere nel momento stesso in cui saranno emessi, che tutti allora avranno compreso appieno quale sia il suo intento nella singola parte, e ciascuno conoscerà la comprensione di ognuno, e Ilùvatar conferirà ai loro pensieri il fuoco segreto, poiché sarà assai compiaciuto.

 [J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, trad. Francesco Saba Sardi, ed. Rusconi, pag. 11-12]

 

Anche il male stesso nasce da un canto, questa volta dissonante e ribelle, e la prima guerra di Arda è proprio una guerra di suoni:

 

Ora però Ilùvatar sedeva ad ascoltare, e a lungo gli parve che andasse bene, perché nella musica non erano pecche. Ma, col progredire del tema, nel cuore di Melkor sorse l’idea di inserire trovate frutto della propria immaginazione, che non erano in accordo con il tema di Ilùvatar, ed egli con ciò intendeva accrescere la potenza e la gloria della parte assegnatagli. (…) Standosene solo, aveva però preso a concepire pensieri suoi propri, diversi da quelli dei suoi fratelli.

Alcuni di questi pensieri li contessé ora nella sua musica, e attorno a lui subito fu discordanza, e molti che vicino a lui cantavano si scoraggiarono, il loro pensiero fu deviato, la loro musica si fece incerta; altri però presero a intonare la propria a quella di Melkor, anziché al pensiero che avevano avuto all’inizio. Allora la dissonanza di Melkor si diffuse vieppiù, e le melodie che prima s’erano udite naufragarono in un mare di suoni turbolenti. Ma Ilùvatar continuò a sedere in ascolto, finché parve che attorno al suo trono infuriasse una tempesta come di nere acque che si muovessero guerra a vicenda, in un’ira senza fine e implacabile.

Poi Ilùvatar si alzò, e gli Ainur si avvidero che sorrideva; e Ilùvatar levò la mano sinistra, e un nuovo tema si iniziò frammezzo alla tempesta, simile e tuttavia dissimile dal precedente, e acquistò potenza, e assunse nuova bellezza. Ma la dissonanza di Melkor aumentò in fragore, con esso contendendo, e ancora una volta s’ebbe una guerra di suoni più violenta della prima, finché molti degli Ainur ne restarono costernati e più non cantarono, e Melkor ebbe il sopravvento. Allora Ilùvatar tornò a levarsi, e gli Ainur s’avvidero che la sua espressione era severa; e Ilùvatar alzò la mano destra, ed ecco, un nuovo tema si levò di tra lo scompiglio, ed era dissimile dagli altri. Poiché sembrò dapprima morbido e dolce, una semplice increspatura di suoni lievi in delicate melodie; ma era impossibile soverchiarlo, e assunse potenza e profondità. E sembrò alla fine che vi fossero due musiche che procedevano contemporaneamente di fronte al seggio di Ilùvatar, ed erano affatto diverse. L’una era profonda e ampia e bella, epperò lenta e impregnata di un’incommensurabile tristezza, onde soprattutto ricavava bellezza. L’altra aveva ora acquisito una coerenza sua propria; ma era fragorosa, e vana, e ripetuta all’infinito; e aveva scarsa armonia, ma piuttosto un clamoroso unisono come di molte trombe che emettessero poche note. Ed essa tentava di sovrastare l’altra musica con la violenza della propria voce, ma si aveva l’impressione che le sue note anche le più trionfanti fossero sussunte da quella e integrate nella sua propria, solenne struttura.

Nel bel mezzo di questa contesa, mentre le aule di Ilùvatar oscillavano e un tremore si diffondeva nei silenzi ancora immoti, Ilùvatar si alzò una terza volta, e il suo volto era terribile a vedersi. Ed egli levò entrambe le mani e con un unico accordo, più profondo dell’Abisso, più alto del Firmamento, penetrante come la luce dell’occhio di Ilùvatar, la Musica cessò.

[J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, trad. Francesco Saba Sardi, ed. Rusconi, pag. 11-12]

 

Ilùvatar annuncia quindi agli Ainur che il canto continuerà a risuonare nella Storia attraverso le Ere per tramite della Natura:

 

Gli altri Ainur però guardavano questa dimora collocata nei vasti spazi del Mondo, che gli Elfi chiamano Arda, cioè Terra; e i loro cuori si illuminarono ed esultarono, e i loro occhi che scorgevano molti colori erano pieni di gioia; ma grande fu l’inquietudine prodotta in loro dal fragore del mare. E osservarono i venti e l’aria, e le cose di cui Arda era fatta, ferro e pietra, argento e oro e molte altre sostanze; ma di tutte, l’acqua fu quella che massimamente apprezzarono. E si dice, dagli Eldar, che nell’acqua tuttora viva l’eco della Musica degli Ainur più che in ogni altra sostanza reperibile su questa Terra; e molti dei Figli di Ilùvatar continuano a prestare orecchio insaziato alle voci del Mare, pur senza capire che cosa odano.

[J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, trad. Francesco Saba Sardi, ed. Rusconi, pag. 16].

 

 

L’Ainulindalë (“La musica degli Ainur”), ossia la prima sezione del Silmarillion è seguito dal “Valaquenta” (“Il novero dei Valar”) e, anche qui, troviamo ulteriori specificazioni di come i Valar (cioè quegli Ainur dimoranti su Arda a Valinor) si presentavano agli abitanti di Arda non solo nell’aspetto visivo, ma anche in quello musicale o, almeno, sonoro:

 

Le trombe di Manwë sono fragorose, ma la voce di Ulmo è profonda come le profondità dell’oceano che lui solo ha visto.

(…) A volte egli approda, non visto, alle rive della Terra-di-mezzo o si spinge all’interno lungo estuari, e quivi intona musica con i suoi grandi corni, gli Ulumùri, che sono ricavati da candide conchiglie; e coloro ai quali quella musica giunge, sempre poi la odono nei propri cuori, e il desiderio del mare mai più li abbandona. Ma, soprattutto, Ulmo parla a coloro che abitano nella Terra-di-mezzo con voci che sono udite soltanto come musica dell’acqua, poiché tutti i mari e i laghi, i fiumi, le fonti e le sorgenti sono sotto il suo dominio.

[J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, trad. Francesco Saba Sardi, ed. Rusconi, pag. 25].

 

(..) Nienna, sorella dei Fëanturi; essa dimora da sola. Le è noto il dolore, e si lamenta d’ogni ferita sofferta da Arda per i guasti di Melkor. Così grande fu la sua pena quando la Musica eruppe, che il suo canto si trasformò in lamento assai prima che terminasse, e il suono luttuoso fu integrato nei temi del Mondo prima che questo avesse inizio. Ma essa non piange per sé; e coloro che la odono, apprendono la pietà e a perseverare nella speranza.

[J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, trad. Francesco Saba Sardi, ed. Rusconi, pag. 27].

 

La sposa di Oromë è Vana, la Sempregiovane; è la sorella minore di Yavanna; (…) al suo giungere cantano tutti gli uccelli.

[J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, trad. Francesco Saba Sardi, ed. Rusconi, pag. 28].

 

E molti altri ancora sono i riferimenti all’essenza “musicale” o “sonora” dei Valar descritti nel primo capitolo e nei successivi del Quenta Silmarillion (“La storia dei Silmaril”) e l’apprendimento dell’arte musicale in particolare da parte delle popolazioni elfiche, ma anche dagli animali e dagli Uomini. Mi sento in particolare degno di nota il seguente passaggio:

 

“Sebbene, per chi sia fuori del Mondo, tutte le cose possano, e con molto anticipo, essere pensate in musica o preannunciate in visione, da chi sia entrato in Eä saranno accolte, al loro primo apparire, come nuove e impreviste.”

[J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, trad. Francesco Saba Sardi, ed. Rusconi, pag. 54].

 

che sembra assimilare la musica all’attività divinatoria, al pari della visione.

Forte di questi spunti, è arrivato quindi il momento, per me, di esplicitare quella che è l’intenzione di questo mio articolo, ossia quella di suggerire al lettore di Tolkien, novizio o abituale ‘frequentatore’ dei regni e dei luoghi tolkieniani, un nuovo tipo di lettura: vorrei cioè proporre al lettore di fare un esperimento. Prima di accingersi alla lettura di un brano estratto dal Silmarillion o dal Signore degli Anelli, di “chiudere gli occhi” (ossia, di mettere quantomeno in secondo piano quella parte dell’immaginazione deputata al vedere, al prefigurarsi immagini di scene, ambienti e luoghi) e lasciarsi guidare prevalentemente, se non esclusivamente, da ciò che invece potrebbe sentire. Sono sicuro che, al termine di questo tipo di lettura, il lettore ne uscirebbe ampiamente soddisfatto, perché pochi altri romanzi contemporanei come il Signore degli Anelli possono essere così cantati e “uditivi” come lo erano solo le antiche il ciclo arturiano, le leggende tedesche o nordiche o, ancora, i poemi omerici o quelli cavallereschi medioevali.

 

Procederò quindi ora a un esempio di lettura di questo tipo scegliendo il primo capitolo della seconda parte della “Compagnia dell’Anello”, intitolato, nella traduzione italiana, “Molti Incontri”, dove si narra l’arrivo di Frodo e degli altri hobbit a Gran Burrone, dopo essere sfuggiti ai Cavalieri Neri con l’aiuto di Glorfindel, Gandalf ed Elrond e prima che si tenga il Consiglio che prenderà la decisione sulla sorte dell’Anello. Ho scelto questa parte perché in essa si descrive bene la Casa di Elrond, che, come precisa anche Gandalf nella storia, è impermeabile al male (anche se non lo è in senso assoluto, come vedremo tra poco) e perché sembra essere quello che oggi, nel nostro mondo, si potrebbe definire un luogo di “incrocio e confronto” di culture: la Casa di Elrond, infatti, non è abitata solo da Elfi, ma vi accedono anche gli Uomini e persino i Nani (a differenza di Lothlòrien, dove che sembra maggiormente risentire della antica rivalità tra il popolo degli Elfi e quello dei Nani) e, in seguito all’arrivo di Bilbo Baggins, pure degli hobbit.

 

(Altre parti interessanti per un tipo di lettura come quello che intendo condurre, potrebbero essere i capitoli dedicati a Tom Bombadil (che si presenta e viene chiamato in aiuto attraverso il canto, così come sconfigge lo Spettro dei Tumuli proprio con il canto). A Tom Bombadil, peraltro, Tolkien ha dedicato una piccola raccolta di poesie e canzoni (Le Avventure di Tom Bombadil), mentre dovrebbe addirittura apparire fin troppo scontato, in questa sede, suggerire al lettore di immaginare il dialogo tra Gandalf e Saruman, la cui Voce è dallo stesso stregone utilizzata al fine di persuadere e comandare, oppure certi personaggi come Radagast, colui che degli Istari è il più legato alla Natura e comunica con gli uccelli e le aquile utilizzando la loro lingua. Però, in questo articolo scelgo di concentrarmi e focalizzarmi sulle scene di Granburrone)

 

Il capitolo dedicato a Gran Burrone si presenta già dall’inizio con questa scena:

 

Svegliandosi, Frodo si trovò coricato a letto.  (...) il soffitto era strano e sconosciuto: piatto, e con travi scure finemente intagliate. Rimase qualche minuto a guardare i raggi del sole sul muro, ascoltando il suono di una cascata.

[J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, trad. Vicky Alliata di Villafranca, ed. Rusconi, pag. 282].

 

 

Alla luce delle citazioni dei capitoli iniziali del Silmarillion che ho riportato sopra, non dovrebbe più stupirci che il suono dell’acqua non è altro che la Musica Iniziale degli Ainur: come abbiamo visto, proprio l’acqua è l’elemento privilegiato attraverso il quale questo canto arriva in Arda e, pertanto, non può che essere questo suono ad accogliere la ripresa dei sensi dello hobbit Frodo dopo il compimento di un impresa enorme, ossia l’essere riuscito ad impedire che i Cavalieri Neri rientrassero in possesso dell’Anello. Questa “musica dell’acqua” è, oltre che una ricompensa, soprattutto un forte messaggio di speranza nella vittoria del bene, che sembra preannunciare all’hobbit la riuscita – seppure tra moltissime sofferenze e dolori – della missione che gli verrà assegnata al termine del Consiglio.

 

Ad accogliere Frodo, al risveglio a  Granburrone, troviamo lo Stregone Gandalf, il quale, preoccupandosi di non affaticare l’amico, sceglie di non indulgere troppo nei discorsi e nei chiarimenti, lasciando che in sua vece, a parlare, sia il rumore delle cascate (o almeno così possiamo supporre), e interrompendo il silenzio (nel senso che non vi è dialogo tra i presenti) soltanto con gli sbuffi della sua pipa. Quindi, di fronte alle insistenze delle hobbit, Gandalf cede parzialmente e racconta Frodo quanto strettamente necessario affinché egli capisca gli avvenimenti degli ultimi giorni, prima di lasciarlo nuovamente riposare.

 

Al risveglio, Frodo scopre di avere “di desiderare cibo e bevande e canti e racconti” e si sorprende a fischiettare un motivo davanti allo specchio, quasi a voler accompagnare la propria immagine riflessa (che non contemplava probabilmente dalla partenza da Brea) con un commento sonoro. Ciò che incontrerà a Gran Burrone a Frodo (e al lettore) viene preannunciato da Sam, giunto nel frattempo nella sua stanza del suo padrone:

 

«Questa è una casa grande, e molto bizzarra; c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire, e non si sa mai cosa ci può essere dietro il prossimo angolo. Ed Elfi, signore! Elfi qua, ed Elfi là! Alcuni terribili e splendenti come re; altri allegri come bambini. E la musica, e i canti… Non che io abbia avuto tempo o voglia di ascoltare molto dal giorno del nostro arrivo, però. Ma pian piano sto imparando alcune abitudini del posto».

[J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, trad. Vicky Alliata di Villafranca, ed. Rusconi,pag. 288-289].

 

Quindi, dopo aver rassicurato il proprio servitore (“questa sera devi stare allegro, e ascoltare quanto vuoi”), Frodo chiede a Sam di guidarlo per i corridoi della Casa di Elrond. E qui diviene interessante notare come, mano mano che visitano i corridoi, le stanze e le scale, giungono infine al giardino vicino all’argine del Fiume Bruinen, dove  “il rumore dell’acqua che scorreva e scrosciava era forte”. È facile accompagnare il ristoro che finalmente gli hobbit possono godere dopo essere scampati a terrificanti pericoli (e prima di accingersi ad affrontarne altri, sebbene al momento ancora non lo sappiano) con un rigoglioso canto dell’acqua, che a sua volta riporta quello, ancora più rigoglioso, degli Ainur narrato nel Silmarillion.

 

“Sento che canterei, se sapessi la canzone adatta all’occasione”, riflette Pipino, nel frattempo anch’egli giunto insieme a Gandalf, e qui non possiamo che ‘solidarizzare’ con l’hobbit: difficile, per un semplice hobbit, trovare una musica che possa esprimere la gioia di trovarsi al cospetto della Natura e all’eco del suo canto originario.

 

Frodo viene quindi condotto nel salone di Elrond, dove può finalmente incontrare il Signore del luogo, oltre a Glorfindel (la cui voce era “soave come musica”), ad Arwen, la bellissima figlia di Elrond, il Nano Glòin (già compagno dello zio Bilbo nello “Hobbit”), suo compagno di tavolo al banchetto organizzato dallo stesso Signore della Casa. Al termine del banchetto Frodo viene quindi condotto al Salone del Fuoco, e questa volta tocca a Gandalf anticipare allo hobbit ciò che potrà sperimentare: “Qui sentirai canti e racconti… se riuscirai a rimanere sveglio”. Ciò che ora Gandalf preannuncia allo hobbit (e, con lui, a noi che leggiamo il libro), sono gli attributi onirici/divinatori del canto elfico, che già abbiamo incontrati nel Quenta Silmarillion. All’ingresso di Elrond nel Salone del Fuoco, i menestrelli elfici “si misero a suonare dolcemente”.

 

E finalmente, Frodo può incontrare lo zio Bilbo, a sorpresa, dopo averlo tanto desiderato; Bilbo che, guarda caso, è assorto nella creazione di un canto, che non riesce a terminare, e per il quale compito auspica l’aiuto di Aragorn. La musica degli elfi viene quindi messa momentaneamente in disparte, per divenire non più protagonista del luogo, ma parte dell’ambiente (e, qui, mi sia permesso ricordare la definizione di ambient music che diede Brian Eno, ossia di “musica che si può ascoltare anche senza che ad essa sia rivolta l’attenzione prevalente o esclusiva dell’ascoltatore”), per fare posto al dialogo dei due hobbit (“Chiacchieravano a bassa voce, dimentichi dell’allegria e della musica nel salone intorno a loro”). Ma, attenzione: se la musica elfica diviene parte dell’ambiente, sopra la stessa sembra innestarsi e acquisire un piano di rilievo quella dell’anziano Hobbit, finalmente “accontentato” nell’intuibile sua ambizione di avere, per una volta, un ascoltatore interessato non solo per mera cortesia:

 

«Ho composto qualche canzone. Le cantano di tanto in tanto: solo per farmi piacere, credo; perché è chiaro che in fin dei conti non sono abbastanza belle per Gran Burrone. E poi ascolto, e rifletto.»

[J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, trad. Vicky Alliata di Villafranca, ed. Rusconi, pag. 295].

 

Poco dopo succede qualcosa d’altro di rilevante. Bilbo, mai liberatosi del tutto dalla brama di ritornare in possesso dell’Anello (cosa impossibile probabilmente per chiunque sulla Terra di Mezzo), con avidità chiede al nipote Frodo di mostrarglielo. È in questo momento che si verifica un vero e proprio, sebbene momentaneo, offuscamento dello spirito gioioso e sapiente che permea la Stanza del Fuoco, dovuto alla comparsa sulla scena del Male, del quale l’Unico Anello è il simbolo più potente. Il tutto viene sottolineato a livello sonoro con una semplicità estrema:

 

“La musica e i canti intorno a loro parvero svanire, e vi fu un profondo silenzio.”

[J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, trad. Vicky Alliata di Villafranca, ed. Rusconi, pag. 296].

 

Cambiano le persone (Bilbo, da sereno anziano autore di canti, diviene un vecchio avvizzito e avido) e gli ambienti (svaniscono le musiche): ‘sotto i riflettori’ (come diremmo oggi, la scena è dell’Anello. Ma per fortuna è solo un attimo, anche se probabilmente interminabile. Davanti all’esitazione di Frodo, Bilbo rinsavisce e rinuncia alla vista dell’agognato Anello; così i due hobbit riescono a scacciare il Male da uno dei luoghi della Terra di Mezzo dove più difficilmente lo stesso riesce a penetrare, e ciò viene ancora sottolineato in maniera ‘musicale’ come segue:

 

Frodo nascose l’Anello, e l’ombra scomparve lasciando soltanto un vago ricordo. La luce e la musica di Gran Burrone lo circondavano.

[J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, trad. Vicky Alliata di Villafranca, ed. Rusconi, pag. 296].

 

Segue quindi l’arrivo dell’atteso Aragorn che aiuta Bilbo a terminare il canto in fase di composizione e Frodo rimane solo. Ed è in questo punto che interviene una delle più belle descrizioni reperibili nella letteratura contemporanea del potere estatico e divinatorio della musica. Vale la pena riportarla per l’intero.

 

(...) coloro che gli stavano vicini erano silenziosi, rapiti dalla musica di voci e strumenti, e non badavano ad altro. Frodo si mise ad ascoltare.

Sulle prime la bellezza delle melodie intrecciate alle parole di lingua elfica lo avvolse come un incantesimo, benché egli non capisse molto di ciò che veniva cantato. Ciò nonostante pareva quasi che le parole prendessero corpo e gli rivelassero visioni di terre lontane e cose luminose che non aveva mai in vita sua immaginate; e il salone illuminato dal fuoco non fu più che una nebbia dorata su mari di schiuma che sospiravano ai margini del mondo. Poi il sortilegio si fece sempre più simile ad un sogno ed egli ebbe l’impressione che un fiume interminabile d’oro e d’argento si espandesse, ricoprendolo, troppo immenso per poterne discernere i contorni; diventò

parte dell’aria vibrante intorno a lui, lo intrise e lo affogò. Sotto quel peso luminoso affondò nel profondo regno del sonno. Ivi errò a lungo in un sogno di musica che si trasformava in acqua gorgogliante e poi all’improvviso in una voce. Pareva la voce di Bilbo che cantava versi. Vaghe all’inizio, le parole si fecero più chiare.

[J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, trad. Vicky Alliata di Villafranca, ed. Rusconi, pag. 297-298].

 

 

In questo passo ci sono diversi punti che ci interessano, per la nostra analisi: anzitutto troviamo il rapimento estatico, non solo dello hobbit Frodo, ma anche degli altri presenti nel Salone. Poi c’è un punto molto interessante: Frodo non capisce le parole di ciò che viene cantato, eppure gli trasmettono visioni oniriche, lo rapiscono e si trasformano in visione. Quante volte abbiamo amato e siamo stati rapiti da una composizione o una canzone di cui non capiamo il significato delle parole, eppure accettiamo il viaggio emotivo che tale musica ci propone? Si tratta quasi sicuramente di un’esperienza molto antica, che risale al tempo in cui noi esseri umani cominciavamo ad articolare i nostri diversi linguaggi, e le parole portavano con sé dei connotati musicali, cioè legati al suono, e che potevano comunicare, a seconda dei contesti, aggressività, dolcezza, paura…

 

Il suono si trasforma quindi in luce e poi abbiamo la ripresa di quello che ormai sembra essere un vero e proprio leit-motiv del Signore degli Anelli, e cioè il trasparire del Canto degli Ainur attraverso il suono dell’acqua, che riconduce Frodo al posto in cui il suo corpo si trova, sebbene nel frattempo si sia addormentato; e il suono dell’Acqua si trasforma quindi nella voce di Bilbo che sta cantando la storia del padre di Elrond, Eärendil, e della sua sposa Elwing, che gli donò uno dei tre Silmaril. Di questo canto riporto qui solo alcuni passi, quelli che ritengo essere i più attinenti alla nostra analisi.

 

(…)

Ove prima che iniziassero i giorni vi erano terre,

Nella Notte del Nulla, nelle ombre frementi, udì su rive di perle

Ove frangono i flutti, ove muoiono i mondi,

Una musica eterna vibrare

Tra l’oro e le gemme trasportate dal mare.

 

(…)

[A Valinor, ndr] placò la stanchezza del viaggio,

Imparando melodie soavi,

Ascoltando come in miraggio,

I racconti e le storie degli avi.

Lo vestirono di elfico bianco,

 

(…)

Sulla Terra di Mezzo passò volando

E udì i lamenti, la tristezza ed il pianto

Di molte elfiche voci femminili

Nei Tempi Remoti, negli anni lontani.

[J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, trad. Vicky Alliata di Villafranca, ed. Rusconi, pag. 299-301].

 

Anche nelle parole della canzone di Bilbo abbiamo un ritorno di alcuni temi che, alla stregua di una sinfonia, possiamo ormai considerare ricorrenti: la musica eterna che vibra attraverso la Natura e, in particolare, l’acqua (questa volta abbiamo i flutti che si frangono sulla riva), il canto come mezzo di trasmissione delle antiche storie, alla stregua della poesia e del racconto, nonché l’utilizzo di un particolare tipo di canto (il “lamento”) come invocazione d’aiuto e strumento di vittoria sulla tristezza.

 

Solo al risveglio Frodo realizza che a cantare era Bilbo. E anche qui è interessante riportare testualmente il passaggio in questione:

 

(…) disse Bilbo. «A dire il vero è tutta opera mia, salvo quella pietra verde che Aragorn ha insistito che fosse messa da qualche parte; aveva l’aria di considerarla una cosa molto importante, chissà perché. Per il resto era chiaro che giudicava il tutto alquanto pretenzioso da parte mia, e mi ha detto che se avevo la faccia tosta di comporre dei versi su Eärendil in casa di Elrond, erano fatti miei. Suppongo che avesse ragione».

«Non so», disse Frodo. «A me non sembrava fuori posto, tutt’altro, ma non ti so dire altro. Ero mezzo addormentato quando cominciò il canto, e mi parve il proseguimento di qualcosa che stavo sognando. Mi son reso conto che la voce era la tua soltanto verso la fine».

«Effettivamente è difficile restare svegli qui, quando non ci sei abituato», disse Bilbo. «Non credo comunque che gli Hobbit riuscirebbero mai a condividere interamente l’amore sviscerato degli Elfi per musica, favole e poesie. Sembra che ci tengano come al mangiare, ed anche di più.(…)»

[J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, trad. Vicky Alliata di Villafranca, ed. Rusconi, pag. 302].

 

Qui sembra esserci ancora una valutazione del canto quale mezzo di elevazione spirituale: Bilbo, che è pur sempre un hobbit, sa di non essere degno di cantare di certi argomenti, epperò gli viene concesso. Un Uomo (Aragorn) probabilmente trova il pretenzioso il tentativo dello hobbit di avvicinarsi all’Arte musicale e poetica degli Elfi (gli esseri più alti e spirituali della Terra di Mezzo) al contrario del suo simile più giovane (Frodo), che invece confessa di essersi lasciato rapire.

 

Dalla Sala del Fuoco, i due hobbit decidono poi di uscire (“Puoi andare e venire come ti pare, purché non si faccia rumore”, dice Bilbo), mentre un’imprecisata “voce cristallina” comincia a intonare un canto per Elbereth. Gli stessi si recano in una stanza che dà al di là del Bruinen, dove, dopo altre discussioni, non possono che venire interrotti dall’ultimo suono contenuto nel capitolo: il bussare alla porta di Sam che viene a richiamare il padrone per il riposo prima del Consiglio.